I dintorni di Firenze, volume II/I. Barriera di San Niccolò
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I.
Barriera di S. Niccolò
Stradale I. II. III. IV. V. VI. VII. Vili. IX. — Via di Villamagna. - La Nave a Rovezzano - Gandeli - Rignalla - Villamagna - Montauto - Gastiglionchio. — Via di Rimaggio. - Da Gandeli - Vicchio di Rimaggio - Quarto. — Via di Rosano. - Da Gandeli - Compiobbi - Gastei di Remole - Pian di Pugliano - Ro- sano - Samprugnano - Volognano. — Via Aretina . - La Colonna - Band ino - Badia a Ripoli - Pieve a Ripoli - Baroncelli - Bagno a Ripoli - La Croce - Paterno - Ter- zano - Bigallo - Ruballa - S. Donato in Poggio - Torre a Gona - Le Corti. — Via Chiantigiana e Via dell’ Antella. - Bandino - Paradiso - Ponte a Ema - S. Piero a Ema - Antella - Montisoni. — Via Chiantigiana per Greve, - Ponte a Ema - Grassina - S. Martino a Strada - Strada. — Via di Rizzano o di Val d’Ema. - La Capan- nuccia - Mondeggi - Morgiano - Quarata - Tizzano. — Via di Grassina. - Montauto - Collina. — Via del Ponte a Ema. - Ricorboli - Via di S. Margherita - La Badiuzza - Moccoli, - Cinque Vie - Vacciano - Garpineto. Mezzi di comunicazione. — Tranvai Firenze-Bagno a Ripoli. - Diligenze per Bagno a Ripoli - Candeli - Antella - Arco del Camicia - S. Donato - Baiatro - Ponte a Ema - Vacciano - Grassina - Greve. Uffici di Posta e Telegrafo. — Posta: Bagno a Ripoli - Ban- dino - Antella - Ponte a Ema - Grassina - Strada - Telegrafo : Bagno a Ripoli - Strada.
La Barriera, eretta in sostituzione della vecchia porta di S. Niccolò, che nell’ampliamento di Firenze oltrarno rimase chiusa dentro la cinta daziaria, è posta di fianco al Ponte di Ferro in mezzo ad un piazzale dove fan capo numerose ed importanti strade. Sono le vie che in vario senso attraversano i vasti piani e percorrono le colline e i monti del Comune di Bagno a Ripoli, uno dei più importanti e più popolosi fra quelli che circondano il ristrette» territorio comunale di Firenze. Due specialmente di coteste strade, la Via Aretina per S. Donato e la Via Chiantigiana sono fra le più antiche della Toscana e fra le arterie principali del transito e del movimento commerciale che da campagne ricche di prodotti del suolo, 0 d’industrie e di popolazione si volgono verso la città.
Fuori della Barriera di S. Niccolò, prima del 1864, non erano che delle case sparse ed un modesto villaggio aggruppato attorno alla chiesa parrocchiale di Ricorboli, mentre attualmente un nuovo e popoloso quartiere, attraversato da numerose e comode strade tracciate a poco alla volta in mezzo ai campi ed agli orti, si distende per un buon tratto della pianura e de’ colli vicini accrescendosi di continuo di nuove abitazioni, di palazzetti, e di villini. E il subborgo generalmente conosciuto coi nomi
Di Ricorboli, della sua chiesa, delle memorie locali, diremo altrove e per seguire l’ordine che ormai ci siamo imposti, inizieremo le nostre escursioni dalla via che prima si presenta alla nostra sinistra, giunti che siamo al bivio della Colonna.
Stradale I.
Via di Villamagna
Nel suo primo tratto, fra la Colonna e lo sbocco della strada di S. Piero in Palco, che si trova a destra prima di giungere al borgo della Nave a Rovezzano, quest’ampia e diritta via che corre parallela all’Arno, era come un gran viale, aperto in mezzo ai suoi possessi dalla famiglia Castelli, sicché per lungo periodo di tempo le restò il nome di Stradone del Castelli.
Nella località dell’Anconella, fra la Via di Villamagna e l’Arno il sottosuolo è percorso in ogni senso da gallerie filtranti, le quali raccolgono in gran copia la maggior parte delle acque limpide e pure che, inalzate poi per mezzo di pompe in ampj serbatoi, servono a sufficenza ai bisogni della città. A questa grandiosa opera idraulica, molti ed importantissimi perfezionamenti sono stati introdotti in questi ultimi anni, sicché è stato possibile ottenere qualità migliore e copia maggiore di acque potabili.
Percorrendo la Via di Villamagna, si trova poco dopo l’Anconella,
Il Casone. - Casa del Comune di Firenze. — Sulla sinistra dell’Arno, dirimpetto al monastero e ad altri loro beni, i Monaci Vallombrosani di S. Salvi possedevano cinque poderi e dei terreni ad uso di praterie lungo la sponda del fiume. Nel 1621 coteste terre divennero proprietà del Granduca Ferdinando de’ Medici, il quale nel 1643 vendeva la parte più vicina al fiume e costituente tre poderi ai quattro figli di Niccolò Castelli di una famiglia del contado che in quel tempo aveva acquistato notevole importanza e ricchezza. Nel nuovo possesso i Castelli eseguirono dispendiosi lavori: edificarono un grandioso fabbricato, il Casone per uso di villa, alcune comode case coloniche e aprirono in mezzo ai loro poderi un’ampia strada o meglio viale che, come abbiamo già detto, si chiamò fino a pochi anni addietro lo Stradone del Castelli. Nel 1801 estintasi nel cav. Pier Francesco la famiglia Castelli, gli eredi di lui venderono nel 1828 la villa ed i possessi del Casone al Conte Vittorio Fossombroni che fu matematico, economista, idraulico e diplomatico d’altissimo valore e primo Ministro del Granducato di Toscana.
Ultimamente la villa coi terreni annessi venne acquistata dal Comune di Firenze per diversi usi relativi al servizio dell’acqua potabile.
Sulla destra della strada di Villamagna, fra questa e la Via di Ripoli, il tratto della pianura, compreso in gran parte nel popolo di S. Piero in Palco, porta il nome di
Bisarno. — In epoca remota, prima che il governo della Repubblica facesse eseguire con grandissimo dispendio i lavori di arginatura e le altre opere di difesa lungo la riva del fiume, l’Arno dilagava nella pianura e formava un secondo braccio in mezzo al quale rimaneva come in isola un ampio tratto di terreno. Da questo braccio del fiume, derivò il nome di Bisarno, a significare, doppio Arno; ed il nome che per molti secoli fu proprio anche della parrocchia di S. Piero, sussiste tuttora nelle denominazioni di poderi e case poste in quella località.
A ricordo poi delle condizioni in cui si trovava un giorno questo tratto di pianura vale ancora il nome di Lame o di Via delle Lame proprio della strada che, parallela a quelle di Ripoli e di Villamagna, attraversa tutto il piano di Bisarno, essendo accertato come cotesto nome derivi dalle acque che dilaniavano gli adiacenti terreni.
Nella contrada di Bisarno, oltre alla Badia di S. Salvi, ebbero terre e case da signore diverse illustri famiglie e nei documenti del xm e xiv secolo troviamo ricordati infatti possessi dei Guglialferri, dei Ponci, dei Cavalcanti, dei Barducci, dei Bardi, degli Alberti.
Pertanto, prima di proseguire il nostro cammino per la stada di Villamagna illustreremo gli edifizj più importanti che si trovano nella contrada di Bisarno e più precisamente nel popolo di S Piero in Palco. A questa parte del Pian di Ripoli si accede tanto dalla Via di Ripoli per mezzo della Via delle Lame, della Via Erbosa e della Via della Badia, quanto da altre strade che imboccano nella strada di Villamagna.
Nella Via delle Lame, oltre al casale chiamato tuttora Bisarno, si trovano le ville seguenti:
II Limbo o Amino o Villa Arnina. — Il primo di questi nomignoli, che è d’antichissima origine, dev’essere stato dato a questa località, quasi per far contrasto a quelli di Paradiso e d’inferno, proprj di altre parti della contrada di Ripoli. Gli altri sono in armonia con quello di Bisarno, proprio fin da tempo immemorabile del piano di S. Piero in Palco, e che ricorda l’esistenza di un braccio secondario del fiume Arno, il quale non contenuto dagli argini errava capricciosamente in mezzo alla bassa campagna. In sostanza, Arnino significava evidentemente piccolo Arno. Qui, dov’ebbe specialmente possessi la ghibellina famiglia degli Uberti, fu una villa che a’ primi del xv secolo era di una famiglia Del Cappa che aveva case in Firenze nella via denominata dall’albergo del Guanto.
Nel 1491 Lionarda vedova di Ser Niccolò Del Cappa vendè la casa da signore lungamente posseduta da’suoi, a Battista di Giovanni Nasi, di quella famiglia che nella pianura di Ripoli e sui colli adiacenti dalla parte dell'Arno ebbe estesi ed importanti possessi. Pervenuta col volger degli anni in un Lutozzo Nasi bandito e condannato alla confisca de’ beni, la villa del Limbo fu nel 1612 venduta dal fisco ad un Antonio Pergolini che la lasciò alla moglie Ottavia la quale la rivendè nel 1645 a Faustina moglie di Francesco Gherardini. Restò in questa famiglia fino all’anno 1709 nel quale il senatore cav. Guglielmo Altoviti ne ricevette la metà in pagamento di crediti, comprando poi l’altra metà dai soprassindaci sugli affari di Anton Maria e fratelli Gherardini. Gli Altoviti alienarono nel 1831 alla famiglia Panerai la villa che dopo diversi altri passaggi fu acquistata nel 1866 dai proprietarj attuali.
Bisarno. - Villa Arganini. — E una piccola villa di origine antichissima, giacché nel 1427 si trova in possesso a certi Priamo e Bonifazio di Giovanni. In questa famiglia della quale non si trova il cognome, ma che forse si chiamò Bonifazi, restò il possesso della casa di Bisarno fino all’anno 1583, nel quale un Alamanno di Bonifazio la vendè a Cammillo di Niccolò Cimatore. Nel 1610 la comprava Francesco di Pagolo Ghiori e l’erede di lui la rivendeva nel 1630 a Jacopo di Feo o Fei. Nel 1681 la compra Cosimo di Lorenzo Giunti e pare che in quest’epoca si ampliasse la villa che precedentemente era indicata soltanto come casa. Dai Giunti l’ebbero nel 1756 per eredità gli Angelucci ai quali appartenne fino al 1824.
Bisarno o Le Lame. - Casa Sarsini. — Fu casa da signore della celebre famiglia Alberti fino dal xiv secolo. Francesco d’Altobianco Alberti la vendè nel 1437 a Piero di Ser Giovanni dei Gherardini di Ser Gherardo ed in questa famiglia restò fino a che per il fallimento di Giovanni Battista di Gherardo i beni di lui furono dai Sei di Mercanzia venduti a Gio. Battista di Antonio Del Rosso. Nel 1697 l'acquistava dai Del Rosso Giovan Battista d’Orazio Ruggeri che la rivendeva al Senatore Amerigo Antinori.
La Casa Bianca. - Villa Antinori. — Numerosi possessi avevano nel piano di Bisarno fin dai xiv secolo i Barducci-Chierichini, una delle più potenti famiglie d’Oltrarno padrona di palagi e case nella Via de’ Bardi. Fra queste sue terre sorgevano anche due case da signore che nel 1427 erano de’ figli di Barduccio di Chierichino. Una chiamata Bisarno fu ridotta a casa colonica, e quella che da varj secoli porta il nomignolo di Casa Bianca passò verso il 1470 nella famiglia degli Alberti del Giudice padrona d’altri beni in questi luoghi. Nel 1597 Maria d’Antonio degli Alberti vedova di Clemente dei Ridolfi di Borgo la lasciò al nipote Clemente del Cav. Niccolò Ridolfi, vincolandola al tempo stesso con un fidecommisso, in forza del quale pervenne ai primi del secolo successivo, per metà in Maria d’Orazio Cancellieri di Pistoja e per l’altra metà nei figli di Bartolommeo Bracciolini, pure di Pistoja. Nella divisione fra le due famiglie toccò ai Bracciolini e così l’ebbe in dote una figlia di Bartolommeo maritata a Mattias di Cammillo Talini di Pistoja. Alla morte di lei, restò parte al marito e parte ai parenti paterni e nel 1717 dai Procuratori di Innocenzo del tenente Pier Lorenzo Bracciolini e da Mattias Talini l’acquistava il Senatore Amerigo Antinori. Da quell’epoca la villa, che nonostante le trasformazioni subite serba diverse parti della sua antica costruzione, non uscì più dal possesso del ramo degli Antinori Duchi di Brindisi.
Chiesa di S. Piero in Palco. — Dall’essere stata edificata nel punto più elevato della pianura, per sottrarla alle inondazioni dell’Arno, venne a questa chiesa l’appellativo di S. Piero in Palco, mentre in antico fu pur chiamata S. Pietro in Bisarno, perchè posta nell’isola che l'Arno dividendosi in due rami formava in questa parte del Pian di Bipoli. Dai ricordi che se ne hanno, può ritenersi che essa esistesse già verso il 1000 alla pari delle altre chiese parrocchiali vicine. In origine fu di modeste proporzioni e di forma rettangolare; più tardi vi furono aggiunte le cappelle le quali le dettero la forma di croce latina. La prima riduzione della chiesa deve riferirsi al secolo xiv nel quale alla copertura con tettoja a cavalletti vennero sostituite le volte a nervature di stile ogivale; ma le trasformazioni più essenziali che le tolsero in gran parte il carattere d’antichità vennero compiute dal xvii secolo in poi.
Le pareti della chiesa vennero in molte parti adorne di affreschi nel xiv, xv e xvi e di questi affreschi barbaramente utilati e poi coperti di tinta, si rinvennero le tracce in alcuni lavori di saggio eseguiti nel 1905. Per quando danneggiati cotesti dipinti che rappresentavano storie di San Pietro Appostolo e della Vergine, presentano tuttore un notevole pregio per la storia dell'arte e della chiesa in specie.
In fatto di opere d’arte, oltre i frammenti d’affresco, ecco ciò che è degno di nota: al primo altare a destra è un dipinto attribuito ad Alessandro Allori rappresentante la Concezione della Vergine, S. Anna e S. Giovacchino. Dietro l’altar maggiore è una tavola raffigurante la Vergine in gloria, col bambino ed i Santi Giovan Battista, Pietro, Sebastiano e Francesco d’Assisi. E opera di Santi di Tito del quale si legge nella parte inferiore la sigla S. T. All’altare degli Antinori, il secondo a destra, è un bassorilievo di stucco colla Vergine e il bambino, lavoro di carattere del xv secolo che era già in un tabernacolo in Via delle Lame. In sagrestia sono una tavoletta con S. Giovan Battista e quattro piccole parti di gradino colle mezze figure della Vergine, di S. Pietro, S. Paolo e S. Giovanni Evangelista, resti forse dell’ancóna della fin del xiv secolo che stava un giorno sull’altar maggiore. Nell’atrio della canonica, un giorno a forma di loggiato, è un lastrone funerario del xiv secolo nel quale è scolpita la figura giacente di un Ser Ventura che fu rettore di questa chiesa.
Di S. Piero in Palco, secondo un ricordo del Senatore Carlo Strozzi, era patrono nel 1215 un Lottieri d’Aldobrandino Ferrucci; ma poco dopo il patronato passò ai parrocchiani fino a che, nel 1472, non l'ebbero i Biliotti d’Oltrarno divenuti proprietarj della vicina villa oggi Beccari. Quando i Biliotti venderono la villa, i parrocchiani riacquistarono i diritti d’elezione dei parroci che esercitarono fino a che la chiesa non fu dichiarata di data Regia. Sulla facciata, che serba poche tracce della sua primitiva struttura, esiste tuttora uno stemma dei Biliotti.
Il Palazzo di S. Piero in Palco. - Villa Beccari . — Che questa villa fosse in origine il castello de’ Bisarnesi, antichissima famiglia fiorentina originaria da questo piano di Bisarno, non risulta dai documenti. Piuttosto è da ritenersi che quivi sorgesse una casa da signore della famiglia Ponci di Vacchereccia che nel 1260 venne smantellata dai Ghibellini i quali reduci da Montaperti infierirono sui possessi delle famiglie di parte Guelfa. Di positivo si sa soltanto che nella seconda metà del xiv secolo questa villa ridotta a forma di castello merlato, apparteneva ad un ramo della potentissima famiglia dei Bardi che sui colli vicini e nelle valli dell’Arno, dell’Ema e della Greve possedeva castelli e case signorili in gran numero. E l’ebbero i Bardi fino all’anno 1451 in cui Piero figlio d’Ubertino la vendeva a Giovannozzo di Betto Biliotti, di un’altra cospicua famiglia che aveva i suoi palagi in Via Maggio al canto di Via de’ Michelozzi che si diceva allora il Canto a’ Biliotti. Dei Biliotti non fu che per pochi anni, perchè verso il 1490, Bernardo di Niccolò Capponi creditore di rilevanti somme verso gli eredi di Giovannozzo di Betto Biliotti, ottenne con sentenza del Podestà il possesso della villa e delle terre annesse, come pagamento di codesti suoi erediti. La villa di S. Piero in Palco fu per un lunghissimo periodo di anni gradito possesso della celebre famiglia Capponi e soltanto nel 1838 il Marchese Vincenzo di Lorenzo Capponi l’alienava per 10,000 scudi a Giuseppe di Luigi Beccari. Oggi essa appartiene al figlio di lui cav. prof. Odoardo Beccari scienziato dottissimo e viaggiatore ardito che nelle regioni affricane raccolse preziosi elementi di studio.
Il grandioso fabbricato conserva all’esterno molti dei caratteri proprii delle antiche case da signore, munite a guisa di castelli, per poter far fronte alle scorrerie delle milizie mercenarie sempre pronte al saccheggio ed alle arsioni. Ha sulla facciata il coronamento merlato e sugli angoli due specie di torricelle di vedetta Nell’interno è una sala con pitture policrome del xiv secolo, le quali furono raro esempio delle decorazioni delle case private, prima che nelle demolizioni del centro di Firenze si scoprissero tanti altri saggi congeneri che formano oggi corredo preziosissimo del Museo di Firenze antica, annesso al Museo di San Marco.
Il Palagio. - Villa Catani-Scappucci. — La potentissima consorteria dei Malispini, Guglialferri, Tebalducci e Giacomini ebbe fin da tempo remoto ampi possessi nel Pian di Ripoli e sul colle che questa pianura chiudeva dal lato di mezzogiorno. Nelle lotte fierissime de’ Guelfi e de’ Ghibellini anche questa consorteria si divise nelle due fazioni e mentre i Guglialferri dichiarandosi apertamente Ghibellini si videro banditi da Firenze, parte de’ Tebalducci e de’ Giacomini e la maggior parte de’ Malispini si schierarono nell’opposto partito. Così al ritorno de’Ghibellini vittoriosi dall’infausta giornata di Montaperti, molti degli edificj appartenuti a questa consorteria vennero distrutti arsi, smantellati. E questa sorte toccò anche al palagio vicino a S. Piero che apparteneva allora a’ Malispini e che più tardi passò in possesso de’ Tebalducci Giacomini. In questa famiglia e più precisamente in Piero di Giovanni Giacomini Tebalducci, lo troviamo inscritto nel Catasto del 1427. Ma poco dopo, il 26 maggio del 1483, Piero de’ Giacomini rassegnava in dote a Piera sua figlia moglie di Gi’ovan Battista di Duccio Adimari. Nel 1513 a dì 7 settembre Duccio di Bernardo Adimari vendeva la villa coll’annesso podere ad Agnolo di Francesco Doni di una ricca famiglia di tintori che aveva appunto il suo palazzo nel Corso de’ Tintori. Quest’Agnolo è ben noto nella storia dell’arte fiorentina, poiché essendo amico di Raffaello d’Urbino fu da lui ritratto insieme alla moglie Maddalena Strozzi. Appartenne questa villa anche a Giovan Battista Doni letterato di gran valore ed accademico della Crusca, morto nel 1647. L’ultimo di questa famiglia, il Marchese Ippolito Doni morto nel 1855, lasciò ereditaria della villa la signora Zeffirina Migliorati Mini moglie dell’avv. Carlo Scappucci e da lei passava dipoi nelle famiglie Scappucci e Catani.
La villa, che è posta in mezzo ai campi, fra la Via di Ripoli e la Via di S. Piero in Palco, è di bella costruzione e conserva ancora alcune parti della sua originaria struttura.
Prendendo la Via delle Lame, o ritornando per una delle diverse vie di comunicazione alla strada di Villamagna, si arriva egualmente a
La Nave a Rovezzano già Ripalta o Ripaltuzzo. — È un piccolo borgo, composto in gran parte di moderne fabbriche, posto lungo la Via di Villamagna e sulla riva dell’Arno. La nave o chiatta, che fin da tempo remoto serve a traiettare pedoni e veicoli fra le due sponde del fiume in faccia al borgo di Rovezzano, dette nome a questo borghetto che in antico si diceva Ripalta o Ripaltuzzo a cagione delle ripe costruite a difesa della strada, minacciata di continuo dalle piene dell’Arno.
Il borgo della Nave per la sua ridente situazione è luogo di convegno a gaje comitive che nella bella stagione vi si recano da Firenze e da’ luoghi vicini.
Al principio del borgo, sul canto di Via delle Lame, è un
Tabernacolo o maestà nel quale si veggono i resti di un affresco dei primi del xv secolo colla Vergine, il bambino ed un santo Vescovo.
Chiesa di S. Lorenzo a Ripalta o Ripaltuzzo. — All’estremità orientale del borgo, dinanzi ad un piccolo piazzale, è una cappella che fu un giorno chiesa parrocchiale di un piccolo popolo. Si diceva S. Lorenzo a Ripalta ed anche a Ripaltuzzo; ma fino dal xiv secolo, soppressa, forse per mancanza di rendite, e perchè ridotta in stato rovinoso, venne riunita alla Pieve di S. Pietro a Ripoli. Dal piecolo campanile della chiesetta una campana fusa da Giovanni Pucci nel 1332 fu trasferita nel 1394 alla Pieve.
Dopo la soppressione, la chiesetta divenne oratorio privato addetto alla vicina villa di Ripalta o di S. Lorenzo che apparteneva ai Sacchetti. Esso servì di cappellla gentilizia e di sepolcreto alle diverse famiglie che si succedettero nella proprietà della villa.
