Le Mille ed una Notti/Storia della Dama dai bei capelli

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Storia della Dama dai bei capelli
Storia del re Sapor sovrano delle Isole Bellor, di Camar Alzeman, figlia del genio Alatros, e di Dorrat Algoase Storia di Naama e di Naam
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STORIA

DELLA DAMA DAI BEI CAPELLI

«— Mio padre teneva la corona dell’isola Verde e di quella Azzurra dalla bontà di suo fratello, padre di Dorrai Algoase, mediante un omaggio ed un annuo tributo. Io fui, al par di mia cugina, l’unico frutto del matrimonio del principe con una figlia della stirpe de’ geni. Alatros, padre di mia zia Cantar Atzeman, aveva formato il disegno di stabilire in codesta regione tutti i geni a Salomone sommessi, de’ quali questo profeta avevalo costituito capo, e per prevenirne l’incostanza e le ricadute, d’impegnarli tutti a sposarsi co’ figliuoli d’Adamo. Parecchi dì loro vi si rifiutarono; tra gli altri Abarikaf, Mokilras e la sua famiglia, e Nisabic, adducendo vari pretesti, ma il vero era la ribellione già loro sorta nel cuore, col desiderio di farla scoppiare quando potessero ripromettersi di riuscire a diventar potenti. Io perdetti gli autori de’ miei giorni quasi nel medesimo tempo di mia cugina Dorrat Algoase, talchè mi vidi regina sotto la tutela d’un vecchio visir scelto da mio padre. L’insolente Nisabic, uno de’ favoriti di Abarikaf, era innamorato, non di me, ma de’ miei capelli. Del continuo occupato in incantesimi e pronostici, vivea convinto che, se potesse sposarmi, soggiogherebbe al suo potere altrettanti geni quanti io aveva capelli, i quali doveano servire a legarli, talchè ogni operazione me ne sarebbe costato uno. Conobbi il fondo della stravaganza del suo pensiero, perchè ebbe l’audacia di [p. 68 modifica] palesarmelo, onde tentare di sedurmi col quadro della potenza di cui potrei un giorno godere. Rigettai le sue offerte, e diedi la mano ed il cuore al principe Daliska. Appena uniti, dichiarossi la rivolta di Abarikaf, il quale vi trascinò tutti gli abitanti dell’isola Nera, cui governava in qualità di visir, e subito legioni di spiriti ribelli vennero ad unirsi a lui dalle parti più remote della terra. Alatros può appena sostenersi con sua nipote nell’isola di Medinazilbalor, nè può dare soccorso a queste, che Mokilras e Nisabic invadono sotto gli ordini di Abarikaf. Daliska, mio marito, è vinto e vien condotto all’isola Nera, dove il traditore Abarikaf lo custodisce in ostaggio, e lo scellerato Nisabic torna nuovamente ad offrirmi l’odiosa sua destra. — Regina,» mi disse, «la vostra mano è libera; non potete conservarla al mio schiavo, ma entrar deve in quella del vincitore. — Vil ribelle!» gli risposi; «le stelle saranno un giorno giudicate per aver combattuto per te.» Si ritirò furibondo, e mi tenne prigioniera nel mio palazzo.

«Ogni giorno veniva a rinnovare le sue importunità, ed io mi studiava di opprimerlo col disprezzo; ma egli voleva assolutamente la mia mano, accecato com’era da quell’oroscopo che sembrar glie la faceva tanto preziosa. Infine, disperando della riuscita, immaginò di usare a mio riguardo gli estremi rigori. Io, lo minacciai di strapparmi i capelli ad uno ad uno; egli spumò di rabbia. — Saprò ben impedirvelo,» mi disse, «chè diventeranno l’unico vostro conforto.» Allora quel mostro risolse d’incatenarmi in questa gabbia, dalla quale voi mi traeste, ed in cui mi alimentava d’aria e dissetavami di lagrime; i capelli diventarono l’unica difesa che mi restasse contro i rigori del clima, le ingiurie della stagione, e la confusione di comparir ignuda agli sguardi, a’ quali colui mi aveva esposta, nè poteva [p. 69 modifica] pettinarli se non colle dita; e così mi astrinse a conservare quei capelli ch’erano il principio della mia sciagura e delle pazze sue speranze.

«Ogni mattina ei veniva al piede della colonna a chiedermi se fossi stanca di soffrire, e volessi in fine dargli la mia destra. Gli domandava istantemente la morte, ed ei mi rispondeva, gettando acqua colla mano in aria: — Vivete, soffrite, sospirate, piangete ed intrecciale i vostri capelli.» Ogni sera veniva a sollecitarmi di entrare nel suo talamo, e ripeteva colla stessa cerimonia le parole medesime.

«Ecco, signor cavaliere, la dolorosa mia storia; m’è impossibile dirvi quanto abbiano durato i miei patimenti; era assolutamente immersa ne’ miei dolorosi pensieri, e come assorta in essi. Voi ponete fine ad una parte delle mie pene; separata da uno sposo che amo teneramente, fissa nell’idea degli aspri tormenti ch’ei prova senza dubbio, son ben lontana dal potermi abbandonare alla gioia che dovrebbe cagionarmi la vista del mio liberatore ed il cangiamento della mia fortuna.»

NOTTE CDLXXX

— Pronunziando codeste ultime parole, la dama dai bei capelli struggevasi in pianto, e per un movimento abituale ed involontario, portava ancora le dita ai capelli come per accomodarseli. Habib non aveva mai conosciuto altre disgrazie che le proprie; il racconto di quelle della dama lo commosse d’un sentimento affatto nuovo, e gli occhi gli si empirono di [p. 70 modifica] lagrime. Ilzaide si mise a singhiozzare ed uscì di tavola; sua sorella maggiore la seguì. — Che cosa avete?» le chiese; «moderatevi. — Non potrei,» rispose la giovanetta; «questa dama dà troppo grave dolore al cavaliere arabo. Voi non siete dunque com’io, sorella; vorrei che non gli si facesse se non piacere.» Mentre dava tale risposta, Ilzaide tornò a mensa.

«La dama dai bei capelli, avvistasi dell’impressione che produceva, erasi ricomposta, ed Habib, divenuto padrone delle proprie emozioni, potè parlare. — Madama,» le disse, «giuro per la scimitarra a me affidata, che reso vi sarà il vostro sposo, e ch’io vendicherò le ingiurie di Dorrat Algoase e le vostre fino sull’ultima testa dei ribelli che v’hanno offeso. Nisabic, se devo credergli, porta già una parte della pena de’ suoi abbominevoli eccessi sotto i massi coi quali aveva voluto schiacciarmi; io sono più che vendicato del male che mi volle fare; ma il cielo, Dorrat Algoase e voi, madama, nol siete abbastanza. Ora ci recheremo assieme al piè di quel monte sotto cui pretendeva opprimermi, e voglio, a suo castigo, adoprare il mezzo da lui immaginato, secondo i suoi oroscopi, per sollevarsi sopra gli altri. Degnatevi di accompagnarmi, o madama; mentre aspetto di potere, colla protezione del cielo e quella de’ suoi favoriti, metter termine a’ vostri guai, voglio intanto farvi gustare il piacere della vendetta. —

«Sì dicendo, incamminavasi colla dama dai bei capelli e le tre figlie del mare verso i massi rovesciati che chiudevano il passaggio praticato nella rupe per andare dalla spianata del castello alla spiaggia. Giunti colà, Habib sguaina la scimitarra, ne colpisce tre volte le rocce sfasciate, poi alza la voce, e: — Nisabic,» grida, «se gemi sotto queste pietre, danne segno; il cavaliere arabo viene a mantener la sua parola.» Subito parve che i massi si sollevassero [p. 71 modifica] alquanto, e ne uscì un gemito di tremenda natura; la dama dai bei capelli riconobbe la voce, e fremette.

«Habib ripigliò di tal guisa: — Genio ribelle, io non conosceva tutti i tuoi delitti, e prima che li mandi ad espiarli nelle caverne del Caucaso, devi umiliarti agli occhi d’una regina che hai sì vilmente oltraggiata. —

«Dopo tal discorso al genio, il cavaliere, fermatosi, si volge alla regina, e: — Madama, quest’empio voleva servirsi de’ vostri capelli per legare ed assoggettare gli esseri spirituali: bisogna punirlo della sua ambizione e degl’insensati suoi desideri con ciò che n’era per lui il mezzo al par dell’oggetto.» Habib batte di nuovo la roccia, ed alza la voce. — Avrai tre di quei capelli che desiderasti, sciagurato colpevole! sono tre nodi di ferro che ti terranno pel collo, per le mani e pei piedi.» Poi, gettando i tre capelli in aria, pronunzia con accento di voce più grave e forte: — Nobili creature di Dio, spiriti conservatori degli elementi, servitori del gran Maometto, ed amici di Salomone, incatenate il reo, gettatelo appiè di colei che ha offeso, e portatelo nelle prigioni del Caucaso.

— «Si udirono orribili grida, le rocce spalancaronsi, e Nisabie, carico di ferri, comparve un istante, colla fronte umiliata a terra, davanti alla dama dai bei capelli, e subito la visione scomparve. Per tutto il tempo che l’orrido genio rimase esposto alla vista, Ilzaide si tenne celata dietro al cavaliere. La dama dai bei capelli non potè guarentirsi da un moto di orrore; Habib se le rivolse. — Rassicuratevi, madama; voi vedete che la vostra chioma è un tesoro prezioso: i vostri capelli vi libereranno questa sera dai numerosi nimici che infettano coll’impuro alito le carceri della vostra fortezza, e di quelli ancora [p. 72 modifica] che la fuga potè salvare dalla mia vendetta, se l’imprudenza loro ha fatto che scegliessero un asilo in quest’isola. Faremo di più; vi scorgo un mezzo sicuro di soggiogare tutti i ribelli dell’isola Azzurra senza aver il disturbo di andarli a cercare; perchè non posso valermene anche contro lo stesso Abarikaf, e terminar di verificare, a spese di tutti i nemici di Dorrat Algoase e dei vostri, l’oroscopo che il vostro crine destinava a metter in ferri legioni di geni! non bisognerà risparmiarlo, o madama; abbandonatelo al suo destino, e quindi non ne sarete che meglio adorna. —

«La dama dai bei capelli è rientrata nel suo appartamento, e le figlie del mare la servono ancora per la toletta della sera; piena di fiducia nella scienza del cavaliere, si strappa un pugno di capelli, gloriosa di vederli servire a sì nobil uso. Ilzaide corre a consegnarli ad Habib. Questi si fa condurre alle porte delle prigioni, vi ripete l’operazione fatta presso alle rocce, e sul momento tutti i ribelli son levati per essere condotti nei sotterranei del Caucaso. Ascende poi sulla terrazza che corona il castello, e sparge in aria alcuni capelli, confidandoli ai ministri de’ profeti, acciò il loro effetto si produca sul resto dei nimici dispersi nell’isola Verde e su quelli che trovansi in possesso dell’isola Azzurra; un rumore si fa udire cagionato da gemiti lontani, e lo accerta che le sue brame hanno riportato un pieno successo. Poi si ferma un momento per gioire e riflettere. Chiudesi con cautela in seno il resto dei capelli della dama, e viene a raggiungerla, nella sala in cui trovavasi colle tre figliuole del mare. — Tranquillatevi, madama,» le disse presentandosi: «siete liberata dai vostri nemici. Nata sul trono, se aveste bisogno di soccorso, ormai inutili vi divengono i miei consigli; la mia stella ed il mio dovere mi costringono domani a partire: [p. 73 modifica] ma se il cielo protegge le mie armi, credete pure ch’io non perderò di vista i vostri più cari interessi. Porterò domani gli ordini vostri all’isola Azzurra, se volete onorarmene. Vi tolgo le mie amabili compagne; ma ho ancora due mari da traversare, ed in un paese dove la tirannia aveva distrutte ogni mezzo di navigazione, avrò bisogno del cortese loro aiuto. —

«La dama dai bei capelli vide con dolore che il giovane eroe, e quale aveva tanti doveri, volesse così presto da lei dividersi; ma credette dover cedere gentilmente ad istanze delle quali non poteva disapprovare il motivo; sicchè si salutarono a vicenda colle dimostrazioni della maggiore stima.»

NOTTE CDLXXXI

— Il giorno nascente vide partire Habib e le sue compagne; vogavano sui flutti, e toccarono verso il meriggio le sponde dell’isola Azzurra. Gli abitanti adunati vi si abbandonavano alla letizia per la loro inaspettata liberazione; chè i tiranni erano stati quasi visibilmente atterrati e tolti in loro presenza. Habib venne ad accrescere il loro contento manifestando la felice liberazione della bella regina; ed essendo essi i più vicini dell’isola Nera, ei cerca d’informarsi se nulla sanno di ciò che vi accade, e dei successi di Abarikaf nell’assalto che dà all’isola rimasta fedele a Dorrai Algoase.

«— Signore,» risposero quegli abitanti, «dacchè i ribelli s’impossessarono di quest’isola, non hanno lasciato sussistere nemmeno un battello da pesca; [p. 74 modifica] avendo i mezzi di comunicare tra loro, ci vollero privi d’ogni specie di via per mantenerci in relazione cogli esseri viventi della nostra natura; non possiamo allontanarci dalla riva, e n’è impossibile di nulla sapere di ciò che avviene sulla loro; ma senza che esser possa effetto d’alcuna tempesta vicina o lontana, lo stretto di mare che ne separa è da alcuni giorni divenuto più nero; i flutti, senza che vento o corrente li agiti, sollevatisi inegualmente, e noi stimiamo, non potendone però dire la vera cagione, che il passo da qui all’isola Nera sia infinitamente pericoloso, quando pure il furore del mostro che vi regna non ispaventasse tutti quelli che il volessero tentare. —

«Il guerriero arabo, proponendosi di vedere alla domane coi propri occhi quanto gli si asseriva, accettò l’offertagli ospitalità, e senza nulla comunicare del suo disegno, abbandonossi ai diletti d’una festa della quale era origine la liberazione dell’isola. Si tolse al riposo prima del sorger del sole, montò sulla zattera, e costeggiando l’isola Azzurra sinchè l’ebbe intieramente oltrepassata, cercava di avanzarsi nello stretto che la separava dall’isola Nera; ma il mare divenne così furioso, che i delfini, i quali lo conducevano, ne presero spavento, e vennero ad arenare sulla spiaggia dell’isola Azzurra. Habib batte invano colla sciabola i cavalloni, invano pronunzia quella parola, che l’ha fatto prevalere contro tutti gl’incanti; il prestigio cui combatte non agisce nell’aria, e l’effetto che ha gettato lo schifo sulla costa, è assolutamente naturale, benchè messo in moto da una cagione straordinaria.

