Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
Capitolo XXIII.
. . . . . . . . . . . . . . .
Più brevi sì, ma non però men gravi di quelli di Ulisse furono gli errori pei quali si avvolsero Curio e Filippo. Tutto essi provarono; l’ira immane dell’oceano, in mezzo a cui essi si conobbero troppo meno di atomi travolti nella immensità dello spazio: anzi più che ad altro andarono debitori della propria salvezza alla loro nullità: le ruote del carro non giungono a stritolare il granello di arena sul quale trapassano; videro la tremenda rabbia della natura quando si agita a rompere le leggi le quali tengonla infrenata come schiavo che tenti spezzare la sua catena, e i furibondi spasimi di lei allorchè intende ribellarsi alla tirannide di Dio che la flagella; — videro spaccarsi montagne, e dai fianchi la-