Il secolo che muore/Capitolo XXIII

Capitolo XXIII

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Capitolo XXII Capitolo XXIV

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Capitolo XXIII.

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Più brevi sì, ma non però men gravi di quelli di Ulisse furono gli errori pei quali si avvolsero Curio e Filippo. Tutto essi provarono; l’ira immane dell’oceano, in mezzo a cui essi si conobbero troppo meno di atomi travolti nella immensità dello spazio: anzi più che ad altro andarono debitori della propria salvezza alla loro nullità: le ruote del carro non giungono a stritolare il granello di arena sul quale trapassano; videro la tremenda rabbia della natura quando si agita a rompere le leggi le quali tengonla infrenata come schiavo che tenti spezzare la sua catena, e i furibondi spasimi di lei allorchè intende ribellarsi alla tirannide di Dio che la flagella; — videro spaccarsi montagne, e dai fianchi [p. 244 modifica] lacerati avventare fiamme; — sentirono traballarsi sotto le gambe la terra, a mo’ di creatura che ferita nel cuore baleni per cadere; — sparire a un tratto fiumi, e ad un tratto irrompere moltitudine di acque schierate come guerrieri in battaglia; — li atterrirono serpenti a sonagli lunghi ben diciotto piedi, e torme di alligatori andare a processione a guisa di formiche; i vermi stessi e i bruchi mezzo braccio e più: natura piuttosto immane che grande; paurosa, non bella. Alberi due volte tanto i nostri altissimi campanili. Conghi, tigri, leopardi, pantere, orsi, copracappelli, insomma una sterminata famiglia di enti maligni mettere in comunella la ferocia e il veleno. E gli uomini? Gli uomini trovarono tali da fare diventar rossa per vergogna la faccia ai coccodrilli se non l’avessero corazzata di scorza. Peggiori degli antichi lestrigoni i comanchi, i quali se divorassero interi i prigionieri è ignoto, tuttavia sappiamo che li scalpellavano di certo, ovvero svellevano dal cranio la pelle co’ capelli, e se ne ornavano la persona, a imitazione delle nostre croci; e si narra di un giovane ventenne, il quale portava penzoloni da un anello saldato intorno al braccio manco ben dodici di queste capelliere svelte di propria mano dal capo dei suoi nemici; — giovanetto di belle speranze senza dubbio costui. La umanità da per tutto è la medesima stoffa, gli uomini fogge tagliate dal costume diverso. Fra i popoli che in America [p. 245 modifica] si dicono civili, o almeno non selvaggi affatto, si praticava allora e tuttavia si pratica la legge del Lynch; e i nostri personaggi, approssimandosi a Brownsville, terra sul Rio Grande, la quale dopo il trattato Guadalupa-Hidalgo segna il confino tra il Messico e il Texas, si trovarono presenti ad un fatto che vale il pregio ricordare. In mezzo di una macchia folta videro tempestare un branco di bestie, uomini e cani frugando bramosamente per cespugli e per greppi; su quel subito giudicarono dessero la caccia alla pantera, ma in breve furon tolti d’inganno, mperciocchè si udissero disperate grida uscire dal prunaio, dove slanciavasi di corsa una maniera di colosso umano, ricomparendo di corto con una mano alla strozza di un uomo e con l’altra a quella di un cane di ferocissima razza, costà noti col nome di blood-hound: venuto allo aperto costui arrandellò il cane lungi da se; il cane rotolando ringhiava minaccioso, e aveva ragione da vendere, perciocchè essendo stato educato con parecchi altri colleghi dagli uomini a lanciarsi addosso agli uomini, e lacerarli, ora dell’opera meritoria si trovava a ricevere quella razza di ben servito; e ciò, sebbene bracco, gli pareva ostico. Per senso di carità ci sarebbe da mettere l’esempio davanti gli occhi dei questori, assessori, apparitori, e di altri siffatti tumori e curatori della pubblica sicurezza, ma è tempo perso, mastini e questori non imparano mai nulla. [p. 246 modifica]

Ai polli soprastà la stella della strozzatura; ai tordi l’altra dello spiedo; agli sbirri, finchè mondo è mondo, predomina l’astro della sassata e del bastone: così vuole il destino!

Intanto il colosso si era vôlto alla terra traendo seco attanagliato il prigioniero, mentre la turba gli moveva dietro con schiamazzi e fischi. Curio e Filippo imbrancaronsi con gli altri, e curiosi di sapere la cosa, interrogati quanti più poterono spillarono: il colosso venuto in lite col mastino essere il capitale magistrato della terra, cioè lo sceriffo; il prigione un indio bravo, il quale aveva allora allora fesso il ventre a un povero giovane del Kentuky, che spazzando davanti la porta del caffè dove stava per garzone, aveva per disgrazia buttato un po’ di spazzatura su le scarpe di lui; il popolo infellonito volere mettere in pezzi l’omicida, che si era dato alla fuga per campare la pelle, ma lo sceriffo, e più il cane, gli avevano tronco il disegno.

Lo sceriffo condusse (che senza offesa del vero non si potrebbe dire strascinasse, dacchè l’indio andava così di buon grado che non pareva fatto suo) il prigioniero dinanzi al cadavere del garzone, che giaceva supino in mezzo della strada dentro una pozzanghera di sangue, e di subito mise mano allo interrogatorio.

— Conosci questo uomo?

— Siì. [p. 247 modifica]

— Chi lo ha ammazzato?

— Io.

— Come puoi provare di averlo ammazzato?

— Hanno visto tutti.

— Sì, sì, abbiamo visto tutti, urlava la turba, benchè pochi fossero quelli che si trovarono presenti al caso.

— Perchè?

— Perchè mi è parso di ammazzarlo; — perchè stamani ho bevuto acqua di fuoco più del consueto; — perchè col buttarmi la spazzatura addosso ha inteso insultarmi.

— Dunque tu convieni che devi essere punito?

— Siccome per conchiudere l’affare non è necessario il mio consenso, così chiedo astenermi da rispondere.

— Come ti piace; ed ora, riprese a dire lo sceriffo volgendosi alla turba, tutti quelli che giudicano doversi impiccare... come ti chiami?

— Che fa il nome alla cosa?

— Nulla; per la formalità, capisci!

— A Lampasas mi chiamavano Lumediluna.

— Sei cristiano?

— Sì; mi battezzarono a Georgetown.

— E allora come t’imposero il nome?

— Dianoro Bermudez.

— Bene, prosegue lo sceriffo, tutti quelli che giudicano aversi a impiccare Dianoro Bermudez, [p. 248 modifica] del paese di Lampasas, passino dal mio lato sinistro.

Non uno rimase dal lato destro del degno sceriffo, perfino i fanciulli, i quali per via della età quello che facessero ignoravano.

— Tu lo vedi da te, o Dianoro, che adesso ti tocca a pensare sul serio di morire, disse lo sceriffo.

— È cosa vecchia; ci pensai da quando nacqui.

— L’uomo prudente è come la tavola degli osti, sta sempre apparecchiato: possiamo andare.

Lo sceriffo s’incamminò verso la campagna; dietro lui Dianoro, e dietro Dianoro le turbe; venuti allo aperto occorse loro un bello, grande e forte cedro rosso, del quale si servono per fare le bacchette ai lapis; lo sceriffo, dopo averlo ben bene squadrato, domandò:

— Dianoro, di’ su, questo cedro non ti parrebbe al caso?

— Per me, me ne lavo le mani; io non ci entro.

— Ma... mi pareva che per qualche cosa ci entrassi anco tu.

Tacque il dabbene sceriffo, e presa senz’altro indugio la corda si mise ad armeggiare per foggiarla a nodo scorsoio. Dianoro stava a guardarlo tranquillamente, ma vedendo poi che non veniva a capo di nulla, gli levò la corda di mano dicendo:

— Si conosce chiaro che voi non siete del mestiere; lasciate fare a me. [p. 249 modifica]

E in un attimo annodò un cappio ch’era una delizia, e senza spavalderia se lo adattava al collo da sè. Lo sceriffo, incantato, a questo punto non si potè reggere, lo abbracciò forte forte e disse:

— Dianoro! Ti giuro sul mio onore che se non ti avessi a impiccare ti piglierei per segretario; e ora, figlio mio, desideri nulla da me?

— Intendo dare un avvertimento al popolo e fare una preghiera a voi; te, popolo, ammonisco che tu ti astenga dall’acqua arzente, o almeno bevine con discrezione, massime la mattina a digiuno, se ti preme non essere impiccato; se poi non te ne preme, è un’altra cosa. A voi, signore sceriffo, mi raccomando che non mettiate il mio nome pagano nè cristiano su i giornali della Contea, perchè non vorrei lo risapesse mia madre e ne sentisse dispiacere: siccome io non le ho dato veruna contentezza nel mondo, così vorrei che per cagione mia non patisse dolore.

— Molto bene... benissimo... ti avanza nulla a desiderare da me?

— Nulla; potete lanciarmi nella eternità.

Amen!

Dopo un minuto Dianoro ciondolava come un pendolo dal cedro rosso, cullato soavemente dalla brezza vespertina.

Di facoltà per sostentare la vita Curio e Filippo non soffrirono mancamento; all’opposto n’ebbero [p. 250 modifica] copia, ma ogni giorno più veniva meno per loro la speranza di raccogliere in breve quanto bastasse per tornare in Italia a ripigliarsi le dilette creature e condursele in parte dove poter vivere e chiudere gli occhi in pace; la quale persuasione, oltre ogni credere amara, li rendeva irrequieti, scontenti, non fermi mai in un luogo, e sempre in traccia di fortune di cui spiavano invano l’orma dinanzi a loro: arti e professioni esercitarono tutte, sonatori, maestri di musica, di armi, di lingue, di matematiche, massime medici, e veramente non ci era mestieri fior di scienza per salire in fama di clinici solenni in cotesto parti. Lascio giudicarlo a voi; essi trovarono medici che ministravano ai tisici acido solforico, per bruciare (così dicevano) i tubercoli polmonari; per l’enteriti ordinavano cristei di cera lacca liquefatta, e cerusici che senza tante giammengole segavano le braccia e le gambe con le seghe dei falegnami. Da San Patricio ebbero a venirsene via nottetempo a modo di faggiaschi, fidati nelle gambe di cavalli mezzo salvatichi chiamati mustanghi, e ciò perchè la gente del paese intendeva ritenerli a forza, reputandoli santi, o almeno capaci di operare miracoli: causa di questo convincimento fa che, essendo scoppiato in cotesto contrade il cholera, essi guarirono quanti ne capitò loro sotto mano. Se il rimedio che adoperarono possa giovare in Europa ignoro, in America faceva la mano di Dio: possano [p. 251 modifica] i miei lettori andare sempre immuni dal tetro morbo, tamen per amore di umanità io lo pongo qui; badiamo però, io non lo raccomando, chi vuole lo sperimenti; suo cuore, suo consiglio: me ne rimetto in lui. — Recipe un bicchiere da tavola di spirito canforato, e mescolavi dentro venti gocce di laudano, pepe del buono quanto vuoi, e acqua di Colonia; filtra per tela, e mandane giù; se ti riesce, almeno un terzo, e ti dirò: bravo! Per completare la informazione, mi corre l’obbligo di aggiungere che gl’infermi, conci a quel modo, spiccavano salti da sfondare il sofiitto, e poi giravano sopra se stessi più veloci dei fusi delle macchine da filare: non importa; guarivano, ed oltre alla salute del corpo, nel dì del giudizio potevano sostenere di avere avuto un acconto delle pene dello inferno.

— Ahimè! ahimè! come mi sento stracco, sospira Curio gittandosi giù su l’erba in riva a un fiume; a cui Filippo:

— Abbiamo camminato tanto oggi! Riposati, figliuolo mio.

— O a me caro più del padre; non parlo del corpo io, bensì della vita; il cervello mi sta inerte dentro il cranio come morto nella bara; mi tocco il petto invano per sapere da qual parte io mi abbia il cuore: — egli non mi palpita più; sono sazio di giorni.

— Ecco, questo ti avviene perchè ti lasci [p. 252 modifica] arrugginire dalla malinconia. Dimmi, che fai tu perchè la ruggine non ti roda la carabina? Ogni giorno che Dio mette in terra tu la strofini con la sua brava pomice e col suo bravo olio. Ora, il coraggio è l’olio e la speranza la pomice per la malinconia; e voi giovani sprecate questo olio col boccale, come se aveste a condire la insalata per ventiquattro, sicchè non ve ne avanza una goccia per la estrema unzione. Bada, Curio, molti giovani, che con le armi in mano vinsero virtuosamente gli austriaci, si lasciarono vincere dallo sbadiglio.

— Filippo, ricordo avere letto certa sentenza in un libro, credo nella prefazione del Pellegrinaggio del giovane Aroldo, una sentenza la quale diceva così: «L’universo è una maniera di libro, del quale ha letto una pagina sola chi ha visto unicamente il suo paese. Io ne ho voltate di molte, e mi sono apparse tutte cattive; però questo esame mi è riuscito fruttuoso, imperciocchè, odiatore prima della mia patria, quando ebbi considerato le ribalderie dei popoli in mezzo ai quali sono vissuto, tornai ad amarla; e se dalle mie pellegrinazioni non avessi ricavato benefizio, eccetto questo uno, non mi lagnerei delle spese fatte, nè delle fatiche sofferte.» Veramente se il pellegrino venne sincero a tale conchiusione, beato lui! Per me, sia che mi pigli gli uomini nel vecchio o me li abbia a pigliare nel nuovo mondo, mi paiono tutti fichi degni di penzolare dall’albero [p. 253 modifica] di Timone; e ormai diffido trovarne quaggiù meglio nè peggio, sicchè vorrei insalutato hospite uscirmene da questo mondo, dove non mi trattiene più. nulla.1

— Nulla! Nè anche la vista di quel superbo alligatore, che steso supino costà su i giunchi del fiume si gode la benedizione dei raggi del sole?

— Non gode, bensì si travaglia inebetito di ripienezza a cagione della strage menata stamani di chi sa quante creature viventi. Ma sta’ tranquillo, o coccodrillo, a te non può mancare il regno dei cieli, perchè ti scusano la fame, lo istinto della tua conservazione e la mancanza d’intelletto, mentre noi abbiamo visto l’uomo mosso a malfare per vanità, per ferocia, per avarizia, insomma per colpa di spirito viziato, non già per bisogno del corpo: noi viviamo in società con gli uomini come i cuochi in cucina presso la stia, per avere i polli sottomano onde arrostirli; meglio coccodrilli, che uomini.

— Ecco, vedi. Curio mio, io giudico che un [p. 254 modifica] divario ci corra, e grande, perchè io piglio a cottimo, con una brava palla nel cranio ovvero nello stomaco, di mettere a partito anche un Francesco di Modena o un Ferdinando di Napoli, mentre con tutte le sei palle della mia rivoltella nel grugno a quel mostro la sarebbe come se gli dicessi sei volte: ben levato a vostra signoria; quindi io reputerei atto prudenziale svignarsela di qua prima ch’ei si accorga della nostra presenza.

— Ta me lo calunni, linguaccia; ed io pure conosco averlo offeso; però me ne pento e dico mea culpa; mira, Filippo, quanti vaghi uccelletti gli fanno festa aliandogli intorno al muso, ed egli sembra partecipare per loro la tenerezza che ne sentiva quell’anima candida di madama Sand.

