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l’enorme cetaceo: la veggono le sorelle, sollecitanti a correre, accompagnate da sei altri delfini, e si confortano a seguirne l’esempio. Intanto la massa esangue che li porta, trascinata da una corrente, esce dal canale che bagna l’isola Nera e l’ha oltrepassata. Habib, ricevute con gratitudine e modestia le felicitazioni delle compagne delle sue avventure, domanda loro qual sia la terra che appare da lungi all’orizzonte. — È,» gli risponde la primogenita, «l’isola di Medinazilbalor, nella cui capitale alberga la nostra sovrana.» A tal notizia, Habib può appena raffrenare la gioia. — Che!» sclama; «ho dunque il bene di vedere quella terra desiderata! se vi potessi giungere conducendo il mostro che teniamo sotto a’ piedi, quanto alla regina riuscirebbe grato il vederlo! poichè non dubito che il ribelle Abarikaf non sìa incatenato nelle viscere di questa balena. — Lo potete,» dissero le tre sorelle; «sarà un fodero alquanto pesante, ma noi andremo a cogliere in fondo al mare, varie piante colle quali ne formeremo tirelle pei delfini.» Subito si gettano nelle onde e spariscono. La loro destrezza e vivacità fa che adempiano in un momento alle loro intenzioni; i delfini sono attaccati, il corpo della balena cessa dall’obbedire alla corrente, e prende la strada del maggior porto di Medinazilbalor.

«Udironsi allora uscire dal seno della balena gemiti simili al mugghiar dei flutti, allorchè s’ingolfano in qualche profonda cavità degli scogli; Abarikaf vede che va ad essere abbandonato alla vendetta di Dorrat Algoase, e presume che non sarà risparmiato.»