«I pesci, i mostri abitanti dei mari circonvicini stanno raccolti nello stretto ch’è mestieri attraversare. Pieni ne sono i gorghi e gli abissi marini: le loro masse enormi, poste in moto dall’inquietudine stata [p. 75 modifica] loro comunicata, sommergerebbero un grosso vascello; orrendo è il mare nel quale si dibattono.

«Per quanto agguerrite siano le naiadi a vederne i più mostruosi abitatori, benchè rassicurate dalla presenza dell’eroe, fatta per incoraggiare l’inesperienza e la medesima timidità; pure, colpite da quello spettacolo strano e nuovo per esse, hanno prontamente raggiunta la terra, e vengono sulla riva a circondare il cavaliere arabo, che rimane un istante assorto nei propri pensieri.

«L’eroe stava allora sulla punta d’uno scoglio scosceso; precipitasi colla testa innanzi nel mare, e trovasi investito da tutte le parti da pesci che lo incalzano, ma non l’offendono. Da per tutto ove giunge la scimitarra, uccide: i flutti sono in breve coperti di sangue; ma la lor folla aumenta in luogo di diradare; ne è sospinto da tutte le parti, essendo i mostri trattenuti da barriere che lor vietano di fuggire. Il guerriero copre l’oceano di cadaveri galleggianti e si affatica indarno, mentre le legioni squamose che gli sono intorno sembrano aumentare. Sorge un momento al di sopra delle reliquie dei moribondi che lo attorniano. — In nome di Salomone,» grida, «da qualunque forza siano questi pesci qui trattenuti, si ritirino ne’ mari più remoti di questa parte del globo. —

«Il comando è seguito dall’effetto più pronto: suscitasi nei marosi un movimento prodigioso, e la folla degli animali acquatici scompare. Il cavaliere trovasi a nuoto in un mare libero, sul quale si veggono galleggiare corpi privi di vita; chè tutti gli esseri viventi si sono allontanati. Le tre figlie del mare osservano dall’alto dello scoglio ciò che accade; Ilzaide vede l’onda tingersi a più riprese di sangue, ed ogni volta ha gettato un grido di spavento. Allorchè scorge innalzarsi sull’acqua il braccio e la sciabola, si rassicura. — Ecco laghi di sangue,» dice, «ma non è il suo.» [p. 76 modifica] Finalmente le sembra che il mare si abbonacci, e vede che l’eroe nuota, ma liberamente. «È desso!» esclama; ei tenta di passare lo stretto a nuoto! va ad annegarsi!» e slanciasi nell’onde. Invano le sorelle la richiamano, e finiscono col gittarsi dietro a lei; ma non sono le sole che la seguono. Due delfini, sciolti dalla zattera, ed usi a scherzarle intorno, sono a’ suoi fianchi; il loro istinto ve li attacca, ed i flutti tranquilli più non oppongono resistenza agli esercitati nuotatori.

«Ilzaide crede d’essere in breve a portata di prestar soccorso all’oggetto, la cui sorte le ispira tanta inquietudine; d’improvviso egli sprofonda e sparisce; immergesi anch’essa, e sta spettatrice d’una terribil pugna. Habib è alle prese con Abarikaf in persona, entrato nel corpo d’una balena, alla quale fa fare prodigiosi sforzi. Allorchè l’eroe vuol avvicinarsele, l’animale smisurato apre una gola immensa, e vomita un torrente d’acqua che lo respinge. Ricomparisce Habib sui flutti, vi s’immerge di nuovo, slanciasi sul dorso del mostro, e la sua scimitarra, alla quale nulla può oppor resistenza, penetra fra le coste sino nell’interno dell’enorme massa vivente che egli attacca. Dibattesi il colosso acquatico, copre di sangue e spuma il mare, e sprofonda negli abissi.

«L’eroe trovasi costretto a cercar respiro alla superficie del liquido elemento, sempre attento a seguir l’orma sanguinosa che spiccia dal mostro; ma cominciano a mancargli le forze, allorchè vede avvicinarsi Ilzaide. — Salite sopra un delfino, signor cavaliere,» gli dice; «v’arrischiate troppo. Come! voi, che siete un semplice mortale, potete arrischiarvi in alto mare, facendovi tutto ciò che vi fate?» Il cavaliere arabo riconosce la protezione del cielo in quell’inaspettato soccorso; segue i consigli d’Ilzaide, e tosto, col di lei aiuto, montato sul delfino, è in grado [p. 77 modifica] d’osservare con maggior agio le conseguenze dello spaventevole combattimento, del quale è uscito vincitore.

«Quando Abarikaf lo ha assalito, il ribelle era contornato da mostri simili a lui e d’altri più terribili ancora, soggetti ai geni vassalli, complici de’ suoi delitti; il suo pericolo li ha tutti allontanati. Ciechi di terrore, credono trovare la propria salvezza nella fuga, vogliono anzi abbandonare i corpi de’ pescispada, de’ lioni marini ne’ quali erano entrati per forza di magia, ma un incantesimo più potente ve li trattiene. Sono i capelli della regina delle isole Verde ed Azzurra, una parte de’ quali Habib avea gettati in mare in un momento d’impazienza. — Facciano questi capelli,» diss’egli, «tanti schiavi di Salomone, quanti con essi pretese di farne Nisabic per istabilire la propria potenza! —

«Il prestigio inerente ai capelli ottenne il suo effetto, e da quel punto, i geni erano rimasti prigioni nei corpi degli abitanti marini loro assoggettati da un incanto.

«La balena, entro cui trovasi Abarikaf, spossata per la perdita totale del sangue, ricomparisce alla superficie dell’acque come corpo inanimato, e vi galleggia qual un’isola. Il cavaliere arabo slanciasi dal suo delfino sul dorso del vinto nemico, e rende grazie a Colui che dà la vittoria. — Ebbi fiducia in lui,» sclamò, «e non ho temuto di sprofondarmi nei gorghi marini; ei mi tenne gli occhi aperti, e mi concesse la libertà delle mani. Attaccai uno smisurato mostro, ed egli fe’ scendere il ferro sino al cuore del mio nimico. Esauste le forze, mandò Ilzaide in mio soccorso: un fanciullo che viene da parte sua, vale egli solo una legione. —

«In tal momento, Ilzaide, incoraggiata dall’esempio del valoroso cavaliere, si slancia sul dorso del[p. 78 modifica]l’enorme cetaceo: la veggono le sorelle, sollecitanti a correre, accompagnate da sei altri delfini, e si confortano a seguirne l’esempio. Intanto la massa esangue che li porta, trascinata da una corrente, esce dal canale che bagna l’isola Nera e l’ha oltrepassata. Habib, ricevute con gratitudine e modestia le felicitazioni delle compagne delle sue avventure, domanda loro qual sia la terra che appare da lungi all’orizzonte. — È,» gli risponde la primogenita, «l’isola di Medinazilbalor, nella cui capitale alberga la nostra sovrana.» A tal notizia, Habib può appena raffrenare la gioia. — Che!» sclama; «ho dunque il bene di vedere quella terra desiderata! se vi potessi giungere conducendo il mostro che teniamo sotto a’ piedi, quanto alla regina riuscirebbe grato il vederlo! poichè non dubito che il ribelle Abarikaf non sìa incatenato nelle viscere di questa balena. — Lo potete,» dissero le tre sorelle; «sarà un fodero alquanto pesante, ma noi andremo a cogliere in fondo al mare, varie piante colle quali ne formeremo tirelle pei delfini.» Subito si gettano nelle onde e spariscono. La loro destrezza e vivacità fa che adempiano in un momento alle loro intenzioni; i delfini sono attaccati, il corpo della balena cessa dall’obbedire alla corrente, e prende la strada del maggior porto di Medinazilbalor.

«Udironsi allora uscire dal seno della balena gemiti simili al mugghiar dei flutti, allorchè s’ingolfano in qualche profonda cavità degli scogli; Abarikaf vede che va ad essere abbandonato alla vendetta di Dorrat Algoase, e presume che non sarà risparmiato.» [p. 79 modifica]

NOTTE CDLXXXII

— Intanto l’arrivo d’un’enorme massa galleggiante che incamminavasi verso l’isola di Medinazilbalor, colpì gli sguardi d’Ilbaracas, incaricato di vegliare continuamente agl’interessi di Dorrat Algoase in tutta l’estensione della terra e dei mari dell’isola Nera. Questo visir, cangiato per metamorfosi in uccello, tenevasi di stazione nella media regione dell’aria essendo l’inferiore, tutto intorno a Medinazilbalor, infestata da pattuglie de’ ribelli. Egli si è accorto di qualche movimento nel mare, e non ha potuto, dall’altezza cui poggia, indovinare ciò che lo produce. Vede d’improvviso staccarsene un punto, e galleggiare sull’acqua. Arrischia di scendere cautamente, e l’aria gli pare assolutamente libera; mettendosi in difesa contro le insidie, si avvicina di più alla terra; i nebbioni che coprivano le coste ed il mare sono calati tutti sopra l’isola Nera, sfasciandosi in guisa, che ne pare schiacciata.

«A poco a poco quel punto ch’ei seguiva cogli occhi, cresce in grandezza; pare come un’isoletta galleggiante capace di colmare il porto di Medinazilbalor, verso il quale suppone che le correnti la trascinino; nè quell’isola è deserta, sebbene sembri assolutamente nuda: parte dunque di volo precipitoso, e corre a recar avviso a Dorrat Algoase colla sua scoperta. — Regina,» le dice, «vi aveva avvertita di avere scorti movimenti straordinari sull’isola Nera e sul mare che da quella ne disgiunge; oggi, al sorger [p. 80 modifica] del sole, ho veduto sulle onde una certa agitazione, senza che fosse prodotta dai venti, e sembrava che i suoi movimenti si contrariassero. D’improvviso si è sollevata dal suo seno un’isola, la quale viene portata, non so come, su queste coste e verso il vostro porto cui può otturare, e sulla sua superficie ho distinto figure umane. D’altronde, Abarikaf ha fatto sguernire tutti i posti; pare che tutte le sue forze siansi concentrate sull’isola Nera, alla quale devono intercettare i raggi del sole. L’isola che s’inoltra può essere una specie di attacco impreveduto, il cui aspetto ha nulla di minaccioso; ma siccome può essere il prodotto di qualche incanto, la vostra prudenza nulla deve trascurare per prevenirne e vincerne l’effetto. —

«Dorrat Algoase fa avvertire i due altri suoi ministri e l’avo; in un attimo la costa è munita di tutti i guerrieri del paese. Alatros aduna intorno a sè i geni che gli sono rimasti soggetti, ond’essere in istato di respingere gli attacchi che tentar potesse di fare Abarikaf alla testa dei geni involti nella sua ribellione. Tutto è in moto in Mediuazilbalor per prepararsi alla più vigorosa difesa nel caso che la massa enorme inoltrantesi nascondesse nel suo seno numerosi battaglioni, per venirli a vomitare a un tratto sul lido.

«Habib, cogli occhi sempre fitti verso quella terra alla quale desidera sì ardentemente d’accostarsi, riconosce in breve, da quanto vede fare, la specie d’inquietudine che vi cagiona; entrando nella rada, il caso lo fa passare assai vicino ad un’isola coperta di banani; ne spicca una fronda, troncandola colla scimitarra, e la dà ad Ilzaide. — Itene a terra, mia bella fanciulla,» le dice; «presentatevi con questa palma in segno di pace, fatevi condurre dalla regina Dorrat Algoase, e ditele che un cavaliere arabo, a [p. 81 modifica] lei devoto per tutta, la vita, chiede il permesso di venirle a cadere a’ piedi. —

«Prende Ilzaide la fronda, e nuotando va a riuscire tra due acque sotto uno scoglio che stava all’ingresso del porto; colà si compone, e mostrasi a un tratto, col suo caduceo in mano, alle guardie della costa, pregandole di condurla dalla regina: ognun può argomentare del trasporlo di gioia dal quale fu colta Dorrat Algoase alla vista ed ai discorsi della vezzosa ambasciatrice. Però il suo primo ministro la trattiene, mentre vorrebbe volare alla spiaggia. — Madama,» le dice, «il vostro nemico è istruito che le stelle vi promettono il soccorso d’un cavaliere d’Arabia; può valersi di labbra ingenue per tendervi un laccio; molto straordinario sembra il bastimento che porta il vostro cavaliere; lasciatemi fare qualche interrogazione all’ambasciatrice che vi si manda... Giovane figlia del mare, poichè ben veggo che lo siete, sapreste voi dirci per qual mezzo il cavaliere che annunziate pretenda di qui arrivare? Sull’isola galleggiante ove si trova, non potrebbe approdare senza correr rischio d’otturare il porto. — Voi prendete dunque per isola una grossa balena,» disse Ilzaide, «ch’io lo vidi uccidere, e sulla quale noi siamo con lui salite, le due mie sorelle ed io? Egli dice che questo enorme mostro era il maggior nemico della regina, e che glielo vuol presentare. — E voi da questo fatto non riconoscete Habib?» sclamò vivamente la regina. — Non ancora, madama,» rispose il ministro; «Abarikaf può venire ad impossessarsi del vostro porto sotto la forma d’una balena, o darvi leggi sotto la propria. — Abarikaf!» riprese subito Ilzaide; «ei ne ha fatto immensi mali co’ suoi; ma credo che non ce ne possa far più; suppongo sia egli quello che si ode lamentarsi nel ventre della balena; almeno l’eroe lo dice. — E chi è questo eroe, mia bella [p. 82 modifica] giovanotta?» ripresa il visir. — Fu egli,» tornò à dire ancor più vivamente Ilzaide, «che uccise quel cane di Racascik, il suo figlio tigre ed un gran gigante tutto di ferro; che liberò la dama dai bei capelli, che distrusse tutti i mostri che formano la nostra disgrazia: ei fa tutto in nome della nostra regina Dorrat Algoase: le mie sorelle dicono che è un eroe io non so cosa sia un eroe, ma se lo amaste al par di me, correreste subito a vederlo.—