— Misericordia! Se tu non mandi a rimpedulare il cervello, un giorno o l’altro t’innamori di un coccodrillo; o lo sai perchè l’alligatore sta fermo? lo sai perchè gli uccelli gli volano intorno ai denti? Perchè gli vanno a beccare i frusti della carne rimastigli nelle gengive, ed egli sentendosele rinettare se la gode più di canonico dopo pranzo. Interesse, Curio mio, interesse nato e sputato da una parte e dall’altra.

— Lo vedi se ti ho colto in flagranti, Filippo; e le creature tutte pensi tu che le sieno mosse da altro che dal proprio interesse?

— Accidenti alla disdetta, che ci rende tristi e [p. 255 modifica] villani, saltò su a gridare Filippo tutto acceso nel volto, ed io... io ti amo per interesse?

— Oh.! no... tu no.

— E tua madre ti ama per interesse?... E...?

— Taci per l’amor di Dio, esclama Curio rizzandosi in un attimo e chiudendo con la mano la bocca a Filippo, — non la rammentare nè manco. Pur troppo tu dici santamente; compagna iniqua alla coscienza dell’uomo è la sventura; se mi capitasse tra i piedi la piglierei pel collo e la strozzerei... ma tu, mio Filippo, senti quanto me lo schianto del cuore di amare come noi amiamo, e di essere amati come sanno amare quegli angioli, e non potere corrispondere con essi, non dare loro e non riceverne nuove? Nulla conoscere di quanto fanno, dicono, patiscono o sperano...

— E chi ti dice che noi non possiamo sapere questo di loro? che i cuori amanti non conoscono altra corrispondenza eccetto quella del telegrafo sottomarino? Il sospiro delle anime appassionate va con ali più celeri della favilla elettrica, e in men che non balena si trasporta da un polo all’altro.

— Ti sieno grazie della tua ottima mente, o padre mio; tu, a patto di darmi un po’ di refrigerio, non ti tireresti indietro da sostenermi che le tavole girano e gli spiriti dei morti vengono a raccontarci a veglia le novelle dell’altro mondo.

— Ascolta, figlio mio, a filo di ragione io ti [p. 256 modifica] confesso non avere mai saputo giusto quello che doveva credere, ovvero discredere: per me detesto gli empirici della scienza quanto gli empirici della fede: empirici tutti. Ma che vuoi tu? Io sento... o piuttosto parmi sentire che non morrò intero; questo parmi sicuro, che tra il cielo e la terra esistano creature in troppo maggior copia di quella che sappiamo immaginare noi; ed invero, infiniti oggetti sfuggono ai nostri occhi, comecchè armati di potentissimi arnesi, o perchè del pari infinite idee non isfuggiranno alla nostra miope intelligenza? Dunque, se dopo avere picchiato ad una porta, veruno mi risponde, dirò il vero affermando che la casa è disabitata?

E senza attendere risposta Filippo si prostese sopra l’erba verde celandovi il viso, e alquanto ce lo tenne fermo in onta a Curio, il quale mentre ostentava irriderlo in cuore tremava; quando si rialzò egli aveva nella voce e negli occhi il pianto; per la quale cosa lo amico suo lo interrogava dicendo:

— E ora, che novità è codesta? Parla, che hai?

— In questo punto Arria, la tua sorella, è passata a miglior vita. La madre tua ed Eufrosina mia, inginocchiato intorno al letto, pregano pace all’anima di lei e piangono.

— E come hai fatto a saperlo? [p. 257 modifica]

— Il come ignoro: piglia ricordo del giorno e dell’ora, ed a suo tempo lo riscontrerai.

Se Filippo quello che disse credesse, o piuttosto il facesse per purgare l’animo dello amico dalla tetraggine che gli si era cacciata addosso, non saprei, fatto sta che Curio prese nota del caso, e gli si ravvivò lo spirito come lume per nuovo olio versato nella lucerna, — e insieme con lo spirito i sensi da lungo tempo inerti ripresero la consueta alacrità.

— Raccattiamo dunque il bordone, disse Curio, e proseguiamo il pellegrinaggio: intanto seguirò il tuo consiglio, allontaniamoci dallo alligatore, che se ci vedesse non ci concederebbe andare un tratto per la via.

— Giusto, era quello che pensava ancora io, perchè tanto, dinne quante vuoi, gli uomini meglio dei coccodrilli saranno sempre.

Quod est vìdendum, Filippo; — conchiuse Curio, ed entrambi mossero di conserva lungo la ripa del fiume, sperando imbattersi in barca o in chiatta che dall’altra sponda li traghettasse. — Poichè ebbero camminato per buono spazio, notarono con maraviglia la ripa torcersi a gomito e spingersi traverso al fiume, in guisa di penisola, mentre le acque, invece di arricciarsi a cagione di simile ostacolo, tentando passare di sopra, avvallansi gorgogliando scorrono per di sotto; allora sostarono [p. 258 modifica] dubbiosi di avventurarci il piede; notandovi poi segnato un calle assai trito, ci si commisero sopra. Considerando essi sottilmente, come avviene quando ci occorrano cose inopinate e strane, cotesta superficie osservarono che l’andava composta da una congerie di tronchi e di rami di alberi o rotti o sradicati; la superfìcie in parte compariva sottilissima, in parte più profonda e contenuta come in gabbionate di vimini; qua e là incontravi certa maniera di pozzi di cui le pareti erano formate di tronchi di albero l’uno incastrato dentro l’altro, donde si udivano le acque del fiume scorrere fragorose verso il mare.

— Tutto qui mi fa perdere la tramontana, cominciò Curio a favellare; fiumi che invece di scavarsi l’alveo sopra terra, come usa fra noi, ci passano di sotto; foreste che si staccano dalla sponda e si mettono a viaggiare per trasferire altrove il proprio domicilio; acque colore vermiglio, quasi che dopo tanti secoli non siano anche giunte a lavare la terra dal sangue di cui i ladroni spagnuoli la inzupparono...

— Ecco che ti ribollono le solite fisime: se invece di erpicarti su pei peri tu porgessi attenzione a quello che si favella intorno a te, tu avresti udito e adesso rammenteresti due fiumi in America pigliare nome di Coloradi, uno dei quali scorre nel Texas, l’altro in California; qui, oltre il Colorado, [p. 259 modifica] vi ha un altro fiume chiamato Riviera Rossa, e ciò a cagione del mescolarsi che fanno le acque con certe terre ferruginose.

— Lo sapeva, Filippo, e la fantasia mi ha posto le mani sugli occhi dell’intelletto, perchè se le acque dei fiumi avessero ad andare tinte di rosso per via del sangue umano mescolato fra loro, qual fiume al mondo potrebbe mostrarle limpide? Mario, dopo la strage dei teutoni, quando assetato e stanco scese in riva al fiume, non più bevve acqua che sangue; ma i teutoni a suo tempo ci barattarono un Mario in dieci Radetski. Basta; tiriamo innanzi e Deus providehit, come disse Abramo quando s’incamminava a scannare il figliuolo... a proposito, Filippo, sei tu amico della Provvidenza?

— Certo; non però di quella a cui i preti appioppano per babbo san Gaetano e per mamma l’Accidia; io ho fede nella provvidenza che si lascia sempre trovare dall’uomo quando la cerca con virtuosa solerzia.

Bene vertant Dii! borbottò Curio, e non aggiunse verbo; molto più che gli oggetti circostanti pigliassero a legare i sensi suoi con parvenza mirabile: infinite gli si pararono dinanzi gli occhi le varietà delle piante e degli alberi, parecchi dei quali noti anche in Europa; i più domestici del luogo, come i cipressi calvi, i cedri rossi, i ginepri da lapis, alberi da arco, alberi ferro, aceri da [p. 260 modifica] zucchero, ebani, palme, in copia magnolie grandiflore, le quali così intensamente impregnavano l’aria di profumi, da dare il capogiro ai nostri viaggiatori; l’aria spirava ebbrezza; gli occhi dal tremolio della luce e dello azzurro restavano affascinati. Non ci era mestieri fantasia per popolare la foresta di uccelli diversi nella forma e nel volume, bellissimi di penne dai colori smaglianti; — però la natura matrigna aveva negato loro la dolcezza del canto: uccello senza canto fa riscontro alla camelia senza odore; qualcheduno imitando la voce umana irrideva, donde il nome di uccello beffardo. Non era cotesta natura ravviata dall’arte, non aveva uccello predicatore arguto dei riti di Venere, e nondimanco dall’aura, dai rami, dalle piante e dagli animali usciva urgentissimo lo invito:

. . . . . . . amiamo or quando
Esser si puote riamati amando.

A questo modo, studiando il passo per non ismarrire il sentiero, i nostri amici arrivarono all’estremo lembo di quella penisola, donde appuntando lo sguardo videro spingersi dalla parte opposta del fiume una lingua di terra pari a quella dove allora si trovavano, sia nella grandezza come nella forma, la quale si prolungava traverso della corrente. In quel punto il tratto che correva fra l’una e l’altra riva avrà misurato dalle cinquecento alle seicento braccia, ne per valicarlo appariva altro mezzo, eccetto una [p. 261 modifica] barca, la quale avrebbe cavatola voglia di entrarci anche alle ombre dei clienti di Caronte. Per giunta traccia di navalestri non si vedeva: cerca e ricerca, alfine venne lor fatto di scorgere accoccolate dentro il cavo di un albero smisurato due creature, che essi su quel subito non seppero a quale famiglia di bestie assegnare: avevano la pelle di una tinta, che colore onestamente non si sarebbe potuto dire, non castagno, nero neppure, piuttosto un miscuglio di molte maniere di sudiciumi: i capelli cenerini; ignudi erano, se togli una fascia traverso il corpo pendente giù fino a mezzo le cosce; grimi, pieni di schianze, orribili a vedersi. Stettero in forse di volgere loro la favella, ma pel gran bisogno che ne avevano ci si arrischiarono interrogandoli chi fossero: — uno di quelli, e propriamente colui che poteva supporsi uomo, rispose:

— Siamo gente libera come vostra signoria, nel caso che siate uomo libero, cittadini della Unione Americana e barcaioli di mestiere al servizio di vostra signoria.

— E dove abitano le loro eccellenze?

— Il nostro domicilio è qui.

— In questo buco?

— In questo buco.

— Dove siete nati?

— Chi lo sa!

— Vi ci menarono di fuori? [p. 262 modifica]

— Chi se ne rammenta!

— Che sapete fare?

— A frustate c’insegnarono la schiavitù i reverendi padri delle missioni.

— La schiavitù non è mestiere; v’insegnarono altro?

— Sicuro eh! C’insegnarono anche il rosario.

— A frustate?

— A frustate.

— Siete cristiani?

— Comandi?

— Chiedo se credete in Gesù Cristo?

— Crediamo nello inferno, dove bruceremo eternamente se non reciteremo il rosario, e se quando vivevamo in servitù rubavamo anche una pannocchia di maiz al padrone; ma ora siamo liberi e potremmo rubare senza paura della casa del diavolo, ma padrone noi non abbiamo più.

— Ma mi sapreste dire come siete liberi?

— Chi lo sa! Prima i padroni si scannavano per tenerci a catena, e poi si sono scannati per mandarci liberi.

— Ma la differenza che trovate fra la libertà e la schiavitù me la sapreste dire?

— O non l’ho detta? Quando eravamo schiavi avevamo modo di rubare in questa vita ai padroni, e andavamo all’inferno nell’altra; ora che siamo liberi non possiamo più rubare ai padroni, e la fame [p. 263 modifica] ci ha aperto le porte del paradiso; e, se vuole, io ci ho notato un’altra differenza: con la schiavitù frusta quotidiana e pane tre volte la settimana, con la libertà, nè frusta nè pane.

— E fìgliuoli ne generaste?

Allora si rizzò su l’altra creatura, che Curio suppose essere femmina, la quale per abbaiare non ebbe mestieri come Ecuba essere trasformata in cagna, e prese a urlare:

— Dodici! dodici! dodici!

— La figliolanza d’Isdrael; e che ne avete fatto?

— Questo è il conto dei miei figliuoli: cinque morirono pel morso avvelenato dei serpenti a sonagli; due ne sbranarono le pantere; tre se li inghiottì la febbre gialla; uno lo impiccarono le facce pallide perchè ruppe il cranio al figliuolo del padrone, che lo frustava senza discrezione; l’ultimo ebbe il cranio spaccato dal padrone; e così finì la chiocciata.

— Era tanto bello il mio Candido! finito di parlare la femmina prese a guaire il negro; il padrone pianse tanto la morte di quel giglio di amore! Si sbatacchiava per terra, si mordeva le mani; credo che se io non lo avessi retto si sarebbe buttato via.

Filippo, intento a guarire Curio dalle sue fantasticaggini di misantropia, osservò:

— Tanto, è inutile che tu vada come i medici a cercare il male col fuscellino; anco dalle anime più buie trapela sempre qualche raggio di amore. [p. 264 modifica]

E Curio senza badargli continuò ad interrogare il nero:

— Dunque il padrone amava questo figliuolo assai?

— Oh quanto! Il mio bel giglio, pel colore e per la forza, vinceva il re dei bufali; era alto un metro e ottantacinque centimetri; alla fiera di Bastrop due giorni innanzi gli avevano offerto seicento dollari; bella moneta, mio signore, seicento dollari per un negro; ma il padrone s’incornò su settecento e lo riportò a casa.

— Ma se il padrone lo vendeva, voi non avreste veduto più il vostro bel giglio pari al re dei bufali?

— Certo, ma grande onore sarebbe stato per noi avere messo al mondo un figliuolo venduto settecento dollari.

Curio ghignò da cacciare i brividi addosso a Filippo, il quale tentava per vergogna celarsi dietro qualche tronco di albero. — Curio, pigliando diletto a tormentarsi tormentando altrui, continua a interrogare il negro:

— E perchè mai il padrone spaccò il cranio a questo tuo giglio che pareva un bufalo?

— Una grulleria! A Candido saltò il ticchio di accoppiarsi con la femmina del padrone; e siccome la sguaiata lo respingeva, egli l’agguantò pel collo, non mica per male, capisce bene vostra signoria, [p. 265 modifica] ma per tenerla ferma... sono così fragili coteste faccie pallide! Non volle la femmina più tornare in sè: io giudico lo facesse per dispetto. Ahimè che angoscia!

La femmina strappandosi i capelli urlava a sua posta:

— Soli, poveri, ignudi, vecchi, ahimè che angoscia!

— E perchè non morite?

— Perchè ci hanno condannati a vivere.

— Non è vero; nessuno può impedire all’uomo la morte; o questi non sono alberi, e non è fune questa? Le acque del Colorado non corrono rapide e profonde al mare?

— Impossibile! Ne andrebbe della salute dell’anima; così ci hanno insegnato i reverendi padri missionari, e vostra signoria comprende che, dopo avere sofferto pene da cani in questa vita, non ci mancherebbe altro che andare a patire pene da serpenti nell’altra.

— Ma se la morte fosse sonno unicamente, tutto sonno, e tu ti avessi ad addormentare per non destarti più, dimmi, acconsentiresti a dormire?