Ripalta o S. Lorenzino, poi le Sentinelle. - Villa Morelli Da Montauto. — Un ampio viale che muove di fianco alla chiesetta di S. Lorenzo a Ripalta, conduce alla grandiosa villa che dalla località e dalla vicina chiesa ebbe i suoi primitivi nomi. I più antichi possessori di cotesta casa da signore furono i Sacchetti e nel 1427 apparteneva a Tommaso figlio di Messer Tommaso cittadino illustre e discendente dal celebre novelliere trecentista Messer Franco Sacchetti. Col volger degli anni, la famiglia che aveva attorno a Firenze molti altri beni, non sembra avesse troppe cure per questa villa, talché nel 1534, quando Tommaso di Niccolò la dette in dote alla figlia Giuliana maritata in casa Capponi, fu denunziata al Catasto «come mezza disfatta». I Capponi non la possedettero a lungo, perchè gli Ufficiali del Monte, come creditori di Filippo di Niccolò Capponi la vendevano nel maggio del 1625 al Senatore Cosimo Catellini Da Castiglione. Alla morte del compratore, nacque fra gli eredi di lui una lunga lite in seguito alla quale il Giudice delegato a trattare la causa alienava il 24 Settembre 1707 la villa di Ripalta a Francesco ed altri figli di Fabio Feroni Marchese di Bellavista. Furono i Feroni, una famiglia che poteva additarsi siccome esempio per la magnificenza di adornamenti che profondeva in tutti i fabbricati di sua proprietà, che rialzò la villa di Ripalta dallo squallore nel quale era caduta; essa l’ampliò, l’abbellì di comodi annessi e di un giardino vastissimo circondato da muri che avevano sugli angoli delle vedette o casotti simili a quelli che nelle fortezze servono di asilo ai soldati di sentinella. Di qui le derivò il nomignolo di villa delle Sentinelle, sostituito affatto ai due più antichi. Alla morte dell’ultimo della famiglia Feroni, il Marchese Alessandro, avvenuta nel 1868, i beni passarono alle figlie e nelle familiari divise la villa toccò alla signora Paolina maritata in casa Morelli.
Oltrepassato il borgo della Nave, la strada corre lungo la riva dell’Arno e passa di fianco alla pittoresca pescaja di Rovezzano, dov’ebbero da questo lato alcuni mulini i Frati di Scopeto da’ quali passarono dipoi nei Missionari di S. Jacopo Soprarno.
Subito dopo, si entra nel popolo di Candeli, lasciando a destra la Via di Rimaggio che riprenderemo in seguito per illustrare i popoli di Vicchio e Quarto (Vedi stradale N. II).
La Lama. - Villa Riblet. — Anche questa località prese nome dalle acque che la dilamavano. Faceva parte nel 1427 de’ beni di Niccolò di Francesco Giraldi, il quale l’aveva a livello da S. Maria Nuova. Nel 1470 Ser Giovanni di Guiduccio notaro la comprò a vita sua e de’ figliuoli dallo stesso spedale e dopo di loro l’ebbe verso il 1534 Girolamo di Giovanni Biondi del gonfalone Lion Rosso. Alla metà del secolo successivo passò in Domenico d’Alessandro Di Nello che nel 1682 alienava la villa a Bartolommeo di Antonio Castellani, il quale la rivendeva nel 1690 a Francesco Domenico Margheri. Questi non la tenne che breve tempo, rivendendola nel 1698 ad Anton Maria Fabbrini, i successori del quale n’erano in possesso anche alla fine del secolo successivo.
La strada attraversa poco dopo il
Rimaggio così chiamato per essere il maggiore fra i rii o torrenti che vengono dal Pian di Ripoli. Il Rimaggio che scorre ai piedi delle colline di Candeli, Vicchio e Quarto, serve ad alimentare l’industria della lavatura dei panni alla quale si dedica gran parte della popolazione che abita lungo le sue rive.
Rimaggio o Ponte di Rimaggio. - Villa Cartei . — Di quest’antica casa da signore che oggi ha l’apparenza di una moderna villa signorile, si ha ricordo nel 1399 in una sentenza del giudice del Podestà di Firenze colla quale Gemma del fu Naldo Gherardini vedova di Filippo di Alamanno dei Cavicciuli, consorti degli Adimari, veniva messa in possesso di un podere e di una casa al Ponte di Rimaggio per eredità del marito e per resto della sua dote. Nel 1427 la casa da signore apparteneva ai Guardi da Montelungo, detti anche, per ragione del loro stemma, i Guardi del Cane. Fu di loro fino al 21 Giugno del 1621, giorno nel quale la venderono a Lorenzo di Bastiano Marti mugnajo. Nel 1629 i beni di cotesto mugnajo erano stati sequestrati dagli ufficiali dell’Abbondanza che li rivendevano al cav. Amerigo Marzi-Medici, i successori del quale l’ebbero fino alla loro estinzione.
La Massa. - Villa Socini. — Sulla riva pittoresca dell’Arno, difaccia alle antiche Gualchiere, dette del Girone, a causa dell’ampia voluta che il fiume descrive passando fra i colli di Candeli e di poggio di Monte Girone, sorge questa villa che conserva in parte le tracce della sua antichità. Fu infatti fra i più antichi e più importanti possessi che la famiglia Giraldi ebbe in queste località. Codesta famiglia ricca e potente che gli storici dicono originaria del Portogallo ebbe una predilezione grandissima per questa villa e per il possesso annesso, il più antico forse fra i molti beni che aveva attorno a Firenze. Ed è tanto vero questo fatto che Giovanni di Niccolò, costretto a dar la villa della Massa in dote alla figlia Francesca moglie di Yieri Riccialbani, si affrettava poco dopo, il 3 Dicembre del 1544, a ricomprarla da lei. All’estinzione della famiglia tutti i beni di essa, passarono nel 1753 insieme al cognome alla famiglia Pecori la quale anche a’ primi del secolo da poco trascorso era tuttora proprietaria del possesso di Candeli.
La Buca o il Ghiareto. - Villa Hombert. — Dalla sua situazione nella parte più bassa della vallicella del Rimaggio e dalle ghiaje di quel torrente che nelle sue rapide piene invadevano i campi limitrofi, deve cercarsi l’origine del nome di quest’antica casa da signore che fin dall’origine appartenne con altri beni vicini alla famiglia Giraldi. Fu sempre dei Giraldi e nel 1753, all’estinzione della famiglia, passò per eredità nei Pecori. La Contessa Teresa Pecori Suares lasciò questi beni al figlio cav. Anton-Francesco del Senatore cav. Francesco Bartolini Baidelli agli eredi del quale la villa della Buca appartenne fino a tempi relativamente moderni.
Candeli. — E un piccolo borgo posto lungo la Via di Villamagna, quasi sulla riva dell’Arno, vicino alla confluenza del torrente Rimaggio. La località ed il popolo di Candeli, in antico Candegli sono ricordati in molti antichi documenti, precedenti anche alla fondazione della Badia dei Camaldolensi avvenuta nel xii secolo. In questi luoghi ebbero autorità e beni gl’imperatori di Germania, i quali ne investivano i Conti Guidi loro vassalli. De’ possessi dei Conti Guidi a Candeli si ha ricordo anche nell’estimo de’ danni arrecati dai Ghibellini ai beni de’ Guelfi, dopo Montaperti. Infatti risulta da quello che fra le case distrutte vi fu anche un palazzo che apparteneva a Guido Guerra ed a Guido Salvatico Conte di Toscana. Ma qui attorno e forse per concessione degl’istessi Imperatori, ebbero proprietà di terre e di case diverse fra le più antiche e più potenti famiglie di Firenze e basterà ricordare i Cerchi, i Donati, gli Adimari, i Compiobbesi, i Salterelli, i Portinari.
Nè sarà inutile rilevare come da Candeli per andar fin verso Rosano, dove la valle dell’Arno è resa più angusta dai poggi che scendono con ripido declivio verso il fiume, si trovino numerosi edifizi che dovevano costituire quasi una linea di fortificazioni a difesa della città ed a guardia del passo dell’Arno e delle vie che da questo lato vi si dirigevano.
Ma di cotesti diversi fortilizi avremo occasione di discorrere nel seguito di queste escursioni.
Chiesa di S. Andrea a Candeli. — Dell’esistenza di questa chiesa si hanno ricordi fino dal 1150 e si sa pure che nel secolo stesso venne concessa ai monaci Camaldolesi i quali la riedificarono e vi costruirono un comodo monastero nel quale dimorarono fino all’anno 1526, nel quale un breve di Papa Clemente VII in data 11 Maggio concedeva il luogo ai frati Vallombrosani per crearvi una nuova Badia.
Prima che vi andassero i Vallombrosani, il patronato della chiesa spettava al Capitolo Fiorentino il quale dette i suoi diritti a quei monaci in cambio del patronato della Badia di S. Benedetto in Alpe. I Camaldolesi avevano arricchita la loro chiesa di opere d’arte di notevole pregio, fra le quali una bella tavola di Domenico Ghirlandajo, colla Madonna, il bambino e varj Santi che venne trasportata in Galleria
Cosi i Vallombrosani accrebbero di adornamenti e di pitture la chiesa; ma oggi ben poco rimane di questo antico corredo. Al primo altare a destra entrando, dentro un tabernacolo adorno di stucchi di carattere barocco, è una tavoletta dipinta a tempera colla Vergine in atto di porgere il latte al bambino Gesù, opera che ricorda la maniera di Bicci di Lorenzo. Al secondo altare dallo stesso lato, come decorazione ad un tabernacoletto dov’è un piccolo crocifisso di rilievo, è un dipinto in tela della maniera di Cristofano Allori nel quale si veggono raffigurati gli Arcangeli Michele e Gabriele ed i Santi Antonio da Padova, Niccolò, Cristofano e Girolamo: ai lati del tabernacolo stanno due angeli volanti. Nel 1809, alla soppressione dei conventi, la Badia di Candeli cessò d’aver vita: la chiesa restò semplice parrocchia di Regio patronato e l’ampio edifizio monastico fu ridotto ad uso di canonica.
La chiesa, esuberantemente adorna di stucchi, non ha pregi artistici, nè presenta più tracce della sua vetusta costruzione.
Vi è annessa la
Compagnia dei SS. Iacopo e Filippo che esisteva anche a tempo dei monaci. In un tabernacolo si conserva un antico e caratteristico Crocifisso modellato in carta pesta.
Il Palagio di Rimaggio. - Villa Gerini. — Fra le ville del popolo di Candeli è delle più antiche e come fabbricato è certo dei più importanti per l'ampiezza e per l’eleganza della sua costruzione. Le due facciate sono di carattere del xvi secolo e nell’interno è un bel cortile adorno di ricchi ed eleganti graffiti di quello stesso secolo.
Fin dal xiii secolo appartenne alla celebre famiglia Salterelli che qui e nel popolo di Vicchio ebbe diversi possessi. Nel 1427 era di Giovanni di Renzo Salterelli; ma poco dopo fu venduta ad un tal Ruberto di Bartolommeo bastiere del Gonfalone Unicorno. Da lui l'acquistavano alla fine dello stesso secolo i Nasi già padroni di altre vicine ville ed essi, e probabilmente Ruberto, la ridussero all’ampiezza attuale collocando il loro stemma sopra una delle porte.
Il Palagio di Rimaggio, che si chiamò anche i Salterelli, fu da Raffaello Nasi venduto nel 1540 a Giovanni di Niccolò Giraldi ed ai Giraldi si deve certo la riduzione dell’esterno della villa al carattere presente. Nel 1776 all’estinzione della famiglia Giraldi, essa passò insieme al resto del patrimonio nei Pecori che da quel tempo si dissero Pecori-Giraldi. Nel 1814 la villa e diversi poderi annessi vennero comprati dai Gerini-Bonciani di Via dei Ginori, dei quali furono in gran parte eredi i Marchesi Gerini di Via del Cocomero, attuali possessori.
Da varj anni la villa, situata in posizione ridentissima e circondata da un vago giardino, serve di comoda e piacevole villeggiatura alle alunne del Regio Educatorio degli Angiolini.
Il Palagiaccio. - Casa Gerini. — Era un palagio che la potente famiglia degli Adimari possedeva in mezzo ad un’ampia estensione di terre e che nel 1260 venne devastato dai Ghibellini reduci da Montaperti insieme, ad altri edifizi che nel popolo stesso di Candeli possedevano i Conti Guidi ed i Bagnesi. Rassettato dipoi, apparteneva nel 1427 a Boccaccio di Salvestro Adimari dal quale ebbe origine la famiglia degli Alamanneschi-Adimari. Fu cotesto Boccaccio che lo vendè nel 1489 a Niccolò di Jacopo Strozzi; ma contro la vendita fatta, forse irregolarmente, ricorse al Palagio del Podestà Isa figlia di Alamanno degli Alamanneschi e, dietro favorevole sentenza, ottenne il 15 Febbraio 1512 da’ figli di Niccolò Strozzi la restituzione del Palagio e delle terre che portò al marito Raffaello di Jacopo Vecchietti. Un altro Raffaello Vecchietti come erede dell’avola Isa Adimari Alamanneschi, lo vendè il 18 Dicembre 1608 al Senatore Giuliano di Francesco Serragli il quale insieme a tutto il resto del suo pingue patrimonio lo lasciò nel 1648 in eredità alla Congregazione di S. Filippo Neri. Però l’esistenza di un fidecommisso del Serragli in favore della figlia Maddalena moglie del Senatore Giovanni Giraldi escluse questo possesso dalla donazione e così nel 1651 venne dai Padri Filippini restituito a Vincenzo figlio di Maddalena Serragli Giraldi.
Estinta questa famiglia, l’eredità passò ai Pecori e da loro acquistavano nel 1814 tutto il possesso di Candeli i Gerini-Bonciani.
Il Vecchietti. - Casa Germi. — Conserva vestige della sua primitiva destinazione ad uso di villa ed alla pari del Palagiaccio fu degli Adimari, poi de’ Vecchietti, dei Serragli, de’ Giraldi.
I Salterelli o Salzelli. - Casa Gerini. — È posta presso la riva del Rimaggio e fin dal xiii secolo era insieme con altri beni posti nel vicino popolo di Vicchio, proprietà dell’antichissima e potente famiglia Salterelli. Passò dipoi nei Nasi e seguì le sorti di altri beni pervenuti in seguito nei Giraldi, nei Pecori e nei Gerini.
Giojetta. - Villa Fantappiè. — Il gentile nomignolo di questa villa può esserle derivato dalla vaghezza del luogo o dall’affetto che ebbero per essa i suoi più antichi possessori, i Migliorelli. Nel 1427 apparteneva a Jacopo di Luigi di Messer Ruberto e da quella famiglia non uscì che nel 1604, quando Violetta d’Orlando, ultima di quella casata, la lasciava in eredità ai figli Federigo, Fabio e Cosimo di Bartolommeo Gatteschi. Pochi anni dopo, il possesso della villa era rimasto in parte a Federigo Gatteschi e per l’altra metà era passato in Domenico di Bastiano Guidi e da loro l’acquistava nel 1652 Niccolò di Gio. Maria Giovagnoli di una ricca famiglia che da Rassina nel Casentino era venuta a stabilirsi a Firenze. I Giovagnoli la possedevano anche ai primi del xix secolo.
Al disopra della chiesa di Candeli è
La Tana. - Villa Fossi . — Per l’ampiezza e l’eleganza del fabbricato, per la bellezza dei giardini e del parco che la circondano e soprattutto per la splendida posizione di prospetto a Firenze, è certo una delle più signorili e deliziose villeggiature dei nostri dintorni. Doveva essere in origine una piccola casa da signore quasi nascosta, intanata fra i boschi che coprivano tutta la pendice del poggio dell’Incontro, d’onde le venne il nomignolo di Tana. Nel 1427 era dei Bucelli, famiglia che a Candeli come a Viecliio ebbe un giorno numerosi possessi.
Nell’aprile del 1548 Bernardo di Antonio Bucelli la vendeva ad Antonio di Vittorio Laudi e nel 1570, il 24 maggio da Vittorio di Gio. Battista Landi l’acquistava Piero di Ser Zanobi Bonaventuri insieme a Bianca Cappello sua moglie. Fu questa perciò la villeggiatura che i personaggi di uno dei tanti drammi della storia Medicea si erano procurata, certo coi larghi aiuti che poterono facilmente ottenere dal Granduca Francesco I che la Cappello aveva ormai reso schiavo delle sue grazie. Soppresso nel 1574 il Bonaventuri, la villa restò in proprietà di Bianca e della figlia Pellegrina che aveva avuto dallo sfortunato marito. Ma la Cappello aspirava a raggiungere ben altri onori ed a godere villeggiature anche più splendide, talché prima ancora di diventare Granduchessa, vendeva il suo possesso di Candeli. Troviamo infatti che con contratto del 18 Marzo 1576 rogato Ser Jacopo Contrini lo Spedale di S. Maria Nuova «comprava per scudi 8000 dalla eccellentissima Donna Bianca Cappello, Patrizia Veneta, due poderi con più pezzi di terra, più case e un palazzo, posti nel popolo di S. Andrea a Candeli, luoghi detti la Casella e la Tana».
Lo Spedale di S. Maria Nuova, che altri possedimenti più antichi aveva nelle vicinanze di Candeli, tenne sotto la propria amministrazione i beni della Tana che il 13 Giugno del 1631 dava a livello al Barone Giulio del fu Bettino Ricasoli. Fu a tempo dei Ricasoli che il palazzo della Tana venne ampliato, arricchito di stupendi annessi e foggiato secondo lo stile architettonico suntuosissimo che imperava nel periodo fra il xvii e il xviii secolo. Nel decorso secolo la villa fu acquistata dalla famiglia Fossi che accrebbe notevolmente l’annessa tenuta.
Ulivelli. - Villa Fossi. — Dipendenza del possesso della Tana è questa antica villa situata alle pendici boschive del poggio dell’Incontro. Era fin da tempo remoto luogo di villeggiatura della celebre famiglia Portinari che altri beni possedeva nel popolo di Candeli. Da loro andò nei Miniati a’ primi del xvi secolo e nel 1554 da Jacopo Miniati l'acquistava Antonio di Vittorio Landi, lo stesso che quattro anni dopo comprava anche la più importante villa della Tana. Il figlio di lui Vittorio la rivendeva nel 1590 a Piero di Luca Bruni e poco dopo, nel 1607, Luca Bruni cappellano di S. Lorenzo che ne era entrato in possesso l'alienava a Francesco di Bernardo Borromei. Il possesso subì a breve distanza diversi altri passaggi: Bernardo di Francesco Borromei lo vende nel 1613 a Simone di Domenico Lapini cappellano della Madonna delle Grazie; dall’eredità di lui l’acquista nel 1658 Niccolò di Giovanni Luti e Filippo di Carlo Luti lo rivende nel 16S7 a Vincenzo d’Antonio Marchionni. Da lui passa allo Spedale di S. Maria Nuova nel 1741 e da questo nel 1771 nella famiglia Sgherri.
A poca distanza dalla Via di Villamagna è la
Chiesa di S. Maria a Rignalla. — Sulla ripida pendice de’ poggi di Villamagna, di prospetto alla Valle dell’Arno, sorge la chiesa di Rignalla piccolo e modesto edifizio che ben poche tracce conserva della sua remota antichità. Sulla facciata ha lo stemma degli Spinelli che per molto tempo ne furono patroni e sul fianco un tabernacolo con un affresco, pregevole opera del xv secolo, nel quale sono rappresentati S. Tommaso che tocca la piaga nel costato del Redentore, S. Girolamo e S. Francesco. Nell’interno, nulla d’interessante, se si eccettua un antico stucco colorito, di forma rotonda, chiuso da cornice intagliata e rappresentante la Vergine, due terzi di figura, col bambino Gesù in grembo. Nella cornice è una moderna iscrizione più o meno esattamente copiata da una antica: Fecerunt fieri Contis et Thomas frés de Spinellls MCCCCXXXXI. Gli Spinelli non furono patroni della chiesa di Rignalla che dopo il xiv secolo, perchè negli spogli del Senatore Strozzi si trova che nel 1310 il patronato di quella chiesa spettava agli Abati ed a certi Da Castelvecchio che erano forse un ramo degli Abati. Oggi la chiesa è di libera collazione degli Arcivescovi di Firenze.
Nel campanile è una vecchia campana che la tradizione dice consacrata da S. Antonino arcivescovo di Firenze e che si suol suonare dai popolani per scongiurare i danni delle procelle.
Rignalla. - Villa Fossi. — È un caratteristico ed interessante edifìzio che conserva ancora, nonostante i restauri subiti, i caratteri di uno di quei castelletti che le potenti famiglie fiorentine erigevano in mezzo ai loro possessi, corredandoli di tutte quelle opere di difesa che potessero garantirli da una possibile aggressione. Sulla facciata presenta un’alta e solida muraglia merlata, nel centro della quale si apre il portone che dà accesso ad un pittoresco cortile dove i resti dell’architettura del xiv secolo si uniscono alle più eleganti decorazioni del xv. Tutto il fabbricato conserva i caratteri di una signorile dimora del medioevo. Forse essa fece parte di quell’insieme di luoghi fortificati, efficacissimi per la guardia e la difesa della sottoposta valle dell’Arno e delle anguste strade che seguivano quasi parallele il corso del fiume. Di chi fosse in origine non può determinarsi con certezza; ma se si pensa che la chiesa di S. Maria a Rignalla era a’ primi del xiv secolo di patronato della famiglia Abati, è da ritenersi che degli Abati fosse pure l’unica casa da signore di notevole importanza esistente nel territorio della modesta parrocchia. Ma gli Abati che in generale tennero da parte Ghibellina e che dettere alla patria uomini d’infausta memoria, vennero cacciati in bando e priyati de’ loro beni, quindi è probabile che in quello stesso secolo xiv il castelletto di Rignalla, venuto in possesso degli Ufficiali dei Ribelli, fosse acquistato dalla famiglia Spinelli allora una delle più ricche di Firenze. In ogni parte infatti del vecchio edifìzio si trovano gli stemmi degli Spinelli, che da quel tempo lontano tennero il possesso di Rignalla fino al secolo ora decorso. La villa fu dipoi de’ Piccioli, degli Alberti di Monterchi, poi dei Fossi.
Dopo Rignalla, la strada attraversando terreni boschivi, segue la ripida pendice dei monti per dirigersi a Villamagna e lungo la via, e a differenti distanze, si trovano numerose ville antiche, alcune delle quali ridotte oggi a case coloniche. Gavena. - Casa Fossi. — Fu casa da signore della famiglia Lapaccini che in antico si denominò Del Toso ed appartenne ai fratelli di quel Messer Alessio di Benedetto Lapaccini che fu uno de’ più illustri segretarj della repubblica fiorentina e che venne considerato come un dei più valenti oratori de’ suoi tempi. Milea de’ Lapaccini vendè nel 1531 la casa da signore a Filippo di Piero Spinelli ed alla morte di questo gli Ufficiali de’ Pupilli la rivendevano a Lodovica di Piero Nuti moglie di Antonio Bellingeri. Francesco di Antonio Bellingeri la portò nel 1566 in eredità ai figli avuti da Bianca de’ Castellani e nel 1773 per ragioni di fidecommisso, perveniva nel Canonico cav. Domenico del Senatore Cerchio Cerchi I Cerchi ridussero l'antica villa a casa colonica.