«Godeva Dorrat Algoase, ad onta della sua impazienza, d’udire gli elogi ingenui tributati all’idolo del suo cuore: poi, voltasi ad Ilbaracas: — Spiccate il volo,» gli disse; «voi conoscete Habib: andatelo a trovare, presentatevi a lui sotto la vostra forma naturale, e fatelo portar qui da due de’ vostri geni; farete poi dare in secco la balena sulla sabbia.— Le mie sorelle, madama,» uscì a dire Ilzaide, «bisogna che le facciate venire anch’esse; sono sempre state coll’eroe, nè vorranno lasciarlo. — Sì, mia amabile ragazza,» disse la regina; «riceveremo qui le vostre sorelle come voi, e vi colmeremo di carezze. —

«Ilbaracas parte: quel vecchio ministro si acqueta allorchè vede che la gentile ambasciatrice rimane in ostaggio; la verità dell’esposizione da lei fatta non sembra quasi più dubbiosa. Giunge Alatros. — Sì, è il vostro cavaliere arabo che siamo per ricevere, figliuola mia; me ne assicurai testè, e venni avvertito ch’egli ha ricollocate sul vostro capo tutte le corone che n’erano state tolte.» La bella regina prova trasporti di allegrezza che la traggono fuor di sè; comanda al visir, prega l’avolo di dare tutti gli ordini perchè il suo vendicatore, l’eroe, l’amante suo, il suo sposo, sia trionfalmente ricevuto, e si fa riferire dall’ingenua Ilzaide circostanze che la empiono di tenerezza.

«Ilbaracas ha raggiunto l’eroe, e gli propone di [p. 83 modifica] farlo sul momento trasportare al palazzo della regina. — Debbo ancora,» risponde Habib, «il momento presente a’ suoi interessi. Voi dovete far arenare la balena; è d’uopo ch’io sia presente; ho mancato di prudenza una volta, e ciò mi serve di lezione per l’avvenire. Sospetto che il crudele nimico della vostra regina viva ancora nelle viscere del mostro suscitato contro di me. Devo accertarmene, per condurmi a suo riguardo come uno strumento di Salomone, contro del quale osò ribellarsi, ed assicurare alla vostra sovrana il riposo.» Ilbaracas fa trascinare la balena verso un sito della spiaggia dov’era facile, moltiplicando gli sforzi, di tirarla a terra; quindi Habib, avvicinandosele, ed alzando la voce: — Vile nemico di Dio!» dice, parlando al mostro; «colpevole verso di lui e de’ suoi profeti, rinnegato alla legge alla quale ti eri sottomesso, sei tu racchiuso in questo involucro? —

«S’udì uno spaventoso scricchiolar di denti che parve uscire dal ventre dell’animale. — Parla,» disse Habib insistendo, «o ti abbandono ai più crudeli supplizi.» Allora si sentì uscire dalla gola del mostro un doloroso e gemebondo.

«Il cavaliere si trae allora dal seno l’involto de’ capelli che gli rimanevano, e dice: — Finiscano qui di aver compimento contro d’essi medesimi i divisamenti degl’insensati; questi capelli divengano nodi di ferro che ti privino d’ogni moto; sii tu con tutti i tuoi abbandonato ai ministri di Salomone, e precipitato in fondo alle caverne del Caucaso.» Ciò dicendo, Habib legava coi capelli le pinne della balena, e l’enorme massa parve fare uno sforzo come per sollevarsi; ma non fu replicato, e la chioma della dama dai bei capelli, adoprata senza dubbio altrove, sparve in un istante. — La mia regina è sicura,» disse Habib ad Ilbaracas; «posso ora lasciarmi andare al contento di vederla, e vi prego di condurmi a lei.» [p. 84 modifica]

NOTTE CDLXXXIII

— Mentre il cavaliere arabo occupavàsi ad assicurare la tranquillità di Dorrai Algoase, si facevano tutti i preparativi nella reggia e nella città di Medinazilbalor per accogliervi in trionfo il vittorioso liberatore, il vendicatore che dovea fra poco esserne il sovrano. La vezzosa regina ingannava la tenera sua impazienza facendosi ripetere da Ilzaide le gesta delle quali era stata spettatrice, e sino al menomo discorso che la giovanotta aveva potuto ritenere in mente del suo caro cavaliere.

«Venuta la notte, Habib, col favore di superbissime illuminazioni, giunse all’appartamento dov’era aspettato. Giammai passione, che fosse opra dei destini, non era entrata in cuori sì ben accoppiati. Mai tante bellezze e doti esteriori non eransi trovate riunite a tanto merito, a tante virtù. Habib era estatico dell’eccesso della sua felicità, e Dorrai Algoase sclamò: — Ed io, non posso darvi, mio caro Habib, altro che il mio cuore, la corona e la mano! qual tenue guiderdone a tanti servigi! qual premio a tante fatiche, a sì eroiche virtù! — «La stessa sera del loro colloquio, si celebrò la cerimonia che assicurar ne doveva l’unione. La stessa notte li vide amanti e sposi felici, ed alla domane il sole illuminò, coi trasporti della loro felicità, quelli della gioia di tutta l’isola di Medinaz. Ma la felicità di Habib non gli facea perder di vista le obbligazioni [p. 85 modifica] contratte. Il principe Daliska, sposo della dama dai bei capelli, doveva languire ancora nelle prigioni dell’isola Nera, e quella misera contrada, se non era più intestata dal delitti e dalla presenza di Abarikaf, esser doveva in balia di gravissimo disordine. Egli ha data la sua parola alla dama dal bei capelli di liberarne lo sposo, ed è il pacificatore di tutti gli stati di Dorrat Algoase; non impiegherà altri mezzi fuor di quelli che gli pose in mano la sorte per intraprendere e proseguire la sua avventura. Le tre figlie del mare trovansi presso Dorrat Algoase, che le colma di benefizi; egli si volge alla maggiore: — Abbiamo qui,» le dice, «alcuni bastimenti che potrei far mettere in mare per trasferirmi nell’isola Nera; ma preferisco la vostra invenzione che ne ha sì felicemente serviti. Procurate, o signora, di trovare il nostro fodero, se pur non vi sii più agevole di accomodarne un altro; non avrò quiete se non abbia asciugate le lagrime della dama dai bei capelli, e rimediato ai disordini che turbar possono il riposo del resto de’ miei sudditi nell’isola Nera.» Le tre sorelle ricevettero con grande allegrezza la proposizione, vedendosi così associate alla gloria di Habib, Ilzaide stava alquanto seria dacchè aveva veduto il matrimonio dell’eroe; ma siccome l’affetto che gli portava era verace, lo amava ancora con tutto il cuore, benchè vedesse che apparteneva ad un’altra, colla quale non poteva contrastare.

«Habib chiama la bella regina al consiglio che tiene colle amabili sue compagne d’avventura; è deciso che si metterà in via appena la zattera sarà all’ordine; ma Dorrat Algoase proponesi di aleggiare, sur un roc addomesticato che le obbediva, sopra l’imbarcazione per invigilarne il cammino, avvertire i pericoli, se mai ve ne fossero, e farsi accompagnare da Ilbaracas, quello de' geni ch’erale più [p. 86 modifica] affezionato, e ch’ella più amava. Alla domane, il fodero era pronto, ed Habib in mare prima del sole. I delfini attaccati parea che raddoppiassero di forza e celerità, e già si scopre tutta la costa dell’isola Nera. Ilbaracas nota con compiacenza, e le fa osservare a Dorrat Algoase, che le coste sono intieramente sgombre di quella cortina di neri vapori che i giorni precedenti ne rendevano orrido l’aspetto.

«Il giovane approda colla massima facilità, e vede alcuni abitanti, sfigurati per magrezza, che girano per la spiaggia. Li chiama, e domanda loro nuove del tiranno Abarikaf. — È stato vinto,» rispondono; «almeno lo supponiamo dalle orribili grida che misero tutti i suoi. Ier l’altro fummo costretti a fuggire nelle montagne. D’improvviso i più orrendi mostri marini coprirono tulle le nostre coste. Nel furore ond’erano agitati, pugnavano fra loro, lacerandosi gli uni cogli altri, e la spiaggia è ancora coperta del sangue che hanno fatto scorrere. Noi altri, miseri schiavi, e da sì lungo tempo, di codesti mostri, abbiam cercato di sottrarci alla loro furia ed all’abbominevole spettacolo. I ruggiti, gli urli loro, ripetuti, dall’eco che ne circonda, rimbombano ancora nelle nostre orecchie, continuando a spaventarci, quando di repente credemmo vedere come la luce d’alcuni lampi, ed il fracasso cessò. Passammo la notte in un continuo stato d’inquietudine e di terrore; ma stamane non abbiamo più veduto se non il vapore infetto prodotto dal sangue sparso da tanti mostri. Fortunatamente, l’ardore del sole l’ha assorbito, i venti lo dissiparono; altrimenti questo soggiorno sarebbe inabitabile. —

«Intanto che Habib conversava cogli abitanti, il roc, a certa altezza, aleggiava sopra l’isola, ed i suoi sventurati abitanti, spaventati da tanti prodigi, volgevano su quell’oggetto gli occhi con inquietudine. Ma [p. 87 modifica] il cavaliere li rassicura. — Qui nulla vedete che vi sia nemico,» dice loro; «io sono lo sposo di Dorrat Algoase, vostra regina, ed il vostro sovrano. L’oggetto che vedete in aria, è un roc, sul dorso del quale sta la mia sposa, che viene con me per darvi quei soccorsi de’ quali abbisognate, ed a ristabilire l’ordine e la pace tra voi. Ma dov’è il palazzo abitato da Abarikaf?.

«— Sire,» quelli rispondono, «ci trovate a tal proposito assai sbalorditi. Era in questo luogo, e più non ne scorgiamo nemmen le ruine. Tutto n’era fantastico come le forme ch’egli ogni giorno prendeva; poichè in terra faceasi talvolta mastino di grossezza spaventosa, era nell’aria un uccello enorme, in acqua una balena. — Aveva vari prigionieri,» proseguì Habib; «che avvenne di loro? — Sire,» risposero gli abitanti, «se sono qui in qualche luogo, debbono essere molto languenti, chè il tiranno impediva loro di morire, ma non li faceva vivere. — Conoscete il principe Daliska? — Ne abbiamo udito parlare, o sire. Ei lo caricò di ferri a motivo dei capelli di sua moglie, de’ quali il tiranno ed i suoi voleano rendersi padroni. Il principe non ha mai acconsentito a cederli. — Andate,» disse Habib, «scorrete per ogni dove. Darò larga ricompensa a chi mi farà trovare quel principe sventurato. —

«Gli abitanti obbedirono, e trovarono Daliska steso sull’erba, vicino al sito dove esistevano le prigioni fabbricate da Abarikaf per incantesimo nei contorni del suo palazzo: formata immantinenti una barella, portano ad Habib il principe estenuato e quasi moribondo. Le figlie del mare sollecitatisi intorno a quel commovente oggetto di compassione. Dorrat Algoase osserva il movimento che ne risulta: curiosa di saperne la cagione, rassicurata dalla presenza dell’eroico sposo contro ogni specie di timore, fa discendere il [p. 88 modifica] roc, e viene a porsi accanto al gruppo, la cui attività l’interessa. Tosto unisce le sue alle cure delle tre sorelle. Possenti elisiri hanno reso allo sposo della dama da’ bei capelli forze sufficienti perchè possa alzarsi, moversi, parlare e render grazie dei soccorsi ricevuti. Gli si palesa la liberazione della consorte e de’ sudditi, conosce d’esserne debitore al cavaliere che gli sta dinanzi, al marito della sua parente, ed a tutti dimostra i trasporti della sua gratitudine ed il contento che prova al vederli, come pure l’impazienza sua d’andar a gettarsi nelle braccia della consorte.

«Bisogna che Dorrai Algoase ed Habib provveggano al governo dell’isola, ed è questa una cura che risguarda Ilbaracas. Ma si presenta un’occasione di ricompensare i servigi delle figlie dei mare, ed il cavaliere arabo ne approfitta, dando la maggiore in isposa al nuovo vicerè. Applaudisce Ilzaide senza invidia alla fortuna della sorella, nè concepisce come si possa desiderare di maritarsi se non con un eroe.

«L’isola, durante la signoria dei geni ribelli, venne devastata; concertansi i suoi sovrani col nuovo capo che le fu dato, onde ricondurre i popoli alla fiducia ed alla felicità; e Dorrai Algoase, dopo tali precauzioni, si decide, visitando le isole sottoposte al suo dominio, a ricondurre in persona il principe Daliska nell’isola Verde, passando per l’Azzurra, affinchè possa, andando a raggiungere la sposa, concertar i mezzi di ristabilire le comunicazioni per acqua tra le due isole sottoposte al suo impero. Subito l’indomani Habib e due delle sorelle sono in mare colla zattera. In aria è il roc; Daliska, un po’ rimesso dai lunghi patimenti, tien compagnia alla regina, e la celerità presiede ad un tragitto che favoriscono le calme solite in quella stagióne.