— Cora, senti, la faccia pallida ci domanda se vogliamo addormentarci senza svegliarci più. Ti contenti di dormire sempre?

— Magari! Sempre, sempre dormire.

A Filippo non resse più il cuore di sopportare [p. 266 modifica] cotesto strazio, sicchè, fattosi animo, entrò di mezzo a dire:

— Di qua passano barche per traghettarci dall’altra ripa?

— Di qua passano, ma rari, certi mostri fabbricati dalle facce pallide, dentro i quali essi sono riusciti a imprigionare un diavolo; il tormentatore sentendosi tormentato mugula per la pena, stride e fischia; ansa affannoso mandando fnori boccate di fumo mescolate di faville; piange fuoco; sbatte presto presto le ale sul fiume tentando levarsi per l’aria, ma non può, incatenato a mezza vita come si trova dentro il bastimento. Quando passa, nonostante gl’inviti delle facce pallide a salirci su, offerendo gratis nolo e alloggio, scappano tutti, facendosi il segno della santa croce; altri legni non passano, e se vostra signoria intende valicare dalla sponda opposta, non troverà barca, eccetto la mia.

— Dunque menaci la barca, e senza indugio fai di trasportarci di là dal fiume.

— A dirsi è breve; a farsi ci corre; quanto credono darmi le signorie vostre?

— Quanto chiedi?

— Ma... dieci dollari vi parrebbero troppi?

— Prima di risponderti, la tua barca, la tua femmina e la tua pelle, dimmi, costano tanto?

— Una volta io solo costai cinquecento piastre [p. 267 modifica] (allora non correvano i dollari). Le signorie vostre parlano come persone che non sanno niente.

— Come non sappiamo niente? Il tratto di qui a là vuoi tu che misuri oltre quattrocento braccia? In meno di un quarto di ora il transito è fatto.

Il negro si mise a ridere sgangheratamente, la femmina lo imitò mostrando i denti bianchi e acuti da disgradarne un cane da presa, e l’una ciondolava il capo verso l’altro a guisa di montoni che accennino cozzare; riso ch’ebbero un pezzo, il negro soggiunse:

— Per traghettare quest’acqua, mirino, padroni, bisognerà andare un duemila passi in su lungo la ripa del fiume, se basteranno; anzi, oggi non basteranno di certo, perchè la corrente tira in giù a furia, e se ti agguanta co’ suoi denti di alligatore non ti lascia se prima non ti abbia scaraventato nel golfo di Matagorda.

— All’occhio questa furia di corrente non apparisce.

— Che importa che la vostra signoria la veda; a vincerla tocca a me.

— Tu dici la bugia per iscorticare il prossimo; ti aiuteremo anche noi.

— Le vostre signorie al remo? Ma che ci pensano!

— Eh! noi siamo gente da bosco e da riviera.

— Mancano i remi per tutti. [p. 268 modifica]

— Non fa caso; ci metteremo in due al medesimo remo.

— Questo è buono per andare di là; ma per tornare da quest’altra parte chi ci darà mano?

— = che in capo al giorno non ci ha a capitare qualche passeggero che voglia venire dove ci troviamo adesso?

— Difficile, signori miei, difficile, perchè tutte le città lungo il fiume giacciono dalla riva sinistra.

E non era vero.

In questo ecco udirono intronarsi da fischi acutissimi e ripetuti, onde volgendo subito il capo videro l’aria dintorno annuvolata da getti di fumo, come avviene quando parecchie vaporiere s’incontrano in una stazione.

— E questo che è? domanda Filippo al negro, il quale da prima esitava a rispondere grattandosi il capo; poi di un tratto, come se avesse trovato lo scappavia, prese a urlare:

— Novità! Padroni, novità... non perdete un momento a mettervi in barca, se volete passare dall’altra parte... in barca..! in barca...! Cora, giù i remi... per avere il contento di servire le vostre signorie, ecco, voglio usarvi l’agevolezza di traghettarvi per cinque dollari solamente... gli è quasi per nulla... in tutti e due, s’intende.

I nostri viaggiatori, che non possedevano dollari da sbraciare con la pala, messi anche in sospetto [p. 269 modifica] dalla calca delle offerte tentennavano; intanto ecco dalla parte opposta del fiume venir via a golfo lanciato parecchi palischermi: certo ognuno procedeva spinto da quattro paia di remi, ma se la corrente fosse stata impetuosa come i negri asserivano, non si sarebbe potuta tagliare così addirittura; i palischermi non sursero tutti nel medesimo punto, bensì sparpagliaronsi lungo la riva, e i marinari, appena scesi, presero a urlare a squarciagola:

— Chi vuol passare dall’altra ripa? Chi vuole imbarcarsi per Lagrangia, per Colombo, per Bastrop, per Austin, faccia presto; si passa a credenza...

Curio e Filippo non si poterono astenere da ridere di cuore della furberia dei negri, i quali non si fecero più brutti, perchè questo era impossibile; peggio accadde quando i nostri amici, per istraziarli, si scusarono di non approfittare delle loro offerte; pure per commiserazione diedero loro mezzo dollaro di elemosina e se ne andarono. I negri presero a storcersi in atti di rabbia e di minaccia; scagliarono loro addosso il mezzo dollaro, e poi recatesi le mani alla bocca ci susurravano parole le quali avventavano contro i bianchi a guisa di sassi: certo ci è da scommettere che non erano benedizioni.

Di corto, i nostri viaggiatori, in compagnia di parecchi tessiani, da più parti usciti fuori della selva. [p. 270 modifica] s’imbarcarono e giunsero sopra la ripa opposta; dove videro ancorati due piroscafi, i quali seppero navigare su e giù regolarmente il Colorado fino a cinque o sei miglia sopra la città di Austin, dove la rapidità della corrente non si può vincere con veruno argomento umano inventato fin qui.

I capitani dei due piroscafi avevano sbarcato tutta la loro ciurma e spedita in giro per la terra, perchè a suono di trombe e di tamburo ragunassero gente e le ammonissero, mediante diversi stendardi bianchi segnati di nero, che chi voleva andare a Colombo per la elezione del presidente della Contea Austin avrebbe potuto imbarcarsi pel prezzo di otto dollari a testa, due pasti compresi, senza vino, nè birra. I piroscafi erano due, uno chiamato l’Erebo, l’altro la Furia, ed entrambi offrivano le condizioni medesime. Di corto sparvero almeno mezzi gli stendardi bianchi e ne comparvero altri più grandi gialli, dove si leggeva tinto in rosso l’avviso: impossibile buon prezzo; passo su l’Erebo, sei dollari fino a Colombo, due pasti compresi. Subito dopo ecco sventolare immensi stendardi celesti, che presentavano scritto in bianco: incredibile rinvilio; passaggio sopra la Furia, sei dollari fino a Colombo, due pasti e birra. La calca eccitata si stringe sopra un piazzale, dove il capitano dell’Erebo si trova in faccia a quello della Furia, rossi come i barbigli di gallo come galli gladiatori in procinto di battersi; ed [p. 271 modifica] eccoli subito instituire fra loro un incanto di noleggio con gara feroce. — Cinque dollari, due pasti e birra. — Cinque dollari, due pasti, birra e wiskey. — Quattro dollari. — Tre dollari. — Due. — Uno. — Più giù non potevano calare; per un dollaro non e’ incastrava neppure la ripresa del carbone; confidavano rifarsi nelle altre corse alle varie città lungo il fiume. La folla si divise correndo dietro all’uno od all’altro capitano, secondochè si sentiva più gusto per l’Erebo o per la Furia: i passeggeri giunsero presso i bastimenti con un palmo di lingua fuori; li furono sospinti per di sotto, tirati in fretta e in furia per di sopra e poi arrandellati peggio dei sacchi di biada sul ponte: rinnovansi fischi da fare rizzare in piedi dall’antica sepoltura Adamo con le mani agli orecchi; su l’ancora, come si tira la secchia dal pozzo, e via: i due piroscafi passarono lo stretto di conserva, e da principio si mostravano un riguardo che prometteva assai bene; li teneva d’accordo la paura di stritolarsi nelle angustie del passo; venuti poi in acque più larghe, dove ognuno potè governarsi a danno dell’altro con fiducia di non pregiudicare se stesso, prendono a correre con tristissimo consiglio di sghimbescio uno addosso all’altro, tentando colpirlo di fianco e sommergerlo: le scellerate industrie diventavano più sottili nelle giravolte del fiume, dove il piroscafo che navigava in mezzo procurava abbrivare la prua addosso [p. 272 modifica] l’altro che rasentava la sponda, e così costringerlo a rallentare il corso e levargli la mano. Nei luoghi spaziosi lottavano con gara più leale e più bella, ma con poco frutto, essendo i piroscafi pari in bontà e i marinari ugualmente capaci. Il capitano dell’ Erebo, sul quale eransi imbarcati Curio e Filippo, stando ritto sopra il terrazzino traverso ai tamburi, si dimenava, gestiva, urlava da spiritato: con voce rantolosa non ismetteva mai di ordinare:

— Fuoco alla caldaia!

I suoi sottoposti, invasi dalla medesima rabbia, buttavano giù senza posa carbone a palate; ma siccome l’emulo capitano della Furia adoperava lo stesso e peggio, non si veniva a capo di nulla: entrambi serpi che mordevano lime, quantunque essi corressero nella fuga infernale da venticinque a ventisette miglia all’ora, per modo che il soverchio moto, trasformando alla vista gli oggetti circostanti, facesse apparire le piante e gli alberi delle due sponde quasi due striscio continue di panno verde. Il capitano dell’Erebo, non avendo altro da rodere, per la rabbia si rodeva le mani; intantochè i passeggeri con terrore avvertivano le faville della cappa del camino cascare a gruppi su certe balle di fieno e di cotone caricate in coperta con pericolo presentissimo, anzi certezza d’incendio; e poichè parve loro, e veramente era, ogni indugio pernicioso, deliberarono mandare alcuni di loro in deputazione [p. 273 modifica] al capitano, affinchè la salvezza comune non patisse detrimento. Il capitano, poichè l’ebbe udita, rispose a denti stretti:

— Quando anche doveste andarvene tutti all’inferno, vi parrebbe caro il viaggio a cinque franchi e trenta centesimi a testa?

E senza confondersi più oltre con loro, rivolto ai suoi:

— Che Dio vi danni, pigliate quanti barili di sego troverete nella stiva e buttateli tutti nel focone.

E fa fatto: per un momento fumo, faville, cigolio della macchina cessarono, ma dopo pochi minuti secondi ecco il fumo prorompere nero, vorticoso, affannoso dieci cotanti più di prima; le fiamme dardeggiano fuori del fumaiolo orribili come lingue di serpenti; la macchina urla e smania quasi ci fosse dentro l’anima dannata di un papa o di un re. Pur troppo quello che si prevedeva accadde: le balle del fieno e del cotone avvamparono. Ora siì che lo sgomento dei passeggeri giunse al colmo, i quali si videro soprastare tre morti una peggiore dell’altra: annegati nell’acqua diaccia del fiume, o cotti nell’acqua bollente delle caldaie, ovvero inceneriti nelle fiamme del fieno e del cotone; arrogi per soprassello di terrore che si vedevano abbrivati con irresistibile spinta contro uno dei soliti puntoni composto di tronchi di alberi che occupava quanto era largo il fiume, eccetto forse una sessantina di braccia. [p. 274 modifica]

Un passeggero americano, che al lato di Curio stava con molta attenzione a considerare lo spettacolo, a quel punto tirò giù la lunga carabina che portava ad armacollo e prese la mira al timoniere che stava alla ruota.

— Che fate voi? grida Curio deviando vivamente la carabina dello americano, il quale pacato risponde:

— Affinchè l’Erebo si fermi non ci vedo altra via che ammazzare il timoniere; e si riprovava, senonchè in questo istante un urto terribile mandò la più parte di quelli che si trovavano sul ponte a gambe levate; il capitano stesso capitombolò giù dal terrazzino, e fu creduto precipitasse nella stiva.

I cumuli di tronchi e di rami di alberi, ed anche di alberi interi mescolati con terra, di cui fu tenuto proposito, li formarono i secoli, e giunsero a tale da turare il passo del fiume, non già impedire lo scorrere delle acque per di sotto; in lingua paesana questi cumuli si chiamano draft; si sollevano e si abbassano con le acque del fiume, come quelli, che sopra esse galleggiano; appunto sul Colorado ne occorreva uno lungo ben diciassette leghe, che gli anglo-sassoni americani, questi titani del nuovo mondo, tagliarono pel mezzo praticandovi un canale: questo poi in taluni punti offre bastevole larghezza; in altri si stringe così, che i rami fronzutissimi degli alberi cresciuti lungo le sponde, [p. 275 modifica] intrecciandosi per di sopra, vi formano come una volta; quivi non penetra raggio di sole, e il buio vi dura tutto l’aimo fitto, sicchè ti sembra traversare una botte forata nelle viscere dei monti.

L’Erebo era ferito: il paragone del guerriero col costato trafitto da una freccia non farebbe al caso, però che dalla ferita del guerriero trabocchi fuori il sangue, mentre da quella del piroscafo l’acqua irrompe dentro gorgogliando: mentre l'Erebo si versa in cotesto terribile pericolo, ecco la Furia passargli da canto, strisciarlo come ad oltraggio e sparire via più ratto di saetta volante, urlando: urrà!

Curio aveva chiuso gli occhi mormorando: in manus tuas me commendo; quando li riaprì vide il diavolo del capitano al suo posto, che impartiva ordini con voce squillante, che parevano rintocchi di campana a martello; costui era caduto a capo fitto sul ponte, ma senza pur perdere tempo a riscontrare se si fosse slogato spalla o braccio, arrampicandosi su di una corda aveva ripreso il posto nel terrazzino: quinci in un battere di occhio conobbe come il timoniere, per colpa del fumo, perduta la vista della prua, avesse urtato sconciamente nel draft, e qualche tronco, sfondando le staminare, penetrato nel corpo; — si guarda attorno, e poi breve e vibrato:

— Attenzione per chi intende salvare la vita. — Fieno, cotone, tutto all’acqua... [p. 276 modifica]

In meno che non si dice, accesi o spenti, fieno e cotone giù nell’acqua; e il capitano da capo:

— Con tutta piena forza — l’Erebo indietro potentemente.

Pilota, timoniere e macchinista, molto per amore della vita, e moltissimo per la paura del capitano Brawler, avvezzo a pagare le partite di disobbedienza in moneta di rewolver, operarono di concerto tale uno sforzo, capace di sbarbare, non che l'Erebo, il Colosseo di Roma. Il piroscafo, liberato dal tronco feritore, lascia aperta una via all’acqua, che minaccia farlo passare per occhio in pochi minuti: qui non ci ha tempo da perdere; di fatto la voce stridente del capitano si ode da capo:

— Attenzione! Tutta pienissima forza — a poggia.

E il buon battello gira agile a destra come uscio si volge sopra arpioni bene unti. Il capitano allora con immenso urlo insiste:

— Forza... tutta forza — urrà! contro terra...