Casazzi. - Villa Ciaccio. — E questo il luogo dal quale venne a Firenze la famiglia Granacci originaria di Villamagna ed appartenne a Francesco di Andrea Granacci pittore geniale ed uno degli scolari più valenti di Domenico del Ghirlandajo. Il Granacci, nato nel 1477 e morto nel 1543, dipinse un quadro assai pregevole che tuttora si conserva nella Pieve di S. Donnino. La famiglia di lui mantenne l’avito possesso fino al dì 11 Aprile del 1647, giorno in cui Francesco e Giovanni di Andrea vendevano a Giovan Battista di Anseimo Fabbroni. Nel 1660 prendevano possesso del podere e della villa i creditori del Fabbroni in seguito a decreto dai signori della Mercanzia; ma per ragione di un fidecommisso di Andrea Granacci i beni di lui andavano nel 1698 in proprietà delle Monache di S. Lucia in Via S. Gallo, le quali li tennero fino alla soppressione francese.
Il Balestriere. - Villa Bini. — Nel xiv secolo la potente famiglia Tanagli che in Firenze ebbe palagi in Borgo degli Albizzi, possedeva già vari beni nel popolo della Pieve di Villamagna e fra gli altri la casa da signore chiamata, per ragioni che non è facile giustificare, il Balestriere. Essa le appartenne fino all’anno 1555 in cui l’alienava col podere annesso, per 526 fiorini d’oro a Tolomeo di Pagolo Tolomei, il quale la rivendeva il 7 Ottobre del 1539 ad Agostino di Piero Del Nero, il ricco cittadino che edificò in Piazza de’ Mozzi il palazzo oggi de’ Marchesi Torrigiani. Il figlio di lui Francesco, nel 1599, assegnava questo possesso per un valore di fiorini 4000 come dote alla figlia Lavinia moglie di Baldassarre di Lesnus Astudillo gentiluomo spagnnolo della corte Medicea. Da quell’epoca, all’antico nomignolo della villa fu sostituito quello dell’Astudillo col quale è tuttora designata. Per ragioni di fidecommisso la villa passò nelle famiglie Quaratesi e Cattani, già Cavalcanti e per sentenza del magistrato supremo del 3 Aprile 1764 venne assegnata ad Ottavio del Senatore Carlo Quaratesi dal quale passava nel 1771 nei fratelli Senatori Giovali Battista e Alessandro del Senatore Filippo Guadagni.
Castel Beiforte. - Villa Altoviti. — Nei più antichi ricordi, questa villa si trova sempre denominata il Castello e difatti, nonostante le trasformazioni subite, conserva tuttora i caratteri di un fortilizio, colle mura merlate ed un alta torre di difesa. La vecchia fabbrica è posta in una valle al disotto della strada di Villamagna, ma in antico la via passava più in basso ed il Castello poteva appunto servire di guardia e di difesa di quel passo importante. A chi appartenesse in origine non e facile determinare, perchè mancano in proposito speciali ricordi. Nel 1427 era di una Mona Niccolosa moglie di Filippo di Michele (Arrighi forse) e poco dopo, nel 1457, era passato in proprietà di Daniello Canigiani. Ed i Canigiani ebbero per lungo tempo cotesta casa da signore; nel 1563, per sentenza del Podestà fu concessa a Cammilla di Gismondo Ridolfi donna di Giovan Battista Canigiani; ma alla di lui morte avvenuta nel 1600 tornò ai nipoti Bartolommeo e Matteo di Cosimo. Rimasta in possesso della Marchesa Maria Canigiani, essa lasciava per testamento la villa, che allora si diceva Castel Belforte, al Bali Zanobi di Piero Girolami il quale n’entrava in possesso nel 1709 il dì 22 d’Aprile. Il Girolami restaurò la villa e l’antica chiesetta che vi era annessa dedicò a S. Zanobi. Oggi la cappella è ridotta ad uso di tinaja. Modernamente la villa è appartenuta ad una famiglia Corsini. Il Poggio. - Villa. Gerini-Zappi. — Sopra un fertile poggetto situato a tramontana del villaggio di Villamagna, sorge maestosa questa villa che fu certo un de’ più belli e grandiosi fra i palazzi di campagna che in considerevole numero furono edificati in questa ridente contrada. In origine dev’essere appartenuta ai Cavalcanti; ma nel 1427 figurava fra i molti possessi dì Jacopo di Lutozzo Nasi. Ortensia di Lorenzo Nasi la portò nel 1640 in casa Capponi e dai Capponi passò nel 1674 nel Conte Giovai! Francesco Del Benino. Ai Del Benino, che accrebbero con nuovi acquisti di ville e di poderi vicini il loro possesso di Villamagna, restò la villa fino all’anno 1860 in cui il Conte Ferdinando Malevolti Del Benino, ultimo della sua casa, la lasciò in eredità al Marchese Carlo Gerini. La Marchesa Maddalena Gerini portò dipoi in dote questa tenuta al marito Marchese Antonio Zappi.
La villa del Poggio a Villamagna conserva tutti i caratteri delle sontuose ville che le cospicue famiglie fiorentine adornarono e corredarono di ogni sorta di comodi annessi. Sulla bella facciata del xvi secolo esiste tuttora lo stemma degli antichi possessori, i Nasi, e fuori dell’ampio e vago giardino vedesi un ampio vivajo che raccoglie in gran copia le acque sorgive.
I Del Benino con numerosi acquisti costituirono attorno alla superba villa un’ampia tenuta della quale fanno parte, case oggi ad uso colonico, che furono un giorno ville importanti per la loro antichità e per gli storici ricordi delle famiglie illustri che le possedettero.
Capaccio. - Casa Zappi. — Ai primi del xv secolo era casa da signore de’ Salviati e nel 1469 per dote di Andreuola di Filippo Salviati passò in Benvenuto di Ser Marco Benvenuti da Fondine. A questa famiglia appartenne fino al xviii secolo; poi acquistata dai Del Benino venne ridotta a casa colonica.
Ruggeri o Casa Ruggeri. - Casa Zappi. — Il fabbricato di aspetto antichissimo e grandioso, serba tuttora i caratteri di un’antica casa da signore. Fu come la precedente de’ Salviati prima, poi dei Benvenuti, fino a che alla fine del xvii secolo l’acquistavano i Franceschi che la rivendevano nel 1771 ai Del Benino.
Nutrici. - Casa Zappi. — Nel 1427 era casa da signore di Giovenco di Niccolò Da Filicaja e poco dopo andò in possesso dei Benvenuti da Rondine padroni di molti altri beni nel popolo di Villamagna. Pervenuta nei Del Benino, venne poi ridotta a casa da lavoratori.
Villamagna. — Sotto questo nome si comprende, non solo l'umile villaggio di poche case posto sul piccolo altipiano prossimo alla Pieve di S. Donnino; ma tutto il territorio montuoso, fertile ed infinitamente pittoresco che dal poggio dell’Incontro e da Poggio a Luco discende verso Montauto e la riva dell’Arno.
Varj documenti del xi e xii secolo ricordano una famiglia di signori d’origine longobarda che ebbe qui autorità e possessi in mezzo ai quali doveva sorgere un grandioso edilizio a guisa di castello che fu forse quello di Poggio a Luco; ma i ricordi di que’ tempi lontani sono così incerti e così scarsi, da non dar valore sicuro alle supposizioni che possono farsi.
Certo in questi luoghi dove l’asprezza dei monti, la mancanza di comode strade, i boschi folti che tutte ricoprivano le ripide pendici rendevano forti e sicure le campestri dimore, molte potenti famiglie fiorentine ebbero resedi comodi e ben muniti, trasformati col volger degli anni in quiete e deliziose villeggiature.
In antico fra i possessori di beni a Villamagna dovevano essere in prevalenza quelli di parte Ghibellina, perchè nell’estimo de’ danni arrecati alle proprietà de’ Guelfi dopo Montaperti questa località non è affatto ricordata.
Più tardi, fra le molte famiglie padrone di case da signore a Villamagna figuravano i Compiobbesi, i Gianfigliazzi, i Bartoli, i Covoni, i Cavalcanti, i Salviati, i Nasi, i Canigiani, i Tanagli, i Lapaccini ecc. come vedremo nei cenni relativi ai diversi fabbricati.
Pieve di S. Donnino a Villamagna. — Fra le pievi dei dintorni di Firenze è certo una delle più antiche, perchè esisteva, a quanto ne dicono i vecchi ricordi, fino dall’ viii secolo. La sua costruzione però, comune a quella di molte altre pievi del territorio fiorentino, non parrebbe anteriore al xi secolo, sicché anche se esisteva in epoca anteriore, essa dev’essere stata successivamente rifatta. È a tre navate, con solide mura rivestite di conci e filaretto di pietra, le tre absidi, le finestrelle a guisa di feritoje. Attorno alla gronda del tetto ricorre una caratteristica cornice a punte di mattoni. L’interno è rimodernato, ma sotto la calce e il bianco apparisce evidente la struttura originaria semplice e solenne.
Il campanile a torre con varj ordini di finestre serba i caratteri dello stile lombardo.
Ma ciò che dà un particolare interesse a questa pieve è la ricchezza delle opere d’arte che tuttora vi si conservano e che pure non son tutte quelle ricordate in diversi antichi documenti.
Opera di molto interesse per l’arte è una grande ancona che adornava in origine l’altar maggiore; è divisa in tre scomparti cuspidati, ha nel mezzo la Vergine col bambino circondata da un coro di angeli, nei laterali sono dieci figure di Santi e nel gradino la Pietà e sei piccole figure di Santi; e opera della maniera di Agnolo Gaddi. Sull’altare a destra di quello maggiore la tavola della maniera di Domenico Ghirlandaio rappresenta la Vergine in trono col bambino Gesù ed i Santi Giovanni Battista, Niccolò di Bari, Michele Arcangelo e Donnino; al secondo altare a destra entrando la tavola che si può ritenere di Francesco Granacci raffigura la Vergine in piedi col fanciullo sul braccio ed ai lati le figure genuflesse di S. Donnino e di S. Gherardo. Al primo altare a sinistra entrando era in origine la già rammentata tavola ghirlandaiesca e vi rimangono le decorazioni dipinte a fresco nello stesso tempo e da un artista della stessa scuola. Nella lunetta è raffigurato il Presepio, nel sott’arco è l’Eterno Padre in mezzo agli Evangelisti e negli sguanci sono due santi martiri. Appesi alle pareti, oltre alla grande ancona, sono altri dipinti: un laterale di trittico del xiv secolo colle figure di S. Giovan Battista e S. Antonio Abate ed in alto S Francesco che riceve le stimate; due tavolette della seonda metà dello stesso secolo colla Vergine e l’Angiolo Annunziante. Si conservano nella chiesa anche alcuni oggetti e frammenti di legname finamente intarsiati.
In questa chiesa ebbero altari e sepolture alcune delle illustri famiglie che possedevano beni qui attorno e diversi pievani appartennero a queste e ad altre celebri famiglie di Firenze. Sulla porta dell’ampia canonica, in gran parte stata venduta a privati, vedesi lo stemma della famiglia Nasi appostovi forse da qualche pievano che la restaurò. Di patronati antichi della chiesa non è ricordo; l’elezione dei pievani veniva fatta dal popolo e cessato quest’uso la pieve divenne di data Regia. Fu pievano di Villamagna Ferdinando Paoletti scrittore valente di cose economiche e di agronomia, morto nel 18011.
Oratorio di S. Gherardo a Villamagna. — Sopra un piccolo ripiano a breve distanza della Pieve di S. Donnino sorge quest’oratorio che è un elegante e caratteristico edilizio del xiv secolo, colle mura di pietra e con un grazioso fregio d’archetti che ricorre tutt’all’intorno lungo la linea dei tetti.
Un Gherardo maestro di pietre che si commesse all’ordine di S. Giovanni Gerosolimitano, si ritirò a far vita d’eremita su questi poggi, dove eresse col patrocinio del Commendatore di S. Jacopo in Campo Corbolini di Firenze un oratorio con annesso un ospizio per i pellegrini. Questo Gherardo, morto nel 1242, venne seppellito nell’oratorio da lui edificato, con gran solennità ed il suo corpo fu racchiuso in un sarcofago di pietra sostenuto da eleganti colonnette. Più tardi venne beatificato e l’oratorio che era dedicato dapprima a S. Giovanni Gerosolimitano venne intitolato al Beato o più comunemente a S. Gherardo. Restò costantemente dipendente dalla Commenda di Jacopo in Campo Corbolini alla quale doveva corrispondere annualmente un offerta di due libbre di cera.
Nel 1313 Aldobrandino Cavalcanti promise al Commenditore di S. Jacopo di erigere a sue spese accanto all’oratorio una casa, dove potessero abitare un prete ed un chierico; ma di questa casa coe dello spedaletto non rimangono oggi tracce e la chiesetta sorge completamente isolata.
Nell’interno di essa, oltre l’area del Beato Gherardo, ora in parte nascosta sotto il suolo, si veggono resti di affreschi del xiv e xv secolo e sull’altare è una piccola tavola della scuola d’Andrea Del Sarto, rappresentante la Vergine in trono col bambino Gesù ed ai lati genuflessi ed in atto di orazione, S Donnino ed il B. Gherardo. Interessante e pregevole assai è un tabernacolo o edicola di pietra assai ricca di ornati di carattere del xiv secolo. Nel timpano della cuspide è scolpita di bassorilievo la figura del B. Gherardo e nel basamento sono gli stemmi delle famiglie Bardi e Magli. Forse in origine doveva contenere o una statua, o dei dipinti o fors’anche delle reliquie del B. Gherardo.
Il grazioso edifizio, che fino alla soppressione della Commenda di Campo Corbolini restò sotto la dipendenza dell’Ordine di Malta, fu dai Granduchi affidato più tardi alla custodia dei Pievani di Villamagna dandone l’uso ad una compagnia che s’intitola di S. Gherardo.
Villamagna o S. Gherardo. - Casa Zappi. — Fu in origine casa da signore ed appartenne prima ai Bardi, poi ai Baroni Del Nero; più tardi i Del Benino la ridussero a casa da lavoratori.
Lasciando ora per un momento la via che si dirige a Castiglionchio, ritorneremo alla pieve di S. Donnino per una breve scorsa nel vicino popolo di S. Romolo a Villamagna.
Chiesa di S. Romolo a Viilamagna. — Su di una collinetta che fa parte del poggio di Montaguto sorge questa chiesa antichissima d’origine; ma talmente alterata dai restauri che vi furono fatti nel corso de’ secoli, che nulla conserva dell’originaria struttura. Situata in mezzo ai vasti possedimenti della potente famiglia Compiobbesi padrona un giorno dei castelli di Montaguto e Remoluzzo fu fin da tempo remoto di patronato di cotesta casata della quale si vede tuttora lo stemma vicino alla porta. A questa chiesa venne unita in antico quella di S Jacopo nel castello di Montaguto. Degno d’interesse non esiste in questa chiesa che un piccolo dipinto in tavola a fondo d’oro rappresentante la Madonna col bambino, opera di maniera bizantina del xii o xiii secolo, posta all’altare a sinistra entrando.
Castello di Montauto di Villamagna. - Villa BlasiFoglietti. — Montauto o Monte Acuto ed in antico Montaguto, chiamasi un monte di forma conica che costituisce l’estremità settentrionale de’ poggi di Villamagna e che s’inalza ripido e scosceso dalla riva dell’Arno, il quale gli gira d’attorno formando un ampio semicerchio.
Su quella vetta isolata che un giorno le balze dirupate, la fitta boscaglia e la mancanza di strade rendevano quasi inaccessibile, sorse fin da’ tempi remoti una gagliarda rocca che insieme ad altri minori fortilizi affermava la potenza e difendeva i possessi di una delle più antiche e cospicue famiglie fiorentine, i Compibbbesi. Pochi altri castelli ebbero una giacitura così felice per le condizioni ed i bisogni de’ tempi del fortilizio de’ Compiobbesi d’onde le milizie della Repubblica potevano vigilare e custodire facilmente lo stretto passo della valle e le strade che lungo le due opposte rive del fiume si dirigevano a Firenze. Seguace quasi costante di parte Ghibellina, la famiglia Compiobbesi dovette soggiacere alle vicende sfortunate di quella fazione e cogli esilii e le confische vide tramontare la sua antica potenza, la sua ricchezza. Nel xiv secolo Montauto doveva esser caduto sotto la confisca, perchè il ramo de’ Compiobbesi che essendo di parte Guelfa era potuto rimanere a Firenze, non lo possedeva più e ridotto in fortuna più modesta andava man mano alienando i beni che aveva tuttora a piè del poggio e nelle vicinanze.
Ai primi del xv secolo il castello smantellato e ridotto a villa apparteneva ai Salviati che qui attorno avevano costituito con molti acquisti un ampio possedimento. Furono appunto i Salviati che rialzarono le fabbriche cadenti, restaurarono la vecchia chiesa del castello e ridussero ampliandolo, il vecchio cassero a comoda dimora. Cambio di Niccolò Salviati possedeva Montauto nel 1427 e nel 1571 a dì 3 Luglio un altro Cambio, di Tommaso lo lasciava in eredità alle figlie maritate a Pier Filippo Acciajoli ed a Messer Filippo de’ Nerli. Nelle divise toccò a Gostanza moglie dell’Acciajoli ed in casa Acciajoli restò il possedimento fino a che, il 1° Agosto 1620 l’ereditava Maria di Donato Acciajoli moglie di Tommaso Guadagni. Nel 1726 Pier Maria Spagni lo ricevette in pagamento di crediti dal Marchese Ottavio di Pier Antonio Guadagni ed i successori di lui ne restarono padroni fine al secolo decorso nel quale l’acquistavano i Marchesi Tolomei Baldovinetti. Da questi passava recentemente in eredità nei Conti Blasi Foglietti i quali ricostruivano quasi del tutto la villa che fino a pochi anni addietro conservava ancora una vecchia torre e tracce della sua remota costruzione. Attorno alla villa sussistono ancora alcuni tratti delle robuste mura del forte castello de’ Compiobbesi.
Oratorio di S. Jacopo a Montauto. — A piè del cassero del castello, chiusa fra la cinta esterna delle mura castellane, era la chiesa di S. Jacopo. Fu in origine la chiesa interna del castello e per il corso di varj secoli fu anche parrocchia di patronato dei Compiobbesi.
Ridotta in condizioni rovinose, fu annessa alla chiesa di S. Romolo a Villamagna fin dal xiv secolo e nel secolo successivo i Salviati la riedificarono, vi apposero i loro stemmi che tuttora vi rimangono e la decorarono di affreschi. All’altare esiste un pregevole dipinto della maniera di Lorenzo di Credi rappresentante la Vergine e S. Giuseppe che adornano il bambino Gesù; in basso vi sono gli stemmi Salviati e Corsini. L’oratorio conserva tuttora il severo carattere delle chiesette medievali ed ha sopra la facciata un caratteristico campanile.
La Casellina o il Poggiolo. - Villa Corticelli. — La villa non è di origine antichissima, perchè in antico esisteva in questo luogo soltanto una casa da lavoratore appartenente ad una famiglia di contadini. Giovanni di Francesco Gucci del Gonfalone Ferza la comprava nel 1574 da un Gherardo di Giovanni da Villamagna; ma due anni dopo venne a morte ed il possesso fu acquistato nel 1577 da Filippo di Lione de’ Nerli. I Nerli edificarono in quel luogo una piccola casa, che forse dette origine al nomignolo di Caselìina e più tardi la ridussero a villa che nell’Agosto del 1749 passò da loro in Luigi Antinori. La villa è stata completamente rifatta di carattere moderno dai proprietarj attuali.
Tornando a S. Gherardo, prenderemo la ripida strada che attraverso a terreni boschivi ascende fino a
L’Incontro. - Convento dei Francescani. — Sulla vetta dell’Incontro, il più alto dei poggi situati ad oriente di Firenze, perchè si eleva a 558 metri sul livello del mare, sorge ora un ampio convento dei Frati Minori. La situazione non potrebb’esser più splendida, nè la visuale che si gode di lassù più meravigliosa, giacché essa abbraccia uno spazio ampissimo del Valdarno e dei monti della parte centrale della Toscana. Secondo la tradizione, su quest’altura, allora coperta da una fitta selva, il Beato Gherardo da Villamagna edificò un piccolo romitorio dove in mezzo alla quiete del luogo deserto passava lunghi mesi in orazioni ed in digiuni.
Dopo la morte di lui, avvenuta nel 1242, il romitorio rimase abbandonato e soltanto nel 1715 il B. Leonardo da Porto Maurizio, sollecitato ed aiutato con elemosine dalle popolazioni vicine, rassettò l’umile chiesetta e vi edificò accosto un piccolo ospizio per i suoi frati che vi si stabilirono due anni dopo. Il piccolo convento capace di pochi religiosi, divenne più tardi mèta di pellegrinaggi e di gite rese più interessanti e più piacevoli dalla singolare bellezza del poggio dal quale il piano ed i colli di Firenze si mostrano in tutta la loro meravigliosa e solenne imponenza. Or sono pochi anni il convento è stato considerevolmente ampliato, attorno si sono eseguiti importanti lavori per migliorare le condizioni del luogo e si sono anche corrette le vie per facilitare l’ascensione dell’alto e pittoresco monte.
Ridiscendiamo ora fino all’oratorio di S. Gherardo e continuiamo la via che guida a Castiglionchio.
Poggio a Luco. - Villa Ciaccio. — Quasi tutte le sommità dei poggi e dei colli che dominano da questo lato la valle dell’Arno, fra Candeli e Volognano, erano coronate in antico da castelli, da case turrite e da torri che costituivano come una linea di fortificazioni che dominavano le strade e sbarravano quasi il passo della valle in guisa da difendere la città da un eventuale assalto di milizie nemiche. Pur restando di proprietà di privati, questi castelli e questi fortilizi potevano in caso di guerra esser convenientemente afforzati e presidiati dalle milizie al soldo della repubblica e dalle compagnie delle leghe del contado.
Fra questi vecchi castelli era pure quello di Poggio a Luco, il quale, per quanto ridotto da molti anni a villa, serba nella sua parte esterna alcune delle antiche opere di difesa fra le quali la porta, superiormente munita di ballatojo sporgente con beccatelli e piombatoi.
Appartenne questo castelletto ai Bartoli del gonfalone Ruote, chiamati anche Bartoli Filippi, antichissima e potente famiglia consorte degl’Infangati e degli Alberighi. Nel 1427 era di Giachetto di Zanobi Bartoli il quale dichiarava di possedere «una fortezza» nel popolo di S. Donnino a Villamagna. Per il corso non interrotto di oltre quattro secoli Poggio a Luco figura sempre in proprietà dei Bartoli e solo nel 1721 per un breve periodo di anni, passa a Cassandra Lupicini per ritornare in Neri Bartoli che nel 1739 lo cede in permuta di altri beni a Giovan Battista di Paolo Cianfi suo parente.
Il Cianfi morendo nel 1752, lo lascia in eredità a Giovanna Vittoria di Pietro Bartoli la quale lo porta in dote nel 1764 al marito Lorenzo di Pier Francesco Passerini. Ma i Passerini non lo tengono che poco tempo e lo rivendono nel 1770 ai Rosati dai quali passa nel 1774 in una famiglia Bellucci che ne era padrona anche alla metà del decorso secolo.
