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all’istinto che gli farà trovare il pascolo. Habib e Dorrat Algoaso si accomodano per aspettare il sorger del sole, ed appena spuntata l’alba, egli si mette in grado di approfittarne.
«Bisogna che Habib penetri sconosciuto nelle tende del padre, chè gli risparmi, del pari che alla madre, il pericolo d’una ricognizione troppo subitanea: in un attimo prepara il travestimento. Il caso gli fa trovare fra gli antichi suoi mobili un paio di vecchie pappucce che avevangli servito per lavorare, ed ecco la di lui calzatura. Si copre le spalle con una pelle di camoscio, se ne affibbia un’altra intorno alta cintola, ed ecco il suo vestimento. S’imbratta quindi il collo ed il volto con certa terra giallognola, che ne fa scomparire il colorito; si scompone barba e capelli, e col pugnale nella cintura ed un bastone in mano, passa inosservato le barriere, e giunge alla porta delle tende, sotto le quali abitavano le schiave della madre. Colà, trovata una pietra larga e comoda, siede come per riposare, e finge anzi di dormire. Parecchie schiave gli passano davanti, ma non vede quella che deve mettere a parte della sua confidenza. Finalmente costei si presenta; ei la chiama nome, essendo stata sua balia.— Eseca! — Tu mi conosci, quel giovane?» dice la buona vecchia. — Sì,» risponde Habib, «e se volete venire con me dietro quel grosso albero, vi darò una nuova che farà gran piacere ai vostri padroni! —
«La schiava va dietro all’albero. — Vediamo,» gli dice, «discorriamo; che cosa mi vuoi dire? — Mi promettete, se quanto sono per dirvi vi recasse troppo piacere, di non gridare, nè far il minimo rumore?
— Oh vedi ammaliatore!» soggiunge la vecchia; «credi dunque d’avere la lingua dorata? Ciò non pare dal tuo mantello, nè da’ tuoi calzari: hai tu fatto gridare molte donne sol parlando? — No, mia cara. Se non vi ponete mente, voi sarete la pri-