E l’Erebo si precipita a investire la sponda con lo impeto del disperato, il quale dà del capo contro il muro per finire la vita; ma per l’Erebo non fu così, imperciocchè il capitano, con occhio di falco, avesse visto essersi formato a destra della spiaggia certo spazio arenoso, dove il battello incagliandosi, il pericolo di colare a fondo era vinto. La fortuna secondò l’ardire, ed egli subito, agguantato un cavo, si lasciò scorrere fino a terra, dove si mise a [p. 277 modifica] considerare con diligenza il luogo: parve soddisfatto dello esame, dacchè, volta la faccia in su, così arringasse i passeggeri affacciati in diversi atti di paura o di ansietà dalle paratie del battello:

— Coraggio! Per ora non affogate più: sarà per un’altra volta; — potete scendere. Domani dopo mezzogiorno ripiglieremo il viaggio: tenetevi per avvertiti; chi intende aspettare, bene, rimane fermo il contratto; chi no, perderà mezzo nolo; e poichè giudico io che siamo presso a Columbus, ch’è quanto dire a tre quinti del viaggio, vedete bene che vi regalo un tanto.

Ai passeggeri non parve vero abbandonare l’Erebo a sì buon patto; tutti avrebbero volentieri renmiziato al dollaro, e qualcheduno ne avrebbe dato un altro. Ciò fatto, il capitano, sempre con la medesima foga, chiamato a sè il dispensiere, in brevissime note gli significa il voler suo; dopo il dispensiere il carpentiere, e con lui adopera nella medesima guisa; finalmente convoca i negri che si trovano a bordo, cava fuori il taccuino, scrive una pagina e la stacca, poi due, poi sei, poi dieci, le consegna ai negri, e col cenno più che con la voce li spinge in diverse parti; i negri corrono via come se fra loro si contrastassero il palio. Allora il capitano, preso un pizzico di tabacco, se ne fece una spagnoletta, ponendosi a passeggiare su e giù, ed a fumare come se nulla gli fosse accaduto. [p. 278 modifica]

Curio e Filippo, senza prendere partito, si misero anch’essi andare aioni per la selva, nè si dilungarono gran tratto che occorsero in parecchie brigate di gente delle quali ognuna tirava dietro la sua bandiera; ma a poco a poco tutte le bandiere rimasero deserte, eccetto sol due; celeste l’una, l’altra vermiglia; in entrambe leggevasi un nome tinto in bianco: le accompagnavano il solito strepito di trombe, di tamburi e di conchiglie: urli e fischi da parere il finimondo; chi portava ceste, chi panieri o corbelli; chi a piedi, chi a cavallo, e sovente sul cavallo o sul ciuco due; qualche volta anche tre; le donne più strepitose di tutte sciorinavano smanianti stoffe di vari colori e dello schiamazzo proprio s’inebriavano: arrivate le due processioni sopra un prato, deposero a un tratto ceste, corbolli e panieri, e misero in mostra bocce, bicchieri e di ogni maniera vasi di liquori e mangiari. Qui stavano tutte le facce appuntate, ma quando te lo aspetti meno un vocione si fa sentire dall’alto; ti giri, non vedi nulla; guardando meglio ti si mostra mezzo nascosto dalle fronde sopra un albero certo personaggio grosso, panciuto e in faccia rosso come pomodoro maturo: come diavolo costui fosse riuscito ad erpicarsi lassù è difficile darci ad intendere; ma per troncar corto egli incominciava a concionare subito in questa sentenza alle turbe; e col braccio destro abbracciato un ramo, col sinistro gestiva [p. 279 modifica] come vela di molino a vento. A quanto fu dato capire egli sermonò della soelleraggine della servitù, della necessità di sperderne dalla faccia del mondo fin la memoria, della urgenza di eleggere a, presidente della Contea Abramo Sandiford di Bastrop... A cotesto punto un groppo di proietti vegetali, vari di mole e di famiglia, interruppe l’oratore; egli, mostrando il viso alla fortuna, con la man manca come meglio poteva si schermiva, ma quasi sempre infelicemente, da quell’uragano di batate, di patate, di carote, et similia, e mostrava volere continuare ad ogni costo; allora ebbe principio il getto di corpi più voluminosi, ma sempre morvidi; e l’oratore: forbici! Subentrano zolle e sassi; non bastando più la mancina alla difesa, chiama in soccorso la destra, onde il povero uomo, perduto lo equilibrio, rovinò giù sul terreno. Si levano attorno risa sgangherate con la miscela dei soliti urli, fischi e grugniti: forse taluno della turba sentendone pietà lo avrebbe raccolto, ma la pietà non ebbe tempo a sfondare il guscio, perchè dal lato opposto sorse una voce:

— Attenzione, cittadini!

Una fanciullina però fu vista accostarsi al malcapitato oratore, rialzarlo amorosa ed asciugargli il sangue che gli colava dal naso rotto; forse gli era figliuola o piuttosto nipotina.

La moltitudine tutta di un pezzo si era volta [p. 280 modifica] dall’altra parte a mo’ di bandierola sul camino quando muta il vento; e certo le si parò dinanzi agli occhi uno spettacolo degno di essere veduto. Un omaccione tirato giù con l’accetta, colore di olio vieto, con barba e capelli più che pece neri, ombreggiato il capo da un cappellaccio d’immensa grandezza, stava ritto sul basto di un asino che gli serviva di pulpito (quanti predicatori fra noi non ne meriterebbero altro più illustre) donde prese a sermonare le turbe:

— Che cosa è mai la schiavitù? Su la coscienza mia, io confesso che non ci capisco niente. Sul principio del mondo Dio disse all’uomo: io ti costituisco re di tutte le bestie, delle quali ti servirai e ti ciberai secondochè te ne piglierà il ticchio: al quale intento io ti regalo due paia di denti canini. Glielo disse, o non glielo disse? Glielo disse: dunque il punto sta qui: i neri sono uomini come noi, ovvero sono bestie? Ora, per usare una felice espressione dei francesi, che sono la ingegnosa gente che tutto il mondo sa: porre così la quistione torna lo stesso che risolverla. Farei torto ai gentiluomini che mi fanno l’onore di ascoltarmi se mi attentassi temerariamente paragonarli ai neri, di cui so che qualche famiglia di scimmie rifiuta la parentela. Ad ogni modo la servitù pei neri vuolsi considerare proprio una manna di Dio; di fatti ai loro paesi non cessano mai di straziarsi con la guerra... [p. 281 modifica]

— E noi altri viviamo in pace?

— Silenzio! Udite! udite!

— I prigionieri da prima ammazzavano, arrostivano e morfivano, ma dopo, che trovano conto a venderli, li serbano vivi... e questo bisogna convenire che è un vantaggio... un progresso della umana virtù...

— La quale fa passi da gigante in questi baratti di carne umana con acqua di fuoco; così i vincitori muoiono per ubriachezza, i vinti per frustate...

— Chetatevi! Non è vero nulla; noi li raccogliamo a braccia aperte, noi li mettiamo a parte della famiglia, noi li nutriamo...

— Polenta di maiz poca e cattiva; condita coll’acqua, coll’acqua e poi coll’acqua...

— Subito che non muoiono, vuol dire che possono vivere.

— E le frustate per companatico non le mettete in conto?

— Chi ben picchia, bene ama. Il sapiente re Salomone ha lasciato detto: gastiga il tuo figliuolo e tu ne sarai in riposo: ei egli darà di gran diletti all’anima tua.2

— E dollari alla tua borsa.

— O che pretendereste, che noi gli avessimo a trattare meglio dei nostri figliuoli? D’altronde la [p. 282 modifica] esperienza insegna il bastone essere l’unica grammatica che il nero impari presto e bene; ma quelli i quali affermano che noi li percotiamo a morte, non sanno quello che si dicono; essi credono che noi non abbiamo cuore per calcolare che se il negro infermo non lavora, se muore, noi perdiamo il capitale che ci costa.

— I condannati in galera travagliano meno di loro.

— Nego, ricis mente nego, perchè il nero, quando ha lavorato sedici ore, può impiegare a suo benefizio quello che gli avanza del giorno: aggiungi poi che i missionari non rifinano di predicare il lavoro essere là migliore preghiera che l’uomo possa fare a Dio, onde noi, facendo lavorare i negri più che possiamo, crediamo in buona fede provvedere alla salute delle anime loro; più lavorano, più si tengono bene edificato il Padre delle misericordie; inoltre il vestito non lo contate per nulla?

— Un paio di calzoni ed una camicia l’anno!

— Sicuro! A questi calori ogni di più li farebbe morire.

— E cappelli?

— I nostri cappellai sono le palme. Sta’ a vedere che questo cappellone che porto è pelo di castoro?

— O le scarpe?

— Le scarpe! La esperienza, questa madre del [p. 283 modifica] sapere, insegna che le scarpe al negro gli fan male ai calli.

— I neri uomini sono, e cristiani come noi pel battesimo, dunque perchè non hanno ad essere cristiani come noi nella libertà?

— E dai, con questa benedetta uguaglianza! È qui, signori miei, che mi è cascato il ciuco; qui dove pigliarono equivoco ministri, missionari, preti, frati, filosofi, insomma tutti; gli è chiaro come l’acqua che Cristo ha predicato pei bianchi e non pei neri; e valga il vero. Vi basta l’animo di trovarmi un nero fra i dodici apostoli, o fra i settantadue discepoli? Tutti erano bianchi ai tempi di Cristo, fin Caifasso, fin Pilato, fin Giuda...

— Melchiorre mago era bianco?

— Melchiorre?

— Sì, Melchiorre.

— Melchiorre era un re, non era un uomo.

Filippo, che da parecchio tempo se ne stava ascoltando l’oratore, accanto all’asino, piano piano, non parendo fatto suo, aveva cavato di tasca un pezzo di esca e, accesala, la cacciò destramente, senza che veruno se ne accorgesse, nell’orecchio che più gli era vicino, al ciuco, il quale, sentendosi scottare, spara una coppia di calci mandando a capo fitto il predicatore, che piglia ad andare con le mani e coi piedi carpone per terra; ma l’asino, inseguendolo, gli pose le zampe anteriori su la groppa, sicchè [p. 284 modifica] parve volesse cavalcarlo; di qui un riso inestinguibile e nuvoli di polvere levati dal pestare dei piedi in terra, e urli, e un battere delle mani che andava alle stelle.

Fin qui commedia, ora incomincia la tragedia, perchè, si sa, i casi umani, onde sieno perfetti, hanno da presentare i caratteri della tragicommedia; invero il giumento, infellonito dal bruciore dentro l’orecchio, spicca un salto, e saltando tira un’altra coppia di calci, che spaccarono il cranio come una melanzana al predicatore della schiavitù: egli era paesano del Texas, e perciò aveva condotto seco moglie, due nuore e cinque figliuole e un cappellano; perchè si professasse cattolico, apostolico e per giunta romano; siccome in America non usano svenimenti, le donne misero il malcapitato nelle mani del cappellano e ripresero il cammino di casa loro conducendo seco l’asino. Gli astanti sparsero di terra l’erba insanguinata, e le cose ripresero l’aspetto di prima.

I due uomini che parevano i capi delle processioni, ristrettisi insieme a parlamento, in breve si trovarono d’accordo a continuare il broglio delle elezioni, remossa qualunque predica: impertanto posero sopra due ceste voltate sottosopra due corbelli zeppi di polizze celesti e rosse co’ nomi dei due candidati alla presidenza della Contea; uno era, e l’ho già detto, Sandiford di Bastrop, abolizionista, [p. 285 modifica] l’altro Talaveyra y Musquito di Gonzales, impenitente per la schiavitù: a chi pigliava una polizza mescevano un bicchiere di liquore a scelta; spesso gli elettori, se inavvertiti tornavano a bere la seconda e la terza volta, comecchè taluni appartenessero alle confraternite della temperanza, se scoperti erano abbaiati e respinti; e allora, impronti più delle mosche cavalline, ostentando cruccio, si facevano a pigliare le polizze e a bere dall’altra parte.

— Ma a votare dove vanno? — domandò Curio a quello che pareva capo del partito abolizionista.

-^ A Columbus, gli fu risposto.

— E quando?

— Domenica prossima.

— Credete che domani potremo rimbarcarci su l’Erebo?

— Ne manco per sogno.

— Dunque il capitano è imbroglione? Sono queste le virtù che professano i cittadini americani?

— Il capitano reputano universamente uomo lealissimo: egli non inganna perchè ha fede che la sua volontà basti a risarcire il suo battello per domani, e certo egli non lascerà nulla addietro onde ciò avvenga: e poi avvertite che l’americano si fa a dire: io non costringo nessuno a credermi; sono libero di affermare la mia opinione intorno ad un fatto che casca sotto gli occhi di tutti; sta al giudizio degli altri accertarsi se la mia opinione possa [p. 286 modifica] verificarsi; — e ciò basta alla sua coscienza mercantile. Ma qui, aggiunse guardando l’orologio, l’ora si fa tarda, e prima di tornarmene a casa mi occorre mangiare qualche cosa.

— Ed anco noi siamo digiuni da ieri.

— Dunque venite meco, che saprò io dove darmi di capo.

Curio e Filippo tennero dietro al tessiano, maravigliando forte com’egli s’incamminasse verso la spiaggia dove aveva investito l’Erebo; ma la maraviglia loro crebbe oltremodo quando da un fianco del battello incagliato videro un nugolo di maestri di ascia, segatori, carpentieri, calafati ed altri operai siffatti, usciti come per incanto di sotto terra, che lavoravano a furia per risarcirlo; dall’altro fianco del battello, immediatamente a canto, sorgeva sopra la spiaggia una baracca ornata di festoni di rami, di bandiere nella massima parte americane; fra quelle delle altre nazioni primeggiavano le papaline, venivano dopo le inglesi; scarse le francesi; delle italiane nessuna. Sopra la baracca una immensa bandiera bianca di bambagina, dove avevano dipinto in fretta con tinta nera: «grande banchetto elettorale tessiano; tre mense; antipasto, pranzo, frutti, pasticcerie, birra e wiskey tutto compreso; un dollaro a testa».

La guida dei nostri viaggiatori tentennò il capo e sorridendo disse: [p. 287 modifica]

— Per far quattrini su l’acqua gli americani danno dei punti al diavolo. — Poi volto ai compagni soggiunge: — che ve ne pare?

— Parcene bene; ma com’entra qui la bandiera del papa?

— Ci entra come la civetta per pigliare le lodole: la più parte dei tessiani appartengono alla religione cattolica; e l’americano si serve della bandiera del papa per richiamo a fare una bella retata. Vale il pregio che voi ci assistiate, siete forestieri e deve riuscirvi dilettevole conoscere i costumi del paese.

— Dispensateci, signore, la nostra povertà non ci permette il lusso di simili banchetti.

— Ciò non tenga; pregovi accettare il mio invito.

— Signore, rispose Curio alquanto alterato, la nostra educazione ci vieta accettare di questa maniera inviti da stranieri.

— Straniero io! Voi siete italiani, ed io sapete dove nacqui? A Novara; dunque venite meco, e non mi state a seccare.

— Ma noi non vi conosciamo; e voi come sapete che noi siamo italiani?