Poggio a Luco, che sorge su di un poggio a 412 metri d’altezza sul livello del mare, è un edilizio interessante per i resti d’architettura medioevale che vi sussistono ancora, nonostante le numerose trasformazioni subite.
B
Fagiolari. - Villa Ciaccio. — Fu casa da signore di un ramo dei Bartoli che si chiamò Fagiolari; poi, nel xv passò ai Nasi i quali ne rimasero padroni fino al xvii secolo. Più tardi pervenne nei Cianfi di Pomarance i quali ebbero pure il possesso dell’antico castello di Poggio a Luco.
Sarchiano. - Villa Au Capitarne. — Posta a breve distanza della pieve di Miransù, in mezzo a lussureggianti vigneti, questa villa, per quanto di moderna apparenza, è di antica origine. Nel 1427 era una casa di Ridolfo di Bonifazio Peruzzi, l’erede del quale la vendè nel 1470 a Luigi di Giovanni Da Castiglionchio; da Bernardo di Luigi Da Castiglionchio fu ceduta ai Bagnesì ed i Sindaci sugli affari commerciali di questa famiglia la vendevano nel 1476 a Sinibaldo ed altri fratelli figli di Francesco Sinibaldi. La villa, che fu edificata da questa famiglia poco dopo l’acquisto dei terreni e della casa, fu de’ Sinibaldi fino all’anno 1571 nel quale per dote di Maddalena passò in Pagolo Salvetti. Da questi Salvetti andò nel 1613 in Girolamo Pasquali i successori del quale ne rimasero padroni fino al decorso secolo.
Chiesa di S. Lorenzo a Miransù. — Questa pieve di antichissima fondazione, che sorge sul declivio dei poggi di Luco e dell’Incontro, si chiamò in origine pieve di Castiglionchio, perchè situata vicino al castello e fra i beni della potente famiglia dei signori di Quona e Castiglionchio. Essa è ricordata in diversi documenti del xi e xii secolo. L’edilìzio conserva tuttora, specialmente all’esterno, il suo vetusto aspetto, colle mura di conci e filaretto di pietra; l’interno invece, a tre navate divise da pilastri, è stato in parte modificato. Del campanile è originaria la parte inferiore che fu forse una delle torri di un vicino castelletto.
Sulla facciata vedesi tuttora lo stemma dei Da Castiglionchio i quali ebbero costantemente il patronato della pieve, sebbene nel 1342 fosse loro inutilmente conteso dai Bardi padroni di altri beni vicini. Da loro passò dipoi nei Ricasoli.
Esistono ancora nella chiesa alcune pregevoli opere d’arte: una tavola a fondo d’oro rappresentante Gesù Crocifisso ed ai piedi la Vergine, S. Giovanni Ev., S. Gregorio papa, S. Giovan Battista, S. Niccolò, S. Marta, S. Maria Maddalena e S. Girolamo: nel gradino sono cinque tondi con mezze figure di santi; è opera di scuola fiorentina del periodo di transazione fra la scuola giottesca e le opere del rinascimento, tre tavolette che formavano parte di un’ancóna colla Madonna il bambino Gesù e i santi Lorenzo e Niccolò di Bari, lavoro della maniera di Bicci di Lorenzo; un ciborio di pietra del xvi secolo con eleganti ornamenti.
Castello di Miransù. — Dietro la chiesa è una vecchia torre scapezzata in mezzo a pochi ruderi di un castelletto che fu dei signori da Quona e da Castiglionchio i quali lo venderono ai Galli alla fine del xiii secolo. Ritornò più tardi in loro possesso e continuò costantemente a far parte dei beni della tenuta di Castiglionchio, oggi proprietà Lori.
Pari. - Villa Giorgetti. — In origine il possesso del podere fu dei Da Castiglionchio; più tardi passò in una famiglia Bonini del contado. Dell’esistenza della villa non si hanno ricordi che nel xvi secolo. Giulietta di Marco Bonini moglie di Giovan Battista Rossetti la lasciò nel 1600 ai figli e Ferdinando ed altri figli di Giuseppe Rossetti dimoranti a Napoli la venderono nel 1681 a Carlo d’Antonio Franceschi. Ultimamente era di proprietà Tempestini.
Castiglionchio o Castellonchio. - Villa Lori. — Uno de’ più antichi e più celebri castelli dei dintorni di Firenze fu certamente quello di Castiglionchio che dette nome ad uno dei rami di quella potente consorteria dei signori di Quona. Quona, Volognano e Castiglionchio furono appunto i forti e temuti manieri dai quali le famiglie che ne fecero proprio il nome scesero a Firenze per gettarsi in mezzo al vortice di quelle fazioni che lungamente travagliarono la città e ne bagnarono le vie di sangue fraterno. A differenza della maggior parte dei loro consorti, i Da Quona padroni di Castiglionchio parteggiarono per la fazione Guelfa, sicché dopo Montaperti l’ira de’ Ghibellini vittoriosi aspramente si sfogò a loro danno. Nell’estimo de’ danni de’ Ghibellini si trova appunto che in quella furia partigiana vennero distrutti o smantellati un palazzo, una torre e delle case nel castello di Castiglionchio appartenenti ai figli di Alberto Da Quona e due altri palazzi di Ubertino e Filippo di Tribaldo Da Quona. Questa notizia serve a dimostrare come Castiglionchio fosse allora ricco di fabbriche così importanti da meritare il nome di palazzi. Su quelle rovine i signori da Castiglionchio riedificarono parte delle loro dimore, sicché poterono tornarvi di nuovo ad abitare; ma nuovi guasti ebbero a sopportare nel 1378, quando la rabbia popolare si volse contro Messer Lapo che s’era fatto capo del partito de’ Grandi. Cittadino d’alto valore fu Messer Lapo, tanto che per la repubblica disimpegnò importanti ambascerie; ma poi, dopo la sconfitta de’ grandi, fu bandito e si rifugiò a Roma dov’ebbe titolo di Senatore. Morendo nel 1381 lasciò molti scritti specialmente relativi alla storia della sua famiglia.
Nel 1427 Castiglionchio era del figlio di lui Corrado e nel 1480 di Alberto d’Averardo e di Benedetto di Matteo Da Castiglionchio. Alberto denunziava così il suo possedimento agli ufficiali della Decima: «una casa per abitare nel castello di Castiglionchio, una torre ivi con casolare e oratorio: non si abita a presente a ragione de’ terremoti che l’anno tutta fessa». Matteo denunziava la proprietà di «una casa da oste e casolare nel castello.... la quale abitiamo di continovo perchè non abbiamo altrove chasa». I successori di loro che si chiamarono Zanchini Da Castiglionchio, estinguendosi, lasciarono eredi un ramo dei Ricasoli i quali pochi anni addietro vendevano Castiglionchio al sig. Alfredo Lori.
L’antico palagio è oggi ridotto a villa di carattere moderno: sussistono però dei tratti di mura, due porte e la torre nella quale Messer Lapo teneva l'archivio ed i suoi libri. Una cinta esterna assai più ampia, e della quale si veggono solo poche vestigie, circondava anche la chiesa ed un spazio di terreno all’intorno.
Chiesa di S. Maria a Castiglionchio o Castellonchio. Piccola ed umile chiesetta, sorge accanto alle vecchie mura del castello, le quali un giorno la racchiudevano nella loro cinta esterna, scomparsa dipoi. D’origine remotissima è stata ridotta con successivi restauri a carattere moderno assolutamente insignificante. D’opere di pregio artistico non ha che la tavola posta dietro l'altar maggiore la quale rappresenta la Vergine Assunta in cielo. Attorno a lei volano diversi angeli ed in basso stanno gli apostoli dietro a quali vedesi la figura d’un gentiluomo, forse Za- nobi da Castiglionchio, colle insegne dell’ordine di S. Ste- fano: porta la data del 1585 e ricorda la maniera di Santi di Tito.
La chiesa di S- Maria a Castiglionchio è ricordata in un documento del 1066 dal quale apparisce che Ridolfo figlio di Azzo la vendè a sua madre Disia la quale la donò al Monastero delle benedettine di S. Pier Maggiore di Firenze. Dal xiii secolo in poi il patronato della chiesa fu sempre dei Da Castiglionchio dai quali passò modernamente per eredità nei Ricasoli.
Mitigllano. - Villa Schneiderff. — Sui poggi che at- torniano il vecchio castello di Castiglionchio ebbero i Bardi uno dei tanti loro palazzi di campagna chiamato Mitigliano. Apparteneva nel 1427 ad Andrea di Giovanni De Bardi; nel secolo stesso passò da lui in proprietà dei Borgianni, ricca famiglia di tintori che si chiamava in origine dei Grazzini o Di Mino e che trasse nel 1395 il nuovo cognome da un Giovanni di Mino tintore, detto Borgianni. A questa famiglia restò la villa fino al xvi secolo, nel quale essa si estinse. Dipoi fu dei Rinuccini.
Stradale II
Da Candeli a Bagno a Ripoli.
Dalla strada di Villamagna si staccano, prima di arrivare al borghetto di Candeli diverse strade che volgendo verso mezzogiorno attraversano il piano in mezzo al quale scorre il torrente Rimaggio e si dirigono verso i colli di Vicchio e di Quarto, per andar poi a collegarsi colla strada Aretina presso il borgo di Bagno a Ripoli. Da queste strade principali altre minori si diramano, formando una fitta rete che non ci consente di dare a questa escursione un andamento regolare. Dai nomignoli della villa e dai nomi dei loro possessori potrà ad ogni modo il lettore ritrovare facilmente i varj edifizi che noi andremo illustrando.
Prendendo la Via detta di Padule si trova poco dopo
La Torre a Ripoli o a Candeli. - Villa Vittivi. — Una famiglia Guidi, ascritta al gonfalone Ruote, possedeva fino da’ primi del xv secolo questa casa da signore che Giovanni di Piero vendè nel 1451 a Ser Giovanni Pugi notaro. Nel 1517 Mona Caterina vedova di Francesco d’Antonio Pugi l’alienava a Lutozzo di Battista Nasi il quale con questo nuovo acquisto accresceva l’ampissimo possesso che la sua illustre. famiglia aveva costituito fra il Pian di Ripoli ed i poggi di Villamagna. Ma la villa della Torre non restò a lungo fra i familiari possessi, perchè lo stesso Lutozzo la rivendè nel 1590 a Lorenzo di Cosimo De’ Pazzi. La tennero invece lungamente i Pazzi i quali ne furono padroni fino ai decorso secolo.
Gli Olmi. - Casa Pestellini. — Sul confine fra i due popoli di Candeli e di Quarto è un edilizio abbastanza grandioso, il quale, sebbene ridotto ad abitazioni di pigionali, conserva pur tuttavia l’aspetto ed i caratteri di una antica villa. Questa villa fu edificata intorno al 1470 sopra ad un podere che in origine fu dei Peruzzi e che passò dipoi in un Antonio di Matteo maestro di murare dal quale lo acquistava nel 1463 Messer Sallustio di Messer Guglielmo Buonguglielmi di Perugia. Questi si dichiarava esente dal Catasto «per un privilegio ottenuto dalla eccelsa signoria di Firenze» in considerazione di meriti e di servigi personali.
Ai Buonguglielmi la villa da essi fabbricata appartenne fino all’anno 1678, in cui passava per eredità in Margherita Veneri vedova di Guglielmo Buonguglielmi e poi nella figlia Francesca moglie del Conte Giulio Mozzi. Così anche questa villa entrò a far parte del vicino possesso nel popolo della Pieve a Ripoli, che i Mozzi avevano ereditato dagli Ardinghelli.
Padule. - Villa Ginori Conti. — Il nomignolo antichissimo di questa villa sta a ricordare le condizioni nelle quali in epoca remota si trovava questa parte della pianura di Ripoli in mezzo alla quale il torrente Rimaggio (Rio maggiore), non contenuto da argini e arrestato nel suo defluvio dalle piene dell’Arno dilagava di continuo riducendo a palude le praterie poste sulla sua sinistra riva. Più tardi, trasformate con opportuni lavori le condizioni del suolo, le acque stagnanti sparirono e le malsane praterie vennero ridotte a poderi fertili ed ubertosi. In mezzo a questi poderi, che possedeva insieme ad altri beni nel popolo di Quarto e sui colli vicini, edificò nel xv secolo una casa da signore la famiglia dei Rinuccini. Essa ebbe i suoi primi possessi nel popolo di S. Donato in Collina nel luogo che si disse la Torre a Cona ed è probabilmente da questo luogo che discese a Firenze dove acquistò rapidamente autorità e potenza grandissima. Dal xv secolo fino all’estinzione della famiglia, la villa di Padule fu sempre possesso dei Rinuccini i quali accrebbero di fabbricati e di comodità questo loro soggiorno così prossimo alla città. Giovan Romano di Cosimo Rinuccini, morendo nel 1826 lasciava erede dei suoi beni, fra i quali il possesso di Padule, il Marchese Giovanni di Francesco Ginori. Questo ramo dei Ginori, per ragioni di parentela e di eredità aggiunse al proprio il nome dei Conti ed il titolo di Principi di Trevignano
La villa di Padule è un bell’edifizio di carattere architettonico del xvi secolo ed è corredata d’uno stupendo giardino e ricca d’ogni moderna eleganza e comodità.
Nella graziosa cappella della villa esiste sull’altare un dipinto in tavola della scuola umbra rappresentante la Vergine col bambino Gesù ed ai lati, genuflessi S. Girolamo e S. Francesco d’Assisi. L’oratorio venne edificato nel 1699 da Stefano Rinuccini.
Dalla villa di Padule si distacca la strada che attraversando il Rimaggio conduce a Vicchio ed alle numerose ville che popolano il colle ed il piano di Rimaggio.
Un giorno le ville di Yicchio erano in numero assai maggiore di quel che non siano oggi, perchè non poche vennero ridotte a case coloniche.
Cominciando col parlare della chiesa ricorderemo dopo le ville e gli altri edilìzi meritevoli di speciale ricordo.
Chiesa di S. Lorenzo a Vicchio di Rimaggio. - Alle pendici del poggio dell’Incontro, su di un fertile colle ai piedi del quale scorre tortuoso il Rimaggio, è situata questa chiesa sorta indubbiamente in vicinanza di un vico de’ tempi romani. Antichissima d’origine, ma raffazzonata nei secoli passati, la chiesa conserva ancora alcune parti interessanti delle sue diverse ricostruzioni. Nel portico vi sono tracce della costruzione primitiva, mentre nell’interno sussistono alcune delle eleganti decorazioni di pietra del xiv e xv secolo.
Non ebbe patroni, perchè l’eiezione dei rettori fu privilegio del popolo; ma le vecchie famiglie che attorno ad essa possedettero in gran numero belle e comode ville vi fondarono cappelle e altari e contribuirono ad ornarla di opere d’arte. I Biliotti detti d’Aldieri o d’Aldighieri ed i Bucelli specialmente furono fra i più liberali benefattori di questa chiesa.
Le pareti di essa erano un giorno tutte ornate di affreschi del xiv e xv secolo; ma ad essi più volte fu dato di bianco e solo nel 1894 alcuni dei più importanti furono rimessi in luce e riparati a cura del Ministero dell’Istruzione. A destra entrando in chiesa, si vede dipinta a fresco la natività di Gesù Cristo fatta eseguire nel 1480 dalla famiglia Bucelli2. Altri affreschi con storie della Vergine e S. Lorenzo erano dipinte in varj punti della chiesa, ma di essi non restano che pochi frammenti deturpati barbaramente nell’occasione in cui si addossarono alle pareti grandiosi altari. Ma diverse opere d’arte degne di ricordo possiede questa chiesa. Al primo altare a destra è una tavola cuspidata nella quale un artista del xiv secolo che ha caratteri congeneri a quelli di Lorenzo di Niccolò dipinse su fondo d’oro la Vergine in trono col bambino Gesù, framezzo a S. Antonio Abate, S. Niccolò di Bari, S. Martino Vescovo e S. Lucia; al secondo altare è un’antica tavola del xiii secolo rappresentante la Madonna seduta in trono col bambino Gesù in braccio; nel coro sono due tabernacoletti o ciborj di pietra, eleganti lavori di gentile fattura della seconda metà del xv secolo3 e della stessa epoca e della stessa mano forse, sono le decorazioni di due porticine di pietra che come quelli portano scolpiti gli stemmi dei Biliotti d’Aldieri; sull’aitar maggiore è un crocifisso di cartapesta di carattere del xv secolo che un libro di ricordi attribuisce a Donatello, ma, dati i restauri barbarici subiti dalla statua, è impossibile accertare l’attendibilità di tale attribuzione; in sagrestia finalmente è un bel lavabo di pietra del secolo xv con eleganti ornati, di figurette d’angioli e lo stemma dei Biliotti.
Anche nel piccolo portico esterno rimangono due affreschi del xiv secolo: sulla porta, una lunetta colla mezza figura di S. Lorenzo fra due angeli e di fianco un tondo colla figura inginocchiata ed orante di un giovinetto. Sotto questo portico si soleva radunare una di quelle associazioni popolari chiamate Potenze festeggianti assai note nella storia fiorentina. Si chiamava la signoria di S. Antonio Abate o del Trentesimo e teneva il suo stendardo nella chiesa4
Le Fonti. - Villa Morrocchi. — Delle sorgenti, che dal poggio dell’Incontro gettavano in questo luogo abbondanti fontane di limpida acqua, dettero il nome a questa località dove la famiglia de’Biliotti d’Aldieri originaria di Vicchio edificò fin da tempo remoto una villa che per l’ampiezza del fabbricato e per la ricchezza degli annessi è tuttora fra le più importanti di questi luoghi. I Biliotti, dal xiv secolo ebbero il possesso della villa fino al 12 agosto del 1541, giorno in cui Giovan Battista e Biliotto la vendevano a Girolamo e Giovanni di Giovanni Guardi del gonfalone Ruote. Maggiore importanza acquistò questa villa quando entrò in possesso della famiglia Altoviti, per compra fattane il 13 luglio 1629 dagli Ufiziali di Pupilli come beni dell’eredità di Giovan Battista Guardi, da Alfonso di Guglielmo Altoviti. Gli Altoviti ne fecero centro di un’ampia tenuta, sparsa nei piani e sui colli di Ripoli, l’ampliarono, l’arricchirono d’un vago giardino. Lungamente restò fra le più gradite villeggiature di quella doviziosa ed allora numerosissima famiglia, la quale ne fu in possesso fino ai tempi moderni, perchè solante nel 1828 la vendeva al signor Vincenzo Morrocchi.
L’attuale proprietario Cav. Costantino ha restaurato ed abbellito notevolmente la villa coi suoi annessi.
Attorno ad essa, nel possesso Morrocchi esistono altri edilizi che per le loro memorie storiche e per l’antichità della loro origine meritano d’esser ricordati.
L’Attavante. - Villa Morrocchi . — Nel 1427 era casa da signori di quella famiglia da Castelfiorentino che dette all’arte il celebre miniatore Attavante e dalla quale vuoisi discendesse anche S. Verdiana. Fu di loro fino al giorno 11 dicembre 1518 nel quale Domenico di Lorenzo Attavanti la vendeva a Tommaso di Antonio dei Cattani Da Diacceto. Nel 1556 un altro Antonio Da Diacceto la vendeva a Francesco di Lorenzo Sostegni e poco dopo, nel 1574, i Sindaci preposti agli affari di lui la rivendevano a Piero di Antonio dei Berti speziali. Il fratello di lui Iacopo nel 1597 l’alienava a Carlo di Iacopo Da Radda che nel 1629 la vendeva alle Monache di S. Pier Maggiore.
L’Olmo. - Casa Morrocchi. — Oggi è una specie di casale, un pittoresco ed antico fabbricato che un tempo servì ad uso di villa. La possedeva a’ primi del xv secolo la famiglia Del Vermiglio, consorte dei Sertini e come loro originaria da Castelfiorentino. Verso il 1480 il possesso passò nei Serguidi ed i figli di Ser Iacopo di Ser Guido la vendevano nel 1498 a Maddalena Lapaccini vedova di Antonio Giraldi. Essa lasciò la villa in eredità a Girolamo ed altri tìgli di Girolamo Parigi che poco dopo la vendevano a Mario di Andrea Granacci. Parte del possesso fu venduto nel 1566 dalla figlia di Andrea Granacci a Francesco di Gio Battista Gabburri che più tardi entrava in possesso anche dall’altra parte toccata in certe divise a Francesco di Gio. Batta Giordani. Appartenne ai Gabburri fino a che, in tempi moderni, questa famiglia non venne ad estinguirsi e quando non serviva più ad uso di villa.
Il Carduccio o Rimaggio. - 'Casa della Cappella di S. Andrea. — E un casale composto di varj fabbricati, uno dei quali per l'ampiezza e per l’eleganza della costruzione dimostra di aver servito un giorno ad uso di villa. Ed infatti fino da’ primi del xv secolo era qui una casa da signore della famiglia Carducci alla quale appartenne fino all’anno 1519 in cui Niccolò Carducci la vendeva a Bastiano di Manetto Parigi. Da’ Parigi la compravano nel 1596 Gherardo ed altri figli di Bartolommeo Andreini, d’una famiglia originaria di Vicchio, i quali la costituivano in dote della loro cappella posta nella chiesa di S. Lorenzo a Vicchio.
Rimaggio - Villa Fedeli . — La famiglia Fazzi che aveva le case nella Via di S. Romeo, oggi de’ Neri, possedeva fin dai primi del xv secolo questa casa da signore che Antonio d’Agnolo lasciava nel 1575 in eredità alla sorella Lessandra moglie di Piero Bartolommei.
Da quell’epoca fino a’ primi del decorso secolo, la villa restò fra i possessi della famiglia Bartolommei.
Casoli. - Villa Rigacci. — Non è di antichissima costruzione, perchè alla fine del xvi secolo era casa da lavoratore che nel 1615 Giovanni di Francesco Masselli lasciò per testamento a Vincenzo di Battista Di Nello. Gli Ufficiali del Monte, per rivalersi di crediti che avevano verso questo Di Nello vendevano il podere colla casa ad uso di villa a Ser Giovanni di Lorenzo Landini. Dal figlio di lui Carlo acquistò nel 1661 il possesso il Cav. Filippo Neri del senatore Guglielmo Altoviti unendolo agli altri beni che aveva qui attorno.
