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capitolo xxiii. 251


i miei lettori andare sempre immuni dal tetro morbo, tamen per amore di umanità io lo pongo qui; badiamo però, io non lo raccomando, chi vuole lo sperimenti; suo cuore, suo consiglio: me ne rimetto in lui. — Recipe un bicchiere da tavola di spirito canforato, e mescolavi dentro venti gocce di laudano, pepe del buono quanto vuoi, e acqua di Colonia; filtra per tela, e mandane giù; se ti riesce, almeno un terzo, e ti dirò: bravo! Per completare la informazione, mi corre l’obbligo di aggiungere che gl’infermi, conci a quel modo, spiccavano salti da sfondare il sofiitto, e poi giravano sopra se stessi più veloci dei fusi delle macchine da filare: non importa; guarivano, ed oltre alla salute del corpo, nel dì del giudizio potevano sostenere di avere avuto un acconto delle pene dello inferno.

— Ahimè! ahimè! come mi sento stracco, sospira Curio gittandosi giù su l’erba in riva a un fiume; a cui Filippo:

— Abbiamo camminato tanto oggi! Riposati, figliuolo mio.

— O a me caro più del padre; non parlo del corpo io, bensì della vita; il cervello mi sta inerte dentro il cranio come morto nella bara; mi tocco il petto invano per sapere da qual parte io mi abbia il cuore: — egli non mi palpita più; sono sazio di giorni.

— Ecco, questo ti avviene perchè ti lasci arrug-