«I due sovrani ed il principe tributario trovano i popoli dell’isola Azzurra occupati a rialzare le loro [p. 89 modifica] abitazioni, impazienti di rimettersi dai torbidi che ne hanno sconvolta la prosperità, sotto lo scudo delle sagge leggi che li governavano prima della ribellione. Una barca di pescatori, la sola che fosse nell’isola Verde, è stata loro spedita dalla dama dai bei capelli, coll’assicurazione che dividerebbe con essi i tesori trovati nel castello d’acciaio del tiranno, appena potesse far mettere in mare un bastimento che stavasi costruendo. Daliska riconosce la saggezza previdente della sua sposa. Habib e Dorrai Algoase vi applaudiscono, e tutti si decidono a passare sull’istante all’isola Verde. Le lagrime della dama dai bei capelli stanno per essere asciugate; essa è per rivedere il consorte sì crudelmente a lei rapito. Le due vezzose cugine, abbracciandosi, versano lagrime di tenerezza, e fanno partecipare il prode loro liberatore al sentimento che le anima. Bisogna fare il viaggio dell’isola Bianca e della Gialla. Le due parenti non si separeranno più, ed è probabile che questo sarà il termine della loro gita.

«Quando i viaggiatori sono nell’isola Bianca, Dorrai Algoase, che faceva incessantemente ripetere ad Habib tutte le particolarità delle sue avventure e fatiche, vede la cima del Caucaso che perdesi nelle nubi. - Che!» sclama; «là dunque abita il nostro Alabus! Ah! voi non dovevate condurmi sì lontano, se, scoprendo la dimora del miglior nostro amico, io deggio tornarmene senza pagare un tributo di gratitudine a tanti servigi ch’egli ci ha prestati. Lasciate alle figlie del mare il vostro fodero, salite con noi sul roc, e per variare i nostri piaceri, andiamo a gustare le dolcezze dell’amicizia.» [p. 90 modifica]

NOTTE CDLXXXIV

— Questo desiderio della bella regina secondava i voti più ardenti del suo sposo, ed il viaggio s’intraprende. A misura che il roc si avvicina alla scoscesa ripa che limita il mare dal lato del Caucaso, Habib fa notare alla regina il sito in cui, all’uscire dalle caverne, ei fu soccorso dalle figlie del mare; fremette la tenera donzella all’idea che quell’orribile soggiorno le fa nascere sulla situazione del suo amante. Quando furono più in alto del Caucaso, ei le fece osservare una parte dei deserti da lui traversati. — Son lieto,» diceva, «che la mia sposa vegga a qual prezzo ottenni la mia felicità. Essa è così grande, che mi fe’ dimenticare le pene che m’è costata. —

«Intanto l’aerea vettura supera la vetta del Caucaso; il roc, che la porta, cala il volo, e viene a discendere all’ingresso della caverna di Alabus. Quel buon genio era già stato avvertito distinguersi nell’aria un oggetto che pareva venire alla sua volta; poichè, a chi altri, fuor di lui, potevasi fare una visita in un sito inaccessibile alla specie umana, e per lei inabitabile? Trovavasi egli presso alla rupe che ne nascondeva l’ingresso. Secondo l’uso, profumava l’aria con una cassettina, il cui vapore era incantato, per farle perdere l’estremo suo rigore in quei climi sempre agghiacciati. Egli ha tosto saputo da uno de’ suoi messaggeri che Habib e Dorrai Algoase sono gli ospiti cui sta per ricevere, e così è istruito della riunione de’ due amanti. Va incontro alla regina, l’aiuta [p. 91 modifica] scendere dal roc, stringe teneramente la mano ad Habib, dimostra al principe Daliska ed alla sua consorte il contento che prova di rivederli, e li fa entrare nell’interno dell’abitazione, e sedere ad una mensa già per loro imbandita.

«Il roc, nato sul Caucaso istesso, non si trova straniero nel sito dov’è. In breve Alabus ha udito gli avvenimenti più importanti della felice spedizione del giovane suo allievo contro gli spiriti ribelli. Già ne sapeva la massima parte, poichè da qualche tempo le porte delle caverne, situate, dalla parte del mare, non avevano cessato di aprirsi onde ricevere i prigionieri mandati in nome di Habib. Il reo Abarikaf e tutti i capi sollevati erano del numero. Allorchè ebbe udito dagli ospiti quanto gl’interessava di sapere, e ch’ebbe goduto seco loro delle dolcezze dell’amicizia e della reciproca confidenza; dopo aver condotto Dorrat Algoase e la dama dai bei capelli in un luogo appositamente disposto per riceverle, presi in disparte Habib e Daliska, così volse al primo la parola: — Mio caro allievo, poichè d’or innanzi mi onorerò del nome di vostro aio, voi avete sin qui adempiuto ai vostri nobili e gloriosi destini: più non vi resta che soddisfare ai sentimenti ed ai doveri della natura. C’è una parte della vostra storia assai dolorosa, che pur bisogna palesarvi.» Habib mostra maraviglia ed inquietudine. «Continuate,» soggiunse il genio, «a dimostrarvi degno di Dorrat Algoase, del gran Selama vostro padre, delle grazie del cielo e della protezione particolare del profeta Salomone; armate il vostro animo di nuovo coraggio, e fortificatelo contro l’eccesso della sensibilità. Non v’ha se non chi sopporta coraggiosamente i mali, che possa affrontarli e superarli.—

«Dopo tale preambolo, Alabus istruì l’allievo del rapporto fatto dai venti cavalieri al loro ritorno a [p. 92 modifica] Selama; della disperazione di questo tenero e virtuoso padre, udendo la morte del figliuolo, unico oggetto del suo attaccamento alla vita. Così intenso era stato il dolore di quel principe, che i suoi occhi eransi cangiati in due ruscelli di lagrime, la cui acredine avevagli fatto perdere la vista. Divenuto per tal privazione incapace d’imporre, come al solito, colla sua capacità, attività, le proprie forze ed il coraggio, una tribù, da lui anticamente domata coll’armi, aveva alzato lo stendardo della ribellione, altre trascinandone nella sua rivolta. I fedeli avevano già perdute parecchie battaglie, e se non erano prontamente soccorsi, vedevansi in pericolo di cadere in mano dei nemici.

«A quel racconto di Alabus, suscitossi una rivoluzione nell’animo di Habib, ove le più violenti, come le più nobili passioni dominavano; ma era stato preventivamente contro di esse premunito. — Datemi consiglio, mio caro genio tutelare, e vedrete ch’io conosco soltanto il mio dovere. — Eccolo,» risponde Alabus. «Avete mezzi di viaggiare: partite sull’istante per l’Arabia. La vista di vostro padre è assolutamente oscurata; ma gli occhi non sono accecati affatto. Il rimedio che li risanerà dev’essere applicato dalla mano che fu cagione del male, quella di Dorrat Algoase. Il secreto ne esiste nei tesori di Salomone, e voi siete quello che deve andarlo a cercare. L’ingresso in essi non presenta più pericoli, nè difficoltà per voi. Ne avete la chiave sulla lingua. È la parola scritta sul talismano; d’altronde, l’artigiano del profeta ha ogni privilegio appo di lui.

«— Ma,» disse Habib, «se parto colla mia sposa, che sarà di Daliska e della sua? Ci potranno essi seguire se sono tanto necessari ne’ loro stati? E chi calmerà ne’ miei l’inquietudine che vi potrà cagionare la nostra assenza? — Quando procedevate sì [p. 93 modifica] faticosamente verso il Caucaso, mio caro Habib, come andai io in vostro soccorso? I mezzi medesimi a me rimangono per far ricondurre all’isola Verde la dama dai bei capelli col suo sposo. Lo stesso schiavo del profeta che li ricondurrà sul roc, darà vostre notizie all’avo ed ai visiri, e voi prenderete tranquillamente la via dell’Arabia. Io non posso là accompagnarvi; i miei doveri qui mi trattengono, tanto più che le mie occupazioni si sono più che raddoppiate dopo le vostre imprese. Mi riescì anzi impossibile di calmare le inquietudini del virtuoso padre vostro e dargli nuova di voi.

«Poichè vi contentate,» continuò Alabus, «di lasciarvi condurre da’ miei consigli, non andrete a discendere nelle terre di vostro padre. Condurrete la vostra sposa nel piccolo asilo della montagna ove talvolta andavamo nelle nostre gite. Siccome nulla v’ha che attirar possa la cupidigia, venne rispettato nelle turbolenze eccitate dalla ribellione. I mobili che Dorrai Algoase porta seco nel padiglione, vi basteranno pe’ suoi comodi, nè inquietatevi del modo in cui la nipote d’un genio possa vivere in un sito dove avvi pesce, selvaggiume e frutti. Voi sarete costretto,» aggiunse il genio, «entrando nel tempio di Salomone di ricollocare nel trofeo la scimitarra della quale foste autorizzato a valervi contro i suoi nemici. Non è quella una spada comune di battaglia, e voi non vorrete prendere sui vostri altri vantaggi fuor di quelli che dar possono la celerità, l’esperienza e la forza acquistate colle fatiche e col coraggio. Ma non per questo giungerete alle vostre tende disarmato; v’ha apparenza che dobbiate combattere, ed io vi darò due armature compiute all’uso de’ Parti, simili a quella ch’io indossava quando mi presentai alle barriere del vostro campo: vi saranno uniti i fornimenti e le gualdrappe dei cavalli, e ne farete l’uso che vi suggerirà la vostra prudenza. [p. 94 modifica]

«— Caro Alabus,» disse Habib, «ho il cuore tutto commosso. Non vivrò che al momento in cui potrò soccorrere mio padre: apritemi una volta ancora la porta che condur mi deve al talismano che renderà la vista al caro autore de’ miei giorni. Il ritardo d’un istante m’è un peso enorme sul cuore, e non dubito che la mia cara Dorrat Algoase non partecipi alla mia premura. —

«La vezzosa regina non poteva senza dubbio non a essere dispostissima ad entrare nei sentimenti di uno sposo di cui divideva gli affetti; e subito si fanno i preparativi del viaggio.

«Habib è sceso nella caverna dove giacciono le armi di Salomone. Niuno si è presentato a contrastargliene l’ingresso. Quando si accosta al trofeo per attaccarvi la scimitarra, scorge sulla visiera dell’elmo due opali, piatti, legati assieme con un filo d’oro, della larghezza d’occhi umani. Brillavano d’abbagliante splendore. Li riconosce pel talismano indicatogli, li prende, e si ritira, dolente di non restare più a lungo in un luogo dal quale ricavar potrebbe tanta istruzione; ma il sentimento dell’amor filiale estingue in lui ogni altra passione. Più non pensa che a veder partire Daliska e la consorte, onde poter immantinenti volare laddove lo chiamano la sua terezza ed il dovere. Ma un’altra cosa lo occupa: ha lasciate nell’isola Bianca le figlie del mare. Interessa quindi i consorti a fermarvisi per ricondurle con loro.

«L’aurora del dì seguente vede i due roc sollevarsi nell’aria e prendere opposte vie. Verso la notte del terzo giorno, i figliuoli di Selama possono scoprirne le tende, e l’uccello che li porta, va a posarsi vicino alla palizzata che chiude l’ingresso dell’asilo abitato già da Habib e da Alabus. La felice coppia vi penetra. Il genio conduttore del roc sbarazza l’animale del suo fardello, e lo abbandona [p. 95 modifica] all’istinto che gli farà trovare il pascolo. Habib e Dorrat Algoaso si accomodano per aspettare il sorger del sole, ed appena spuntata l’alba, egli si mette in grado di approfittarne.

«Bisogna che Habib penetri sconosciuto nelle tende del padre, chè gli risparmi, del pari che alla madre, il pericolo d’una ricognizione troppo subitanea: in un attimo prepara il travestimento. Il caso gli fa trovare fra gli antichi suoi mobili un paio di vecchie pappucce che avevangli servito per lavorare, ed ecco la di lui calzatura. Si copre le spalle con una pelle di camoscio, se ne affibbia un’altra intorno alta cintola, ed ecco il suo vestimento. S’imbratta quindi il collo ed il volto con certa terra giallognola, che ne fa scomparire il colorito; si scompone barba e capelli, e col pugnale nella cintura ed un bastone in mano, passa inosservato le barriere, e giunge alla porta delle tende, sotto le quali abitavano le schiave della madre. Colà, trovata una pietra larga e comoda, siede come per riposare, e finge anzi di dormire. Parecchie schiave gli passano davanti, ma non vede quella che deve mettere a parte della sua confidenza. Finalmente costei si presenta; ei la chiama nome, essendo stata sua balia.— Eseca! — Tu mi conosci, quel giovane?» dice la buona vecchia. — Sì,» risponde Habib, «e se volete venire con me dietro quel grosso albero, vi darò una nuova che farà gran piacere ai vostri padroni! —

«La schiava va dietro all’albero. — Vediamo,» gli dice, «discorriamo; che cosa mi vuoi dire? — Mi promettete, se quanto sono per dirvi vi recasse troppo piacere, di non gridare, nè far il minimo rumore?

— Oh vedi ammaliatore!» soggiunge la vecchia; «credi dunque d’avere la lingua dorata? Ciò non pare dal tuo mantello, nè da’ tuoi calzari: hai tu fatto gridare molte donne sol parlando? — No, mia cara. Se non vi ponete mente, voi sarete la [p. 96 modifica] prima. — Ma,» tornò a dire la vecchia, «guardate il vagabondo che mi chiama sua cara, e non mi dispiace? Finirai di recarmi questo gran piacere, ch’io mi stanco d’attendere? — Voi amate certamente il povero Habib! — E tu vieni forse qui per farmi piangere? — Per lo contrario, se l’amate, consolatevi; ei non è morto. —

«Ciò dicendo, la teneva per le mani, e le impediva di gridare. — Taci, taci, mia cara!» diceva «egli; «io sono Habib. Ti farò vedere il segno che tengo sul collo, quello che ho sul petto, e ti canterò la canzoncina fatta per te. — Come! come!» disse la buona vecchia, scossa al suono di quella voce; ed Habib le chiude colle mani la bocca. — Zitto, farai morire mia madre di sorpresa: vengo per riscattare mio padre dalle mani de’ suoi nemici, e tu sarai origine di mandar a vuoto il colpo, se sanno che mi trovo qui. Taci, taci, frenati, in nome di Dio, mia cara! Indicami una tenda dove nascondermi. Se non posso entrare per la porta, m’introdurrò sotto alla parete, e t’insegnerò come fare acciò la nuova del mio ritorno, che sarà data da te, non possa produrre sensazione alcuna, e rimanga segreta tra noi quattro: ciò è importante alla sicurezza di quanti siamo. —

«La buona schiava, rimasta come soffocata, non può più parlare pel pianto; niuno è nella sua tenda, e vi conduce il caro allievo: colà Habib, datale una lezione intorno al modo che deve tenere per avvertir la madre, cerca di nascondersi in modo di non poter essere scoperto, e la buona governante va a spiare il momento di poter parlare ad Alaschraf (così chiamavasi la genitrice di Habib), che quasi mai non lasciava Selama.

