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volta il lutto, e bisogna pensare che non lo lascerà più; andate, vi dico, a chiamare vostro padre; per quanto vano esser possa de’ suoi antichi trionfi, forse il trofeo dell’armi mie, se potrà raccoglierle, non ornerà magnificamente abbastanza l’esterno del suo padiglione? — Tel dissi, o schiavo, che mio padre non può farti l’onore d’accettare la tua sfida. Fosti trenta volte condotto alla pugna cantando le vittorie da lui riportate su genti di te più valorose; la tua sconfitta nulla accrescerebbe alla sua gloria. Nè tu avrai l’incomodo di mandar abiti di gramaglia a mia madre; nè io potrei mandare un simil presente alla tua: è noto che non la conoscesti mai; ma ne prometto uno ben ampio a tua sorella Yemana. — Temerario!» grida Zir, dimenandosi sul cavallo; «venni, è vero, condotto al cimento al canto delle vittorie di tuo padre; la tribù di Kleb era schiava, e gli schiavi sono costretti a cantare; ma tua madre, la tua avventuriera, la tua regina dei deserti, domani canteranno il mio trionfo, porteranno le mie catene, piegheranno il capo a’ miei voleri, od io inaffierò col loro sangue la terra stessa imbevuta del tuo e di quello di tuo padre.» Così dicendo, scaglia con tutta la forza la lancia contro Habib.
«Prevedendo il giovane guerriero dove il colpo dovesse ferire, fa fare un velocissimo movimento al cavallo, si piega vivamente sul suo collo, e la lancia, oltrepassandolo, va a cadere trenta passi lontano. Habib corre verso Zir, colla lancia alzata. — Osasti,» gli dice, «proferire i nomi di mia madre e della mia sposa; tu le insultasti come un vile. Ben debile è tua sorella, e lo sarà ancor più dopo la tua morte, e ciò le dà ogni diritto alla mia compassione.» Poi, battendogli tre volte leggermente la spalla colla lancia, prosegue: «Va a prender l’arme laddove la tua imperizia te la fece gettare; perchè non la