— Ci voleva Colombo a scoprirlo! Mentre ci troviamo insieme, voi senza accorgervene avete ricambiato tra voi un paio di dozzine di parole lombarde. Non mi conoscete! Oh! che l’uomo si può chiamare straniero all’uomo; anzi l’italiano [p. 288 modifica] all’italiano quando la ventura glie lo fa incontrare in luogo lontano dalla patria? Orgoglio! orgoglio! Il poeta ha detto:

. . . . . . . . . . . . regale è cosa
Serbar nelle sventure altero il nome;

ma io innanzi tratto mi professo popolano, nè voi, chiedo scusa, non mi parete tagliati dal legno onde si fanno i duchi; a noi pertanto corre il debito di aiutarci; e non ho mai sentito dire che la ospitalità umili l’ospite; certo questa non è casa mia, ma come pubblica posso esercitarvi ottimamente l’offizio della ospitalità.

Le parole sapevano di brusco, ma così dolce le temperava la soavità della voce, che i nostri viaggiatori gli tennero dietro senz’altro parrole.

Dentro la baracca stavano disposte quattro tavole per lungo; in fondo, in luogo più eminente, una per traverso; dietro a questa, anche più in alto, un pulpito con allato una campana di bordo. Sul pulpito faceva bella mostra di se il capitano vestito di nero con la cravatta bianca; la sua destra guantata pure di bianco teneva la catena della campana. Le mense spoglie di tovaglioli, bocce e bicchieri; un solo piatto per uomo, ed una sola posata: sopra le mense a mucchi carote, cipolle, patate e batate, pannocchie di maiz o granturco bianco, rape, navoni ed altre siffatte galanterie.

— Attenzione! urla il capitano. Adesso [p. 289 modifica] incomincio a sonare la campana a distesa; poi fermo; dopo tre tocchi... primo... secondo... terzo; al terzo ognuno pigli posto, si serva e mangi come può e quanto può.

Come disse fece; al terzo tocco un rovinìo di gente si affolla verso la mensa, e, come accade, ci furono spintoni da stramazzare un bufalo e gomitate da rompere una coppia di costole almeno, pestamenti di calli da far vedere tre soli in cielo e bestemmiare in terra: alla meglio o alla peggio aggreppiaronsi tutti, e senza alcun riguardo pel prossimo ognuno stese le mani rapaci e pronte al mucchio dei vegetali, procurando grancirne quanti più poteva; subito dopo tuffatili nel pimento presero a sgretolarli a morsi, sicchè subito si levò la soave armonia che menano i cavalli quando masticano fave. Parecchi i quali avevano abusato del pimento, sentendosi bruciare la gola, gridavano: bere! da bere!

Il capitano agita da capo la campana, ed ecco uscire dalla banda del bastimento e scendere per lo scaleo in cadenza una processione di negri a due a due, i quali portavano gravemente inzuppiere di metallo; accostaronsi alle mense e quivi stettero bianco vestiti e impalati. Obbedendo poi a nuovo ordine, loro significato mercè il rintocco della campana, depongono le inzuppiere sopra le tavole e tornano su ritti. Venti mani calarono in un attimo sopra ciascheduna inzuppiera e la scoperchiarono:

— Dannazione! Vuote! Come vuote? Perchè vuote? [p. 290 modifica] urlano i commensali voltisi verso il capitano e tendendo contro lui i pugni chiusi.

— Attenzione! senza punto commoversi grida più forte il capitano, e rincalza la sua voce col suono della campana. La mensa, o cittadini, esercita due forze; la prima sul principio, la seconda all’ultimo; una è centripeta; di fatti vi vedo seduti tutti, e Dio vi benedica; l’altra è centrifuga, e pasciuti che foste, vi sperdereste di qua e di là, e bravo chi vi agguanterebbe; io vi ho contato e voi siete giusto duecentoquindici: ognuno deponga il suo dollaro nella inzuppiera, e riscosso che abbia il costo del pranzo io ve lo continuerò sotto lieti auspicii coi quali l’abbiamo incominciato.

Gli americani non si adontarono dello strano ragionamento: anzi taluno esclamò:

— Molto benissimo! — intanto che gettava il suo dollaro nella zuppiera.

Qualche tessiano di origine spagnuola parve volersene risentire, senonchè la coscienza, tirandogli una falda del vestito, gli susurrò dentro all’orecchio destro: giù la superbia, che tu sei fantino non solo da scroccarti lo scotto, ma sì di portarti via la posata. E la fame, tirandolo per l’altra falda, gli urlò nell’orecchio sinistro: arrabbio: ond’egli si adattò a pagare, e gittando il dollaro tempestava percotendo del pugno su la tavola: da bere! da mangiare! [p. 291 modifica]

Allora il pranzo riprese il suo andamento con tale puntualità, che meglio non avrebbe potuto ordinare il capitano Lamarmora, buon’anima, se togli che questi alla campana avrebbe sostituito il figlio della sua predilezione, il tamburo... Ed ella che vuole, signor lettore, che mi fa cenno di parlare? Udiamo, via, che ho fretta... sicuro! Siamo d’accordo! Se il confessore glielo avesse consigliato, il capitano Lamarmora avrebbe tenuto ferma la campana e sagrifìcato il tamburo, — anche Abramo per piacere a Dio non si ammanni a sagrificare Isacco; — molto più ch’è fama la campana inventasse san Paolino vescovo di Nola, e il tamburo sia di origine turca.

Di che cosa andasse composto il pranzo non vale il pregio di scrivere; ci furono braciole di bove arrostite; — e poi lombate di bove arrosto; - e poi daini, oche, anitre salvatiche girate nello spiedo; pesce su la gratella, e tutto spolverizzato di pimento in guisa che ci pareva piovuto sopra; le ultime mense andarono composte di torte di salmone salato, mosciama, buttagra, salacche e simili altre delizie da mettere il fuoco in corpo al Mongibello. Con questo tiro furbesco avvenne che le vivande bastarono e ne avanzarono, un po’ perchè ce n’era copia, e un po’ perchè cucinate in modo, che nè anche all’inferno si farebbe peggio; ma del bere avevano patito penuria, ed ora boccheggiavano a [p. 292 modifica] bra asciutte più assetati che mai; però bisogna dire, a onore del capitano, che nè anche l’acqua del Colorado convertita in birra o in wiskey, rhum e cannella sarebbe bastata per cotesta razza gorgozzuli. Il capitano si coperse il capo e con voce sonora disse:

— La seduta è sciolta, chi vuol bere se lo paghi. Tuttavia quest’uomo dabbene ebbe avvertenza, perocchè in una baracca succursale, fabbricata dietro la baracca da pranzo, era instituita canova di vino e di ogni altra ragione liquori.

I nostri italiani, quantunque avessero piuttosto riso che mangiato, pure il pimento aveva loro messo il diavolo in bocca; il wiskey gliel’avrebbe finita di sgallare; la cervogia la più parte degli italiani giudica medicina; onde l’ospite gentile, che questo conobbe, desideroso di gratificare i patriotti, commise che portassero qualche bottiglia di bordò. Adesso accadde che mentr’essi centellavano il prezioso liquore, alternando di bei ragionamenti, tre tessiani, di cui uno il promotore della candidatura del presidente schiavista, senior Talaveyra y Musquito di Gonzalez, si assettassero a canto loro, e fumando e bevendo bicchieri colmi di rhum, urlassero a coro; di un tratto ad uno di essi saltò in capo la fantasia di voltarsi al nuovo amico dei nostri personaggi e interrogarlo con piglio arrogante:

— Dunque vostra signoria è risoluta recarsi ad [p. 293 modifica] ogni costo a Columbus, per quivi sostenere la candidatura del Sandiford alla presidenza della Contea?

— Esattamente come dice vostra signoria; votare e far votare per lui.

— E che cosa muove la signoria vostra a pigliarsi queste scese di capo pel Sandiford?

— Pel Sandiford! Io non lo conosco neppure; io non parteggio per l’uomo, bensì pei principii di libertà del genere umano ch’egli dichiara di professare.

— Scusi, signore, ma che ella ha ricevuto il mandato di procura per trattare i negozi del genere umano?

— Certo; cristiano sono, e come cristiano sento corrermi il debito di fare altrui quello che vorrei fosse fatto a me.

— Oh! non ha sentito vostra signoria che il signor Gesù Cristo, quando predicò tutti gli uomini uguali, intendeva parlare dei bianchi, non già dei neri? In questo il signor predicatore su l’asino aveva ragione da vendere.

— Il signor predicatore ne sballava di così grosse, che ne anche l’asino sul quale predicava si è potuto reggere. Cristo ha parlato per l’anima dell’umanità, non pei corpi, e voi presumerete interpretare i suoi precetti con la tavolozza dei pittori. Ai tempi di Cristo non esistevano etiopi? Ed egli non li [p. 294 modifica] conosceva? Ignora vostra signoria che non mancano dottori i quali sostengono che Adamo nacque di razza nera?

— Ma che vostra signoria parla sul serio? Le basterebbe il coraggio di bandire, che vostra signoria, che io, che tutti questi idalghi, siamo uguali ai sacchi di carbone chiamati neri?

— Scusi, vostra signoria è cristiano?

— Certo, e per giunta cattolico.

— Allora mi farebbe la finezza di chiarirmi perchè nelle chiese cattoliche di Bogota, dirimpetto all’ altare dove si venera il Cristo bianco espongono il Cristo nero? Perchè il papa ammette agli ordini sacri preti neri? Perchè consacra perfino vescovi neri? Ognissanti di San Domingo, questo eroe della libertà, non era nero? Ha vostra signoria mai letto le opere degli scrittori e dei poeti neri, ve ne ha perfino nere, e di che cuore!

— Queste, mio signore, sono eccezioni.

— Ah! ella dunque crede regola la sapienza della razza bianca? — Buon pro le faccia! Ad ogni modo i negri creature umane sono, e caso mai avessero ereditato dalla natura meno della razza bianca, senno ed amore consigliano ad uguagliare per quanto da noi si può la parte nostra con la loro, affinchè essi con rabbia e con rapina non si piglino tutte e due, la nostra e la loro. Né noi bianchi, consideri vostra signoria, fummo sempre come adesso siamo [p. 295 modifica] dottori che vadano per la maggiore; anzi, ai giorni nostri scenziati di grido dimostrano per filo e per segno, che vostra signoria, che io, in fin di conto, siamo scimmie piallate.

Il tessiano di un salto si alzò da sedere, ma l’altro pacato continuò:

— E poi che serve recalcitrare con la forza del secolo e il genio della umanità? Così decretava solennemente il congresso degli Stati Uniti, — e se è lecito, anzi dovere del libero cittadino discutere la legge, finchè mandata a partito non riesca vinta, vuolsi rispettare una volta votata. Pensi al misero Brown; egli pretese contrastare alla legge, la quale allora permetteva la servitù, e venne senza misericordia impiccato...

— Costui fa arruffapopoli, e quando lo impiccarono non gli diedero il suo avere.

— Scusi, vostra signoria gli avrebbe dato, oltre la forca, il vantaggino? Il Brown venne al mondo troppo presto; in tutte le umane faccende per pigliar pesci bisogna levarsi presto, eccettochè nelle politiche, dove chi si affretta busca croce, o corda, o fuoco: Arnaldo da Brescia, Giovanni Hus, Girolamo da Praga apparvero primaticci, e fureno arsi; Lutero sbucciò a tempo, e fece la riforma. Adesso veda vostra signoria in che acque ella navighi: la guerra di secessione è finita: adattiamoci ai fatti conchiusi; non rimescoliamo le ceneri dei morti; [p. 296 modifica] chiniamoci riverenti davanti al sepolcro insanguinato di Lincoln.

— Dunque, secondo lei, per avere ragione bisogna vincere? E chi le ha insegnato di barattare il diritto con la forza? Danque gli americani ebbero torto quando sorsero contro la madre patria? Torto il Messico e le altre parti dell’America Meridionale quando scossero il giogo della Spagna? Torto allorchè noi tessiani volemmo le nostre sorti separate da quelle del Messico? Fino dal tempo delle missioni cattoliche, avevamo o no la schiavitù noi altri tessiani?

— L’avevate.

— Senza le braccia dei neri avremmo potuto dissodare tante terre incolte.

— Sarebbe stato a mio parere difficile.

— Sa vostra signoria che, quando il Messico levò la bandiera della ribellione contro la Spagna, e il Texas gli tenne dietro, don Agostino Iturbide imperatore abolì la schiavitù da per tutto, ma, penetrato della necessità di mantenerla nel Texas, ne permise la continuazione a patto che non traessimo i negri dalla parte del mare, bensì ci entrassero unicamente da quella di terra?

— Lo so: quanto vostra signoria afferma è verità.

— Di punto in bianco al Messico viene il dolore di corpo di abolire intieramente la schiavitù, vietando che s’introducessero i neri nel Texas, sia [p. 297 modifica] dal lato di mare, sia dal lato di terra: allora tutti noi altri abitatori della contrada, disperati, levammo gli occhi al cielo gridando: consumatum est! Ora sa ella chi furono coloro che in cotesti tempi facevano fuoco nell’orcio, onde noi, armata mano, a cotesta abolizione contrastassimo? Gli americani, che accolti ospiti nel 1821 in numero di trecento sotto la scorta di Stefano Austin, vi si erano allargati come la macchia dell’olio: anzi, sopportando molestamente che gli animi non procedessero accesi a forma della loro impazienza, proposero al governo del Messico di comprarci a contanti, ma quello non ne volle sapere. Ora donde tanta smania di dominare su di noi? Eccogliela pronta: per mantenerci la schiavitù, imperciocchè il Texas fosse per essi un mercato dove smaltivano lo scarto dei negri della Carolina Meridionale, della Virginia, dell’Arkansas, del Missuri, del Tennessee, non che per avvicinarsi alle miniere e all’Oceano Pacifico.

— Tutto questo può darsi; anzi è.

— Gli americani, scottati nel proprio interesse, non sapendo più dove ripiegare coteste sferre di negri, ci aiutano addirittura a ribellarci dal Messico: uniti vincemmo in vari scontri; per ultimo, superati i nemici nella battaglia di San Giacinto, rotto Santanna, e prigione del generale Houston, avemmo pace e ci legammo con gli Stati Uniti, co’ quali vivemmo di amore e d’accordo godendoci [p. 298 modifica] insieme i benefizi della schiavitù. Più tardi gli americani e noi, venuti in lite col Messico per cagione di confini, ripigliammo le armi; i successi sul principio vari, finalmente si volsero favorevoli a noi, onde pel trattato Guadalupa-Hidalgo del 1848 furono stabiliti a Rio Bravo fino a Bagdad sul Golfo nel Messico; può vostra signoria negarlo?

— Le sono cose note a tutti; e quello che vostra signoria afferma non fa una grinza.

— Quindi ecco rifiorire il traffico dei negri nella sua pienezza, ecco rilevarsi l’agricoltura; tutte le benedizioni di Dio piovere sul paese. Saturno scappato di Europa paveva venuto a letificare il Texas. Protettore nostro, e degno di corona civica il generale Jackson, potente signore di armenti di bufali e di negri, e quindi sviscerato promotore della schiavitù. Quando ce lo aspettavamo meno, ecco saltar su un fungo, un uomo da nulla, un legnaiolo, povero in canna, che per pisciare sul suo doveva pisciarsi in mano, che non possedeva un dollaro da far dire una messa, insomma un plebeo, un operaio... Lincoln!

— Ah! vostra signoria parlava di Lincoln?

