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me. Ilzaide si mise a singhiozzare ed uscì di tavola; sua sorella maggiore la seguì. — Che cosa avete?» le chiese; «moderatevi. — Non potrei,» rispose la giovanetta; «questa dama dà troppo grave dolore al cavaliere arabo. Voi non siete dunque com’io, sorella; vorrei che non gli si facesse se non piacere.» Mentre dava tale risposta, Ilzaide tornò a mensa.

«La dama dai bei capelli, avvistasi dell’impressione che produceva, erasi ricomposta, ed Habib, divenuto padrone delle proprie emozioni, potè parlare. — Madama,» le disse, «giuro per la scimitarra a me affidata, che reso vi sarà il vostro sposo, e ch’io vendicherò le ingiurie di Dorrat Algoase e le vostre fino sull’ultima testa dei ribelli che v’hanno offeso. Nisabic, se devo credergli, porta già una parte della pena de’ suoi abbominevoli eccessi sotto i massi coi quali aveva voluto schiacciarmi; io sono più che vendicato del male che mi volle fare; ma il cielo, Dorrat Algoase e voi, madama, nol siete abbastanza. Ora ci recheremo assieme al piè di quel monte sotto cui pretendeva opprimermi, e voglio, a suo castigo, adoprare il mezzo da lui immaginato, secondo i suoi oroscopi, per sollevarsi sopra gli altri. Degnatevi di accompagnarmi, o madama; mentre aspetto di potere, colla protezione del cielo e quella de’ suoi favoriti, metter termine a’ vostri guai, voglio intanto farvi gustare il piacere della vendetta. —

«Sì dicendo, incamminavasi colla dama dai bei capelli e le tre figlie del mare verso i massi rovesciati che chiudevano il passaggio praticato nella rupe per andare dalla spianata del castello alla spiaggia. Giunti colà, Habib sguaina la scimitarra, ne colpisce tre volte le rocce sfasciate, poi alza la voce, e: — Nisabic,» grida, «se gemi sotto queste pietre, danne segno; il cavaliere arabo viene a mantener la sua parola.» Subito parve che i massi si sollevassero