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capitolo xxiii. | 299 |
l’abolizione della schiavitù; mette in ballo Cristo, la umanità; sputa paroloni da misurarsi col metro; i compari di Europa gli battono le mani, e il dannato, che Dio confonda, appicca il fuoco a quella terribile guerra che tutto il mondo sa. Sì signori, per affrancare quattro uomini, più che tre quarti bestie, i quali non sanno che farsi della libertà e la venderebbero per una scodella di lenticchie, si mandano a morte centinaia di migliaia di uomini liberi pieni d’intelligenza, si butta sottosopra lo Stato, sicchè tra sperpero di pecunia e sperpero di vite, prima che la Unione si riabbia ci vorrà un bel pezzo... Dunque dica su, vostra signoria, le pare che noi abbiamo torto?
— Certo, grandissimo torto.
— Torto! Come torto? urlò il tessiano tutto alterato, e l’altro tranquillo soggiunse:
— Se mi ascolterà con pazienza, in quattro parole mi sbrigo. Vostra signoria sa come le azioni umane, eziandio quelle che paiono in vista maggiormente virtuose, sieno soppannate di vizi, ed è bazza quando non sono delitti: ai discreti deve bastare ch’esse accennino al buono e al meglio, e lo producano: non fa prova di senno chi si tribola a penetare più oltre. La causa dell’abolizione della schiavitù in sè è ottima: tutto sta nell’esaminare se per voi altri ci si trovi il tornaconto, perchè, vedete, io non intendo discutere con voi se l’uomo deva promovere