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capitolo xxiii. | 277 |
siderare con diligenza il luogo: parve soddisfatto dello esame, dacchè, volta la faccia in su, così arringasse i passeggeri affacciati in diversi atti di paura o di ansietà dalle paratie del battello:
— Coraggio! Per ora non affogate più: sarà per un’altra volta; — potete scendere. Domani dopo mezzogiorno ripiglieremo il viaggio: tenetevi per avvertiti; chi intende aspettare, bene, rimane fermo il contratto; chi no, perderà mezzo nolo; e poichè giudico io che siamo presso a Columbus, ch’è quanto dire a tre quinti del viaggio, vedete bene che vi regalo un tanto.
Ai passeggeri non parve vero abbandonare l’Erebo a sì buon patto; tutti avrebbero volentieri renmiziato al dollaro, e qualcheduno ne avrebbe dato un altro. Ciò fatto, il capitano, sempre con la medesima foga, chiamato a sè il dispensiere, in brevissime note gli significa il voler suo; dopo il dispensiere il carpentiere, e con lui adopera nella medesima guisa; finalmente convoca i negri che si trovano a bordo, cava fuori il taccuino, scrive una pagina e la stacca, poi due, poi sei, poi dieci, le consegna ai negri, e col cenno più che con la voce li spinge in diverse parti; i negri corrono via come se fra loro si contrastassero il palio. Allora il capitano, preso un pizzico di tabacco, se ne fece una spagnoletta, ponendosi a passeggiare su e giù, ed a fumare come se nulla gli fosse accaduto.