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capitolo xxiii. 273


al capitano, affinchè la salvezza comune non patisse detrimento. Il capitano, poichè l’ebbe udita, rispose a denti stretti:

— Quando anche doveste andarvene tutti all’inferno, vi parrebbe caro il viaggio a cinque franchi e trenta centesimi a testa?

E senza confondersi più oltre con loro, rivolto ai suoi:

— Che Dio vi danni, pigliate quanti barili di sego troverete nella stiva e buttateli tutti nel focone.

E fa fatto: per un momento fumo, faville, cigolio della macchina cessarono, ma dopo pochi minuti secondi ecco il fumo prorompere nero, vorticoso, affannoso dieci cotanti più di prima; le fiamme dardeggiano fuori del fumaiolo orribili come lingue di serpenti; la macchina urla e smania quasi ci fosse dentro l’anima dannata di un papa o di un re. Pur troppo quello che si prevedeva accadde: le balle del fieno e del cotone avvamparono. Ora siì che lo sgomento dei passeggeri giunse al colmo, i quali si videro soprastare tre morti una peggiore dell’altra: annegati nell’acqua diaccia del fiume, o cotti nell’acqua bollente delle caldaie, ovvero inceneriti nelle fiamme del fieno e del cotone; arrogi per soprassello di terrore che si vedevano abbrivati con irresistibile spinta contro uno dei soliti puntoni composto di tronchi di alberi che occupava quanto era largo il fiume, eccetto forse una sessantina di braccia.