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capitolo xxiii. | 291 |
Allora il pranzo riprese il suo andamento con tale puntualità, che meglio non avrebbe potuto ordinare il capitano Lamarmora, buon’anima, se togli che questi alla campana avrebbe sostituito il figlio della sua predilezione, il tamburo... Ed ella che vuole, signor lettore, che mi fa cenno di parlare? Udiamo, via, che ho fretta... sicuro! Siamo d’accordo! Se il confessore glielo avesse consigliato, il capitano Lamarmora avrebbe tenuto ferma la campana e sagrifìcato il tamburo, — anche Abramo per piacere a Dio non si ammanni a sagrificare Isacco; — molto più ch’è fama la campana inventasse san Paolino vescovo di Nola, e il tamburo sia di origine turca.
Di che cosa andasse composto il pranzo non vale il pregio di scrivere; ci furono braciole di bove arrostite; — e poi lombate di bove arrosto; - e poi daini, oche, anitre salvatiche girate nello spiedo; pesce su la gratella, e tutto spolverizzato di pimento in guisa che ci pareva piovuto sopra; le ultime mense andarono composte di torte di salmone salato, mosciama, buttagra, salacche e simili altre delizie da mettere il fuoco in corpo al Mongibello. Con questo tiro furbesco avvenne che le vivande bastarono e ne avanzarono, un po’ perchè ce n’era copia, e un po’ perchè cucinate in modo, che nè anche all’inferno si farebbe peggio; ma del bere avevano patito penuria, ed ora boccheggiavano a lab-