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nato, e ch’ella più amava. Alla domane, il fodero era pronto, ed Habib in mare prima del sole. I delfini attaccati parea che raddoppiassero di forza e celerità, e già si scopre tutta la costa dell’isola Nera. Ilbaracas nota con compiacenza, e le fa osservare a Dorrat Algoase, che le coste sono intieramente sgombre di quella cortina di neri vapori che i giorni precedenti ne rendevano orrido l’aspetto.

«Il giovane approda colla massima facilità, e vede alcuni abitanti, sfigurati per magrezza, che girano per la spiaggia. Li chiama, e domanda loro nuove del tiranno Abarikaf. — È stato vinto,» rispondono; «almeno lo supponiamo dalle orribili grida che misero tutti i suoi. Ier l’altro fummo costretti a fuggire nelle montagne. D’improvviso i più orrendi mostri marini coprirono tulle le nostre coste. Nel furore ond’erano agitati, pugnavano fra loro, lacerandosi gli uni cogli altri, e la spiaggia è ancora coperta del sangue che hanno fatto scorrere. Noi altri, miseri schiavi, e da sì lungo tempo, di codesti mostri, abbiam cercato di sottrarci alla loro furia ed all’abbominevole spettacolo. I ruggiti, gli urli loro, ripetuti, dall’eco che ne circonda, rimbombano ancora nelle nostre orecchie, continuando a spaventarci, quando di repente credemmo vedere come la luce d’alcuni lampi, ed il fracasso cessò. Passammo la notte in un continuo stato d’inquietudine e di terrore; ma stamane non abbiamo più veduto se non il vapore infetto prodotto dal sangue sparso da tanti mostri. Fortunatamente, l’ardore del sole l’ha assorbito, i venti lo dissiparono; altrimenti questo soggiorno sarebbe inabitabile. —

«Intanto che Habib conversava cogli abitanti, il roc, a certa altezza, aleggiava sopra l’isola, ed i suoi sventurati abitanti, spaventati da tanti prodigi, volgevano su quell’oggetto gli occhi con inquietudine. Ma