«Il giovane rimane solo, e riflette dolorosamente, paragonando lo stato formidabile nel quale una [p. 97 modifica] volta il campo di suo padre, e quello in cui ora lo trova, diminuito di tre quarti. Non sono più semplici barriere che lo cingono, ma palizzate trincerate. E se, in quello da lui attraversato, vi sembrano occupati in preparativi militari, è per una guerra visibilmente difensiva.

«È impossibile immaginar l’impazienza dell’eroe di abbracciare e consolare i genitori, di poter rendere la vista al rispettabile autore de’ suoi giorni, e vedersi alle mani cogl’ingrati e vili che abusarono dell’infermità del loro capo per ribellarsi, e minacciarne persino la libertà: fortunatamente, onde abbreviare queste affliggenti riflessioni, deve tornare la buona governante. Il sonno ha per qualche tempo chiuse le palpebre dell’emiro, ed Alaschraf rientra nella propria tenda per ristorarsi e riposare. La segue la balia, e si chiude seco nella stanza. — Madama,» le dice, «voi avete molta fiducia ne’ miei sogni. È gran tempo che non ne feci se non di tristi, e per isventura furono sempre veri; ma quello che debbo raccontarvi mi empì di consolazione e speranza. I venti cavalieri che avevano accompagnato il nostro figlio nel deserto, sono tanti vili e mentitori. Il nostro caro Habib non è morto, ma sta benissimo. Ho baciato i segni che porta sul petto e sul braccio. — E quando pur aveste baciati questi segni in sogno,» disse la principessa, «può ciò fare che mentitori siano i cavalieri, e nostro figlio vivo? — Ah, madama!» rispose la vecchia; «io lo strinsi, ed egli m’ha stretta vivamente al cuore che batteva con violenza. Non era certo il cuore d’un morto, o madama, ed io ve ne assicuro.... — Ma dove, e quando faceste questo sogno? — Testè, madama; ma bevete questa tazza d’acqua fresca, e vi dirò di più.» Alaschraf ebbe la compiacenza di bere. «Buono,» continuò a dire, la vecchia, «adesso non arrischio nulla a parlarvi più [p. 98 modifica] chiaro. Sappiate contenervi, o madama, per non morir d’allegrezza. Non ho sognato: ho veduto e teneramente abbracciato il nostro vero Habib in persona. È giunto qui, a quello che solea chiamare il suo casino di campagna; è entrato nel campo travestito da accattone, col volto impiastricciato di terra. Ei non vuol farsi conoscete da alcuno se non da suo padre e da noi. Dice ciò essere importantissimo pel bene degli affari del suo genitore, e voi sapete quanto saggio è il nostro Habib. Bisogna fare quello ch’ei dice. —

«Ad onta della precauzione del bicchier d’acqua, la principessa svenne. Allora la balia le fece fiutare alcune essenze. — Rimettetevi,» le disse, «o madama; una grande ventura sta per ricompensare tutte le nostre pene; il mio Habib mel disse: stasera guarderete il cielo, e non ci vedrete una sola stella che non brilli per noi. — Ma dov’è?» sclamò Alaschraf riavuta alquanto. — Nella mia tenda, dietro quella gran cesta di giunchi, giunta non ha molto piena di stoffe di Sciraz. Fatevi coraggio, ricuperate le vostre forze, madama, e venitelo a vedere dove si trova. Noi ci chiuderemo in camera con lui, gl’inanelleremo i capelli, gli laveremo il volto, e m’inganno a partito, o lo baceremo più bello che mai. —

«La donna si prova a recarsi alla tenda della buona governante. Colà, prese varie precauzioni per non poter essere sturbate, nè sorprese, rimovono la cesta, ed Habib cade a’ piedi della madre ch’erasi gettata sul letto della balia; allora bisogna ricorrere nuovamente alle essenze per trarre madre e figlio da uno svenimento comune.

«Finalmente ambedue rinvengono nelle braccia l’un dell’altra. — Ah! qual grazia del cielo ti restituisce a noi, mio caro Habib?» dice Alaschraf. — Quella a me dalle stelle promessa, o madama: vi vedete davanti il felice sposo di Dorrat Algoase, il re de’ sette [p. 99 modifica] mari, lo strumento, benchè indegno, del gran Salomone, il vincitore de’ nemici di Dio e de’ suoi profeti, ma che piangerebbe su tutta questa fortuna, se non conducesse seco il medico che deve sul momento rendere la vista al padre. — Rendere la vista al mio caro Selama!» sclamò la donna. — Sì, madama,» rispose Habib, «ed il medico è la mia medesima sposa, dai decreti del cielo incaricata di operare immancabilmente questo prodigio. — La vostra sposa!» ripigliò di nuovo Alaschraf; «e dov’è dessa? — Nella capanna del mio giardino, dove aspetta un abito da Araba. Fatene portar due, per lei e per me, sotto ai quali ella possa mascherare il suo sesso, ed io evitare d’esser riconosciuto. Si tratta, madama, d’introdurre, sotto gli occhi di tutto il campo, presso mio padre, un medico arabo ed il suo schiavo: incaricate quello fra tutti gli scudieri dell’emiro, nella cui discrezione abbiate maggior fiducia, di seguirmi con tre muli sino al mio piccolo ritiro, ove mi reco immediatamente; abbia esso cura di dar gli opportuni ordini alle barriere, affinchè siano al ritorno aperte. Annunzierete ai vostri schiavi che mandaste a prendere un medico, al quale bisogna allestire una tenda per la notte. Noi giungeremo al tramonto del sole, e voi non ci darete per servirci che la sola nostra vecchia balia. Intanto, madre mia, andate a preparare mio padre con qualche favola che ne faccia rinascere le speranze a mio riguardo. Ispirategli fiducia per un uomo dotto che non domanda se non di vedere i suoi occhi ed accostarvi leggermente le dita, e lusingasi di restituirgli immantinenti la vista. Quanto a me, non mi farò conoscere se non dopo l’operazione.» [p. 100 modifica]

NOTTE CDLXXXV

— Si mettono ad effetto i suggerimenti di Habib, ed egli subito si avvia al suo ritiro, precedendo, senza parlare, lo scudiere del padre. Avvicinatisi alle palizzate, ei lo chiama per nome, e rimasto lo scudiero colpito dal suono della sua voce: — Rinvieni dal tuo stupore,» gli dice, «ho parlato colla voce di Habib, essendo Habib in persona; vedrai nel luogo nel quale sei per entrare, qualche cosa che potrà aumentare la tua maraviglia; è la regina mia sposa: preparati a far tutto ciò che ti comanderemo pel servigio del tuo emiro, mio padre. —

«Lo scudiero credeva di dormire, ma il lavoro del quale viene incaricato ben lo persuade in breve di non essere in braccio alle illusioni d’un sogno. Habib gli fa mettere sulla schiena de’ due muli le armature ed i fornimenti dei cavalli, datigli da Alabus. Egli e Dorrai Algoase si travestono, ed il giovane medico monta sul miglior mulo. Il suo schiavo conduce a piedi una delle bestie cariche; lo scudiero è il condottiero dell’altra. Copronsi le armature con pelli di lioni e di tigri che servivano di arredi nella capanna, e la piccola brigata, al cader della notte, presentasi, e viene ammessa entro le barriere del campo.

«Nel frattempo, Alaschraf e la governante trovatisi intorno a Selama, che si è svegliato, e gli favellano con accento men tristo del solito. Il buon emiro ne pare soddisfatto. [p. 101 modifica]

«— Il cielo mi ha umiliato,» dic’egli; «mi era troppo insuperbito de’ suoi benefizi, ed ei me li ha tolti affinchè conoscessi il mio nulla; lo benedico, o mia cara moglie, se vi veggo al par di me rassegnata. Privo della mia gloria e possanza, o del godimento della luce, potrei sfidare sinanco la schiavitù onde mi si minaccia, purchè mi aiutiate a tutto sopportare: i vili miei nemici, più non temono la mia lancia, ma non eviteranno quella del gran profeta, e saremo vendicati; egli ci ricongiungerà al nostro Habib, e saremo felici.

«— Ah! sì,» disse la balia; «dopo il sogno che abbiam fatto madama ed io, son certa che ci riuniremo al nostro Habib. — Qual sogno?» chiese Selama; «e chi ha mai udito parlare d’un sogno fatto in due? — Eppure è così,» disse la governante, «ed esattamente l’eguale da entrambe. Noi abbiam veduto Habib; era bello, era re, ed aveva una regina per moglie, bella come lui. Amava suo padre e noi con tutta la tenerezza; ei calcolava di venir qui a farsi vedere da voi, e... — Farsi vedere da me!» interruppe Selama; «ciò dunque non sarà sulla terra: i miei occhi sono chiusi per sempre. — Voi sarete forse, e signore,» proseguì la balia, «gratamente disingannato. Ci venne annunciato un medico unico a tal effetto. Purchè estinta non sia la pupilla dell’occhio, ei restituisce la vista in un momento, e senza dolore. — Non sono stato che troppo vittima degli empirici e degli astrologhi! — Egli non è nè l’uno, nè l’altro, ed offre di depositare mille pezzo d’oro prima di nulla intraprendere. Se non riesce, se fa il minimo male, perde la somma.— Lo si faccia venire col deposito,» disse Selama. «Voglio guadagnare mille pezze d’oro per quelli fra’ miei poveri sudditi a’ quali furon tolti gli armenti. Non mi costerà che un po’ di pazienza, e quest’uomo sarà punito della sua presunzione.— [p. 102 modifica]

«Quella compiacenza per parte di Selama era tutto ciò che la consorte poteva attenderne. Habib e Dorrai Algoase giungono: introdotti nell’appartamento dell’emiro, lo scudiero vi depone lo armature, coperte colle pelli nelle quali erano state avvolte. Si sta per cominciar l’operazione sugli occhi dell’emiro; ma i curiosi la sbagliano, chè vengono allontanati. Si è fatta preparare una cena che la sola governante deve servire, e lo scudiero vien posto di guardia alla porta della tenda per vietarne a chiunque l’ingresso. Alaschraf annunzia allo sposo la visita del medico, e nello stesso tempo gli mette in mano una borsa piena d’oro.

«— Pesatela,» gli dice, «o emiro; sentite se il pegno che il medico vi fa rimettere è sufficiente; impossessatevene per disporne, nel caso che l’operazione fallisse. Ma siccome voi siete sovrano, ei trova che la vostra persona non potrebbe essere compromessa per un prezzo tanto vile, e per istabilire una specie di proporzione, vi prega di permettere che impegni il suo capo. — Mia cara,» disse Selama, «non mi fareste voi sognare, come faceste poco fa, la balia e voi? Sarebbe questo un sogno in tre? — Spero, amico mio, che in breve voglia essere un sogno in cinque, ed il più caro e meno fallace che far possiamo; ma ecco il medico. — Avvicinatevi,» disse l’emiro. «È vero che siete sicuro di guarirmi? — Tanto sicuro quanto lo sono della mia esistenza. — Avete la voce d’un angelo, e non quella d’un uomo. Mi rechereste voi una grazia del cielo? io non ne aspetto, nè posso attenderne che da lui. — V’ingannate sulla natura della mia essenza, ma definite benissimo la mia missione. — Non so, ma le vostre parole m’incantano e mi empiono di speranza. Guardate questi occhi. — Li veggo. Permettete che li tocchi o vi applichi i pollici delle mie mani. — Sento un grato calore.... — Oh! qual dolce sensazione! [p. 103 modifica] Operasi certamente nella mia testa una specie di rivoluzione: mi si comunica a tutti i nervi; mi pare che tutti gli organi, che il corpo tutto si rianimi...

«— L’operazione dev’esser fatta, o signore; aprite gli occhi senza timore. I raggi del sole vi offenderanno meno che non abbiano finor fatto. — Cielo! io veggo!» sclama il buon emiro, e prima di guardarsi intorno, precipitasi colla faccia a terra per render grazie a Dio, e fatta la sua preghiera, si rialza. — Dov’è il mio medico?» dice in una specie di trasporto; «dov’è il messaggero divino? — Son io. — Creatura celeste! — Celeste non sono, o mio virtuoso padre! sono Dorrai Algoase, vostra figlia, a cui la sorte vi aveva sagrificato; sono la sposa del vostro caro Habib. — Sposa di Habib!... accostatevi.... Alaschraf, sostenetemi mio figlio è ammogliato! è vivo! dov’è? — Alle vostre ginocchia,» grida Habib, gettandovisi. — O cielo!» sclama Selama; «è certo che mi hai restituite le forze; ma molte me ne vogliono per sostenere l’eccesso della mia felicità!» E rimane come privo di sensi tra le braccia dei giovani sposi.

«Ma non è che una crisi del momento, il cui effetto è di facilitare il passo a due torrenti di lagrime di tenerezza che cercano il varco per uscirgli dagli occhi, e confondonsi ben presto con quelle che scorrono per le guance de’ figliuoli, e con quelle della sua sposa; la vecchia governante, trasportata dalla forza dell’affetto, si prende la libertà di venirvi a mescolare le proprie.