— Sicuro. Di questo saltimbanco che si arrampicò alla presidenza della Unione come una zucca su la pergola dello zibibbo; per lo appunto, costui compiacendo all’astio e alla paura dei mercanti falliti del Settentrione, ecco farsi a bandire anche qui [p. 299 modifica] l’abolizione della schiavitù; mette in ballo Cristo, la umanità; sputa paroloni da misurarsi col metro; i compari di Europa gli battono le mani, e il dannato, che Dio confonda, appicca il fuoco a quella terribile guerra che tutto il mondo sa. Sì signori, per affrancare quattro uomini, più che tre quarti bestie, i quali non sanno che farsi della libertà e la venderebbero per una scodella di lenticchie, si mandano a morte centinaia di migliaia di uomini liberi pieni d’intelligenza, si butta sottosopra lo Stato, sicchè tra sperpero di pecunia e sperpero di vite, prima che la Unione si riabbia ci vorrà un bel pezzo... Dunque dica su, vostra signoria, le pare che noi abbiamo torto?

— Certo, grandissimo torto.

— Torto! Come torto? urlò il tessiano tutto alterato, e l’altro tranquillo soggiunse:

— Se mi ascolterà con pazienza, in quattro parole mi sbrigo. Vostra signoria sa come le azioni umane, eziandio quelle che paiono in vista maggiormente virtuose, sieno soppannate di vizi, ed è bazza quando non sono delitti: ai discreti deve bastare ch’esse accennino al buono e al meglio, e lo producano: non fa prova di senno chi si tribola a penetare più oltre. La causa dell’abolizione della schiavitù in sè è ottima: tutto sta nell’esaminare se per voi altri ci si trovi il tornaconto, perchè, vedete, io non intendo discutere con voi se l’uomo deva promovere [p. 300 modifica] il bene morale anche a scapito del proprio danno materiale: pur troppo questa dottrina ebbe in ogni tempo tanti confessori in teoria, quanti pochi esecutori in pratica. Pertanto io giudico fuori di dubbio che la schiavitù, come nociva alle qualità morali dei tessiani, così pregiudichi smisuratamente i loro interessi. Potrei dirvi che la vostra causa, essendo andata perduta in onta alla possanza degli Stati meridionali, delle ricchezze profuse, degli sforzi estremi tentati per farla prevalere, si deve credere che Dio nella sua giustizia l’abbia condannata; ma lasciamo Dio nella sua beatitudine e non lo mescoliamo alle nostre miserie: — questo però vi sostengo; che il lavoro libero produce benefizi maggiori del lavoro forzato; tanto gli scrittori affermano e la esperienza ha provato.

— Lavoro libero! Ma vostra signoria parla del Texas, ovvero del mondo della luna?

— Parlo del Texas; e chiedo in grazia a vostra signoria di porre mente alle mie parole. Prima del 1820 sole seimila anime abitavano il Texas, disperse a Sant’Antonio di Bexar, ai forti Bahia e Santissimo Sacramento, e nel cantone di Nacodoches; poco dopo erano sessantamila divise in centodiciassette contee: città e villaggi sorgono dalla terra più presto e più fìtti delle pannocchie del maiz; nel 48, senza contare gli indiani, che nessuno conterà mai, sommavano a ben quattrocentomila; adesso se non [p. 301 modifica] arriviamo a un milione, poco ci manca. Dunque, vede bene che le braccia non mancano; e noi possiamo lavorare con profitto pari alla sicurezza.

— Noi lavorare! Per avventura vostra signoria lavorerebbe? E giudica il lavoro manuale degno di un gentiluomo?

— Eh: tanto più lo giudico degno del gentiluomo, quanto ho stimato sempre l’ozio il distintivo del furfante.

Qui successe un po’ di silenzio, imperciocchè cotesta sentenza avesse trafitto il tessiano più acuta della punta di un ago.

— Dunque noi zapperemo, noi correremo dietro al bestiame?

— E chi le dice questo? Noi possiamo avvantaggiarci della opera così dei bianchi come dei neri, scambiando il lavoro col danaro, e rimettendo in potestà dei medesimi l’andare o lo starsene.

— Dando ai neri siffatta facoltà, crede sul serio che ei rimarrebbero?

— È un fatto; io lo concessi, e tutti sono meco rimasti.

— Perchè ignorano che la schiavitù sia stata abolita.

— Vostra signoria prende errore; essi lo sanno quanto noi: ad ogni modo io li ho informati a voce, e provvedendoli dei giornali, dove hanno letto il progresso di questo grave avvenimento. Aggiungi che [p. 302 modifica] anche prima si agitasse la quistione della schiavitù nel congresso, io li lasciai sempre liberi di stare o di andarsene con Dio; soli tre tolsero commiato, e dopo non bene quarantotto ore due tornarono supplicando genuflessi onde io li ripigliassi; il terzo non rividi più; temendo gli fosse incolto qualche malanno, feci frugare dintorno le macchie e ne trovarono le ossa; le pantere lo avevano divorato. Signori, se voi terrete i negri come figliuoli, essi vi ameranno come padri. Qualche scarto in tutte le cose s’incontra sempre, così negli animali come nei frutti e nei fiori, ma nel sottosopra, per esperienza fatta, i negri sono buoni come i frutti sono grati o i fiori odorosi.

— Ma vostra signoria come paga i suoi negri?

— Io? Non li pago. Detratto il seme, dividiamo il raccolto; io compro la parte che spetta loro di cotone, di cocciniglia, d’indaco e di caccao; del grano, del maiz, della segala, dello zucchero e del caffè procuro ne mettano da parte tanto che basti loro per l’annata corrente e per l’avvenire; il di più vendesi: di caccia e di pesca non patiscono mai penuria; contribuiscono meco a pagare i medici e i maestri; spese di culto non corrono, perchè io sono il prete e questo è il tempio (qui dirizzato il dito in su mostrò il cielo).

— Se noi ci governassimo come vostra signoria, in capo ad un anno andremmo a gambe levato. [p. 303 modifica]

— Io, all’opposto, ogni anno compro un ettaro di terreno e ne dissodo due.

— Questo succede perchè vostra signoria avrà portato tesoro di Europa; il che per altro non è credibile.

— Certo; però di Europa portai due sacchi di dobloni, e li tengo sempre addosso; — e sorridendo mostrava le braccia.

— Vostra signoria non ha figliuoli?

— Dica piuttosto che io non ho vizi, perchè, come diceva ottimamente Beniamino Franklin, un vizio solo costa più di cinque figliuoli...

— Ma dunque, interruppe il tessiano indispettito, vostra signoria è proprio decisa di votare per la presidenza del Sandiford di Bastrop?

— Giusto come dice vostra signoria: votare e far votare.

— E se io le dichiarassi che vostra signoria fa male?

— Rispetterei la sua opinione e farei a modo mio.

— E se io glielo impedissi?

— Vostra signoria si guarderebbe bene da farlo, perchè ciò offenderebbe la libertà naturale e civile del cittadino.

— Contrario o no, offenda o non offenda, ponga che io glielo impedisca.

— Con che, di grazia?

— Con la forza. [p. 304 modifica]

— Allora io le spaccherei il cranio.

Questa fu la favilla che suscitò lo incendio; perchè i due litiganti saltarono su da sedere in atto di gladiatori combattenti; il tessiano, agguantato il braccio del vecchio, gli diede un poderoso strettone per isbatacchiarlo in terra, e non gli riuscì; mentre l’altro, per botta risposta, tale gli abbrivò con la mano libera un pugno nel mezzo del petto, che costui fu obbligato di rimettersi a sedere boccheggiando; e così sarebbe finito il conflitto, senonchè subito sottentrava il compagno, il quale colpiva alla sprovvista il vecchio nel naso, per modo che questi si coperse con ambedue le mani la faccia insanguinata; nè qui rimase la soperchieria, che al secondo si aggiunse il terzo, il quale prese a picchiare senza misericordia il meschino sul capo.

Da tante parti assalito, il povero uomo male si poteva schermire; egli non chiese, nè l’animo altero gli avria consentito chiedere soccorso; pure, chi sa? Già aveva incominciato ad affacciarglisi allo spirito la nota sentenza che dicono di Dio: maledetto l’uomo che confida nell’uomo.» Ma se gli si affacciò, non ebbe tempo a compire la immagine, perocchè subito sentisse un battere di colpi frequenti e poderosi come di mazza sopra la incadine, e schiusi gli occhi alcun poco vide Curio avvampante così, che pareva mandasse faville: afferrata con la destra la brocca del wiskey e con la [p. 305 modifica] manca quella della birra rimaste su la tavola, pestava giù busse da stritolare le ossa; nè Filippo gli rimaneva addietro, che adoperava il suo bastone di punta dando nei fianchi ai ribaldi, i quali, sfidati di poter durare il combattimento ad armi pari, trassero fuori delle tasche il bowieknife, ovvero coltello piegatoio, che gli americani maneggiano con maestria terribilmente celebre: non era tempo di gingillarsi cotesto; però Filippo e Curio, recatesi in mano le rivoltelle a sei colpi, le armarono e ad una voce imposero:

— Giù i coltelli!

E siccome i tessiani parevano tentennare. Curio riprese:

— Io voto a Dio di bucarvi come crivelli, marrani! Costuma nel vostro paese di libertà avventarsi in tre contro un vecchio disarmato?

I tessiani misero subito, o fìnsero mettere il cervello a partito, e ripiegati i coltelli dissero:

— Caramba! al diavolo il Sandiford, il Talaveyra e la presidenza della Contea; su via, bagnamo la parola e non pensiamoci più.

— Andate pei fatti vostri, cercate i vostri amici tra i comanchi, ubbriacatevi con loro: noi vi sputiamo.

I tessiani si allontanarono brontolando come mastini vergati. Allora i nostri amici si volsero a curare il vecchio: il sangue per virtù dell’acqua e [p. 306 modifica] dell’aceto fu ristagnato; e se togli l’occhio infaonato, il naso gonfio e un forte senso di bruciore nella fronte, non rimase altra traccia di battaglia sopra la faccia del vecchio.

— E adesso, signore, che cosa pensate di fare? domanda Curio; e l’altro:

— Penso tornarmene al mio ranchero; tanto fino a domani l’altro, e sarebbe bazza, il battello non può essere restaurato; di cavalli non patiamo penuria; in cinque minuti ne trovo due per voi; qui presso pasce il mio, e se gli mando un fischio mi comparisce in men che non balena davanti: affrettandoci, fra due ore ci possiamo trovare a casa.

— Signore, dalle vostre parole ricaviamo come voi intendiate menarci a casa vostra; della cortesia gran mercè, ma noi, con vostra licenza, abbiamo deciso rimanerci qui, finche l’Erebo non sia risarcito.

— Ed io non vi do nè devo darvi questa licenza; perchè voi non conoscete con che schiuma di ribaldi l’abbiate a fare. I nativi del paese e coloro che mi offesero sono tessiani puro sangue, vanno composti per un terzo di ferocia ereditata dai selvaggi cannibali, per un terzo d’ipocrisia infusa gratis dai preti nella loro anima, e finalmente per un terzo di rapina, istinto loro naturale educato da Cortez, da Pizzarro, e un po’ anche dal generale Jackson, presidente della Unione. Guai a [p. 307 modifica] voi se anche mia notte sola vi fermaste qui! Prima che tramonti il sole fate con seco gli ultimi convenevoli, parche su in cielo voi non lo vedrete ricomparire mai più. Siccome questo non posso sopportare io, dunque meno parole e a cavallo.

Come il vecchio aveva già detto, il suo cavallo, chiamato dal fischio del padrone, in un attimo ricomparve; tutti gli arnesi aveva addosso, tranne briglia e morso, che avvolti assieme pendevano dal posolino della sella. Appena si ebbe palesato il bisogno, vennero offerti al vecchio colono parecchi cavalli; egli scelse quelli i quali giudicò più mansi; ma prima che gli amici salissero in sella li interrogò:

— Siete usi a tenervi bene in arcione?

— Andate franco; noi siamo da bosco e da riviera.

— Scusate! Non ho inteso pregiudicarvi; era debito mio avvertirvi, perchè questi cavalli, comecchè mi sieno sembrati a bastanza quieti, pure sono mustanghi, che si agguantano col laccio per servircene, e dopo serviti si rimandano al branco, se pure non giudichino di tornarci di proprio moto scaraventando il cavaliere in mezzo della strada. Basta, uomo avvisato è mezzo salvato.

Partirono i cavalli, senza stimolo presero a correre via come il vento; il loro cammino era in mezzo ad un mare di biade mature, dove altri cavalli [p. 308 modifica] passando avevano lasciato la traccia; imperciocchè l’aspetto della campagna troppo comparisse mutato da quello che fu; e dove un giorno s’incontravano macchie fitte, dentro le quali qualche albero intaccato serviva di guida, e per passarci bisognava abbassare il capo fin sul collo del cavallo, onde non investire nei rami degli alberi inestricabilmente avviticchiati, adesso la vista spaziava sopra una superficie senza confine: però il terreno coperto dalle paglie abbattute non si vedeva, sicchè se i cavalli non fossero stati provvisti di garetti di acciaio, avrebbero traboccato ad ogni momento a cagione dei solchi o di qualche fossa cieca. La furia della corsa appena permetteva ai cavalieri di respirare; in terra gli oggetti circostanti sparivano via come larve di morti allo spuntare del primo raggio del sole; in cielo le nuvole sembrava corressero a precipizio per rovesciarsi su i cavalieri. Dopo un lungo imperversare giunsero in parte dove comparve una via tracciata, non però massicciata; cavalli e cavalieri erano sfiniti e grondavano sudore, e procedendo a furia senza cautela si correva rischio di non potere più levare le gambe da coteste fitte.

Rallentato il passo, quieto alquanto l’ansare angoscioso. Curio favellò:

— Mio riverito amico, se al vostro paese così si chiama andare di trotto, mi garberebbe proprio [p. 309 modifica] sapere da voi che nome abbia andare a rotta di collo.

Il vecchio rispose:

— Era mestieri camminare così per giungere a casa prima che abbui.

— O che dista molto di qua il vostro ranchero?

— Eccolo là.

E il vecchio additava una gran casa bianca, in apparenza lontana tre miglia; intorno alla casa sorgeva non una foresta, bensì parecchi gruppi di magnolie, di cui le foglie smaltate di smeraldo riflettevano in luce di oro i raggi del sole occidente e la vestivano di un nimbo luminoso pari a quello che i sacerdoti ponevano e pongono intorno al capo degli dei e dei santi; di sul tetto scappava un pennacchio di fumo, che candido e grazioso si spandeva per l’orizzonte, come lo invito della ospitalità ai pellegrini bisognosi di cibo e di riposo.

Di un tratto le tenebre scendono su la terra, e dense così che i nostri viaggiatori non vedevano più la casa, meta del cammino; ma il vecchio, preparato al caso, cavò un sibilo acutissimo da un fischietto di marina, e subito dopo le finestre della magione apparvero illuminate; dalle porte aperte trassero altresì persone con torce di pino accese. Di corto toccarono le soglie della casa; il vecchio saltò giù destro e leggero; gli altri lo imitarono con meno sveltezza, sentendosi mezzo rotti e scorticati [p. 310 modifica] per intero; tuttavia egli, presili per mano ed introdottili in sala, lietamente favellò:

— Se potessi restituirvi la patria, lo farei; ma consolatevi; voi non vi potete più dire di trovarvi in terra straniera, poichè il vostro capo si posa sotto tetto italiano.

