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capitolo xxiii. | 249 |
E in un attimo annodò un cappio ch’era una delizia, e senza spavalderia se lo adattava al collo da sè. Lo sceriffo, incantato, a questo punto non si potè reggere, lo abbracciò forte forte e disse:
— Dianoro! Ti giuro sul mio onore che se non ti avessi a impiccare ti piglierei per segretario; e ora, figlio mio, desideri nulla da me?
— Intendo dare un avvertimento al popolo e fare una preghiera a voi; te, popolo, ammonisco che tu ti astenga dall’acqua arzente, o almeno bevine con discrezione, massime la mattina a digiuno, se ti preme non essere impiccato; se poi non te ne preme, è un’altra cosa. A voi, signore sceriffo, mi raccomando che non mettiate il mio nome pagano nè cristiano su i giornali della Contea, perchè non vorrei lo risapesse mia madre e ne sentisse dispiacere: siccome io non le ho dato veruna contentezza nel mondo, così vorrei che per cagione mia non patisse dolore.
— Molto bene... benissimo... ti avanza nulla a desiderare da me?
— Nulla; potete lanciarmi nella eternità.
— Amen!
Dopo un minuto Dianoro ciondolava come un pendolo dal cedro rosso, cullato soavemente dalla brezza vespertina.
Di facoltà per sostentare la vita Curio e Filippo non soffrirono mancamento; all’opposto n’ebbero