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capitolo xxiii. 321


gine e dei santi Pietro e Paolo, noi li ammazzeremo come cani.

Dopo ciò tacquero: gli assalitori, supponendo che gli abitanti del rancherò dormissero la grossa, e nella fiducia di coglierli alla sprovvista, mano a mano si accostano, adoperano precauzione, scendono pianamente da cavallo e girano attorno alla casa per riconoscerla. Non si vedevano ma si sentivano giù a piè del muro tentare le porte; allora al vecchio parve bene mandarli a salutare, ed ordinò il fuoco. Cinque palle volarono a un punto, tre senza costrutto, ma due ebbero il debito recapito, a giudicarne da due stramazzoni per terra e da un diluvio di bestemmie. Gli assalitori scostaronsi, e addopatisi dietro il fusto degli alberi circostanti, quinci impresero un fuoco alla dirotta; gli assaliti barattavano tre pani per coppia: a giudicarne dai tiri simultanei, gli assalitori, se non arrivavano a cinquanta, meno di trenta non erano.

Il vecchio, sboglientita la prima furia, considerava e codesto mo’ sprecarsi polvere e palle senza levare un ragnatelo dal buco, per la qual cosa ordinava cessassero il fuoco, tenessero le armi ammannite; egli voler vedere un po’ che almanaccassero i nemici. Gli assalitori si valgono della tregua per consigliarsi su quanto era da fare; deliberarono lo incendio, a tal fine raccolgono mucchi di canne da zucchero, foglie secche, arbusti, e fattane cata-