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230 | il secolo che muore |
zucchero, ebani, palme, in copia magnolie grandiflore, le quali così intensamente impregnavano l’aria di profumi, da dare il capogiro ai nostri viaggiatori; l’aria spirava ebbrezza; gli occhi dal tremolio della luce e dello azzurro restavano affascinati. Non ci era mestieri fantasia per popolare la foresta di uccelli diversi nella forma e nel volume, bellissimi di penne dai colori smaglianti; — però la natura matrigna aveva negato loro la dolcezza del canto: uccello senza canto fa riscontro alla camelia senza odore; qualcheduno imitando la voce umana irrideva, donde il nome di uccello beffardo. Non era cotesta natura ravviata dall’arte, non aveva uccello predicatore arguto dei riti di Venere, e nondimanco dall’aura, dai rami, dalle piante e dagli animali usciva urgentissimo lo invito:
. . . . . . . amiamo or quando |
A questo modo, studiando il passo per non ismarrire il sentiero, i nostri amici arrivarono all’estremo lembo di quella penisola, donde appuntando lo sguardo videro spingersi dalla parte opposta del fiume una lingua di terra pari a quella dove allora si trovavano, sia nella grandezza come nella forma, la quale si prolungava traverso della corrente. In quel punto il tratto che correva fra l’una e l’altra riva avrà misurato dalle cinquecento alle seicento braccia, ne per valicarlo appariva altro mezzo, eccetto una