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capitolo xxiii. 311


andate. — Di voi altri, soggiunse volto ai negri, due stieno al servizio di questi signori; tu, Antonio, verrai meco; i tre che restano apparecchino la mensa e ammanniscano cena. Su presto, andate e procurate di rompermi stoviglie meno che potete.

Dopo questo discorso, i tre che dovevano attendere alla cena salutarono e partirono. I due negri addetti al servizio di Curio e di Filppo, precedendoli co’ candelieri accesi, li condussero in due bellissime camere che davano sopra un cortile interno tutto piantato di spalliere di gelsomini volti a pergola, con una magnolia grandiflora, magnifica a vedersi, nel mezzo. I negri, per essere reverenti in atto, non procedevano meno risoluti e ratti, perchè, senza profferire parola, agguantati i nostri personaggi, in un attimo li spogliano, li inondano di acqua diaccia e di aceto; li stropicciano, prima con le spazzole, poi con le spugne; asciugati, li rivestono di tela bambagina odorosa; i nostri volevano rivestire i propri panni, ma i negri assolutamente impedirono, dicendo che i panni loro dovevano prima asciugare del sudore onde erano pregni, e dopo spolverarli e ripulirli; e poichè la ragione parve buona, si lasciarono fare in tutto e per tutto, sicchè in breve si sentirono ricreati.

In questa ecco l’ospite azzimato, anch’egli biancovestito, con varie strisce di drappo nero ingommato su la faccia, comparire nella stanza di Curio,