Il Biliotto. - Villa Schneiderff. — Per 1'ampiezza del fabbricato, per la sua felice situazione di fronte alla pianura fiorentina, per la ricchezza e la comodità de’ suoi annessi è questa la più importante fra le ville che popolano la fertile ed ubertosa collina di Vicchio. Di essa si ha ricordo in un documento dello Spedale di Bonifazio dal quale apparisce come il 29 gennaio del 1395 Piero del fu Dato vendesse a Iacopo del quondam Francesco di Riccio di Biliotto del popolo di S. Firenze un podere con case, terre e prati detto Pietra Maggio per 670 fiorini d’oro. Il luogo divenne più tardi la più importante fra le dimore campestri che la famiglia dei Biliotti d’Aldieri o d’Aldighieri ebbe nel popolo di Vicchio del quale era originaria. Da quell’epoca la casa da signore si chiamò il Biliotto, nomignolo che è giunto fino ai nostri tempi. Questi Biliotti, famiglia differente da quella dei Biliotti d’Oltrarno, conservò lungamente il possesso della casa da signore che si era edificata, perchè soltanto il 26 aprile del 1635 Pieragnolo d’Aldieri la vendeva a Bartolommeo Sermartelli. Scipione Sermartelli, con testamento del 25 maggio 1674 lasciava questo possesso al nipote Piero di Bastiano Palmerini ed alla di lui discendenza mascolina e femminina. Morto nel 1715 senza figli il Cav. Iacopo Paimerini, la villa passava in proprietà dei suoi più vicini parenti Alamanno e Messer Giuliano di Giovan Battista Arrighi.
Nel 1762 una sentenza del Magistrato supremo contro l’eredità dell’Abate Alamanno Arrighi assegnava il possesso alla famiglia Del Rosso e nel 1784 dal Bali Lorenzo Del Rosso passava nella moglie di lui, una Capponi, che lo lasciò ai nipoti. In casa Capponi la villa rimase fino al decorso secolo, poi divenne proprietà della signora CorsiCasini vedova Schneiderff. Oggi appartiene al Cav. Rodolfo Schneiderff enologo distintissimo e benemerito dell’agricoltura, il quale ha applicato nell’ampia fattoria annessa alla villa i metodi di cultura più razionali e perfezionati.
I Neroni già il Foderino o la Torre. - Villa Sestini. — La costruzione della villa nelle presenti proporzioni è del xvii secolo. In origine non era qui che una modesta casa con podere che alla fine del xv secolo apparteneva ai Pagnini e che passò nel 1493 nei Pini, nel 1591 negli Schermini, nel 1609 nei Capponi, nel 1614 negli Albizzini e poi nei Bambagini. Nel 1640 la villa perveniva in Matteo Neroni erede testamentario di Alfonso Bambagini e figlio di Niccolò Pollini ed egli edificò la villa che per un lungo periodo di anni appartenne ai Neroni suoi discendenti.
Rimaggio o il Marucello. - Villa Procacci. — È una bella villa circondata da un vago giardino e in situazione felicissima. Era in origine una delle case da signore possedute dalla famiglia dei Biliotti d’Aldieri dalla quale passò nel xv secolo nei Del Zaccheria. Il 2 febbraio del 1516 Matteo di Bartolommeo Del Zaccheria la lasciava per testamento a Matteo di Bartolommeo Marucelli, e da quest’epoca venne alla località il nomignolo di Marucello. Non la tennero lungamente i Marucelli, perchè nel 1582 la vendevano a Domenico e fratelli figli di Antonio Berti, ricca famiglia di speziali che in questi luoghi possedette diversi altri beni. Iacopo d’Antonio l’alienò nel 1597 ad Alamanno Del Nente e dal figlio di questi, Iacopo, ne faceva acquisto nel 1615 Giuliano di Santi Pieroni, il quale con testamento del 12 luglio 1628 la lasciava al nipote Santi di Filippo Della Yacchia. Numerosi passaggi di possesso si succedono in breve periodo di tempo. Il Rev. Vittorio Della Vacchia la vendè nel 1658 a Violante di Gio. Francesco Taglietti che la trasmise in eredità a Gio. Francesco di Iacopo Nardi di Vaglia il quale lasciò sua erede la Casa dei Poveri Vergognosi di S. Martino. Però a causa di un fidecommisso Taglietti-Pierozzi ne entrò in possesso Roberto di Cosimo Pitti, il quale morendo chiamava erede universale de’ suoi beni Francescantonio del Cav. Gio. Battista Anforti. Gli Anforti tennero il possesso della villa fino ad epoca moderna.
Gello. - Casa Procacci. — Nel 1427 era casa da signore di Tommaso di Matteo, un discendente del quale Lodovico di Antonio (Mattei) la vendeva nel 1458 a Niccolò di Francesco Corsi. Il figlio di questi Agnolo, nel 1505 ne faceva donazióne a Lorenzo di Mancino Sostegni marito della di lui figlia Ginevra. Francesco di Lorenzo Sostegni che stava al commercio, non vi ebbe prospere le sorti e gli ufficiali deputati sui di lui affari vendevano nel 1573 la villa ad Antonio di Fiero Berti. Poco dopo, nel 1597, i procuratori del figlio di lui Iacopo, rivendevano la villa alle Monache della Regina Coeli o di Chiarito che la possedettero fino alla soppressione francese.
Il Lago o il Foderacelo già la Torraccia. - Casa Procacci. ~ Ai primi del xv secolo apparteneva ai Ciuffagni da’ quali passò negli Alberti, che nel 1466 rivendevano la casa da signore con torre a Lazzero di Matteo Lachi. Saracina figlia di Francesco Lachi la portò in dote al marito Giovanni di Vincenzo Traversi e poco dopo nel 1580 la rivendè a Galeotto Banchi. Da quest’epoca i passaggi di possesso si succedono frequentissimi; nel 1594 va a Bastiano Del Guerra, nel 1597 ritorna nei Banchi, poi nei Capitani del Bigallo e Misericordia, nel 1500 negli Arrighi, nel 1617 nei Paladini, nel 1336 nei D’Adamo, nel 1651 nei Neroni-Stella, nel 1673 nei Bacchettini che nell’anno stesso la vendono ai Franceschi che ne rimasero dipoi lungamente padroni.
Rimaggio o ai Nardi. - Villa Piatti . — Questa villa era fin dai primi del xv secolo casa da signore della famiglia Carducci dalla quale, nel 1550 passò in seguito a sentenza in Galeotto Banchi, il figlio del quale Giovanni, la rivendeva nel 1585 a Domenico d’Antonio dei Berti speziali. Iacopo d’Antonio Berti l’alienò nel 1598 a Francesco Nardi da Vaglia, dal quale passò nel 1739 in eredità al Cav. Amerigo Francesco Altoviti padrone di altri beni nel popolo di Vicchio.
A confine con quello di Vicchio è il popolo di S. Maria a Quarto che si distende pei colli a tramontana della via Aretina e nel piano di Rimaggio.
Chiesa di S. Maria a Quarto. — Situata sull’alto della fertile collina che prende nome dal quarto miglio romano dal decumano di Firenze, questa chiesa è di remota antichità. Taluno la dice dell’ viii secolo; ma documenti che ad essa si riferiscano non si trovano che nei secoli posteriori al mille.
Della sua vecchia struttura, se ne togli le mura perimetrali, poco è sfuggito alle molte trasformazioni successive. La porta d’ingresso difesa da un portico del xvii secolo è di forma elegante del xiv secolo. Nell’interno, l’aspetto di modernità è anche maggiormente accentuato, ed all’infuori di una tavoletta del secolo xtv, rappresentante la Madonna col bambino Gesù, che si trova sull’altare a sinistra entrando in chiesa, nessuna dglle opere d’arte che dovevano esservi un giorno è giunta fino a noi.
Per quanto avessero nel popolo di Quarto antichissimi possessi diverse cospicue famiglie, nessuna di esse godette il patronato della chiesa che fu sempre riservato al popolo. Le famiglie Del Bene e Rosati originarie del pian di Rimaggio fondarono i due altari laterali e quello maggiore.
Nell’annessa canonica si scoprirono nel riparare i danni arrecati a quella come alla chiesa dal terremoto del maggio 1895, alcuni eleganti affreschi decorativi del xvii secolo.
Casa Bruciata, già Rimaggio o Poderino. - Villa Brogi. — Il nomignolo di Casa Bruciata, proprio di quella villa abbastanza ampia situata in uno dei punti più pittoreschi della collina di Quarto, non è antico e deve avere avuto origine da un incendio che forse distrusse in gran parte il fabbricato. In antico aveva il nomignolo di Rimaggio o di Poderino e con questo la troviamo descritta nel 1427 come possesso di Iacopo di Goro Della Ressa o Dall’Ancisa. Nel 1470 era passata in proprietà di Guido di Francesco Guidi del gonfalone Bue e la figlia di lui nel 1498 la recava in dote a Ser Antonio di Agnolo Lapini. Felice figlia di Ser Antonio andò in moglie a Francesco di Andrea dipintore, cioè al valentissimo discepolo di Domenico Ghirlandaio, Francesco Granacci, e gli portò in dote parte della casa che allora doveva esser di modeste proporzioni. I Granacci ebbero più tardi l’intero possesso che rivenderono nel 1583 a Galeotto Banchi. Nel 1585 passò ai Berti speziali e da loro nei Del Bene di Rimaggio e nel 1618 in Niccolò ed altri Santini. Caterina Santini la lasciò in dote alla Compagnia della SS. Concezione in S. Croce e da questa la comprava nel 1621 Giovan Battista di Gio. Polverosi. L’eredità di questo Polverosi passò alla curia Arcivescovile di Firenze la quale l’alienava nel 1745 al Canonico Odoardo Maria Gabburri. Maria Teresa Gabburri moglie del Marchese Sigismondo Della Stufa la portò in questa famiglia dalla quale pervenne nel 1858 nei Pesciolini Venerosi. Dipoi fu Morrocchi, Ginori e Brogi.
Gli Dimetti o Quarto. - Villa Del Bello . — Il nomignolo d’Olmetti non è di data remota: in antico la casa da signore esistente in questo luogo aveva comune con altre i nomi di Quarto e di Bimaggio e più tardi si chiamò anche a ’ Bosai perchè facente parte d’un gruppo di case appartenenti a questa famiglia. Nel 1427 era di un Papi di Goro Della Ressa il quale la dette in dote alla figlia Leonarda moglie di Ser Domenico Moscardi. Essa la vendè verso il 1498 a Tommaso di Cristofano purgatore e la nipote di questi, Maddalena di Francesco, portava la villa in dote al marito Giovanni di Goro Sergrifì. Questa famiglia ne rimase padrona fino a che Francesco di Giovanni Falienava ad un Bartolommeo Bandini nel 1688; ma pochi anni dopo, nel 1692 il Sergrifi la ricomprava lasciandola nel 1701 al Conservatorio de’ poveri di Gesù. Nel 1705 l’acquistava la famiglia Rosai originaria di questi luoghi e di qui derivò al luogo il nome di Casale de ’ Bosai. Fu dei Rosai fino al 1803, quindi passò nei Bellini e per eredità nei Del Bello.
Nella parte più elevata della collina di Quarto, lungo la via della Martellina si trovano:
Poggio alla Martellina. - Villa Orlandini . — In antico la località aveva il nome comune al vicino casale di Meoste; ma della villa non è fatto ricordo negli antichi catasti, sicché può desumersi che essa fu fatta in epoca più moderna, ampliando una vecchia casa da lavoratore. Podere e casa erano nel xv secolo dei Del Zaccheria, dai quali passarono ai primi del secolo successivo nei Da Empoli, poi negli Amidei, poi nei Biliotti d’Aldieri. Cammillo d’Aldieri Biliotti la vendè nel 1609 agli Andreini di Vicchio che destinarono parte del possesso come dote di una cappella nella chiesa di S. Lorenzo Ai primi del xviii secolo gli Altoviti ebbero podere e casa che nel 1828 alienarono ai Gianni Mannncci già Leonetti.
Il Poggio. - Casa Ginori-Conti. — Semplice casa colonica posta lungo la vecchia via Aretina, oggi chiamata strada della Martellina, fu in origine casa da signore e del suo primitivo uso conserva tuttora le tracce. Fu il più antico fra i possessi che i Rinuccini ebbero nel popolo di Quarto, poiché apparteneva loro fino dalla prima metà del xiv secolo. Continuò lungamente a servire ad uso di villa che la felice giacitura rendeva bella e ridente; poi ne’ tempi moderni fu destinata ad abitazione di lavoratori. Essa seguì le sorti della villa di Padule e dell’annessa tenuta passando dai Rinuccini nei Ginori che tuttora la posseggono.
Discendendo nel piano di Rimaggio, si trova il casale detto le Cure di Rimaggio.
Le Cure di Rimaggio. - Villa Del Soldato. — La località nella quale sorge questa villa prossima al torrentello chiamato Rimaggio, è da varj secoli uno dei principali centri che ha nei dintorni di Firenze l'industria della lavatura dei panni. Fin dal xv secolo si trova infatti che il luogo ha già il nome di Cure di Rimaggio ed in essa esistono già numerose case appartenenti a famiglie di curandai e purgatori ed edifizj ad uso di curandaio. Alla fine del xv secolo questa casa era di un Domenico di Francesco cartolajo e due secoli dopo è già in possesso dei Del Bene famiglia originaria da questi luoghi dove esercitò dapprima il mestiere di curandajo. Nel 1858 passò per eredità nei Vestri che si dissero Vestii Del Bene e nel 1889 fu venduta ai Del Soldato.
Andando a ritrovare la via di Padule e di Quarto, prima di giungere al borgo del Bagno, s’incontra
Il Campo, oggi Taverna. - Villa Cini. — Questa villa che è situata lungo la Via del Padule, apparteneva ai primi del xv secolo alla, famiglia Gianni consorte dei Quaratesi. Da Alessandra vedova di Iacopo Gianni passò ai primi del xvi secolo in Lorenzo d’Americo Da Verrazzano discendente dall’illustre e sfortunato navigatore fiorentino che scoprì la Nuova Francia e per il corso di varj secoli restò fra i beni di questa famiglia. Non sembra però che essa la tenesse fra le sue villeggiature favorite, perchè quando nel 1807 il Cav. Andrea Da Verrazzano la vendeva al tenente colonnello Marchese Filippo D’Havet si trovava quasi in rovina. Il nuovo proprietario restaurò la villa, ma nel 1815 la rivendeva alla famiglia Caviglioli Riva. Fu più tardi, Carrara, Vignali, Boboli, Carabelli e Giovannoni.
A breve distanza da questa villa è il nuovo palazzo delle Scuole Comunali, prossimo al borgo del Bagno a Ripoli dove ci fermeremo per far ritorno a Candeli e proseguire le nostre escursioni, secondo l'ordine già stabilito.
Stradale III.
Da Candeli a Rosario.
Dal borgo di Candeli, a breve distanza dalla chiesa, si stacca dalla via di Villamagna la strada detta di Rosano che segue parallela il corso dell’Arno fino all’antico mO' nastero di Rosano. La via che in qualche tratto era un giorno angusta e ripida, venne ampliata e corretta a spese del comune di Bagno a Ripoli.
Non pochi antichi edifizj, importanti per i loro ricordi storici, si trovano ai lati di questa via alla quale fanno poi capo diverse strade minori che conducono a località, pur esse meritevoli di ricordo.
La Fonte. - Villa Fossi. — Fra la Badia di Candeli e l’antica villa di Majano è questa villa che nel xiv secolo apparteneva insieme all’altra dettagli Ulivelli alla famiglia Portinai!. Nel 1427 il possesso era diviso per metà fra Giovanni d’Adovardo e suo fratello Folco ed in proprietà della stessa famiglia lo troviamo anche a’ primi del xvi secolo. Pietro Bonaventuri e Bianca Cappello dopo avere acquistato la non lontana villa della Tana, compravano per maggior comodità del loro possesso anche la villa della Fonte che nel 1580 troviamo registrata nei catasti come possesso della Gran Duchessa Bianca Cappello. Dopo la misteriosa morte di lei e del marito Francesco I de’ Medici questi beni pervennero nello Spedale di S. Maria Nuova per donazione fattane dalla Bianca la quale nel libro delle Decime del 1588 trovasi qualificata, non più come Gran Duchessa; ma semplicemente come «Mona Bianca Bonaventuri nata Cappello».
Oratorio di S. Niccolò di Bari. — Nella località chiamata gli Agi, a’ piedi del colle di Majano, è quest’antichissimo oratorio fondato nel 1394 per testamento di Giovanni di Riccardo de’ Cerchi il quale, fattosi di popolo, aveva cambiato l’avito cognome in quello di Riccardi. Nel far testamento egli ne affidò il patronato all’Arte de’ Mercatanti. Sulla porta di questo oratorio che conserva in molta parte la sua antica struttura, è incisa questa iscrizione: Questa chiesa a fatto fare le rede di Giovanni di Biccardo de 9 Cerchi per V anima di detto Giovanni e di Biccardo suo padre e di tutti i suoi discendenti anno 1394 del mese d’agosto. L’oratorio, che è di proprietà Fossi, conservava fino a pochi anni addietro una tavola di scuola fiorentina del xiv secolo colla Madonna e varj Santi; ma oggi non vi esiste più.
Majano. - Villa Bassetti. — Sopra una collinetta che quasi isolata si solleva fra la base del poggio dell’Incontro e la riva dell’Arno sorge un grandioso e solido fabbricato, il quale, nonostante le trasformazioni e le riduzioni subite, rivela l’antichità della sua costruzione. Lo circonda tutt’attorno un muraglione che sostiene una specie di prato sul quale corrisponde l’antico ed ampio portone d’accesso; ed altre parti costruttive più o meno alterate servono a dimostrare come l’ampio edifizio dovesse avere in origine forma d’un castello. E forte come un castello, quale l’esigevano le condizioni de’ tempi doveva essere il palagio che in situazione così importante possedeva fin da tempo remoto la celebre famiglia de’ Cerchi.
Il tratto più stretto della valle dell’Arno che comincia appunto dal colle di Majano, era un giorno munito di numerosi palazzi turriti e cinti di mura, appartenenti alle famiglie più ricche e più cospicue di Firenze. Diversi ve n’ebbero i Cerchi fra qui e Rosano, prossimi e prospettanti quelli che in numero anche maggiore possedevano i Donati divenuti più tardi, per cagione delle fazioni, loro acerrimi nemici.
I Cerchi possedettero Majano con tutte le terre annesse fino agli ultimi anni del xiv secolo, nel qual tempo la proprietà appare spettante a quel ramo della famiglia che s’era fatto di popolo ed aveva assunto il cognome di Riccardi. È in cotest’ epoca che troviamo ricordo di lasciti fatti da Giovanni del fu Riccardo Riccardi già Cerchi con suo testamento del dì 8 aprile 1394, lasciti che si riferiscono appunto ai beni di Majano. Egli lascia per la fondazione dell’oratorio di S. Niccolò di Bari affidandone il patronato all’Arte de’ Mercatanti e di Calimala ed assegna pure parte di cotesti beni alla cappella di S. Niccolò nella Pieve di S. Piero a Ripoli5. Tutto il resto va allo Spedale di S. Maria Nuova che diviene così proprietario dell’antico possesso della celebre famiglia. Lo Spedale poi, nel corso de’ secoli dette a livello villa e poderi a varie famiglie conservandone la proprietà.
Vallina. - Casa Caldini. — È un edifìzio modernamente rifabbricato ed ampliato nel luogo dov’era un’antica casa da signore, che ai primi del xv secolo spettava alla famiglia Vai. Nel xvi secolo passò nei Brunacci, nel secolo successivo nei Gherardini e poi in una cappella di S. Maria del Fiore dalla quale la presero a livello gli Spagni.
Alla casa era unito un mulino, oggi di proprietà Sani che fino ai tempi moderni subi i passaggi della vicina casa da signore.
Nel punto in cui l’Arno e la strada che ne segue il corso descrivono un ampio giro attorno all’erto poggio di Montauto si trovano le poche case dell’antico villaggio di Compiobbi, il nome del quale divenne in tempi moderni proprio del borgo ora ampio e popoloso che si trova sull’opposta riva del fiume (Vedi nel 1° Volume dei Dintorni- Compiobbi).
Fornaccio. - Casa Di Colloredo. — Oggi è semplice casa colonica; ma fu una delle molte case da signore dei Compiobbesi che ai primi del xv secolo era dei Salviati i quali acquistarono molti dei beni di quell’illustre famiglia. Nel 1532 era dei Tanagli e più tardi fu di Simone Simoni, il quale con testamento del 1588 la lasciava ai Frati di S. Croce appena fosse estinta la sua famiglia. Morta nel 1688 Teresa Simoni, i frati vi entrarono in possesso e l’ebbero fino al secolo decorso.
Docciolina o La Doccia. — E un piccolo gruppo di case posto lungo la Via di Rosano a breve distanza dalla chiesa di S. Michele a Compiobbi. Ebbero qui una casa da signore i Compiobbesi fino dal xv secolo; passò dipoi per ragioni di dotali nei Tedaldi ai primi del secolo successivo e più tardi il possesso andò diviso fra la Cappella della Madonna del Rosario in S. Michele in Compiobbi e le Monache di S. Elisabetta del Capitolo. Ora la proprietà è della chiesa di Compiobbi e dei signori Ugolini.
Li Stelli. - Villa Ugolini . — Faceva parte dei possessi antichissimi dei Compiobbesi e forse il nomignolo attuale è la corruzione d'Ostelli probabilmente derivato dall’esistenza in questo luogo d’un albergo o d’un ospizio. Fu dipoi de’ Tedaldi e quindi della famiglia Nelli.
Chiesa di S. Michele a Compiobbi. — Sorge sulla riva dell’Arno in faccia al popoloso borgo del Ponte o delle Falle, oggi chiamato di Compiobbi. Antichissima d’origine, essa nulla serba del suo originario aspetto, essendo stata completamente trasformata col volger degli anni. E piccola, di forma rettangolare e sulla facciata che guarda il fiume serba tuttora lo stemma dei suoi antichi patroni, i Compiobbesi, celebre famiglia di parte ghibellina che trasse il proprio nome da questa località attorno alla quale per varj secoli fu signora di castelli, di ville, di ampie tenute.
Nessun oggetto d’arte esiste in questa chiesa, se si eccettua un deturpato ciborio di pietra scolpito nel xv secolo.
I Compiobbesi, in parte banditi da Firenze perchè ghibellini, in parte ridotti in bassa fortuna, perdettero in antico il patronato della chiesa che divenne di data Regia. Ad essa venne più tardi riunito anche il popolo di S. Maria a Remolazzo o a Castel di Remole, chiesa pur essa di patronato un giorno de’ Compiobbesi.
II nome di Compiobbi, proprio fin da tempo remoto di questa località, sembra derivare da Compluviun essendo questo un luogo dove dai poggi posti ai due lati del fiume confluiscono diversi importanti corsi d’acqua.
L’Alberigna o il Piano. - Villa Bardi. — Dai fitti albereti di pioppi che fiancheggiano la sponda dell’Arno ebbe nome questa villa che fu in origine casa d’uno dei tanti poderi posseduti in questi luoghi dalla famiglia Compiobbesi. A’ primi del xv secolo la comprarono i Salviati che nel 1504 la rivenderono a Michele ed altri fratelli figli di Zanobi Ruberti. Nel 1585 Alessandro d Agostino Gerbi comprò il podere diviso in varie partite da diversi di casa Ruberti ed in quel tempo deve essere stata fabbricata la villa della quale precedentemente non è fatta menzione. Dai Gerbi passò nel xviii secolo ai Ciarpaglini. Anni addietro apparteneva al valentissimo medico Prof. Gaetano Leopardi.
