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è magnanimo,» replicò Selama; «il vostro è pensiero da eroe; ma dovete anche pensare come re: i traditori debbono essere puniti. —

«Habib si lasciò convincere; pregò quindi il padre ad istruirlo dei particolari della rivoluzione accaduta in Arabia, che Alabus non avea fatto se non annunziargli, e della quale aveva, nell’arrivo, osservato i tristi effetti. — O figliuolo,» riprese il virtuoso emiro, «vi eccito alla punizione dei mostri, la cui esistenza riesce perniciosa all’umanità; e quando vi astringo a far violenza al vostro carattere per assicurare il riposo degli uomini che vi saranno sottoposti, quanto mi torna ingrato il fare di questi un quadro ributtante, che possa, a riguardo loro, allontanare dal vostro cuore il sentimento di benevolenza che animar deve il vero musulmano! Allorchè i miei occhi furono privi della luce del giorno, e che gli Arabi non poterono più lusingarsi di trionfare con me e per me, non fui più a’ loro occhi se non un vil fardello sopra la terra. Gli emiri a me soggetti, dimenticarono di dovermi il loro innalzamento; ciascuno si allontanò da me. Postasi la discordia tra loro, sprezzarono persino i miei consigli. Sotto il mio comando erano pervenuti, per effetto delle fatiche e delle gesta mie, a soggiogare la numerosa e formidabile tribù di Kleb, tutta composta d’infedeli, adoratori del sole e degli astri. Noi fummo costretti a ridurla in ischiavitù, imponendole un forte tributo, che impazientemente sopportava. In mezzo ad essa sorse un guerriero di nome Zir, uomo di statura quasi smisurata, di straordinaria forza di corpo, ambizioso, fazioso, intraprendente, valoroso e crudele. Questo Zir suscitò alla rivolta i suoi fratelli, che, prese le armi, mentre gli emiri, divisi tra loro, cercavano di disputarsi i vani onori del comando, li hanno vinti e dispersi, togliendone i bestiami, a quelli che non rimasero