Dopo si fece schierare davanti tutti i negri addetti al servizio domestico, e due bianchi, che alle sembianze si davano a conoscere per tessiani, e tale lor disse in suono di padrone;

— Don Giacinto, e voi, don Patricio, voi siete del paese e non ci ha mestieri troppe parole per farvi comprendere di che si tratti: abbiamo litigato; ci è corso un po’ di sangue; poteva esser peggio, ma in grazia di questi gentiluomini i miei nemici non hanno potuto mordermi; pertanto attendete con diligenza a far governare i cavalli; poi ordinate ai negri della stalla chiudano porte e finestre e le assicurino dentro con le stanghe traverse; voi chiudeteli nella stalla assicurandovi che in qualunque evento non possano uscire; con diligenza pari chiudete e sprangate tutte le porte e le finestre del piano terreno e del primo piano; traete dall’armeria cinque carabine di precisione a sei colpi, con le sacchette della munizione; provate e riprovate se si trovino in punto; due tenete per voi; le altre servono a questi signori e a me; sturate le feritoie e stieno allestite la contessa e la marchesa: [p. 311 modifica] andate. — Di voi altri, soggiunse volto ai negri, due stieno al servizio di questi signori; tu, Antonio, verrai meco; i tre che restano apparecchino la mensa e ammanniscano cena. Su presto, andate e procurate di rompermi stoviglie meno che potete.

Dopo questo discorso, i tre che dovevano attendere alla cena salutarono e partirono. I due negri addetti al servizio di Curio e di Filppo, precedendoli co’ candelieri accesi, li condussero in due bellissime camere che davano sopra un cortile interno tutto piantato di spalliere di gelsomini volti a pergola, con una magnolia grandiflora, magnifica a vedersi, nel mezzo. I negri, per essere reverenti in atto, non procedevano meno risoluti e ratti, perchè, senza profferire parola, agguantati i nostri personaggi, in un attimo li spogliano, li inondano di acqua diaccia e di aceto; li stropicciano, prima con le spazzole, poi con le spugne; asciugati, li rivestono di tela bambagina odorosa; i nostri volevano rivestire i propri panni, ma i negri assolutamente impedirono, dicendo che i panni loro dovevano prima asciugare del sudore onde erano pregni, e dopo spolverarli e ripulirli; e poichè la ragione parve buona, si lasciarono fare in tutto e per tutto, sicchè in breve si sentirono ricreati.

In questa ecco l’ospite azzimato, anch’egli biancovestito, con varie strisce di drappo nero ingommato su la faccia, comparire nella stanza di Curio, [p. 312 modifica] attigua a quella di Filippo, il quale, dopo licenziato i negri, invitò gli ospiti a sedere, ed egli pure essendosi seduto così disse loro:

— Capisco, amici miei, che io devo esservi comparso uomo strano e bizzarro, mentre non vi ha cosa che tanto mi piaccia e mi garbi praticare quanto la semplicità: in breve vi chiarisco intorno alla mia condotta: se avessi sofferto lasciarvi questa notte a Columbus, ora sareste carne fredda o prossimi a diventarlo... e mi pare avervelo già detto... lo so... lo so, e me ne fido; giovanotto! non istate a tentennare il capo ghignando; fidato nella forza e nella animosità vostre, voi ne avreste ammazzati tre, quattro, ma all’ultimo avreste dovuto soccombere; per la medesima causa io vi ho fatto correre a scavezzacollo, timoroso che non c’inseguissero e non ci assalissero per via. Ora siamo salvi, ma, notatelo bene, non già sicuri da nuovi assalti, perchè la diversità che corre tra l’americano di razza inglese e l’americano di razza spagnuola è questa: l’americano anglo-sassone rifugge dai conti lunghi; liquida presto ogni cosa, amori, odi, merci, fondi rustici e urbani; ti fa la quitanza di una ferita come di una cambiale: la morte si salda da seè: paga l’oste, muta l’oste; tale la sua divisa; l’americano spagnuolo infila la vendetta come un paternostro di più al suo rosario, e lo recita la mattina e la sera, finchè non si sia vendicato. L’anima dello [p. 313 modifica] americano spagnuolo, voi lo sapete, è una società in accomandita costituita da tre soli azionisti, il prete, il filibustiere e la pelle rossa. Forse m’ingannerò, ma ci è caso che questa notte stessa vengano ad assaltarci i nostri elettori di Columbus, onde io mi sono armato di provvidenza per riceverli come si meritano.

— Voi lo temete?

— Anzi, pensandoci meglio, ne vado sicuro.

— A quale ora li aspettate? E in quanti giudicate che verramio?

— Verranno nell’ora che ci crederanno immersi nel sonno, e in maggior numero che potranno; pari in tutto alla pantera, che non conosce generosità, e quanto più l’è dato sbranare con sicurezza, tanto meglio per lei.

— E di quali forze possiamo disporre per difenderci?

— Poche, ma bastano e ne avanzeranno; in primis questa casa resiste a qualunque assalto; a nostro danno non possono adoperare altro che carabine e rivoltelle; essi combatteranno di fuori, noi per di dentro; essi scoperti, riparati ottimamente noi; sicchè li potremo ammazzare quasi a man salva; i combattenti dalla parte nostra sono meno di quelli che condusse in Grecia Serse: io, voi e i due peoni.

— O i negri? [p. 314 modifica]

— I negri non si vogliono adoperare, perchè facili a sgomentarsi e a fuggire: presso me ne tengo pochi impiegati nel servizio di casa; gli altri stanno su i poderi, o badano il bestiame; all’opposto i peoni idonei ai traffici, ai trasporti, alla ragioneria ed alla difesa; e però essendomi capitato di fare buon mercato, comprai quei due che avete visto in casa.

— Non ci capisco mun’acca, riprese Curio; o come va che emancipate i neri e poi comprate i bianchi?

Il vecchio sorridendo rispose:

— Io vi chiarisco in quattro parole. Messicani o tessiani, in questo somiglievoli agli antichi germani, di cui ci narra Tacito, che disperati al giuoco, dopo perduto beni mobili e immobili, armi, cane, cavallo e donna, buttavano su per posta la propria libertà. Il messicano e il tessiano, quantunque capaci di tendere insidie alla vostra vita, osservano religiosamente il contratto che li fa schiavi altrui: onde ciò avvenga, la sua ragione ci ha da essere; mi basta così, senza che io mi pigli la gatta a pelare di rinvenire la causa di queste perpetue contradizioni umane. Qualche volta avviene che il peone, sebbene disposto a servire fedelmente, si trovi per l’acerbezza del padrone alla porta della pazienza co’ sassi: allora di due cose l’una; gli preme o non gli preme la vita; se non gli preme, [p. 315 modifica] fende il cuore al padrone, e poco dopo è impiccato anche lui; ovvero gli preme, e chiamato il padrone in disparte tale gli favella succinto:

— Consiglio vostra signoria a vendermi senza perdere tempo, perchè l’avviso che, tenendomi presso di lei, prima che domenica arrivi io avrei pensato di tagliarle la gola.

Allora il padrone non si tiene le mani a cintola, si dà moto dintorno per disfarsi del peone come di cavallo che abbia il tiro secco. Da questo in fuori non ci è verso che uomini bianchi vengano a servirvi per salario; non li emancipo perchè ho bisogno di loro, ed affrancandoli non si fermerebbero meco nè anche un minuto; ma da loro non esigo lavori servili, li tratto co’ riguardi che meritano; hanno mensa e stanza separate dagli altri; da me solo dipendono; non diffido, ma neppure mi addormento in grembo a loro, e fin qui li ho riscontrati puntuali. Quanto a coraggio non preme parlarne; mangerebbero il fuoco. Oltre queste difese che vi ho detto, avremo di rinforzo due signore, le quali fanno grazia accorrere in mio soccorso quando le chiamo; confido che anche voi le avrete a commendare per buone e per belle; io non le baratterei con le Camille, le Pantesilee, le Marfise antiche, nè con la moderna nostra Scannagatta; è provato che scendono da nobile sangue, onde noi chiamiamo una contessa e l’altra marchesa; qualora [p. 316 modifica] io le trovi cortesi secondo il consueto, e come non dubito, mi procurerò l’onore di presentarvele.

Curio e Filippo si guardarono in faccia confusi, dubitando che il cervello dell’ospite avesse preso di un tratto la via dei campi, ovvero li uccellasse, e stavano in procinto di chiedergliene spiegazione, quando comparve su la soglia della camera un peone, il quale con molto sussiego avvisò:

— Le vostre signorie sono servite.

Scesero tutti nel tinello, con mirabile eleganza addobbato e imbandito; dopo assettatisi a mensa, l’ospite domandò agli ospiti:

— Piacevi, signori, che inviti la marchesa e la contessa?

— O signore, che dite mai? Noi l’avremo per grazia.

— Giacinto, Patricio, abbiate la compiacenza di condurre fin qua le nostre signore.

Curio e Filippo tenevano tesi gli sguardi sopra la porta donde erano scomparsi i due peoni, quando un ruggito formidabile li costrinse a voltarsi dal lato opposto, e videro da due postierle praticate nella parete sbucare fuori una pantera ed una orsa spaventevoli per mole e stupendamente belle. L’ospite avendole chiamate pei loro nomi, esse con segni manifesti di allegrezza si affrettarono a posargli il muso una su la coscia sinistra e l’altra su la destra; egli le brancicò, tirò loro le orecchie, [p. 317 modifica] i peli del muso, e con soddisfazione scambievole ricambiaronsi lezi e carezze; iterate tre volte e quattro le gentili accoglienze, l’ospite offerse all’orsa pannocchie di maiz abbrustolite, ch’ella parve gradire moltissimo, essendosi messa immediatamente a sgretolarle come se fossero cialdoni; alla pantera distribuì parecchie braciuole di montone, che ella accettò con gradimento punto minore.

Curio e Filippo sentirono loro malgrado pigliarsi da uno sgomento, che paura non si poteva dire, bensì un desiderio di mano in mano più intenso, che coteste belve se ne andassero pei fatti loro; ma l’ospite, dilettandosi dello imbarazzo dei nostri amici, vôlto ad essi con allegra faccia favellò:

— Signori, sembra che voi non siate usi a corteggiare dame, perchè a quest’ora voi non avreste mancato di offerire i vostri convenevoli a questo signore.

— Vi siete apposto alla prima: noi siamo vaghi di femmine come il cane delle mazze.

— Queste dame, quantunque non battezzate, sono use a rendere bene per male; quindi per insegnarvi carità e gentilezza verranno da voi a presentarvi i loro complimenti.

— Ci fareste grazia di avvisarle che oggi le dispensiamo; sarà per un’altra volta.

— Scortesi! Contessa, marchesa, consolatevi; chi non vi vuole, non vi merita; e poichè a trattenervi [p. 318 modifica] più oltre con questi villani la vostra dignità ci scapiterebbe, così v’invito a ritirarvi.

E preso un nerbo lo alzò per confermare le parole col cenno: le belve, capita la ragia, partirono brontolando; anzi l’orsa per vezzo ammiccò un pugno al padrone. Scomparse che furono, Curio non potè trattenersi dal domandare all’ospite:

— Ed ora, che capestreria è cotesta di tenervi con tanta domestichezza al fianco belve le quali in un estro di ferocia potrebbero sbranare voi o taluno della vostra famiglia?

— Le bestie, anche ferocissime, caro mio, quando non facciate loro penuriare il cibo e non le vessiate, amano vivere in pace con tutti, nè io me le tengo in casa per capesteria, bensì per bisogno. Voi avete a sapere che qui nel Texas costuma allevarci in casa orsi, pantere e leopardi, ma di questi meno, perchè sovente li proviamo codardi.3 Chi sa che non abbiamo a vedere le bestie al cimento; allora giudicherete da per voi stessi che cosa sieno capaci di fare.

Sederono a mensa, dove i negri, sorvegliati da Giacinto e da Patricio, rigidi osservatori di ogni regola di governo della buona famiglia, ministrarono: [p. 319 modifica] comecchè apparisse piuttosto parca che copiosa la cena, e i commensali fossero sobri, tuttavia tanto presero diletto nei mutui ragionari, che produssero la notte alle tardissime ore; e già le stelle cadenti persuadevano al sonno, quando di un tratto la casa rintronò di spaventosi ruggiti, e subito comparve su l’uscio don Giacinto, armato di carabina, che disse:

— Signore! dallo strepito che fanno le canne di zucchero violentemente troncate arguisco che si accosta un branco di cavalli a corsa...

— E di cavalieri, aggiunse il padrone senza alterarsi nè moversi da tavola; don Patricio dov’è?

— Di sentinella a tramontana.

— Da cotesta parte non ci hanno porte, e gl’impostoni a piano sono chiusi e bene assicurati; pure riscontrate meglio; poi andate a terreno e appuntellate gli usci della porta maggiore e delle laterali. Dove avete ripiegato i neri?

— Nel dormentorio.

— Chiudeteceli a doppia chiave, che se escono mettono per paura a scompiglio ogni cosa; sturate le feritoie alle sole tre finestre di sala; qui portate le armi da taglio e da tiro, e deponete tutto su questa tavola; spegnete i lumi, ma lasciate accese le lanterne sorde.

Il peone andò a fare l’officio; il vecchio continuava tranquillo:

— Non ci ha dubbio, e’ sono i nostri amici di [p. 320 modifica] Columbus che vengono in forze a visitarci; se non arrivano in mille non sarà colpa loro; ma una trentina li aspetto; a loro danno noi gl’insegneremo che tal bue crede andare a pascere e poi va al macello. Intanto cresce il fracasso, ed a giudicarne dal rovinio, avevano ad essere una gran frotta. I peoni tornano in sala, riferiscono eseguiti a capello i comandi; dispongono su la tavola armi e munizioni, sturano le feritoie, spengono i lumi. Ora bazza a chi tocca. Il vecchio si alza, prende una carabina a sei colpi e con suono metallico di voce comanda:

— La finestra di mezzo difendo solo; don Patricio, e voi, signor Filippo, compiacetevi appostarvi alle feritoie della finestra a manca; don Giacinto, signor Curio, facciano lo stesso a quelle di destra; veruno spari senza ordine mio. Giacinto, Patricio, le signorie vostre si sono obbligate senza restrizione a difendermi, ma caso mai la loro coscienza li rinfacciasse sostenere causa ingiusta, ovvero aborrissero da combattere i propri paesani, io li dispenso da pigliar parte nel combattimento.

— A vero dire, rispose don Patricio, io nacqui a Matamoros, e perciò fai e sono messicano; ma non rileva; ladroni giudico quelli che vengono ad assalirci, ed i ladroni, a mio parere, non hanno patria nel mondo.

— Sentenza di oro da legarsi in oro, soggiunse don Giacinto; con l’aiuto di Dio, della beata [p. 321 modifica] Vergine e dei santi Pietro e Paolo, noi li ammazzeremo come cani.