«Finalmente Alaschraf rammenta che bisogna prendere qualche ristoro. Il padre è a mensa fra i due figliuoli; la genitrice gli sta rimpetto, godendo d’un quadro formato dalla riunione degli oggetti della sua tenerezza.

«Corto è il pranzo; la governante si allontana, ed [p. 104 modifica] è tempo che Selama sappia dalla bocca stessa del figlio, come il cielo glie lo abbia restituito. Il giovane eroe racconta la sua storia, dal primo istante in cui partiva per incamminarsi verso il Caucaso; descrive la condotta dei cavalieri sino al momento in cui l’abbandonarono nel deserto, esposto ai rigori del clima, alla fame, alla sete ed alle bestie feroci; dipinge ingenuamente le proprie fatiche, e persino il fallo imperdonabile, secondo lui, commesso nelle caverne che gli era stato d’uopo attraversare, e le conseguenze che aveva avute. Passa all’incontro delle figlie del mare, i cui soccorsi aveangli facilitate tutte le sue fatiche, ed anche in certo modo salvata la vita. In fino dipinge la felicità goduta nel momento in cui la sorte avevalo riunito alla sua cara Dorrai Algoase. Viene poi alle ragioni le quali, avendolo ricondotto al Caucaso, lo posero nel caso di sapere, per la prima volta, da Alabus, la sventura e l’estremità alle quali trovavansi ridotti i genitori e la sua tribù, ed il partito presa subito di recarsi in patria.»

NOTTE CDLXXXVI

— Selama ascoltò ogni cosa senza interromperlo; ma appena ebbe finito: — Non pensate, o figlio,» gli disse, «di trar vendetta dei vili cavalieri che risolsero di consumare la vostra perdita? — Padre mio,» rispose Habib, «lo credo inutilissimo. Li abbandono ai loro rimorsi ed alla vendetta celeste; simili mostri son di troppo a me inferiori, per compromettermi nella vendetta che ne potessi ricavare. — Quanto dite [p. 105 modifica] è magnanimo,» replicò Selama; «il vostro è pensiero da eroe; ma dovete anche pensare come re: i traditori debbono essere puniti. —

«Habib si lasciò convincere; pregò quindi il padre ad istruirlo dei particolari della rivoluzione accaduta in Arabia, che Alabus non avea fatto se non annunziargli, e della quale aveva, nell’arrivo, osservato i tristi effetti. — O figliuolo,» riprese il virtuoso emiro, «vi eccito alla punizione dei mostri, la cui esistenza riesce perniciosa all’umanità; e quando vi astringo a far violenza al vostro carattere per assicurare il riposo degli uomini che vi saranno sottoposti, quanto mi torna ingrato il fare di questi un quadro ributtante, che possa, a riguardo loro, allontanare dal vostro cuore il sentimento di benevolenza che animar deve il vero musulmano! Allorchè i miei occhi furono privi della luce del giorno, e che gli Arabi non poterono più lusingarsi di trionfare con me e per me, non fui più a’ loro occhi se non un vil fardello sopra la terra. Gli emiri a me soggetti, dimenticarono di dovermi il loro innalzamento; ciascuno si allontanò da me. Postasi la discordia tra loro, sprezzarono persino i miei consigli. Sotto il mio comando erano pervenuti, per effetto delle fatiche e delle gesta mie, a soggiogare la numerosa e formidabile tribù di Kleb, tutta composta d’infedeli, adoratori del sole e degli astri. Noi fummo costretti a ridurla in ischiavitù, imponendole un forte tributo, che impazientemente sopportava. In mezzo ad essa sorse un guerriero di nome Zir, uomo di statura quasi smisurata, di straordinaria forza di corpo, ambizioso, fazioso, intraprendente, valoroso e crudele. Questo Zir suscitò alla rivolta i suoi fratelli, che, prese le armi, mentre gli emiri, divisi tra loro, cercavano di disputarsi i vani onori del comando, li hanno vinti e dispersi, togliendone i bestiami, a quelli che non rimasero [p. 106 modifica] intieramente soggiogati, vagano poi deserti che contornano le mie tende. Liberato dai nemici che avrebbero potuto inquietarlo, il terribile Zir si è portato sul mio campo per compiere la parte più importarne del suo disegno. La tribù de’ Benou-Helal, dalla quale il santo nostro Profeta cavò tanti importanti servigi, è la più odiosa agli occhi degl’infedeli. Zir la vuole sottomettere alla schiavitù, dalla quale liberò la propria, e cancellarne, se può, le vestigia dalla superficie della terra. Sin qui la situazione favorevole del nostro campo, tra due colline scoscese, la vigilanza che vi faccio esercitare, i mezzi che suggerisco per rendere difficili gli assalti ed impossibili le sorprese, hanno ritardata la nostra disfatta; ma noi diminuiamo tutti i giorni, ed i pochi bestiami che ci avanzano, trovano appena di che sussistere intorno a noi; senza il vostro arrivo, figlio mio, e senza la grazia del cielo, che testè mi rese la vista, eravamo nell’aspettativa della morte o della più umiliante di tutte le schiavitù. Se il nemico, il quale conosce la nostra condizione, cessa dai tentativi di sforzare il nostro campo, ogni giorno si presenta alle barriere, e viene e ad insultare, con disfide, la codardia de’ nostri guerrieri. Nè uno solo de’ miei osa respingere i suoi insulti; sembra non ci siano più nella tribù de’ Benou-Helal che fanciulli e donne. —

«Lacerante fu l’effetto di questo racconto pel cuore di Habib; l’abbandono del padre, l’avvilimento della sua tribù, erano idee per lui insopportabili. Ma l’abuso ributtante che faceva della debolezza de’ suoi il loro nimico, il capo della tribù di Kleb, lo colmò di sdegno. — O padre!» sclamò; «spero che i primi raggi del sole illumineranno il principio della nostra vendetta.» E nello stesso tempo brandiva in aria la lancia in modo da ispirar terrore. Ad onta del peso enorme di essa, pure stava nelle sue mani come una [p. 107 modifica] canna in quelle d’un fanciullo. — O Maometto!» continuò; «ridonasti due capi alla tua diletta tribù; tu le renderai il valore e la forza! —

«Alaschraf e Dorrai Algoase, invece di abbandonarsi alle inquietudini, godevano vedendo i consorti aiutarsi reciprocamente nel coprirsi d’armi, e nel fare a vicenda saggio del peso e della tempra loro. Rivestitisi di quelle armature, s’abbracciarono. — Tu eri mio figlio,» disse Selama,» io tuo padre; oggi siamo fratelli e rivali per l’onore. Perchè mai dobbiamo combattere contro schiavi! ma consoliamoci, poichè si tratta di servire il nostro gran Profeta; noi troveremo la nostra gloria nella sua. —

«Allora Selama manda a cercare il suo scudiero, e: — Prendi,» gli dice, «due de’ migliori miei corsieri, metti loro queste bardature, conducili nella tua tenda, e tienli pronti. Colà noi verremo a montarli sul far del giorno. Dio mi rese le forze colla vista, tu il vedi. Mio figlio ed io andremo domattina a ricevere la sfida de’ miscredenti cavalieri dell’esercito di Zir. Quando usciremo dalla tua tenda, potrai seguirci a qualche distanza, e se ti si domanda nel campo chi siamo: Sono, dirai, due stranieri venuti ad offrire i loro servigi a Selama. —

«Ritirasi lo scudiero per obbedire agli ordini, ed approfitta delle tenebre e del riposo che regna nel campo per metterli, inosservato, ad effetto. La guardia che veglia intorno alle tende dell’Emiro vede entrare od uscire due cavalli condotti da un familiare di Selama, e non fa la minima opposizione. [p. 108 modifica]

NOTTE CDLXXXVII

— Allo spuntar dell’aurora, i due guerrieri, armati di tutto pugno, abbracciate le spose, escono da una porta segreta. Giunti alla tenda dello scudiero, montano a cavallo e vanno ad aspettare entro le barriere che i guerrieri mandati da Zir vengano a rinnovar le consuete loro braverie. Non si fanno dessi attendere. Se ne veggono arrivar sei armati sino ai denti, seguiti da un piccolo corteggio, addetto di certo a’ loro servigi, ed avvicinansi alle barriere del campo. Uno di questi scende da cavallo, e volge la parola a quelli che lo guardano.

«— Gente d’Arabia, avete smarrito il senno a voler stare qui ignominiosamente rinchiusi, come il bestiame che finiste di consumare? Contate di morirvi di fame a fianco d’un cieco? Le catene che vi offriamo sono onorevoli, noi le destiniamo ai popoli più valorosi della terra, e soggiogandovi, non avrete che la sorte comune; affrettatevi a riceverle, ed avrete il vantaggio di essere uno de’ gradini del treno del potentissimo emiro Zir, nostro glorioso sovrano. Lasciate un vecchio impotente che non potrebbe con voi dividere se non le infermità, i bisogni e l’onta. — Tu menti, vile schiavo d’uno schiavo ribelle,» grida Habib, balzando d’un tratto fuor dalla palizzata, e gli scaglia con tutta la forza un guanto alla visiera. «Ecco il mio pegno di battaglia,» prosegue Habib; «ti prova ad attendere a piedi od a cavallo un cavaliere del grande emiro Selama.» E nello stesso tempo il prode, varcata la barriera, raggiunge l’avversario prima che abbia il tempo di rimontar a cavallo, nè d’imbracciare lo scudo. [p. 109 modifica]

«Habib getta lungi il suoe, sdegnando ogni vantaggio, e la pugna subito comincia; ma breve n’è la durata, chè il figlio di Selama non mena colpo che non penetri entro l’armatura del nemico, il quale cadè esangue a’ suoi piedi prima che gli altri cavalieri della tribù di Kleb siano giunti in tempo di recar soccorso al compagno d’armi. Il primo arrivato, dimenticando le leggi della guerra, piomba su Habib per rovesciarlo con un colpo di pettorale da cavallo: evita il valoroso quel colpo, ferisce mortalmente il competitore e l’atterra. Selama esce dalla barriera anch’esso, corre incontro al terzo, e lo rovescia; suo figlio, al quale lo scudiero avea condotto il cavallo, si unisce a lui, ed assieme si scagliano contro i tre guerrieri rimasti della tribù avversaria. Fuggirebbero costoro se la presenza della loro gente non li tenesse in soggezione: vengono dunque atterrati, ed i colpi tremendi che piombano loro addosso, li finiscono del tutto.

«Ecco Selama ed il figlio rientrati nel campo. Quanti portano il nome di cavalieri nella tribù de’ Benou-Helal, li circondano mezzo armati. Gioia mista a gelosia e confusione fa impallidire il viso di quei guerrieri scoraggiti. Vogliono conoscere chi siano i prodi mostratisi con tanta fiducia ed intrepidezza, e che, due contro sei, riportarono una vittoria sì pronta, e tanto inegualmente contrastata. Nè per ciò i due eroi alzano la visiera, e contentandosi d’inchinarsi civilmente a quelli che li colmano di lodi, stanno mutoli, e lo scudiero che parla per loro, risponde che quei due nobili e valorosi stranieri erano testè arrivati ad offrire i propri servigi all’emiro, nella cui tenda domandano di essere condotti per farsi da lui conoscere.

«I due eroi risalgono dunque sui corsieri, o prendono la via della tenda di Selama. Lo scudiero li precede, entra con loro, come per annunziarli, ed un momento dopo misteriosamente introdotti, [p. 110 modifica] cadono tra le braccia di Alaschraf e di Dorrat Algoase. Sembra che il ferro onde sono coperti si ammollisca, e ceda alla forza ed alla tenerezza degli amplessi. I nostri eroi sono disarmati dalle spose, e vien loro servito un pasto del quale avevano bisogno. Intanto Selama, udendo che la sua tenda è attorniata da curiosi di tutti i ceti, comanda si pubblichi pel campo che, dopo la preghiera del mezzodì, ei terrà consiglio colla sua cavalleria.

«La voce dell’arrivo del medico che operar doveva sugli occhi dell’emiro erasi già sparsa; ma quell’uomo ed il suo schiavo sono spariti, talchè credeasi che Selama, non fidando nell’operazione proposta, avesse rimandato senz’altro colui ch’era venuto ad offrirsi di tentarla. Dall’altro cauto, si demandavano l’un l’altro, a che ora e per qual barriera avessero potuto introdursi due cavalieri armati di tutto punto in un campo chiuso, e penetrare sino al quartiere dell’emiro senza essere scorti da nessuno, nemmeno dalla guardia.

«Mentre ognuno si perde in vane congetture su questi due avvenimenti, Selama, Habib e le rispettive consorti gustano le delizie d’un riposo assolutamente necessario, e tutti coloro che entrar devono nel bandito consiglio, preparansi ad udirvi qualche novità, di qualunque natura possa pur essere, e niuno trascura di trovarvisi all’ora indicata. Selama riceve i suoi cavalieri, assiso sur un sofà, colla mano appoggiata alla fronte, per non lasciar vedere il fuoco novellamente riacceso de’ suoi sguardi. Appena l’assemblea è in numero ed aperta la sessione, presa la parola, egli descrive con calore ed eloquenza le disgrazie che hanno troppo a lungo oppresso lui e la sua tribù, e domanda al popolo se consenta alla punizione dei traditori che cagionarono la rovina della patria.

«Aveva l’emiro pronunziato il suo discorso con [p. 111 modifica] una fermezza ed un’autorità, cui non attendevansi dallo stato d’abbattimento, nel quale lo supponevano; l’assemblea ne resta stupefatta; alcuni sguardi chinansi verso terra, ma un voto unanime, in apparenza, dichiara che il delitto orribile del quale il cielo grida vendetta, dev’essere punito sul momento a costo della vita di chi verrà convinto di averlo commesso.

