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NOTTE CDLXXXIII

— Mentre il cavaliere arabo occupavàsi ad assicurare la tranquillità di Dorrai Algoase, si facevano tutti i preparativi nella reggia e nella città di Medinazilbalor per accogliervi in trionfo il vittorioso liberatore, il vendicatore che dovea fra poco esserne il sovrano. La vezzosa regina ingannava la tenera sua impazienza facendosi ripetere da Ilzaide le gesta delle quali era stata spettatrice, e sino al menomo discorso che la giovanotta aveva potuto ritenere in mente del suo caro cavaliere.

«Venuta la notte, Habib, col favore di superbissime illuminazioni, giunse all’appartamento dov’era aspettato. Giammai passione, che fosse opra dei destini, non era entrata in cuori sì ben accoppiati. Mai tante bellezze e doti esteriori non eransi trovate riunite a tanto merito, a tante virtù. Habib era estatico dell’eccesso della sua felicità, e Dorrai Algoase sclamò: — Ed io, non posso darvi, mio caro Habib, altro che il mio cuore, la corona e la mano! qual tenue guiderdone a tanti servigi! qual premio a tante fatiche, a sì eroiche virtù! — «La stessa sera del loro colloquio, si celebrò la cerimonia che assicurar ne doveva l’unione. La stessa notte li vide amanti e sposi felici, ed alla domane il sole illuminò, coi trasporti della loro felicità, quelli della gioia di tutta l’isola di Medinaz. Ma la felicità di Habib non gli facea perder di vista le obbligazioni