Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xxiii. | 255 |
villani, saltò su a gridare Filippo tutto acceso nel volto, ed io... io ti amo per interesse?
— Oh.! no... tu no.
— E tua madre ti ama per interesse?... E...?
— Taci per l’amor di Dio, esclama Curio rizzandosi in un attimo e chiudendo con la mano la bocca a Filippo, — non la rammentare nè manco. Pur troppo tu dici santamente; compagna iniqua alla coscienza dell’uomo è la sventura; se mi capitasse tra i piedi la piglierei pel collo e la strozzerei... ma tu, mio Filippo, senti quanto me lo schianto del cuore di amare come noi amiamo, e di essere amati come sanno amare quegli angioli, e non potere corrispondere con essi, non dare loro e non riceverne nuove? Nulla conoscere di quanto fanno, dicono, patiscono o sperano...
— E chi ti dice che noi non possiamo sapere questo di loro? che i cuori amanti non conoscono altra corrispondenza eccetto quella del telegrafo sottomarino? Il sospiro delle anime appassionate va con ali più celeri della favilla elettrica, e in men che non balena si trasporta da un polo all’altro.
— Ti sieno grazie della tua ottima mente, o padre mio; tu, a patto di darmi un po’ di refrigerio, non ti tireresti indietro da sostenermi che le tavole girano e gli spiriti dei morti vengono a raccontarci a veglia le novelle dell’altro mondo.
— Ascolta, figlio mio, a filo di ragione io ti con-