«— Ci vogliono prove,» disse l’emiro alzandosi, e facendo uscire Habib dal di dietro d’una cortina che lo teneva celato; «comparite, figlio mio, venite a convincere diciannove cavalieri qui presenti, della falsità de’ rapporti che fecero sulla vostra morte, a me ed a tutta la tribù.» Poi, volgendosi ai colpevoli: «Vili e crudeli impostori, oserete negare che, scelti a preferenza e da me incaricati di custodire e difendere il principe, trascorrendo dalla pusillanimità al delitto, risolveste di abbandonarlo per mettervi al sicuro dalla vergogna della nostra vendetta, lasciandolo, dopo averlo privo d’ogni specie di soccorso, mentre stava immerso nel sonno, togliendogli persino le armi, ed abbandonandolo d’improvviso al furore degli elementi ed alla rabbia delle belve feroci? —

«Habib si presenta, i colpevoli restano come percossi dal fulmine, e Selama così continua a favellare: — Cavalieri della tribù di Benou-Helal, il giudizio e la punizione di questi rei vi riguardano. A voi tocca vendicare i figli di Maometto su coloro che portarono il disonore nel cuore della sua favorita tribù, attirando i flagelli del cielo su di lei e su tutte le altre. —

«Una sola parola non proferirono i colpevoli. Sul momento circondati e legati, si strappano loro a pezzo a pezzo le armature; i carnefici se ne impadroniscono, e condottili fuor del campo, la sciabola ne fa volare le teste: i corpi loro sono lasciati pasto alle bestie feroci. [p. 112 modifica]

«Rabia era stato preservato dall’infamia del supplizio, dalla morte che lo dolse poco dopo il suo ritorno; l’idea del misfatto, al quale aveva acconsentito, aveagli tolta la quiete, cagionandogli una fine che, in qualunque altra occasione, avrebbesi dovuto riguardare come immatura.

«Resa ai sovrani la giustizia che ad essi si devoleva, vennero i cavalieri solleciti a dimostrare il loro giubilo pel ritorno di Habib,

«Mentre Selama parlava, l’importanza del suo discorso avendone cattivata l’attenzione, non poterono notare la luce che brillava nè suoi occhi.

«Facendo il giro, Selama volge a tutti, un dopo l’altro, la parola, e dessi si avveggono, con maraviglia, che ha ricuperata la vista. — Dovete,» dice l’emiro, «aver inteso parlare d’un medico stato appo di me introdotto per la grazia di Dio e del suo profeta; il suo segreto è riuscito, ma non è questa la sola grazia che abbiam ricevuta. La vittoria che ci venne questa mane accordata, a mio figlio ed a me, è il pegno di tutte quelle cui dobbiamo attendere. Valorosi Arabi! la macchia d’un delitto più non vi pesa addosso. Riprendete, colla fiducia nelle vostre forze, tutta la vostra bravura e lo zelo consueto; apparecchiatevi a marciare verso le tende di Zir. Non voglio meco che la mia cavalleria; gli altri guerrieri resteranno alla custodia degli armenti ne’ pascoli lontani ai quali intendo che si conducano; si farà buona guardia nel campo. Si avvertano quelle delle nostre tribù vaganti nel deserto, che il terrore regnerà domani sotto le tende de’ nostri nemici, ma sbandito esser deve dal cuore di tutti coloro che si raccoglieranno sotto lo stendardo di Selama. Intanto, e sinchè abbiam potuto riunite forze veramente imponenti, il cui apparato abbia a gettare lo scoraggiamento nel cuore de’ nostri avversari, risparmiandoci [p. 113 modifica] il dolore di far loro una guerra troppo sanguinosa, godete e partecipate, se si può, a quanti Arabi restano sommessi al culto del vero Dio, i favori che io ne ho ricevuti.

«Il ritorno di Habib e la felicità di aver ricuperata la vista, non sono i soli che mi vengono accordati: è la regina de’ sette mari che trovatisi all’estremità dell’oriente, è Dorrai Algoase, la sposa promessa dalle stelle a mio figlio, è dessa che il cielo incaricò di venire a rendermi, colla forza de’ primieri anni, la facoltà di sollevare al firmamento i miei occhi sgombri dalle tenebre che prima li oscuravano! Ne risuoni la lieta novella in tutte le regioni soggette alle leggi del Corano, affinchè ne siano rese immortali grazie a Dio ed al suo profeta. Si ordinino per ogni dove feste religiose. Si palesino i trasporti della nostra riconoscenza, ed il rumore ne eccheggi sin nelle tende di Zir, e scuota tutti i cuori, che gli sono rimasti fedeli.»

NOTTE CDLXXXVIII

— Azioni di grazie vengono unanimemente e pubblicamente rese in tutto il campo di Selana colla solennità e la pompa ond’è capace la sua posizione. Dorrat Algoase riceve il rispetto e gli omaggi di tutta la tribù de’ Benou-Helal, ed il campo rimbomba delle acclamazioni di giubilo che mescolavansi allo strepito cagionato dalle feste e dalle allegrezze. Presa dal campo di Selana l’apparenza della massima prosperità, se ne sparge la lieta novella, che attira [p. 114 modifica] successivamente i cavalieri dell’altre tribù allontanate dall’infortunio.

«Li riceve Selama, ed induce Habib e la sua sposa ad accoglierli con bontà; egli stesso li soccorre di scuse, e lor ne risparmia la confusione, riferendo come castigo del cielo la condotta per tale riguardo tenuta. In quindici giorni di tempo l’emiro si vede in mezzo a numerosa cavalleria, ardente di riparare, con istrepitosi fatti d’armi, l’onta della quale la defezione per una parte, dall’altra l’inazione avevanla coperta.

«Zir non può ignorare una tal rivoluzione, che la disfatta de’ suoi sei guerrieri ve l’hanno preparato: tre sono rimasti sul campo di battaglia, tre prigionieri nel campo di Selama, e questi fan passare alla loro tribù le notizie penetrate sino nella loro carcere; laonde Zir cade da uno stupore nell’altro, udendo la guarigione improvvisa di Selama ed il ritorno di Habib, con una regina della quale è divenuto sposo. Ben vede quali furono i due guerrieri che combatterono contro i suoi cavalieri, e rimprovera sè stesso di non essersi presentato in persona alle barriere del nimico, per sostenervi un urto, nel quale i suoi avevano avuto tanto svantaggio. L’opinione che ha di sè, lo persuade che ne sarebbe uscito vincitore; ma proponesi di ricattarsi del disonore che ne ridonda sulle sue armi, andando a sfidare Selama nel di lui campo.

«Se non che Yemana, sua sorella, principessa bella e prudente, benchè confidi nelle forze più che umane e nel coraggio del fratello, non partecipa però a’ di lui sentimenti. — Germano,» gli dice, «forse voi risguarderete il mio parere qual conseguenza del mio attaccamento a principii dissimili ai vostri; qualunque siano state le forze di colui che per sì lungo tempo chiamammo il grande Selama, se [p. 115 modifica] io concedessi qualche cosa alla fortuna, vi crederei fallo per isforzarla a pendere in vostro favore; ma molto attribuisco agli astri. I maligni loro influssi avevano oppressa la tribù de’ Benou-Helal; essa e tutte quelle che l’erano sottomesse vi furono come abbandonate, e voi vinceste. Or calcolate gli eventi felici, contenenti alcun che di prodigioso, testè accaduti in favore de’ vostri avversari, e pensate ai mezzi di assicurare colla sorte vostra quella della tribù di Kleb, della quale voi solo fate la vera forza, senza compromettere la vostra gloria.

«— Ci penserò, o sorella,» rispose Zir, «allorchè avrò vinto Selama; la sua gloria m’indispettisce più della sua potenza, avendolo veduto atterrato, ed or rinascente dalle sue ceneri. Alleva un figlio per mettere, se è possibile, un ostacolo di più all’estendersi della mia fama. L’Arabia intera diventa troppo angusta per me; vedete s’io possa sopportare l’idea di due rivali: sorella, i vostri astri prendino il partito che vorranno, ma se mi sono avversi, li farò impallidire di tema pei campioni che m’avranno profferito.—

«Mentre Yemana e suo fratello così favellavano, l’emiro Selama, alla testa de’ vassalli, inoltrava verso le tende della tribù di Kleb, distanti tre leghe dalle proprie. In un attimo fu superato quello spazio; Zir, avvertito dell’assalto, ha fatti uscire i suoi guerrieri in numero eguale all’incirca, ed i due eserciti si trovano già quasi a tiro d’arco. Zir, facile a riconoscersi dalla gigantesca statura, fa caracollare orgogliosamente il cavallo davanti a’ suoi squadroni. Selama vuol avanzarsi per isfidarlo e combatterlo. — No, padre, no,» grida il giovane guerriero; «il cielo, conservandomi, e rimandandomi a voi, mi ha commesso la cura della vostra vendetta. — Siete troppo giovane, o Habib,» risponde il tenero padre; [p. 116 modifica] «le vostre membra non hanno ancor raggiunta tutta la forza necessaria onde possiate misurarvi con un tal gigante. — Ah!» sclama Dorrai Algoase; «dubitereste che l’eroico vostro figlio non sia degno di voi! riposate sulla gloria che già vi acquistaste, incaricate il mio Habib delle vostre parti, e vedrete che per lui non v’hanno giganti.»

NOTTE CDLXXXIX

— Le suppliche di Habib, di Alaschraf e di Dorrai Algoase hanno alfine indetto il valoroso emiro a cedere il passo d’onore al figliuolo. Habib, lasciata la lancia de’ Parti, ne piglia una araba, per conformarsi alla maniera nella quale vede armato l’avversario; si avanza quindi al passo del cavallo colla visiera alzata, e manda il grido della disfida. Inoltrasi Zir, o con accento ironico: — Avete,» dic’egli, «il suono della voce molto argentino; non sareste già una donna? — Mi conoscerai per quel che sono,» rispose fieramente Habib. — Ah! vi riconosco, mio bel bambolo, «vi vidi sulle ginocchia di Alaschraf; eravate gentile assai: vostro padre non vi manda per battervi con me; ei deve sapere ch’io amo i giovanetti; andate a dirgli che l’attendo, e che non mi misuro se non cogli uomini. — Mio padre,» soggiunse Habib, «non è fatto per battersi con uno schiavo ribelle; io imparai sulle ginocchia di mia madre a sprezzare gl’insolenti. — Ma, giovane, sono per far prendere a vostra madre una seconda [p. 117 modifica] volta il lutto, e bisogna pensare che non lo lascerà più; andate, vi dico, a chiamare vostro padre; per quanto vano esser possa de’ suoi antichi trionfi, forse il trofeo dell’armi mie, se potrà raccoglierle, non ornerà magnificamente abbastanza l’esterno del suo padiglione? — Tel dissi, o schiavo, che mio padre non può farti l’onore d’accettare la tua sfida. Fosti trenta volte condotto alla pugna cantando le vittorie da lui riportate su genti di te più valorose; la tua sconfitta nulla accrescerebbe alla sua gloria. Nè tu avrai l’incomodo di mandar abiti di gramaglia a mia madre; nè io potrei mandare un simil presente alla tua: è noto che non la conoscesti mai; ma ne prometto uno ben ampio a tua sorella Yemana. — Temerario!» grida Zir, dimenandosi sul cavallo; «venni, è vero, condotto al cimento al canto delle vittorie di tuo padre; la tribù di Kleb era schiava, e gli schiavi sono costretti a cantare; ma tua madre, la tua avventuriera, la tua regina dei deserti, domani canteranno il mio trionfo, porteranno le mie catene, piegheranno il capo a’ miei voleri, od io inaffierò col loro sangue la terra stessa imbevuta del tuo e di quello di tuo padre.» Così dicendo, scaglia con tutta la forza la lancia contro Habib.

«Prevedendo il giovane guerriero dove il colpo dovesse ferire, fa fare un velocissimo movimento al cavallo, si piega vivamente sul suo collo, e la lancia, oltrepassandolo, va a cadere trenta passi lontano. Habib corre verso Zir, colla lancia alzata. — Osasti,» gli dice, «proferire i nomi di mia madre e della mia sposa; tu le insultasti come un vile. Ben debile è tua sorella, e lo sarà ancor più dopo la tua morte, e ciò le dà ogni diritto alla mia compassione.» Poi, battendogli tre volte leggermente la spalla colla lancia, prosegue: «Va a prender l’arme laddove la tua imperizia te la fece gettare; perchè non la [p. 118 modifica] tieni legata al pugno, se si poco sai misurare i tuoi colpi? Armato, ti disprezzo; disarmato, mi sei oggetto di derisione.» Zir, spumante di rabbia, corre all’arme, la raccoglie, e torna ad Habib, slanciandola contro di lui con tutto l’impeto che il furore aggiunger poteva al suo vigor naturale, che aveva fama di smisurato. Il giovane, col più destro movimento, sottrae il corpo, passando la gamba sotto quella del cavallo. Il colpo viene rasentando alla distanza di mezzo piede la sella, ed il ferro della lancia va a figgersi in un tronco d’albero a qualche passo. Allora Habib si lascia cadere la sua, e Zir, divenuto più furibondo per un riguardo ch’ei considera come una prova di disprezzo, sguaina la scimitarra, e fa piombare sull’avversario una tempesta di colpi senza misurarli.

«Le forze de’ due campioni potevano quivi essere eguali; ma non eranlo nè il sangue freddo, nè la destrezza. Tutti i colpi di Zir sono veduti e parati, mentre il suo avversario non ne mena uno solo che non ispezzi qualche parte della grossa armatura di Zir, la quale già offre libero varco al ferro da tutte le parti; nel punto in cui questi alza il braccio sul figliuolo di Selama per percuoterlo, un manrovescio del giovane eroe lo previene e gli tronca il pugno; Zir vuole allora cercar lo scampo nella fuga; ma ad un secondo colpo ne cade mozzo il capo appiè del vincitore.