Le Gualchiere e il Castello di Remole. — Oggi potrebbe dirsi un modesto villaggio, se si tien conto dello scarso numero delle abitazioni che lo costituiscono; ma pochi luoghi de’ dintorni di Firenze riuniscono al pari di questo tanto interesse artistico e pittorico e riassumono così larga dovizia di storici ricordi. Nove secoli, che colle loro fortunose vicende sono trascorsi dacché sulla riva pittoresca dell’Arno sorse il Castello di Remole, non sono valsi a trasformarne interamente nè la struttura originaria, nè l’aspetto caratteristico. Diminuite nella loro altezza primitiva e prive del coronamento merlato, sussistono ancora le mura castellane che furono un giorno difese da profondi fossati, e restano ancora quasi intatte le due porte che munite di ponti levatoj davano accesso all’interno del castello. Dalla parte deirArno, che colle sue acque ne lambisce la base, s’inalza tuttora maestoso quello che un giorno fu il cassero; un solido edilizio dalle robuste mura di pietra chiuso fra due grandi torri che serbano in parte la vecchia merlatura. E nell’interno del vecchio fortilizio, sulla piazza che si distende dinanzi al cassero, stanno tuttora la piccola chiesetta e delle case alle quali i rabberciamenti e lo scialbo moderno han dato un carattere che forma uno strano contrasto coll’aspetto cupo e solenne del turrito palagio.
Fu questo il Castel di Remole del quale si hanno memorie fin dal x secolo; un potente fortilizio che col volger dei secoli si trasformò in un centro di pacifica e proficua attività commerciale. Quando precisamente sorgesse e chi lo edificasse non è facile accertare. Certo fu uno dei molti feudi che gl’imperatori di Germania avevano in Toscana, perchè nel 1191 l’Imperatore Arrigo ne confermava il possesso alla Badessa del celebre monastero di S. Ellero in Valdarno superiore. Ma in seguito, ne’ diritti di quel monastero si sostituirono alcune fra le più antiche famiglie di Firenze e fra le altre i Compiobbesi, i Donati, gli Albizi, i Rucellai, gli Alessandri che profittando dei vantaggi della località, utilizzarono il vecchio fortilizio per istituirvi gualchiere dell’arte della Lana e mulini.
Il castello di Remole colla sovrapposta rocca di Remoluzzo doveva costituire come il centro potente di un ordine di fortificazioni destinate a guardare questa parte della valle dell’Arno e a difender da questo lato la città da un possibile assalto de' nemici e quest’opere di difesa si completavano coi castelli di Yolognano, di Poggio a Luco, di Montaguto, di Majano posti sulla sinistra dell’Arno e cogli altri di Montalbano, Montegirone, Torre a Decimo, Quona e Montefiesole situati sull’opposto lato. È vero che la maggior parte di questi vecchi castelli era di proprietà privata; ma di fronte agl’interessi della difesa del proprio territorio il governo della Repubblica non aveva troppi scrupoli e più e più volte si trovano nelle sue deliberazioni ricordi di disposizioni date per afforzare e presidiare edifizi di privati cittadini e monasteri. Uno studio serio sopra alle fortificazioni di questo luogo porterebbe indubbiamente un contributo prezioso alla conoscenza di molte cose relative alla storia militare fiorentina del medioevo; ma a noi basta avere accennato così di volo un argomento che ci trascinerebbe fuori del nostro programma modesto. Così pure dobbiamo sorvolare anche sulle pratiche, le trattative ed i contratti mediante i quali nel xvi secolo la fiorente corporazione dell’Arte della Lana si sostituì all’industria privata acquistando ed esercitando per proprio conto le gualchiere ed i mulini di Remole6 fino a che quella lavorazione, fonte di tante ricchezze per Firenze continuò ad essere attiva e fiorente.
Dopo una serie di vicende che sarebbe lungo e superfluo ricordare, le antiche Gualchiere si trovano per ora in possesso della Camera di Commercio e Arti di Firenze; ma una sola delle numerose pile di gualchiere serve tuttora alla lavatura e battitura de’ panni, mentre tutte le altre sono convertite in mulini per la macinazione dei cereali.
Oggi nel castello di Remole che un giorno vide raccolte nelle sue mura armi e milizie adunate per la difesa di Firenze, che più tardi fu centro di movimento e d’animazione, quando i mercanti fiorentini vi recavano in gran copia le pezze di panno uscite dalle loro officine, regnano la quiete ed il silenzio, rotti di tanto in tanto dai colpi dei magli della quasi inoperosa gualchiera e dallo scrosciar delle acque della gora che mette in moto le ruote de’ mulini. E un semplice ricordo d’ima potenza e d’una ricchezza passata fra i documenti della nostra storia.
Castello di Remoluzzo. - Casa e Torre Galletti . — Un massiccio torrione, un’altra torre scapezzata e dei tratti di grosse mura cadenti che sorgono vicino alla chiesa di S. Maria sono i resti dell’antichissimo castello o rocca di Remoluzzo che costituiva tutt’un’insieme di fortificazioni col sottoposto castello di Remole poi ridotto a gualchiere d’arte della Lana. I ricordi di questa rocca sono remotissimi e cominciano da’ tempi in cui gl’imperatori di Germania ne davano fin dal xii secolo il possesso alla Badessa di S. Ellero. Più tardi l’ebbero i Compiobbesi padroni anche del non lontano castello di Montauto ed in mano loro restò fino a che la famiglia, quasi disfatta dalle fazioni, dovette subirne la confisca. Dal secolo xiv il vecchio castello fu così abbandonato ed a poco alla volta si ridusse nello stato di pittoresca e grandiosa rovina nel quale lo vediamo oggi.
Chiesa di S. Maria a Remoluzzo. — Framezzo agli avanzi grandiosi del vecchio fortilizio che occupava la vetta del ripido poggetto sorge la chiesa che in antico si chiamava S. Maria al Castel di Remole . Piccola di proporzioni, conserva in gran parte la struttura originaria della chiesa medievale colle grosse mura di pietre conce, con la tettoia a cavalletti e le anguste finestrelle che scarsamente la illuminano. Fu la chiesa del castello, prima delle monache di S, Ellero, poi de’ Compiobbesi e fino a’ tempi moderni continuò ad esser parrocchiale d’un piccolo popolo riunito più tardi a quello di S. Michele a Compiobbi. La chiesa di Remoluzzo rimase semplice annesso o parrocchia succursale. Sulla facciata ha uno stemma antichissimo de’ Compiobbesi e sull’altare un dipinto della scuola di Andrea Del Sarto raffigurante la Vergine col bambino Gesù e S. Giovannino.
Tradizionalmente il popolo attribuisce a questo dipinto per il quale nutre somma venerazione, una grande antichità; ma se un’antica immagine esisteva nella chiesa essa dev’essere stata sostituita ne’ passati secoli con questa che non è anteriore al xvi secolo.
Il patronato della chiesa fu in origine delle Monache di S. Ellero alle quali si sostituirono nel xiv secolo i Compiobbesi ed in parte, per qualche tempo, i Donati. Oggi è di libera collezione.
Nella pianura che si distende attorno al vecchio castello di Remole e che era compresa nel popolo soppresso di S. Maria a Remoluzzo erano diverse case da signore la maggior parte facenti parte in antico dell’ampio possedimento dei Compiobbesi.
Le Case. - Villa Binazzi. — Appartenne per lungo tempo alla famiglia Bombelli che in questi luoghi ebbe numerosi possessi. Da essa l’acquistavano nel 1588 il dì 10 di febbrajo le Monache di Rosano, le quali, nel secolo successivo la davano a livello alla famiglia Dell’Antella. Ritornò poi alle Monache le quali ne rimasero in possesso fino alla soppressione Leopoldina.
La Querce al Piano. - Villa Forteguerri. — Fu casa da signore dei Compiobbesi e più tardi appartenne a Bartolommeo, volgarmente chiamato Baccio Bandinelli scultore, e successivamente agl’Incontri ed ai Bechi.
Villole. - Villa Bechi. — Era nel 1427 casa da signore di Giovanni d’Jacopo mereiaio; nel 1498 apparteneva ad una famiglia Piccardi che l’ebbe fino alla fine del xvi secolo. Dipoi fu Carradori, Rocchi e dal 1764 appartiene alla famiglia Bechi.
Renajo. - Villa Vigezzi . La graziosa villa situata lungo la Via di Rosano a breve distanza dalla riva dell’Arno è di moderna costruzione, ma annessa al podere di Renajo fu in antico una piccola casa da signore, prima dei Campiobbesi, poi ai primi del xv secolo, di una famiglia Nuti del gonfalone Lion Rosso. Nel 1498 apparteneva ad un Benedetto di Salvi Marocchi o Marrocchi scalpellatore. I Marocchi la vendevano verso il 1547 alle Monache di S. Martino a Majano che nel 1548 la rivendevano ad Alamanno d’Antonio Donati. Nel secolo successivo l’acquistarono i Baroni Del Nero che ridussero la piccola villa ad uso di casa colonica. Ai Del Nero restò il possesso di questo e di altri vicini poderi fino all’estinzione della famiglia.
Pian di Pugliano. - Villa Fonseca. — Fino a pochi anni addietro in mezzo ai campi ubertosi che si distendono fra la via di Rosano e l’Arno apparivano colla loro massa bruna e severa le mura cadenti d’un vecchio fabbricato. Lo chiamavano il Palazzaccio e la gente de’ luoghi vicini contemplava con un senso di paura i resti di quella squallida dimora a proposito della quale si ripetevano strane e superstiziose storielle. Ora però le mura pericolanti sono state risarcite, le ampie tettoje cadute, rinnovate e l’edifizio ha ripreso il carattere di un solido palazzo medievale. In origine fu infatti un palazzo di campagna, uno fra tanti altri che la potente famiglia de’ Cerchi possedeva in questi luoghi dirimpetto a quelli de’ Donati suoi rivali. Nel 1427 apparteneva ancora a’ Cerchi e precisamente ad Antonio di Torrigiano; ma poco dopo, nel 1457, il palazzo di Pian di Pugliano era passato in proprietà degli Arnoldi, un’antichissima famiglia del popolo di S. Piero Scheraggio. Verso il 1534 dagli Arnoldi pervenne in una famiglia Billi e Agnoletta d’Antonio lo portò il 1552 in dote a Bartolommeo Bombelli. Da Antonio Bombelli lo comprò nel 1599 Antonio di Vincenzo Magalotti e Orazio di Filippo lo rivendè nel 1642 ai Castelli, uno dei quali, Ottavio lo lasciò in eredità alla madre Lisabetta Marucelli. I Marucelli possedettero questi beni lino alla loro estinzione.
Oratorio di S. Eugenio a Pugliano o Rosano. — E un piccolo fabbricato di carattere assai antico che sorge isolato in mezzo al Piano di Rosano. Ha le mura a filaretto di pietra e la tettoja a cavalletti. Fu in antico parrocchia dalla quale dipendevano il monastero e le vicine case e fu costantemente di patronato dell’Abbadessa di Rosano. La parrocchia venne soppressa nel 1472 e riunita a quella vicina di S. Michele a Samprugnano della quale l’oratorio restò un annesso.
Erano in quest’oratorio due pregevoli dipinti in tavola che per ragioni di sicurezza sono stati trasferiti nel 1906 nella chiesa della SS. Annunziata di Rosano.
Della remota antichità di questa chiesetta si ha ricordo in un documento del 1092 dal quale risulta come l’abate di S. Eugenio a Pilasiano nel territorio di Siena ne facesse donazione alle Monache di Rosano.
Borgo di Rosano. — É un pittoresco borghetto di poche case le quali per la maggior parte appartennero in antico al celebre e ricco monastero delle Benedettine di Rosano.
Chiesa e Monastero della SS. Annunziata a Rosano. — É un de’ più antichi e celebri monasteri benedettini di Toscana e se si dovesse credere a quanto è affermato in una iscrizione scolpita sull’architrave della chiesa, la sua fondazione risalirebbe all’anno 780. Effettivamente però i ricordi più antichi che si hanno nei documenti non sono anteriori al xi secolo. Il monastero intitolato di S. Maria a Rosano era in quel secolo di patronato dei Conti Guidi; ma nel secolo successivo varj Pontefici ne dettero e ne confermarono il possesso ai Vescovi di Fiesole. Nel 1801 il vicario del Vescovo di Fiesole aveva concesso alle monache di ritirarsi in Firenze per sottrarsi ai pericoli delle guerre, alle usurpazioni ed alle minacce d’invasione del monastero; ma non risulta che esse lo abbandonassero.
Nel 1583 il Vescovo Da Diacceto consacrò la chiesa che era stata allora restaurata e la intitolò alla SS. Annunziata.
Il fabbricato monastico è grandioso ed imponente e sorge a piè del poggio di Samprugnano, a breve distanza dalla riva dell’Arno,in mezzo a campagne ubertose che un giorno appartenevano in molta parte al cospicuo patrimonio delle Benedettine. Un’alta e solida muraglia lo circonda ed un giorno valse a difenderlo in tempi di guerre e di scorrerie e per una pittoresca porta si accede ad un piazzale interno dove corrisponde la facciata della chiesa. Le porte della chiesa e del monastero sono di elegante carattere del xiv secolo e più qua e più là si riscontrano nel fabbricato tracce della sua remota costruzione.
L’interno della chiesa fu rifatto, come abbiamo detto sul finire del xvi secolo e nelle sue decorazioni risente perciò del carattere un po’ grave ed eccessivamente ricco dell’ architettura di quel tempo.
A destra entrando è il fonte battesimale di pietra di forma esagona con rosoni negli specchi. Esso fu concesso per comodità delle popolazioni vicine ed è lavoro del xv secolo. In una delle facce è questa iscrizione: Madonna Chaterina Da Chastiglionchio A. D. MCCCCXXIII. Di fianco alla porta è un’antica croce dipinta, lavoro di maniera Giottesca ed al primo altare a sinistra è una tavola rappresentante Cristo condotto dinanzi a Pilato dipinta da Santi di Tito . Nel coro sono state ora collocate le due tavole che stavano nell’oratorio di S. Eugenio a Pugliano. La prima di forma cuspidata rappresenta l’Annunziazione ed è della maniera d' Agnolo Gaddi; la seconda, che era l’ancóna dell’altare, è a forma di trittico ed ha nello scomparto centrale l’Ànnunziazione, mentre nei laterali sono i santi Eugenio, Benedetto, Giovan Battista, Niccolò di Bari. E una delle opere più tarde della scuola di Giotto e reca in basso questa iscrizione: Tpre Abatise Haterine de Castigliocio MCCCCXXX.
Da Rosano si partono diverse strade che svolgendosi per la pendice de’ colli conducono a Samprugnano ed a Volognano.
Chiesa di S. Martino a Samprugnano già Prugnano. — Sull’alto del poggio pittoresco che coperto un giorno di selve, oggi ricco di vigneti, prospetta la valle dell’Arno collegandosi cogli altri vicini poggi di Miransù, di Castiglionchio e di Volognano sorge questa chiesa che è d’origine antichissima. Ma della sua primitiva costruzione oggi serba ben poche tracce. La località si diceva in origine Prugnano e la chiesa il Santo a Prugnano donde derivò poi il nome di Samprugnano.
Di questa chiesa si hanno ricordi fino dal xi secolo e dal secolo successivo in poi appare dai documenti com’essa fosse di patronato della Badessa e delle Monache di Rosano le quali ne nominavano i rettori. Col consenso dei Vescovi di Fiesole le monache di Rosano nel 1472 riunivano a questa la parrocchia di S. Eugenio a Pugliano ed i beni delle due chiese incorporavano fra quelli del monastero. La chiesa non possiede opere d’arte degne di considerazione.
Sul colle di Samprugnano ebbero fin da tempo remoto possessi di ville e di poderi due antiche famiglie i Del Garbo ed i Rittafè o Bastari.
Nel popolo di Samprugnano esisteva un tempo un oratorio di S. Andrea che nel 1363 troviamo esser di patronato dell’Abate di Candeli.
Cernitojo. - Casa Pandolfini. — Oggi è semplice casa da lavoratori; ma ai primi del xv secolo era una delle tre case da signore possedute nel popolo di Samprugnano dalla famiglia che dapprima si chiamò de’Salomoni o de’ Torelli e che più tardi assunse il cognome di Del Garbo. Alla fine di quel secolo questi beni erano pervenuti nei Federighi ai quali appartennero fino a che quest’illustre famiglia non venne ad estinguersi nella Contessa Cassandra moglie del Conte Agnolo Pandolfini la quale morendo lasciava tutti i suoi averi alla famiglia del marito.
Il Moro. - Casa Pandolfini . — Fu anche questa, villa dei Del Garbo e seguì i passaggi di possesso della casa precedentemente ricordata.
Calcina. - Casa Pandolfini. — Al pari delle altre due case appartenne prima ai Del Garbo, poi ai Federighi; ma pervenne più tardi in proprietà delle Monache di Posano dalle quali alla metà del xvii secolo l’acquistavano insieme ad altri cinque poderi i Conti Pandolfini.
Montione già Montaione. - Casa Sansoni. — Fu casa da signore che ai primi del xv secolo apparteneva alla famiglia dei Rittafè o Bastari. Alla fine dello stesso secolo pervenne nei Serristori i quali la possedettero per quasi dugento anni. Fu dipoi degli Anforti e da questi passò nei Trombetta e nei Sansoni.
Belvedere o La Torre. - Villa Laborel-Melini. — Una antica torre, che era probabilmente una delle opere di fortificazione chetavano attorno al forte castello di Volognano, dette a questa villa il nome primitivo cambiatosi poi in quello di Belvedere, giustificato dallo splendore del panorama che le si stende dinanzi. Agli ultimi del xiv secolo insieme ad altre ville vicine delle quali abbiamo già discorso, era fra i possessi dei Salamoni, chiamati dipoi Del Garbo, famiglia dalla quale uscirono in gran numero medici e fisici di gran rinomanza. I Del Garbo conservarono costantemente questa loro deliziosa villeggiatura e quando la famiglia venne ad estinguersi, questo come tutti gli altri beni ed il nome passarono per eredità nella famiglia Mozzi. Modernamente la villa fu abbellita e restaurata dal Cav. Luigi Laborel-Melini che costituì sul colle di Volognano una riputatissima tenuta vinicola.
Castello di Volognano. - Villa D’Ancona. — Di faccia quasi all’imboccatura della Sieve s’inalza coperto di floridi vigneti e d’ulivi il poggio di Volognano attorno al quale l’Arno gira bruscamente uscendo dalla stretta valle per dirigersi attraverso alla pianura fiorentina. Sul poggio è un gruppo di fabbricati al disopra de’ quali spunta il moderno campanile della chiesa, mentre all’intorno appajono i resti di mura e di due porte.
Era qui il castello di Volognano che la situazione favorevole rese un giorno la rocca più forte e più temuta fra quante ne possedeva qui attorno una potente e fiera consorteria di nobili del contado. Signori del castello di Quona sopra a Remole, dal quale trassero l’antico cognome, i Da Quona si divisero in varj rami, e nelle divise abbandonarono anche il nome avito per sostituirlo con quello d’altri castelli, dove nella familiare separazione andarono a stabilirsi. Così nacquero le famiglie dei signori Da Castiglionchio e Da Volognano. Quest’ultimi più arditi, più potenti d’uomini e d’autorità, più turbolenti, arrecarono non poche molestie alla repubblica, mescolandosi nel turbinio delle fazioni ed alimentando quelle discordie che per tanto tempo dilaniarono la città. Discordie covarono anche nel loro seno, perchè mentre alcuni di loro, ma in minor numero, seguirono fedelmente la parte Guelfa, altri apertamente si gettarono nella fazione opposta e per qualche tempo ne furono anche anima e forza. Ma ormai la parte Guelfa s’era imposta ed i rovesci della nemica fazione rapidamente si succedettero. La caduta del castello di S. Ellero dove nel 1267 ottocento ghibellini fra i quali molti dei Da Volognano, furono vinti e fatti prigioni, precedette di poco l’assalto, la distruzione e la confisca del castello di Volognano. E che il numero ed il valore di que’ da Volognano presi a S. Ellero fosse significante sta a provarlo il fatto che da loro si chiamò tradizionalmente la Volognana la torre del palagio del Podestà dove vennero chiusi.
La potenza militare del castello era stata annientata e se sul colle delizioso non tutto il fabbricato fu raso al suolo ma semplicemente smantellato e reso inutile all’esigenze della difesa, fu atto di riguardo verso alcuni dei Da Volognano che non avevano seguiti i consorti nelle imprese di parte ghibellina.
Gli Ufficiali de’ ribelli entrati in possesso di Volognano ne alienavano i fabbricati ad altre famiglie ed ai primi del xv secolo troviamo che parte del castello distrutto apparteneva alla famiglia Martellini che per distinguersi da altre dello stesso cognome si chiamò della Cervia togliendo ragione dal proprio stemma7.
Nel 1427, all’istituzione del Catasto, Isaù o Esaù di Agnolo Martellini dichiarava di possedere case e casolari a Volognano «nel cerchio» ossia dentro le mura, ciò che dimostra che la distruzione del castello non fu così completa da non conservare almeno in parte l’antica cinta castellana. Ma all’epoca stessa continuavano e continuarono a posseder parte dell’antico fabbricato i discendenti de’ vecchi signori, perchè troviamo che Pino ed i fratelli figli del Rosso da Volognano denunziavano la proprietà di tre case nel castello ed un podere chiamato Masseto, con casa da signore. Anzi questi Da Volognano o Del Rosso Da Volognano, come si chiamaron dipoi, non mancarono di affermare anche più tardi i loro antichi diritti col proibire ai Martellini di porre i loro stemmi sulla chiesa che restava di loro patronato. I Martellini finirono poi col diventar padroni di tutti i fabbricati del castello che venderono sul finire del xvii secolo agli Anforti. Dagli Anforti l’acquistarono i Della Ripa e da questi passava per eredità nei D’Ancona, i proprietarj attuali.
Del vecchio castello si ritrovano tuttora le tracce in Castello e Gualchiere di Remole. brani di muraglioni, nelle due porte, volte l’una a tramontana, l’altra a mezzogiorno e nel torrione scapezzato che oggi fa parte della villa; villa elegante, grandiosa allietata dal vago giardino e più ancora dal panorama vastissimo che da ogni parte le si svolge attorno.
Ai tanti ricordi d’una storia lontana si sostituiscono oggi nelle sale di quella villa le tradizioni gentili di un’ospitalità concessa a tanti illustri contemporanei dalla famiglia D’Ancona, alla quale uomini preclari nelle lettere, nelle scienze, nelle arti ed in ogni sorta di studj geniali han dato altissima fama e procurato l’universale estimazione.
