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capitolo xxiii. | 319 |
comecchè apparisse piuttosto parca che copiosa la cena, e i commensali fossero sobri, tuttavia tanto presero diletto nei mutui ragionari, che produssero la notte alle tardissime ore; e già le stelle cadenti persuadevano al sonno, quando di un tratto la casa rintronò di spaventosi ruggiti, e subito comparve su l’uscio don Giacinto, armato di carabina, che disse:
— Signore! dallo strepito che fanno le canne di zucchero violentemente troncate arguisco che si accosta un branco di cavalli a corsa...
— E di cavalieri, aggiunse il padrone senza alterarsi nè moversi da tavola; don Patricio dov’è?
— Di sentinella a tramontana.
— Da cotesta parte non ci hanno porte, e gl’impostoni a piano sono chiusi e bene assicurati; pure riscontrate meglio; poi andate a terreno e appuntellate gli usci della porta maggiore e delle laterali. Dove avete ripiegato i neri?
— Nel dormentorio.
— Chiudeteceli a doppia chiave, che se escono mettono per paura a scompiglio ogni cosa; sturate le feritoie alle sole tre finestre di sala; qui portate le armi da taglio e da tiro, e deponete tutto su questa tavola; spegnete i lumi, ma lasciate accese le lanterne sorde.
Il peone andò a fare l’officio; il vecchio continuava tranquillo:
— Non ci ha dubbio, e’ sono i nostri amici di Co-