«I due campi e le donne erano stati spettatori del conflitto. La cavalleria d’ambe le parti aveva ascoltato e seguito cogli occhi, con un sentimento d’ammirazione, i discorsi, le azioni, il procedere del valoroso figlio di Selama. — Qual franchezza!» diceano; «qual moderazione! quanta ritenutezza! che perizia! quanta forza e grazia insieme! nulla potrà resistere a quest’eroe. —

«Ma se non vi era diversità d’opinione nel modo [p. 119 modifica] di giudicare il combattimento, ben differenti erano i moti che l’esito ne produceva. La tribù di Kleb è costernata, considerandosi come vinta in un sol uomo o da un sol guerriero. Tutti i suoi cavalieri rientrano nel campo per deliberare sui mezzi di sottrarre i migliori arredi al sacco, conseguenza inevitabile d’una intera rotta, alla quale si veggono esposti.

«Il popolo già si disperde a frotte per la campagna, pensando al modo di scampare colla fuga ad una schiavitù più dura di quella dalla quale avea cercato di riscattarsi. Dal lato di Selama, il corpo ch’ei comanda move in buon ordine per mettersi in grado di’ approfittare del vantaggio riportato dal figlio dell’emiro e del disordine che scorge. Quanto ad Habib, pieno di fiducia nella fortuna, nelle forze e nel suo coraggio, entra nel campo nemico pel primo, e si fa condurre alla tenda di Yemana.

«La principessa, accompagnata da cinquanta guardie addette alla sua persona, aveva da lungi veduta la pugna, montata sopra un hodage (1) comodo ed elevato, acconciato sopra un’helnacka. Appena veduto il fratello steso nella polvere, aveva ripresa la via del campo, accorrendo alla tenda per prendervi i più preziosi effetti.

«Già li riceveva dalle mani de’ suoi, allorchè Habib le giunse vicino. Le guardie dalle quali era circondata, metteansi in atto di difenderla. — Chi siete voi,» disse loro, «per resistere al vincitore di mio fratello, al favorito del cielo? Conservate la vostra vita, che avreste indarno compromessa. Preferisco essere sua schiava volontaria, che principessa [p. 120 modifica] soggiogata dalla forza.» Poi, volgendosi ad Habib: «Valoroso emiro,» soggiunse, «chi ha abbattuto il cedro degnerà di stendere i suoi colpi al più debole ramo dell’albero da lui atterrato?» In pari tempo scende dall’hetnacka, assistita dagli scudieri, e viene a prendere la mano ad Habib, così favellandogli: — Principe, voi vedete una donna desolata e fiduciosa nelle vostre virtù, che viene ad arrendersi a discrezione.» L’eroe l’accoglie con dimostrazioni di rispetto. — Non mai, o madama,» le risponde, «il figlio di Selama imparò dal magnanimo suo padre ad abusare della sventura d’una donna: io vi restituisco i beni ed il nome vostro, ed ho fiducia d’essere applaudito. Siete libera, principessa, e sovrana su tutta la vostra tribù: fatta per governare questo popolo, sanatelo dalla sua inquietudine, illuminatelo intorno a’ suoi doveri, e mio padre, lo dico con orgoglio, virtuoso musulmano, non aspira se non a formare la felicità de’ suoi sudditi, di quelli eziandio che sonosi per acciecamento contro lui ribellati.

«Assistetemi, madama, a frenare il disordine che qui veggo: esso favorirebbe il saccheggio ch’io voglio impedire; comandate alla vostra guardia, mentre vi servirò io stesso, di richiamare intorno a voi i vostri guerrieri, e sin le donne che lo spavento induce ad allontanarsi; comandate da padrona, e le vostre tende riprendano il loro lustro e la dignità, con tutti quegli ornamenti de’ quali si affrettarono a spogliarle.» [p. 121 modifica]

NOTTE CDXC

— Yemana, confusa da un procedere sì eroico, ma meno maravigliata di chiunque altro, perchè dotata d’animo elevato, prende, come Habib l’aveva autorizzata a fare, l’accento di sovrana, e dà tutti gli ordini necessari al ristabilimento della tranquillità nel campo.

«Più guerrieri della truppa comandata da Selama, e che precedono il corpo, giungono intorno al giovane sultano; egli ne colloca alcuni presso Yemana, altri ne manda per vietare il sacco, e togliere il bottino a quelli che ne avessero fatto. Selama vede i fuggiaschi della tribù di Kleb venire pacificamente a disporsi sotto le loro tende nel momento in cui sta per comandare che s’inseguano, conoscendo in pari tempo esser quello l’effetto del buon ordine ristabilito dal figlio. Entra quindi colla consorte e Dorrat Algoase nel campo dei vinti, e condotto alle tende di Yemana, allorchè la principessa di Kleb lo vede giungere, alzasi per andar incontro alle donne ed all’emiro in atto supplichevole; ma Habib le impedisce di così umiliarsi, e va incontro al padre. — O mio glorioso sovrano,» gli dice,» ho promesso la vostra grazia a Yemana, principessa della tribù di Kleb; essa ha tutte le grandi qualità necessarie per governarla. Se suo fratello traviò dal dovere e ci offese, ella non v’ebbe mai la menoma parte, ed io posso dire che reclama il vostro favore con tanta grazia, che glie [p. 122 modifica] l’assicurai per voi, ed in nome di mia madre e della mia cara Dorrat Algoase. —

«Prevenuto in favore di Yemana, Selama applaudì a quanto aveva fatto il figlio riguardo a quella principessa: sapeva non aver essa nessuno de’ difetti del fratello, ed essere anzi disposta ad assoggettarsi alle leggi del Corano.

«— Ratifico,» disse con gioia, «o madama, tutto ciò che mio figlio ha fatto in favor vostro, e vi credo talmente al disopra di tal grazia, che cercherò d’aumentarla, se fia possibile.» In pari tempo Alaschraf e Dorrat Algoase abbracciano la nuova principessa di Kleb colle dimostrazioni dell’affetto più sincero.

«Vorrebbero poterla condurre alle tende de’ Benou-Helal, per farle dimenticare a forza di carezze la perdita d’un fratello, al quale era affezionata; ma è d’uopo ch’ella presieda all’esequie di lui, che pratichi le cerimonie esteriori di lutto usate nella sua tribù, e si dia pensiero del ristabilimento del buon ordine fra’ suoi, avendo l’incarico di conservarlo.

«Per assecondarla ne’ suoi doveri, Habib lascia a sua disposizione cento cavalieri, ed il venerabile emiro, preso da lei congedo, torna colla famiglia alle tende de’ Benou-Helal, dove viene accolto tra cantici trionfali. Da ogni banda udivasi echeggiare il nome di Habib ne’ canti de’ quali era argomento la di lui vittoria su Zir. Per dieci giorni non si videro nel campo de’ Benou-Helal che feste ed allegrie; gli Arabi, esultanti di vedersi liberati dalla tema di cadere sotto la tirannide di Zir, accolgonsi intorno all’antico emiro; i loro campi si sono a lui riaccostati: ei trovasi di nuovo alla testa di sessantasei tribù, ed il cielo, che gli ha reso l’antico vigore, lo mette in grado di comandare con maggior autorità di prima.

«Dopo dieci giorni di feste, Yemana, alla testa de’ primari della sua tribù, venne a render omaggio al [p. 123 modifica] suo sovrano; era ancora vestita a lutto, e ne pareva più bella. Fu accolta dall’emiro e da Habib con tutti i riguardi dovuti al sesso ed al suo grado, e da Alaschraf e Dorrat Algoase con franchezza e tutte le dimostrazioni del più vivo interesse.

«Selama aveva un nipote, figlio di suo fratello, nominato Sefeh, giovane guerriero delle più grandi speranze, e l’emiro concepì il pensiero di darlo in isposo a Yemana, facendolo emiro di Kleb. La principessa accetta da sua parte con riconoscenza il nuovo benefizio, e la condonazione dell’annuo tributo è il presente di nozze.

«Nuove allegrezze susseguirono a questa unione, che levava ogni apparenza di schiavitù alla tribù di Kleb. Essendo i cavalieri, che avevano seguito la principessa, rimasti sbalorditi d’una grazia sì inaspettata: — Così,» dicea loro la nuova sovrana, «così si vendica un vero musulmano!» E da quel giorno i suoi sudditi mostrarono meno ripugnanza per una legge che induce ad azioni tanto virtuose. Ormai la tribù di Kleb rinunzierà all’ignoranza ed alla ferocia; vi si cesserà di ammirare eroi come Zir, il cui merito consiste sol nella forza e nella violenza, e che crede non si possa esser grandi se non temuti.

«Allorchè Yemana ed il suo sposo si furano ritirati nel proprio campo, Dorrat Algoase ed Habib provarono, qualche impazienza di tornare ne’ loro stati per soccorrere a’ propri popoli, appena pacificati dopo la sconfitta di Abarikaf. Selama era troppo buon giudice dei doveri d’un sovrano per non entrare nelle loro mire, ed esigere da essi il sagrificio della felicità de’ sudditi per compiacerlo.

«Viene dunque stabilita la partenza di Habib e della sua sposa; essi devono tornare nel piccolo romitaggio, e partirne segretamente col mezzo medesimo che ve li ha condotti. Selama e Yamira [p. 124 modifica] vorrebbero accompagnarveli per godere più a lungo della loro compagnia; ma richiamerebbero troppo gli altrui sguardi, e vi sono cose che il popolo deve ignorare, imperocchè si accende per le straordinarie, e perde di vista i propri doveri.

«I giovani sposi si separano, colle lagrime agli occhi, dal virtuoso emiro e dalla sua consorte, e convenuti de’ mezzi da usarsi per mantenere un commercio che a tutti e quattro renda sopportabile la separazione, ascendono sur un camello, e condotti dallo scudiere confidente, recansi nel solito solingo ritiro d’onde, all’alba del di vegnente, il roc riprende il volo verso le alture del Caucaso. Là rivedranno il saggio Alabus, e lo colmeranno di giubilo narrandogli le fortunate loro avventure; là Habib riporterà il talismano preso dal tesoro di Salomone.

«Al suo entrare nel luogo misterioso, un geroglifico che non avea notato, attrae i suoi sguardi e lo immerge in una profonda meditazione; ecco le figure dell’emblema: sopra un cielo puro e sfolgorante di luce, un’aquila pare si slanci verso il disco del sole, mentre sulla terra una serpe, strisciando, si è sollevata sino al nido del superbo augello, e ne divora le uova.

«Torna Habib pensoso al suo istitutore, e gli descrive l’immagine che ne aveva allora attirati gli sguardi ed occupavagli lo spirito. — Voi mi ripetete il quadro,» disse Alabus; «ma è d’uopo trovarne il senso. — Credo averlo penetrato,» rispose Habib; «ecco cosa mi rappresenta: innalzandosi troppo, si arrischia d’essere acciecati dalla prosperità e perdere di vista i suoi veri interessi. — Riconosco l’antico mio allievo, «riprese Alabus; «egli non passerà mai, senza trarne frutto, la porta che racchiude i tesori di Salomone: qual danno che non impariate lo verità se non ad una ad una per non potersene prevalere bastantemente a tempo! — [p. 125 modifica]«Trascorsi ch’ebbero i giovani sposi due giorni presso il rispettabile ministro del profeta, il roc riprese la via dell’isola Bianca, poi della Gialla, dove, per cura del vecchio ministro, cominciavansi a scorgere segni di prosperità.

«I due sposi finalmente trovaronsi alla piccola corte della dama da’ bei capelli e di Daliska: tutto vi respirava l’abbondanza: le due figlie del mare vi erano state condotte, ed attendevano con grand’impazienza il ritorno dell’eroe, al quale avevano sì cortesemente dedicati i loro servigi, e specialmente Ilzaide che, non avendo sin allora mai conosciuta la noia, maravigliava di trovarla dovunque, ad onta d’ogni sua cura per fuggirla.

«Habib e Dorrat Algoase, passati alcuni giorni presso i loro parenti, restituironsi a Medtnazilbalor conducendo seco Ilzaide e sua sorella per una strada d’onde i delfini non poterono seguirle.

«Tutto generalmente nella capitale degli stati di Dorrat Algoase avea preso l’aspetto della felicità, ed il ritorno dei sovrani vi pose il colmo: i due sposi, sempre innamorati, aggiunsero al proprio contento quello di studiarsi d’aprire nuove fonti di prosperità ai sudditi.

«L’avo Alatros, da parte sua, godendo del bene della sua famiglia, vedeva con piacere procedere verso il suo compimento il gran disegno da lui concepito. Ciascun giorno il rendeva testimonio dell’unione legittima di qualcuno de’ geni coi figli di Adamo, e li vedeva passare sotto la legge più utile per essi, benchè in apparenza con detrimento del loro potere.

«Tra non molto una delle figlie del mare sposerà un parente di Dorrat Algoase; si parla anche ad Ilzaide di maritarla. — Con chi?» risponde la giovinetta; «qui non v’hanno cavalieri; bisogna condurli in Arabia: sol di là ce ne vengono. — Mia [p. 126 modifica] bella fanciulla,» risponde Dorrat Algoase, «ci faremo un piacere di condurvi quando andremo a trovare i nostri buoni parenti; ma voi siete nata nel mare: avvezza a quell’elemento, come farete a privarvene, in un paese dove non si vedono che pianure di sabbia? — L’amore sì contenta di tutto,» ripiglia vivamente Ilzaide; «gli elementi stessi a lui cedono l’impero; se il vostro amabile sposo avesse temuto di affrontarli, voi oggi nol possedereste, ed io sfido in coraggio e generosità tutti i cavalieri del mondo, quando si tratterà di conquistarne uno che a lui somigli.»

Scheherazade avendo qui finita la storia del principe Habib e di Dorrat Algoase, sua sorella Dinarzade le disse: — Io non so, sorella, se il sultano delle Indie sarà del mio parere; ma sento tutti i giorni con maggior diletto i tuoi racconti.» Schahriar pensava come Dinarzade, e la sultana annunciò tosto di raccontare all’indomani la storia di Naama e di Naam.


Note

  1. Hodage. Le donne salgono sopra le femmine de’ camelli, il cui nome è hetnarka: si arrotolano sul dorso di quelle vari tappeti in giro, net mesto de’ quali trovasi un sito comodo, per la dama e la sua schiava; e ciò chiamasi hodage.