Chiesa di S. Michele a Volognano. — Era stata edificata dentro alla prima cinta esterna del grandioso castello, in faccia ad una delle porte che davano accesso alla cerchia interna ed al cassero. D’origine remota, serba ancora qualche traccia della sua primitiva struttura e nell’interno le tre divisioni a differenti piani secondo il rito antico. Sulla facciata esiste ancora lo stemma degli antichi signori di Volognano, i quali ne ebbero il patronato, passato dipoi nei Da Castiglionchio loro consorti. Oggi però essa è di libera collezione. Un’iscrizione fatta murare nella chiesa, certo dai Da Castiglionchio, dice che i Martellini padroni della villa già castello non hanno nessun diritto al patronato di essa e che non possono perciò apporvi il loro stemma. La chiesa, che fu restaurata nel 1889 in occasione della costruzione del nuovo campanile a torre, non ha nella parte interna resti del primitivo carattere.
Essa possiede però due buone tavole: una rappresenta la Vergine seduta fra gli angioli in atto di consegnare la cintola a S. Tommaso, genuflesso fra S. Francesco d’Assisi S. Iacopo Apostolo ed un altro santo: è opera della maniera d’Andrea Del Sarto; l’altra raffigura la Vergine in trono col bambino Gesù circondata da angioli e dai santi Pietro, Paolo, Martino Vescovo e Apollonia: in basso è la mezza figura del committente; è della maniera di Fra Bartolommeo. In sagrestia si conserva una croce processionale di rame del xiv secolo.
5Stradale IV.
Via Aretina per S. Donato.
Dal subborgo della Colonna la Via di Ripoli, staccandosi da quella di Villamagna, piega in direzione di scirocco e passa disotto al poggetto sul quale sorge l’antica e storica villa di Rusciano.
A mano destra, prima di giungere al borglietto della Mattonaja, si trova a mano sinistra il cosiddetto
Cantone d’Arezzo. — È un piccolissimo spazio di terreno incolto a forma di triangolo irregolare che è chiuso da un lato dalla via e dagli altri da muri. Esso fin da tempo immemorabile apparisce come proprietà del comune d’Arezzo e la tradizione afferma come in cotesto luogo fossero seppelliti alcuni soldati aretini morti lungo il cammino che dovettero fare quando, dopo la battaglia di Campaldino, venivano portati prigionieri a Firenze.
Poco dopo è
La Mattonaja, borgo di poche case che col suo nome antichissimo ricorda il luogo dove fu una fornace di mattoni che si formavano col limo del Bisarno. La Villa Pagni che è all’entrata del borgo, è di costruzione moderna, mentre sono di vecchia costruzione le vicine case che formano una specie di piazzetta. Fin dal xiv secolo era in quel luogo un albergo che nel 1427 apparteneva a Giovanni di Piero Bandini Baroncelli. Nello stesso secolo passò in proprietà di Ser Bardo Baldi e più tardi fu dei Frescobaldi, poi dei Capponi. Nel piccolo gruppo di fabbricati erano anche alcune case appartenenti alle Badie di Firenze e di Ripoli.
Sul fianco della villa Pagni è un grazioso tabernacolo che racchiude un vivace affresco rappresentante la Madonna col bambino Gesù, opera che ragionevolmente si attribuisce a Giovanni da S. Giovanni
Dalla Mattonaja move a sinistra la Via delle Lame che attraversa il Piano di Bisarno passando di fianco alla chiesa di S. Piero in Palco per andar poi a ritrovar la via di Villamagna al borgo della Nave a Rovezzano (Vedi Stradale I).
Sull’angolo della via è un tabernacolo fatto edificare da’ frati della Badia a Ripoli ai primi del xviii secolo, contenente un mediocre affresco che raffigura l’Assunzione della Vergine.
Il Merlo Bianco o La Mattonaia. - Villa Pecchioli. — È una bella e comoda villa che, circondata da un vago giardino sorge a destra della via, oltrepassato appena il casale della Mattonaja. Antichissimo è il nomignolo che essa porta di Merlo Bianco del quale non è facile trovare l’etimologia. I più antichi possessori di questa casa da signore sono i Guerrucci lanajoli che ne erano padroni anche nel 1427; Brigida di Francesco Gruerrucci sposando uno dei Meliini portò in questa famiglia la villa del Merlo Bianco. Restò ne’ Mellini fino all’anno 1630 nel quale, per legato della madre Gostanza Mellini, andò al figlio Lorenzo Palmieri. Gli ufficiali de’ Pupilli n’entrarono in possesso, come beni dell’eredità del Cav. Francesco Palmieri e fratelli e nel 1723 a dì 21 febbrajo la vendevano ad un Domenico Grazzini d’una famiglia del Piano di Ripoli.
Ma questi Grazzini tennero per poco il possesso della villa, perchè il 23 dicembre del 1726 Matteo di Damiano la rivendeva al Barone Andrea Del Pugliese di una delle più antiche e cospicue famiglie d’Oltrarno. La Baronessa Teresa Antinori vedova di Andrea Del Pugliese, che morì nel 1763, adempiendo al testamento del marito, lasciava erede di questo possesso Caterina moglie di Lorenzo Buonaccorsi Perini e questa famiglia conservò la proprietà della villa fino all’anno 1825 nel quale un altro Lorenzo Bonaccorsi l’alienava a Serafino Quercioli. Da’Quercioli passava modernamente per eredità nei Pecchioli padroni oggi dell’antica villa.
Il Santo Nuovo o il Monastero di S. Jacopo a Ripoli. Istituto Gualandi per i Sordomuti . — Diomicidiede Del Dado della nobile famiglia Lamberti e Madonna Orrevole sua moglie edificarono attorno al 1200 un oratorio con annesso un fabbricato ad uso d’ospizio, dedicato a S. Jacopo apostolo e poco dopo lo donavano al Vescovo di Firenze Giovanni da Velletri. Nel 1219, vennero da Bologna guidati dal Beato Giovanni da Salerno dodici frati del nuovo ordine fondato da S. Domenico de Gusman per combattere l’eresia ed il Vescovo concesse loro l’ospizio di S. Jacopo di Ripoli dov’essi si stabilirono. Poco vi stettero però a causa dell’angustia del luogo e si trasferirono presto in Firenze presso l’oratorio di S. Maria delle Vigne dove eressero poi la splendida chiesa di S. Maria Novella. A S. Jacopo a Ripoli, che il popolo aveva già cominciato a chiamare il Santo Nuovo, non sapremmo dire se alludendo a S. Domenico o al Beato Giovanni da Salerno, usciti i Domenicani, stettero qualche tempo pochi frati del nuovo ordine fondato da S. Francesco d’Assisi e ad essi sottentrarono nel 1229 alcune suore terziarie dell’ordine Domenicano. Ma esse pure non vi rimasero lungamente: talune andarono nel 1292 nel nuovo monastero di S. Domenico di Cafaggio o del Maglio e tutte le altre nel 1299 in altro monastero fabbricato in Firenze nel popolo di S. Lucia sul Prato ed in luogo detto il Pantano che avevano avuto dai Peruzzi in cambio del vecchio locale di S. Jacopo a Ripoli.
Così nel 1299 i Peruzzi, rimasti padroni dell’abbandonato monastero, lo ridussero a casa da signore, conservandone però come oratorio l’antica chiesa fabbricata dai Lamberti. I Peruzzi venderono nel 1339 la villa ai Della Foresta, dai quali passò dipoi nei Monaci Vallombrosani della Badia a Ripoli che la dettero a livello a diverse famiglie, ultima delle quali i Masetti, che si chiamarono dipoi Dainelli Da Bagnano, e che l’ebbero nel 1701. Ora nel luogo dell’antico monastero e della villa ha sede l'Istituto dei Sordomuti fondato dai Fratelli Gualandi di Bologna che accoglie un numero considerevole di fanciulli. Per ridurlo al nuovo uso edilìzio è stato ampliato notevolmente e trasformato affatto di carattere.
Quasi collegato al borgo del Bandino è un piccolo gruppo di case chiamato
L’Albergaccio. — Certo il nomignolo del luogo derivò da uno de’ modesti alberghi che si trovavano lungo la via così frequentata e che doveva appartenere ai Bandini Baroncelli de’ quali si veggono ancora gli stemmi antichissimi sulla facciata di alcune di queste case. Dopo i Bandini ebbero il possesso di questi fabbricati i Niccolini e lo Spedale degl’Incurabili di Firenze.
Il Bandino, già il Canto al Paradiso. — È oggi un borgo abbastanza popolato posto lungo la Via Aretina o di Ripoli nel punto in cui si diparte da questa la strada Chiantigiana. Questa strada conduce anche al luogo chiamato il Paradiso, dove gli Alberti ebbero una splendida villa presso la quale edificarono l’ampio convento di S. Brigida al Paradiso.
Fu per questo che al piccolo casale sorto in antico sulla cantonata delle due strade si dette il nome di Canto al Paradiso, sostituito più tardi con quello di Bandino perchè in questo luogo ebbe un palagio grandioso la famiglia Bandini-Baroncelli.
Il borgo del Bandino ha acquistato modernamente una importanza maggiore, perchè fin dal 1869 pose qui la sede il Comune di Bagno a Ripoli, considerando la località sotto tutti i riguardi comodissima, anche per i continui rapporti che gli uffici municipali debbono aver con Firenze.
Palazzo Comunale già Villa Bandini. — Quando questa località era chiamata il Canto al Paradiso, il borgo che oggi si è considerevolmente accresciuto, non esisteva affatto e lungo la via erano cinque o sei modeste casette dipendenti da un grandioso palazzo che, circondato da un ampio giardino, presentava lungo la via la sua ampia ed elegante facciata. Era un’antica casa da signore che fino dal xiv secolo apparteneva ai Baroncelli, potente famiglia che secondo quanto comunemente si è asserito, ebbe la sua origine sulla collina di Baroncelli posta al disopra del borgo di Bagno a Ripoli. Un ramo dei Baroncelli si chiamò de’ Bandini e ad esso toccò in proprietà questa casa da signore che fu detta il palazzo del Bandino o semplicemente il Bandino. Il Senatore Giovanni Bandini, venendo a morte il 31 marzo del 1624 lasciava in eredità alla figlia Alessandra moglie del Marchese Paolo Del Bufalo, la villa del Bandino insieme a diverse case ed a numerosi poderi nel piano di Ripoli; alla morte di lei, questa parte del patrimonio familiare toccò alla figlia Contessa moglie del Senatore Lorenzo Niccolini. I Niccolini rimasero in possesso di questi beni fino all’anno 1830 nel quale vendevano la villa, già da vario tempo lasciata disabitata, a certi Biagini e Consiglio. La parte di quest’ultimo fu comprata dal Duca Andrea Corsini il quale nel 1863 la vendeva al Comune di Bagno a Ripoli che nello stesso anno acquistava anche la parte di proprietà Biagini.
Compiuti i necessari riadattamenti dell’edifizio, l’amminitrazione Comunale, che più volte aveva cambiato di sede e che allora si trovava nell’ex-convento della Badia a Ripoli, prendeva possesso dell’antica villa dei Bandini.
Il fabbricato, che è assai grandioso, non conserva che pochi resti del suo antico aspetto. Sulla facciata vi sono delle finestre di buono stile del xvi secolo, nell’interno delle belle sale; ma in generale la villa dimostra di aver subito radicali trasformazioni.
Dal borgo del Bandino move la Via Chiantigiana (Vedi Stradale V) all’entrar della quale si trova a sinistra
Il Bandino. - Villa Rossi Ghetti. — A tergo del palazzo Comunale un grandioso e bene adorno cancello corrispondente sulla via Chiantigiana dà accesso a questa villa, in origine casa d’amministrazione annessa alla Villa Bandini. Questa parte del possesso seguì le sorti della villa principale, fino a che nel 1828 veniva venduta dal Marchese Vincenzo di Lorenzo Niccolini alla famiglia Castellani la quale la rivendeva nel 1853 ai Rossi. A questa villa è annesso l’elegante e vago giardino che un giorno era degno corredo del palazzo de’ Bandini.
L’Orto del Paradiso. - Casa Fancelli. — Oltrepassato il borgo del Bandino, trovasi a mano sinistra questa casa colonica nella quale nacque il dì 8 settembre del 1473 da Tommaso d’Jacopo Narducci Domenica, fondatrice del monastero della Crocetta e venerata dipoi sotto il nome di Suor Domenica del Paradiso. All’esterno della casa, Vincenzo dei Marchesi Niccolini fece collocare nel 1803 un busto di Suor Domenica con un’epigrafe che né ricorda la nascita.
Lo Spedaluzzo. — Fra il borgo del Canto al Paradiso, oggi detto il Bandino, e la Badia a Ripoli trovasi lungo la Via Aretina questo piccolo borghetto di poche case al quale dette nome lo
Spedale dei Castellani. — La potente e ricca famiglia de’ Castellani, che aveva la maggior parte de’ suoi antichi possessi nel Valdarno di Sopra fra Rignano e l’Incisa, edificò, secondo il costume de’ tempi, un ospizio o spedale per accogliere i pellegrini ed i viandanti sulla strada Aretina a breve distanza dalla Badia a Ripoli. La fondazione di questo spedaletto risale al xv secolo e la famiglia provvide costantemente alla sua manutenzione. Si diceva lo Spedale di S. Maria Castellana e da un riscontro fatto fare dai Capitani del Bigallo per ordine di Cosimo I risulta che a metà del xvi secolo esso era posseduto da Stefano di Piero Castellani.
Ecco quanto dichiaravano nella loro relazione cotesti Capitani a proposto di questo Spedale:
«Ha d’entrata L. 34 di pigione d’una casa con bottega, L. 32 per una casetta in Firenze, L. 24 per una casa a Bisarno.
- Charichi:
- Tienvi letta 4.
- Tienvi uno garzone che raccetta e’ poveri al quale da le spese.
- È obbligato per lo Spirito Santo fare la festa con dodici messe e libbre 4 di cera.
- Dicevasi ogni mese una messa.
- Lo spedale è bensì di quelli che han bisogno di restauramento e devesi spendere Ducati 40.»
Lo spedale che aveva annessa una cappellina, tuttora esistente, ma non più ufiziata, conserva ancora nel suo fabbricato gran parte dell’antico carattere e vi manca solo la loggia che gli stava dinanzi e che venne distrutta. Esso fu soppresso insieme a molti altri npll’anno 1714.
Borgo della Badia a Ripoli. — In origine era costituito da dieci o dodici casette tutte appartenenti al monastero della Badia che aveva qui attorno molte possessioni; modernamente però le abitazioni sono più che raddoppiate, specialmente dopo l’apertura della nuova piazza della Badia.
Questa piazza, attraversata dalla via Aretina alla quale fanno capo anche la via di S. Piero in Palco e quella per il Ponte a Ema, venne creata nel 1872, occupando lo spazio chiuso da mura che stava dinanzi alla chiesa della Badia e diversi terreni acquistati dal Comune; serve ora per fiere e mercati.
In alcuni campi posti presso il borgo della Badia, fra la via Aretina e la via Chiantigiana, vennero scoperti diversi avanzi di case romane.
Chiesa di S. Bartolommeo alla Badia a Ripoli. — Per la sua remota fondazione, per i ricordi storici che ad essa si riferiscono la Badia a Ripoli è certo l’edifizio religioso più importante del vasto comune di Bagno a Ripoli. Fondata, secondo appare dai documenti e secondo quanto affermano concordemente gli storici, l’anno 790 nella località chiamata allora Recavata da alcuni signori longobardi che le assegnarono una cospicua dotazione, fu abitata dapprima da alcune monache benedettine. Più tardi, nel 1156, Papa Adriano III la commesse al Vescovo di Firenze e siccome era stata concessa già all’Abate di Vallombrosa, sorsero vive controversie fra questo e la curia vescovile. Una sentenza del 1212 pose termine alla questione, dando ragione in massima all’Abate, imponendogli però l’obbligo di un censo annuo di libbre 3 di cera da pagarsi al Vescovado di Firenze. Divenne allora una delle principali fra le Abazie che i Vallombrosani avevano attorno a Firenze e per il corso di sei secoli essa rappresentò una parte essenziale nella storia e nelle vicende di quell’ordine monastico d’origine assolutamente fiorentina.
Non molto ampia nei primi secoli della sua esistenza, la Badia fu più volte accresciuta di nuovi fabbricati, sicché dopo il 1473 servi in parte ad uso d’ infermeria dell'ordine e dal 1550 fino alla soppressione francese di residenza agli Abati Generali.
A cominciare da Gregorio X che vi stette diversi giorni del 1272, quando non volle entrare in Firenze da lui scomunicata, essa accolse fra le sue mura Papi, Principi, personaggi illustri in gran numero.
Nelle sue storiche ricordanze figura anche una lunga lite che la Badia ebbe coi signori di Quona e Castiglionchio, i quali affermando la loro discendenza dai fondatori, pretendevano d’esercitarvi diritti di patronato e la vertenza si prolungò fino a quando, nell’anno 1452, S. Antonino arcivescovo di Firenze, come giudice delegato della curia romana, non la risolse dichiarando nulli i diritti affacciati.
Ma usciremmo fuori dei limiti imposti dal nostro lavoro volendo tener dietro anche alle più rilevanti fra le memorie della Badia che si chiudono colla soppressione avvenuta nell’anno 1808 e preferiamo occuparci di ciò che più specialmente si riferisce alla chiesa ed alla sua importanza artistica. Nella sua struttura generale essa non ha subito trasformazioni radicali, perchè l’ampiezza del fabbricato è quella originaria, come originaria è la sua forma a croce latina. Le alterazioni sostanziali avvennero nella parte decorativa e nello spostamento del suo piano, reso necessario dal naturale rialzamento del suolo vicino e dai pericoli continui delle inondazioni dell’Arno. In origine la chiesa, per quanto d’una sola anziché di tre navate, aveva i caratteri proprj delle prime basiliche latine, divisa in diversi piani secondo lo imponeva il rito, colla confessione o cripta e sopra di essa la tribuna o presbiterio. Rialzato dunque il piano per le indicate ragioni, fu necessario sopprimere le tre scalette che davano accesso alla cripta la quale fu abbandonata e riempita di terra; ma eravamo a’ primi del xvii secolo, quando la vecchia arte era divenuta incompresa e disprezzata, sì che si volle compiere in modo radicale l’opera di trasformazione; così si coprì con una volta la tettoja di legnami dipinti, si aprirono più ampie finestre, si addossarono alle pareti pesanti altari e si rivestirono d’intonaco le mura esterne della chiesa, del campanile ed alla facciata si addossò un portico.
Però in tempi successivi qualche miglioramento fu introdotto nelle condizioni dell’edifìzio, perchè nel 1746 si vuotò nuovamente la cripta e la si rese accessibile, talché oggi abbiamo un interessante esempio di più di questa parte essenziale delle chiese di antichissima origine. Più efficaci, allo scopo di restituire l’interesse artistico all’edificio, furono i restauri eseguitivi nel 1892 sotto la direzione dell’Ufficio dei Monumenti, perchè in cotesta occasione si liberarono le mura esterne dall’intonaco, si riaprì l’occhio sulla facciata e si rimesse l’elegante campanile a torre sormontato da svelta guglia al carattere primitivo.
La chiesa della Badia a Ripoli fu un giorno, come la maggior parte di quelle monastiche, ricca assai di opere d’arte; ma le più interessanti vennero trasferite nelle gallerie dopo la soppressione francese, sicché oggi non si trovano più che pochi resti d’un cospicuo patrimonio. Al secondo altare a destra è un quadro costituito da due differenti dipinti: nella parte superiore è un Crocifisso fra due angeli di Nicodemo Ferrucci, in quella inferiore sono raffigurati i Santi Giovan Battista, Giovan Gualberto, Bernardo degli Uberti e Michele Arcangelo che il monaco e pittore vallombrosano Alessandro Davanzati copiò dal quadro d’Andrea del Sarto esistente nella galleria dell'Accademia. Nella cappella a destra dell'altar maggiore sono due quadri di Benedetto Veli rappresentanti Cristo mostrato al popolo e la Flagellazione; il ciborio oggi tabernacolo per l’olio santo è un elegante lavoro di scultura in pietra del xv secolo. L’oggetto più importante posseduto dalla chiesa è però un banco di sagrestia con postergale, ricco ed elegantissimo lavoro d’intaglio e d’intarsio in legno con lumeggiature a oro, opera di artefice fiorentino del xv secolo che porta gli stemmi delle famiglie Pitti e Nasi le quali forse lo regalarono ai monaci. Nelle pareti della sagrestia sono le mezze figure dei santi e beati dell’ordine Vallombrosano, dipinte a fresco nel 1585 da un artista seguace del Pòccetti.
Monastero della Badia a Ripoli. - Istituto delle Suore della Provvidenza. — Dopo la soppressione francese la parte del monastero che era situata a sinistra della chiesa e corrispondeva lungo la Via Aretina, venne destinata ad uso di canonica parrocchiale, mentre tutto il resto, e si può dir la maggior parte del grandioso edifizio, che comprendeva il Palazzo Generalizio, l’infermeria, il refettorio, la biblioteca ecc., fu venduto alla famiglia Piccardi. In una parte di questi locali ebbe residenza il Comune di Bagno a Ripoli fino a che, acquistato il palazzo o villa de’ Niccolini al Bandino, non potè trasferirvisi. Più tardi, nel 1867, aprirono in questo locale una scuola per le giovanette le Monache Addolorate e ad esse succedettero le Monache della Provvidenza istituite nel Belgio, le quali acquistato nel 1886 l’antico locale monastico vi aprirono un educatorio-convitto che ha tuttora vita assai fiorente. Ampliato in alcune parti il locale, esse vi aggiunsero una nuova chiesa di stile ogivale, eretta col disegno e sotto la direzione dell'architetto Bartolozzi e dell’lng. Picchioni.
Nei locali dell’ Educatorio è compreso anche 1’antico refettorio dei Vallombrosani nel quale si ammira tuttora il vigoroso e brillante affresco di Bernardino Poccetti che rappresenta le nozze di Cana.
Sorgane. — È un modesto borghetto di poche case posto lungo la Via di Ripoli nel luogo dove in antico furono due case da signore. Una di queste è la villa di proprietà Perosi della quale diamo successivamente le notizie, l’altra ha oggi quasi perduto apparentemente i caratteri di villa. Il borghetto di Sorgane era compreso in antico fra i beni dei Malispini e dei loro consorti i Tebalducci, i quali ai primi del xv secolo vi possedevano tuttora una casa ad uso d’osteria.
La villetta oggi Caciali era nel 1427 di una famiglia Pecorini dalla quale passò negli Orlandini nel 1450 e da questi nel 1649, per donazione di Alessandro che dimorava a Lione, nel Conte Alessandro di Villanova, francese. I procuratori di lui la vendevano nel 1696 ad Andrea Buini e da lui passava nel 1764 per eredità nel Cav. Niccolò Quaratesi padrone della vicina villa del Palagio, del quale questa villetta divenne un annesso.
Da Sorgane ebbe origine la famiglia Del Lungo che anche nel xviii secolo vi possedeva alcune case.