Dopo ciò tacquero: gli assalitori, supponendo che gli abitanti del rancherò dormissero la grossa, e nella fiducia di coglierli alla sprovvista, mano a mano si accostano, adoperano precauzione, scendono pianamente da cavallo e girano attorno alla casa per riconoscerla. Non si vedevano ma si sentivano giù a piè del muro tentare le porte; allora al vecchio parve bene mandarli a salutare, ed ordinò il fuoco. Cinque palle volarono a un punto, tre senza costrutto, ma due ebbero il debito recapito, a giudicarne da due stramazzoni per terra e da un diluvio di bestemmie. Gli assalitori scostaronsi, e addopatisi dietro il fusto degli alberi circostanti, quinci impresero un fuoco alla dirotta; gli assaliti barattavano tre pani per coppia: a giudicarne dai tiri simultanei, gli assalitori, se non arrivavano a cinquanta, meno di trenta non erano.

Il vecchio, sboglientita la prima furia, considerava e codesto mo’ sprecarsi polvere e palle senza levare un ragnatelo dal buco, per la qual cosa ordinava cessassero il fuoco, tenessero le armi ammannite; egli voler vedere un po’ che almanaccassero i nemici. Gli assalitori si valgono della tregua per consigliarsi su quanto era da fare; deliberarono lo incendio, a tal fine raccolgono mucchi di canne da zucchero, foglie secche, arbusti, e fattane [p. 322 modifica] catasta davanti la porta maggiore ci appiccano il fuoco: era loro disegno, appena la porta incendiata avesse concesso l’adito, entrare in casa e quivi mettere a ruba quanto capitasse loro alle mani; se poi questo non avessero potuto fare senza troppo pericolo, allora avrebbero lasciato abbruciare la casa con tutti quelli che ci erano dentro.

Il vecchio aguzzava la vista e lo udito, ma non veniva a capo d’indovinare quello che gli assalitori armeggiassero.

D’improvviso si illumina la scena, e al chiarore della manella di strame che porta accesa in mano, si scopre uno dei tre offensori del vecchio accostarsi alla catasta della legna e delle altre materie infiammabili per appiccarci il fuoco; non aveva ben finito di stendere il braccio, che passato fuor fuori da una palla in mezzo al petto cascò bocconi su la fiamma; i compagni tentarono tirarlo indietro e non riescono, perchè, bersagliati a man salva dalle feritoie, uno casca sopra l’altro traendo urli spaventevoli; il mucchio divampa, e i cadutici sopra, sentendosi scottare, non trovando altro aiuto si rotolano per iscostarsene, insanguinando di orribili strisce il terreno.

Allora la voce del vecchio, facendosi udire da capo, comanda:

— Don Giacinto, vada per la contessa e la meni alla postierla a sinistra giù a terreno; don Patricio, [p. 323 modifica] faccia lo stesso con la marchesa, appostandola alla postierla diritta; quando sentiranno il mio fischio aprano gli usci e le avventino contro gli assalitori; richiusi gli usci si compiaceranno ridursi nella sala di entratura per ricevere nuovi ordini.

Le belve, comecchè per ispiegar le ugne e insanguinare le labbra non avessero mestieri incitamento, pure i peoni innanzi di sguinzagliarle le inzigarono; da manca, da destra, con un gran salto esse cascarono addosso agli assalitori, e, poichè di cibo fossero sazie, non si fermavano a divorare, bensì guizzavano or qui, ora là, facendo sdruci con le granfie che parevano tagli di sciabola; dove addentavano portavano via ogni volta almeno una libbra di carne, nè ci era riparo, perchè investiti i ribaldi da terribilissimo urto, non si potevano reggere in piedi, e sternati non avevano schermo, nè le armi loro giovavano. Gli urli disperati, i ruggiti, gli omei e il suono strano di bramiti e di bestemmie di quel branco di bestie e di cristiani empivano il cuore di affanno: aggiungi il nitrire incessante dei cavalli atterriti, i quali tremavano, le orecchie tese appuntavano; irta la criniera, la coda diritta, tentavano sforzi maravigliosi per iscavezzarsi, o per rompere le briglie e fuggire: smanianti di paura, dalle froge aperte cacciavano fuori alito fumoso, negli occhi dilatati e reticolati di sangue roteavano la pupilla smarrita, con le zampe [p. 324 modifica] zappavano in furia il terreno, come se volessero scavare una fossa per nascondercisi dentro: insomma a nessuno riuscì abbonire il proprio cavallo, tanto da poterci saltare su in groj)pa e scappare; invece parecchi rimasero malconci dai morsi e dai calci; la più parte aveva spulezzato, ma una dozzina di assalitori teneva fermo nella speranza di vendicare ad un punto le vecchie ingiurie e le nuove.

Quando i peoni, data la via alle fiere, si condussero nella sala di entratura, ci trovarono il padrone ed i suoi amici; il padrone intanto aveva osservato dalle feritoie come i nemici, più impronti delle mosche, scacciati, tornassero caparbi alle offese; onde gli parve metter fine alla triste avventura, che le cose lunghe diventano serpi; con questo intento favellò ai compagni:

— Orsù, lo indugio piglia vizio, perchè la fodera di ferro delle porte arroventandosi può agevolmente bruciare il legname che fascia e lasciare libero il passo; facciamo uniti una sortita e finiamo di ammazzare cotesti marrani scomunicati.

— Salvo vostro onore, don Giacinto si credè in debito avvertire, cotesti hidalghi non sono scomunicati, molto meno marrani, bensì cristiani battezzati come vostra signoria e come me; salvo sono cristianacci.

— Come le piace, don Giacinto; però gente da mettersi in quarti, e non sarebbe il loro avere. [p. 325 modifica]

— Sì signore, da ammazzarsi come serpenti a sonagli; che se, sbalestrati nell’altro mondo, non riuscisse loro trovare la via del paradiso, la colpa non sarebbe nostra. Non le pare, padrone?

— Io mi dichiaro puntualmente del suo avviso, gli rispose il vecchio, che prosegui volgendo il discorso ai compagni: — don Patricio, aprite la porta di mezzo; — fuori di conserva, e dopo sparate le carabine diamo mano alle sciabole e scagliamoci su cotesti mar... voleva dire cristianacci.

Filippo, avendo udito quelle parole, pensò; a cui comanda non duole il capo; il tempo degli slanci è passato per me; io mi costituisco dietroguardia, per dare, dove occorra, il colpo di grazia, ovvero proteggere la ritirata.

La porta si spalanca e ne prorompono fuori gli assediati; il primo avviso furono quattro palle, che andarono a ficcarsi nelle carni degli assalitori; e poi addosso: al comparire che fecero all’improvviso costoro, gli altri non ressero, molto più che temerono restare oppressi dal numero; da per tutto vittoria, eccetto in un punto, dove la prospera fortuna ebbe a tornare in tristo lutto; ed ecco come: il vecchio, venuto all’aperto, s’imbatte in colui che l’aveva percosso nella faccia a Colombo e lo riconosce al chiarore della fiamma; acceso d’ira si avventa saltando e ruggendo come.... appunto come la pantera e l’orsa sue; però che l’uomo inferocito, [p. 326 modifica] se metti da parte il battesimo, ti apparirà tale e quale un orso o una pantera; onde io ho creduto sempre e credo che, dove le bestie feroci fossero insignite di questo sacramento, non ci sarebbe più ragione di escluderle in paradiso dalla compagnia di san Domenico o di santo Arbues; il primo santo tallito, il secondo novellino. Il tessiano, essendosi accorto a sua volta del vecchio colono, lo aspetta a piè fermo, quantunque per ripararsi dalla sciabola non gli sovvenissero altre armi dalla carabina (che aveva scarica) e dal coltello piegatoio in fuori. Il vecchio, mentre corre improvvido, incespica nei tronchi di canna di cui era ingombro il sentiero e stramazza; la sciabola nel tracollo gli schizza di mano; l’avversario in un attimo gli s’inginocchia sul petto e con la manca forte gli stringe la strozza; il vecchio tenta ogni via per levarglisi di sotto, dando degli strettoni o cercando voltolarsi; non riusciva. Filippo, che rimasto fra le ombre vedeva il caso al chiarore del fuoco, spianò per bene la carabina, pigliando di mira il capo del tessiano; però a sparare si peritava: «Guai a me! ruminava nel suo pensiero, se ora mi capita pigliare due colombi ad una fava,» e questo diceva perchè nella baruffa i capi dei contendenti si toccavano e si confondevano. Il tessiano, sentendo che l’aveva a fare con uomo il quale, sebbene attempato, possedeva nervi di acciaio, dubitò potere da un punto all’altro [p. 327 modifica] essere messo di sotto, e poi cotesta storia doveva finire: per la quale cosa si cacciava la mano destra nella tasca laterale delle brache per cavarne fuori il coltello piegatoio; di vero lo cavò, ma chiuso: ora il punto stava nel poterlo aprire; la gola al caduto non avrebbe lasciata libera per tutto l’oro di California, e con la sola destra non riusciva a inastare la lama del coltello; si provò co’ denti...

— Gua’! gua’! bisbiglia Filippo, il quale tutte queste cose attentamente considerava; qui non ci è tempo da perdere; chi ha paura delle passere non semina panico... prima che arriviamo a sovvenirlo, egli sarebbe spacciato... e la vendetta! Oh! la vendetta non resuscita... ecco... no... da bravo, Filippo... e sparò.

Il vecchio che, prossimo a soffocare, ormai aveva perduto la vista delle cose circostanti, con sua ineffabile contentezza sente di un tratto liberarsi la gola; un tepido lavacro gli bagna la faccia; il nemico, prosciolte le membra, gli rotola allato: solo lo molesta una puntura al sommo del petto; guardò, e vide il coltello che, caduto a piombo, gli aveva traforato le vesti e sforacchiato le carni. Filippo lo sovvenne a rimettersi in piedi, imperciocchè Maurizio si sentisse tutto rotto nella persona, e mentre si agguantava alla sua mano, egli le disse:

— Patriotto, io vi devo per la seconda volta la vita; avete fatto un tiro da Guglielmo Tell. [p. 328 modifica]

E Filippo a lui: — E’ mi parrebbe bene ritirarci a casa, perchè questa guazza notturna per noi altri vecchi è peste.

— Voi dite unicamente; tra i nostri non ci è guaio?

— Sani e salvi.

— Bene; sto in pensiero per la marchesa e per la contessa.

— Oh! eccole là accucciate davanti alla porta di casa. Come il Signore, dopo avere lavorato, riposano.

— Che diavolo dite, Filippo? Dio, prima di riposarsi, creò...

— Ed esse distrussero, interruppe sempre acerbo Curio; ma fare e disfare è tutto un lavorare.

Rientrarono tutti in casa, eccetto i peoni, avendo chiesto ed ottenuto rimanersi fuori per soccorrere i feriti e confortare i moribondi.

Difatti don Patricio e don Giacinto, andando attorno, trovarono dieci morti e due moribondi; feriti nessuno, o perchè non ce ne fossero stati, o perchè i compagni presili sopra le spalle li avessero tratti con seco.

Don Giacinto, cattolico apostolico romano, quantunque nato in America, si adagia a canto al moribondo più prossimo, e così pietosamente gli favella:

Deo gratias. Vostra signoria non se la piglierà a male se io le dico per ispirito di carità che ella mi sembra assai prossima a levare l’àncora per l’altro mondo. [p. 329 modifica]

— Così sembra anche a me; — rispose l’altro, il quale più che dalla bocca respirava da uno squarcio che aveva al sommo del petto.

— Se vostra signoria desiderasse provvedersi di una bussola per dirigersi con sicurezza in luogo di salute, io sarei al caso di contentarla.

— Magari! E dove l’ha questa bussola?

— Io gliela profferisco nel santissimo sacramento della confessione.

— Scusi! ch’è prete lei?

— Prete... prete veramente non mi posso vantare, ma una volta ebbi gli ordini sacri minori, fra i quali, vostra signoria sa, entra l’esorcista; ond’è che io non penso peccare di presunzione se, facultato a cacciar via i demoni coll’acqua benedetta, mi giudichi altresì capace di salvare vostra signoria da casa del diavolo in grazia della confessione.

— Ecco, a dirgliela come la penso, questo punto non mi è chiaro.

— Che diavolo dice? Si vede bene che la morte imminente la fa vagellare. Facendo vostra signoria professione di religione cattolica, apostolica...

— E romana.

— E romana, deve sapere che ogni uomo, in caso di necessità, è buono a confessare, la quale confessione poi salva di certo il penitente, purchè compreso da attrizione, ch’è in certo modo l’essenza della contrizione. [p. 330 modifica]

— Sicuro; mi ricordo benissimo averlo letto nel trattato dei sacramenti del padre Ilibadeneira, ed anche ho udito quando il curato spiegava il Vangelo alla messa... Avrebbe vostra signoria da favorirmi un sigaro?

— Sì signore.

— Ora mi sia cortese di accenderlo e mettermelo in bocca; mentre vostra signoria mi ammonirà, io mi svagherò a fumare.

Don Giacinto, quantunque la faccenda non gli paresse affatto canonica, accese un sigaro, e dopo provato lo insinuò fra i denti del moribondo: in seguito, postosi in atto di ascoltare, favellò:

— E ora su da bravo, incominci.

Il sigaro ritto mandava fuori dalla cima un filo di fumo, in grazia dell’arsione spontanea del tabacco: al moribondo non era riescito cavarne però fuori una boccata; per lieve fosse lo sforzo che aveva fatto, bastò a menargli fuori l’anima dal petto; della quale cosa don Giacinto essendosi accorto, si volse al compagno dicendo:

— Don Patricio, in che termini si trova col suo moribondo?

— Sembra ch’egli sia in alto mare; non risponde.

— Allora, considerato quello che deve considerarsi, mi permetterei consigliare a vostra signoria andarcene a bere un gotto di rhum e a dormire? [p. 331 modifica]

— Vostra signoria è il buon senso nato e sputato; così opino anche io.

Però il tessiano non era mica morto; fingeva esserlo, per levarsi il fastidio d’attorno: appena i signori servi ebbero voltato le spalle, costui carponi si accostava al morto, e levatogli il sigaro di bocca se lo metteva nella propria fumando tranquillamente.

A giudicarne da quello che videro la mattina seguente, la vita gli era bastata a fumarne mezzo; e morto non l’aveva lasciato: pari all’eroe caduto in battaglia con l’arme in mano, egli col sigaro stretto fra i denti sfida la morte.




Note

  1. Così racconta Plutarco nella vita di Antonio, § 48: «Narrasi che un giorno in cui gli ateniesi stavano raccolti in assemblea, Timone, salito su la ringhiera, tale favellasse in mezzo al silenzio universale e alla aspettazione di tutti per simile novità. — Io possiedo, atenitfesi, un orticello, dove mi nacque un fico, al quale si sono già impiccati parecchi cittadini: ora essendo io in procinto di fabbricare in cotesto luogo, ho voluto prima significarvelo pubblicamente, acciocchè se qualcheduno avesse pur voglia impiccarcisi, non metta tempo in mezzo per farlo innanzi che e’ venga tagliato; Dio vi mandi il malanno a quanti siete.
  2. Prov., c. 29, n. 17.
  3. «Sur la route de Fredericksbourg la ferme d’un monsìeur Masenbach est gardée par des ours apprivoisés en guise des chiens» . Domenech, Journal d’un missionaire au Texas et au Mexique, p. 39, Questo fatto confermano parecchi altri viaggiatori.