11 Palagio. - Villa Perosi. — A mezzogiorno del borghetto di Sorgane, rivolta verso il piano della Pieve, sorge questa villa che, a giudicarlo dall’antico nomignolo di Palagio, deve avere avuto un giorno notevole importanza. Doveva esser in origine uno dei molti possessi che la potente consorteria dei Tebalducci, Guglialferri e Malispini ebbe in questo tratto della pianura di Ripoli e forse fu qui uno di quei palagi che dopo Montaperti i Ghibellini distrussero in danno de’ Malispini di parte Guelfa. Nel 1427 però il Palagio era degli Arrighetti-Corsetti, in origine legnajoli, che nel xiv secolo erano già divenuti ricchi ed autorevoli. Monna Andrea vedova di Corsetto Arrighetti vendè nel 1451 la villa a Bartolo di Lapo Dini del Lion Rosso, che la lascio in eredità al nipote Domenico di Benincasa. L’ebbe in dote nel 1531 Ginevra figlia di Domenico- Dini e moglie di Cristofano di Giovanni Pelli merciajuolo. I procuratori della figlia di Baccio di Cristofano Pelli la venderono nel 1594 ad Andrea di Lionardo Buini e nel 1764 il dì 8 novembre alla morte del Cav. Andrea d’Alessandro Buini passava per ragioni di fidecommisso in eredità al Cav. Niccolò Quaratesi. Dai Quaratesi l'acquistava recentemente il Prof. Perosi, valentissimo compositore di musica religiosa.
La straella di Sorgane conduce a
I Giacomini o Le Pergole. - Casa Perosi. — Nella pianura che si distende ai piedi del Poggio a Ripoli ed a breve distanza dalla Pieve, è un’ampia costruzione che oggi serve ad uso d’agricoltori; ma che serba tutti i caratteri d’un antico e ricco palagio, per quanto tutti questi interessanti avanzi si trovino oggi nel più completo stato d’abbandono. Ad ogni modo, per la sua struttura grandiosa, per le decorazioni di pietrame che appaiono quà e là, per l’aspetto pittoresco di alcune sue parti, questo edilizio presenta un singolare interesse. Fu senza dubbio il più importante dei palazzi che fin da tempo remoto la famiglia Malispini eresse in mezzo ai suoi vasti possedimenti e dai Malispini pervenne dipoi nei Giacomini Tebalducci loro consorti. Era nel 1427 di Lionardo di Giacomino e nella famiglia restò fino a quando, il 6 gennaio 1622 Laudomia di Luca Giacomini non lo lasciò morendo al figlio Mariotto di Niccolò Geppi. Nel 1762 per eredità del Cav. Giuseppe del Cav. Jacopo Geppi l’ebbe Miniato Miniati e due anni dopo, nel 1764, il magistrato supremo che se n’era impossessato, lo vendeva a Sasso e Giuseppe Sassi che si chiamarono dipoi SassiLandini. Dopo quest’epoca, forse a causa delle tristi condizioni nelle quali era ridotto, il palagio venne destinato ad abitazione dei lavoratori de’ vicini poderi.
Chiesa di S. Piero a Ripoli. — Pieve fra le più antiche e più importanti dei dintorni di Firenze, era a capo di un vasto piviere che si estendeva anche sull’opposta riva dell’Arno. All’esterno l’ampio edifizio conserva in gran parte il severo e maestoso, per quanto semplicissimo, carattere proprio delle pievi fiorentine sorte nei secoli attorno al 1000, colle solide mura rivestite di filaretto, l’abside a callotta, le tracce delle strette finestrelle, la facciata coll’occhio ed un portichetto dinanzi alla porta ed il campanile che ha la forma di una torre di guardia e difesa. All’imponenza vetusta dell’esterno fa strano contrasto la parte interna nella quale, per quanto sussistano i grossi pilastri o meglio sodi, con archi sul mezzo tondo che dividono la chiesa in tre navate, tutto ha un’apparenza di modernità inelegante ed insignificante. Piloni ed archi sono di grossi conci di pietra, ma tutto è ricoperto da un alto strato di rozza calcina e la tettoja a cavalletti con legnami policromati è nascosta da uno stojato che toglie all’edilizio ogni traccia della sua antichità e della sua maestosa bellezza.
I primi documenti che ricordano l’esistenza di questa chiesa sono del x secolo ed allora essa era chiamata Pieve di S. Pietro a Quarto per esser prossima al quarto miglio di distanza dal Decumano di Firenze, lungo la via Cassia. La località della pieve si trova pur ricordata negli antichi tempi col nome di Agello o Gello ed è soltanto nei secoli successivi che le venne l’appellativo di Ripoli dal nome proprio di tutto il piano che dalla base dei poggi di Monte Pilli e dell’Incontro si spingeva fino alla porta di S. Niccolò. 1 Lupicini, una fra le antiche famiglie di Firenze, la quale ebbe molti possessi nella parte superiore del Pian di Ripoli, furono patroni della Pieve fino all’anno 1400 in cui Francesco di Niccolò Lupicini lasciava la sua eredità in parti eguali allo Spedale di S. Maria Nuova ed ai Frati di S. Croce. Toccò il patronato ai Frati, i quali con atto del 31 ottobre 1409 donavano il giuspatronato stesso a Tommaso e Jacopo del fu Giovanni del fu Francesco Giacomini cittadino e banchiere fiorentino. Per recognizione di detto patronato il Pievano doveva offrire annualmente alla famiglia Giacomini, nel giorno di S. Pietro, 5 libbre di vitella. Nel 1475 Papa Sisto IV trasferì il patronato nella famiglia Strozzi, nonostante le proteste e le liti della famiglia Giacomini; ma dopo lunghe controversie i Giacomini che erano fra i più fieri oppositori del governo Mediceo, si videro spogliati affatto di cotesti diritti per ragioni di confisca. Alla metà del xvi secolo la Pieve di Ripoli fu dichiarata di libera collazione degli arcivescovi di Firenze.
Non poche fra le illustri famiglie padrone di beni nel territorio della parrocchia ebbero nella chiesa cappelle e sepolture; fra quelle che fondarono cappelle sono da ricordarsi i Lupicini, i Del Bianco, i Mellini, gli Strozzi, i Cerchi: oltre a queste famiglie ebbero sepolture nella chiesa i Foraboschi, i Giacomini, gli Ammannati Beccanugi, i Doni ecc.
Abbiamo già detto come la chiesa, nella sua parte interna sia stata ridotta a carattere affatto moderno; e tale riduzione fu compiuta in differenti restauri, ma più specialmente in quelli del 1750, del 1789, e del 1855. In tali riduzioni scomparvero anche diverse delle opere d’arte che, come risulta anche da varj ricordi, arricchivano un giorno la bella pieve. Oggi il numero di quelle che sussistono è assai scarso: una Pietà scolpita in legno, mediocre lavoro del xvi secolo, un elegante ciborio di marmo del secolo stesso che ricorda la maniera di Benedetto da Bovezzano ed una piletta di marmo scultura pregevole del xv secolo collo stemma dei Mellini.
Sulla facciata, nella lunetta della porta, è un affresco, ridipinto in gran parte, colla Madonna e il bambino fra i santi Pietro e Paolo. Nell’architrave della porta e attorno sono gli stemmi dei Lupicini, degli Ammannati e dei Doni. Assai grazioso è il portichetto del xiv secolo sorretto da due pilastrini ottagoni.
Compagnia della Croce. — Attiguo alla Pieve, dal lato di tramontana è l'oratorio della Compagnia della Croce la quale si adunava fino dal 1305 nella chiesa. L’oratorio però fu edificato nel secolo successivo ed ampliato nel 1762. In esso si conserva un Crocifisso dipinto, opera di scuola Giottesca e sull’altare si vede una tavola rappresentante Gesù Cristo in croce, la Madonna, S. Giovanni Evangelista, S. Francesco d’Assisi ed un altro santo, opera pregevole della maniera di Fra Bartolommeo .
Dalla piazza della Pieve una strada vicinale conduce a
Le Corti. - Villa Procacci. — A breve distanza dalla Pieve di S. Pietro a Ripoli, sorge questa villa che a’ primi del xv secolo troviamo in possesso della famiglia Ammannatini alla quale appartenne quel Manetto, detto il Grasso legnaiuolo, valente maestro di tarsia che andato in Transilvania potè, in grazia della protezione di Pippo Spano degli Scolari, acquistare fama grandissima nell’arte sua e ricavarne guadagni grandissimi. Agnola, vedova di Messer Ammannato Ammahnatini e maritata dipoi a Pier Antonio Pugi vendè nel 1498 questo suo possesso a Luigi di Tommaso Ridolfi, il figlio del quale, Tommaso lo rivendè nel 1507 a Riccardo e Rinaldo di Betto Pieri. Oretta di Rinaldo Pieri portò la villa in dote a Francesco di Vincenzo Carcherelli, famiglia che aveva a Firenze le sue case in Via dell’Anguillara. Fra il 1611 e il 1613 la villa delle Corti appartenne a Simone del Cav. Vincenzo Serafini che l’aveva comprata a vita; poi ritornò ai Carcherelli che nel 1811 la vendevano a Francesco di Vincenzo Guerrini. Fu quindi dei Cantagalli e nel 1852 passava per compra nell’attuai proprietario Cav. Pietro Procacci.
I Mellini o Le Corti de’ Mellini. - Casa Procacci . — Quasi contiguo alla precedente villa delle Corti è questo edifizio ridotto a carattere moderno che fu per un lungo periodo di secoli importante casa da signore. Era nel 1429 di Ghino di Jacopo di Ser Francesco, l’erede del quale lo vendeva nel 1457 a Francesco Mellini. Piero di Francesco Mellini costituì la villa dote del benefizio di una cappella della SS. Concessione da lui fondata nella vicina Pieve di S. Piero a Ripoli; ma è probabile che fra i rettori della cappella e gli eredi del Meliini si stabilissero dei patti intorno all’uso ed alla proprietà della villa, perchè dai Catasti risulta che essa seguì per molto tempo le sorti dei poderi annessi. Nel 1606, all’estinzione della famiglia, il possesso fu aggiudioato a Lisabetta d’Antonio degli Albizi vedova di Domenico di Marco Mellini e più tardi, il 23 settembre 1623 i procuratori di lei e della figlia Cassandra la vendevano con patto risolutivo al Senatore Piero di Luigi Mozzi. Però Cassandra Mellini, pagando 2000 scudi di debito che aveva col Mozzi, potè il 28 dello stesso mese rientrare in possesso dei beni familiari che nel 1641 donò ai fìgli di primo letto Gregorio e Antonio di Jacopo Bracceschi. E questi il 2 dicembre del 1665 rivendevano la proprietà alla Contessa Maria Paola Del Bufalo moglie di Lorenzo Niccolini. Dopo quest’epoca la casa, o forse parte di essa, figura in possesso dei Rettori della Cappella della Concezione i quali la concessero anche a livello nel 1831 alla famiglia Daddi. Cessati i vincoli livellari, il vecchio palazzo dei Melimi acquistato nel 1857, diveniva nel 1865 libera proprietà del Cav. Pietro Procacci distinto cultore di cose d’agraria.
Proseguendo la via vicinale che sale ripidamente sull’alto del Poggio di Ripoli, si trova:
Belvedere o xvi. - Villa e casa Giorgetti . — Sull’alto del colle ridente che chiude da un lato il Piano di Ripoli e lo divide dall’ubertosa valle dell’Ema, è questo vecchio fabbricato al quale lo splendore della posizione giustifica il moderno nomignolo di Belvedere. La storia de’ suoi antichi passaggi è breve, perchè nel xiii secolo apparteneva ai Malispini e fino al 1764 restò in proprietà dei loro consorti e successori i Giacomini Tebalducci. A questi sottentrarono nell’eredità i Michelozzi-Giacomini che nel 1845 vendevano il podere di Belvedere e la vecchia villa ridotta ad uso rurale, alla famiglia Fanfani di Rovezzano. Dopo diversi passaggi la proprietà di questi beni perveniva nel 1886 per compra nei proprietarj attuali.
Di fianco alla chiesa di S. Pietro a Ripoli move dalla via Aretina la Via della Pieve che attraversando il piano che si spinge fin sulla riva dell’Arno, collega diverse strade secondarie lungo le quali si trovano diversi edilìzi d’antica origine.
Si può dire che questo è il centro di quel Piano di Ripoli che dette nome ad un vasto comune e che fu celebrato fin da tempi lontani per la feracità dei suoi campi, nei quali prosperavano ogni sorta di piante fruttifere, talché esso venne giustamente chiamato il pomajo di Firenze.
Rogo Gentile o il Pino. - Casa Baracchi . — Fu casa da signore e dell’antico suo uso si veggono le tracce nella grandiosità e nell’eleganza della costruzione. Era in origine di un Manetto di Giovanni e dal 1495 in poi la troviamo in proprietà dello Spedale di Bonifazio del quale si vede murato nella fabbrica lo stemma, che è quello dell’Arte della Lana. Nel 1770, in data 9 giugno, lo spedale dava a livello la casa ed il podere a Matteo di Giovanni Baracchi antenato degli attuali proprietarj.
Le Pergole o il Buco. - Casa Cioci. — L’edilizio serba tutti i caratteri d’un antica villa e fu infatti dai primi del xv secolo casa da signore della famiglia Giovanni, che aveva il suo palazzo in Via Maggio. Caterina vedova di Giovanni Giovanni la vendè nel 1592 a Girolamo Mancini e nel 1629 da Lisabetta vedova del Cav. Duccio Mancini la comprava Bernardo d’Alessandro Guidi-Arrighi gli eredi del quale l’alienavano nel 1735 al Cav. Amerigo di Francesco Altoviti. Nel 1829 la compravano i Conti Alberti ai quali appartenne fino al 1878. Da vario tempo la villa è ridotta a casa colonica.
La Cappella o il Buco o l’Arale. - Casa Piccardi. — E prossima alla Cappella della SS. Annunziata, fondata da i Larioni e fu in origine casa da signore dei Bardi di quel ramo che si disse poi de’ Larioni. Acquistata dai Nasi, passò nel 1746 allo Spedale di Bonifazio il quale concesse a livello casa e podere, prima a Maddalena Medici-Capponi nel 1761, poi a Giovali Battista Piccardi nel 1772.
Oratorio della SS. Annunziata. — Posta lungo la via delle Sentinelle questa chiesetta conserva nella sua parte esterna il carattere degli edifizi congeneri sorti nel xiv secolo. Sulla facciata ha la porta sormontata da una lunetta e difesa da una caratteristica tettoja di legname; in alto un occhio ed uno stemma gentilizio e la cuspide del tetto adorna di una cornice a punte di mattoni. Venne fondata dalla famiglia Bardi e passò dipoi in possesso nel ramo di essa che da Ilarione di Lippaccio prese il cognome di Larioni. Era addetta alla vicina villa del Buco, pur essa proprietà dei Larioni. Nel xviii secolo la cappella apparteneva al Conservatorio de’ Poveri di S. Gio. Battista di Bonifazio, poi passò allo Spedale di S. Maria Nuova che la dette a livello col vicino podere alla famiglia Piccardi, proprietaria anche attualmente.
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Sull’altare stette fino ai nostri giorni un’importantissima tavola rappresentante l’Annunziazione, opera di Fra Filippo Lippi la quale, dopo una lite fra lo Spedale e la famiglia Piccardi, venne venduta e trasportata all’estero.
I Cedri già il Buco. - Villa Light. — All’antico nomignolo di questa località non dev’esser data davvero quella strana e poco corretta spiegazione che abbiamo letta in un lavoro illustrativo del Comune di Bagno a Ripol8. (0. Quasi nascosta in mezzo ai rigogliosi frutteti di questa pianura, lungo una stradella poco frequentata, questa località giustificò fors’anche per la modestia della primitiva costruzione il nomignolo di Buco che fu proprio di questa come di altre vicine case da signore. Quella che oggi con un nome più simpatico e gentile si chiama la villa de’ Cedri, fu casa da signore della potente famiglia degli Ardinghelli e nel 1427 apparteneva a Piero di Jacopo che nel 1430 la vendette a Ilarione de’ Bardi che fu il capostipite della nuova famiglia dei Larioni. Lorenzo di lui figlio non ebbe prospere le sorti del commercio al quale si era dedicato ed i Sindaci nominati per regolarne gli affari, venderono questo possesso a Francesco di Lutozzo Nasi. In questa illustre famiglia d’Oltrarno restò la villa fino al 22 aprile del 1672, anno in cui per il testamento di Lutozzo Nasi andava in possesso della Compagnia di Gesù, Alla soppressione di quest’ordine religioso, il Marchese Giovanni di Antonio Corsi acquistò nel 1775 la villa del Buco la quale per un lungo periodo cf’anni fu gradito luogo di villeggiatura di questa cospicua famiglia fiorentina. Nel 1834 la villa de’ Cedri fu comprata all’asta pubblica dal Capitano Samuele Charters, il quale la rivendeva più tardi alla famiglia inglese Light che ne è tuttora in possesso.
La villa de’ Cedri, che era già stata ampliata ed accresciuta di molte comodità dai Marchesi Corsi, venne completamente trasformata dai proprietarj attuali, i quali vi hanno arrecato infiniti miglioramenti corredandola d’un giardino ampio e delizioso. 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Bartolommeo a Quarata. -- Uno dei vecchi edifizj, oggi di proprietà dei Marchesi Viviani, pros- simi al vecchio castello, servi per qualche tempo ad uso di Spedale. Lo fondò nel 14383 Francesco d’ Andrea di Ca- stello Quaratesi, il quale ne lasciò il patronato alla sua famiglia, colla condizione che mancando questa dovesse passare all’arte di Calimala o dei Mercatanti. Non dovette aver lunga esistenza ed il fabbricato abbastanza ampio venne destinato ad usi di campagna e ad abitazione di pi- gionali, quando i Quaratesi cedettero questi loro beni allo Spedale degl’ Innocenti. J
Quarata. - Villa Così. — È un edifizio che nella fac- ciata presenta i caratteri architettonici della fine del xvir secolo. Fu possesso antichissimo dei Quaratesi ed uno degli ultimi che la famiglia illustre possedette in questi luoghi. Passò dipoi allo Spedale di S. Maria Nuova che lo vendè nel 1775 ai Foggi Borghi.
Lizzano o Tizzano. - Villa Pelli-Fabbroni. — Di ele- gante e gaio aspetto moderno, circondata da fioriti giar- dini, questa villa d'origine assai antica fin dal xv se- colo faceva parte delle vaste possessioni della famiglia Quaratesi. Alla fine del xv secolo Giovan Battista di Ber- nardo Quaratesi l’assegnò in dote alla figlia Diamante moglie di Sinibaldo d’Agnolo Monaldi la quale nel 1543 la lasciava al figlio Giovan Battista. Questi, pochi anni dopo, nel 1550, la vendeva ad Antonio di Feduccio Falconi del gonfalone Scala. Nel 1582 da Giovanni di Francesco Falconi, sembra per ragioni di confisca, (!) passava in pro- prietà del Granduca Francesco I il quale per privilegio dato il 25 luglio 1585, concesse la villa, che allora si di- ceva semplicemente di Tizzano, «a Giovanni di Bologna Fiandresco (sic) scultore, perdurante sua vita e de’ suoi figli e discendenti per linea masculina ». L’ illustre scultore fiammingo che divenne poi fiorentino e fu così bene accetto
166 I DINTORNI DI FIRENZE.
(1) La lacuna che si trova nei campioni dei Catasti ogni qualvolta i beni di cittadini passano per causa di ribellioni in possesso della corte Medicea lascia suppore che anche nel caso presente i beni del Falconi siano stati oggetto di confisca. Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/201 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/202 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/203 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/205 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/206 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/207 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/208 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/209 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/210 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/211 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/212 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/213 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/214 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/215 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/216 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/217 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/218 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/219 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/220 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/221 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/222 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/223 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/224 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/225 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/226 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/227 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/228 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/229 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/230 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/231 Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/232 . Pagina:Guido Carocci I dintorni di Firenze 02.djvu/234
- ↑ A cara di un comitato costituito per iniziativa del sig. Alberto Au Capitaine, il 7 Giugno 1892 venne solennemente inaugurata una lapide che ricorda le virtù ed i meriti del Pievano Paoletti.
- ↑ Da un libro di memorie che si conserva nell’archivio della chiesa si rileva che sotto il dipinto era questa iscrizione: Questa istoria a fatta fare Lionardo del Riccio dì Niccolò Bucegli e Maria Niccolosa sua donna a riverenza dì Gesù e di Nostra Donna A. D MCCCCLXXX.
- ↑ Ad uno di questi tabernacoli è questa iscrizione: Per rimedio dell’anima de 1 figliuoli d’Aldieri di Francesco Biliotti e discendenti 1480. L’iscrizione è però posteriore di quasi un secolo alla scultura.
- ↑ Questo si rileva da un interessante libro di memorie manoscritte che si conserva nell’archivio della chiesa; a tal proposito si aggiunge che la signoria “andò via pei mali trattamenti di un prete e si trasferì a Candeli. Nel 17 gennaio 1690 vi tornò e si riunì a pranzo sotto il loggiato della chiesa„. Essa venne soppressa nel 1785. In cotesto libro si dà notizia anche di alcune famiglie che da Vicchio vennero a Firenze e si ricordano le seguenti: Andreini, Baldesi, Biliotti, Landini, Marucelli, Paladini, Bicceri e Zobi.
- ↑ Nel 1495 apparisce dal Catasto che Majano è impostato in conto della Cappella di S. Niccolò nella Pieve a Ripoli, ma in un’ annotazione contemporanea è detto «ma va a S. Maria Nuova perchè ne ha sempre il titolo di detto luogo e lei fa uficiare per l’avanzo per 1’ amor di Dio ».
- ↑ Nel 1588 l’Arte della Lana acquistò da Cipriano di Carlo Euceliai e dai creditori di Bartolommeo Valori la metà dei nove ventesimi delle Gualchiere, nel 1541 comprò varie pile di gualchiere da Bartolommeo di Gentile Sassetti e da Lucrezia sua moglie, nel 1541 altra parte da Benedetto di Niccolò degli Albizi. Ma chi desiderasse conoscere maggiori e più estese notizie su queste Gualchiere, sulle loro vicende, sulle famiglie che l’esercitavano ecc. può consultare l’importantissima ed accurata relazione dell'Avv. Pier Luigi Barzellotti segretario della Camera di Commercio ( I Beni dell’Arte della Lana. - Firenze, Stab. Civelli, 1880).
- ↑ Gli altri Martellini, per identiche ragioni si dicevano del Falcone. Non é esatto ciò che afferma il Repetti, cioè che sul luogo del castello di Volognano sorgesse la villa Mozzi detta Belvedere, mentre Belvedere è a qualche distanza da Volognano e fu villa dei Del Garbo da’ quali l’ebbero i Mozzi. Su Volognano è da leggersi un bozzetto storico geniale ed erudito pubblicato nel 1892 dalla valente scrittrice signora Cesira PozzoliniSiciliani
- ↑ Vedi Luigi Torrigiani. - II Comune del Bagno a Ripoli. Voi. iv, pag. 96.