Paradossi: cioè sententie fuori del comun parere/Primo libro de Paradossi
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CHE MIGLIOR
SIA LA POVERTA CHE
LA RICHEZZA·
PARADOSSO PRIMO.
Ò LONGamente creduto ch'ognuno volentieri confessasse esser senza dubio da preferir la poverta, alla ricchezza, ma poi che si grandimenti ingannato mi ritrovo, et vego molti in ogni luogo dubitarne sono forzato dal molto amor che alla verita portato ho sempre, di scrivere, quanto circa cio n'intenda, dico adunque che qualunque ne dubita, et non sa che gli huomini virtuosi fossero sempre poveri, riducasi alla memoria la vita di Valerio Publicola, di Menenio Agrippa, et del giustissimo Aristide, liquali per la molta poverta furono morendo del publico sepeliti, ramentisi anchora la vita di Epaminunda Thebano, nelle cui stanze solo un stidione doppo tante vittorie et doppo tante spoglie ritrovossi, ricordisi di Paulo Emilio, di Attilio Regulo, di Qu. Cincinato, di Curio, di Fabritio, di Cato Elio et di
Marco Manlio. Mi ricordo havere letto in Qu.Curtio, che Abdolomino fatto Re di Sidoni sprezzasse incontanente quel regno (quantunque opulento) et per quel dispreggio, ne fusse da savi repputato assai maggiore che prima istimato non era, ben mostro egli di conoscere quanti affanni et quante angustie stessero nascoste sotto il vano splendore delle richezze , et quanti beni si chiudessero nel seno della poverta, il che fu anche ottimamente da Anacreonte poeta conosciuto il quale, havendo ricevuto in dono da Policrate Tiranno cinque talenti maggiori, due notti stette senza mai prendere sonno, et finalmente per liberarsi dalla molta molestia, nella qual per il dono posto si ritrovava, gli restitui al Tiranno, con parole degne d'un'animo che potesse fare in si humil fortuna un cotal rifiuto. Certo chiunque e povero in vita, è sempre lieto nella morte, ne visse mai alcuno in tanta poverta che morendo, non havesse disio dessere anchora piu povero. O poverta casta et humile sopra la qua le come sopra d'un stabil fondamento fondata fu la santa et vera Chiesa d'Iddio. Scrissero gia alcuni nobilissimi ingegni che la poverta ne gli antichi secoli fusse dificatrice di tutte le Citta et inventrice di tutte le buone arti, et essa sola ritrovarsi senza difetto, tutta gloriosa, et piena d'ogni vera lode, et ch'una medesima poverta fu in Aristide giusta, in Platone benigna, in
Epaminunda forte, in Socrate saggia, et in Homero faconda, la medesima anchora fondo sin' da principio il grand'imperio al populo Romano, certo che se mai per altro, non fusse d'amare, si dovrebbe ella essere amata, et cara tenuta, per che ci insegna cognoscere quai sieno e veri, et quai sieno è falsi amici, et qualunque non l'ama non è per alcun modo degno d'essere amato, et qualunque la teme è come fiera crudele, da essere temuto, et fuggito. Oh come spesse fiate hacci persuaso l'essere modesti, humili, accorti, pieni di providenza, et n'ha fatto ottenere quello, che la santa Filosofia con longo tempo, et assiduo studio appena ottenere puote, n'ho a miei giorni conosciuto mille, furiosi piu che non fu mai Oreste, superbi più che Atamante libidinosi più che Verre ò Clodio, li quali divenuti poveri, divennero similmente casti, mansueti et benigni, di modo che insino l'umbra loro pareva divenuta affabile et gratiosa, vadino hora le filosophie morali vantandosi allor piacere, che simil cosa (siami detto con buona gratia) non oprarno giamai, deh come essa fu anchora sempre buona guardiana, per che non ci entrasse in casa, la pigritia, la prodigalita, la lussuria, con la gotta et molti altri brutti et abhominevoli difetti. Dovunque essa si ritrova, vi cape di rado la superbia, no vi ha mai luogo l'invidia, et le insidie ne stanno ben di lungi. Si che io non intendo dove se la
fondino questi tanto innamorati delle richezze, questi cotanto avidi de danari, li quali furono sempre la ruvina et destruttione de molti, et nel vero che hanno da fare gli animi nostri (che di lor natura sono tutti celesti) con le terrene superfluità? h'altro gia non è l'argento et l'oro che una superfluità terrena, io so, che tutti quelli che filosofarno gravemente, non li annoverarno mai fra beni. Infelici mal nate, et travagliose richezze, poi che con tanto affanno siete acquistate, con lagrime et amari singhiozzi siete perdute, et con angustia et paura confervate. Scrive Seneca (autor grave et degno di molta fede) grande esser colui ch'usa è vasi di terra, come se di argento fussero, ma molto maggior essere chiunque adopra l'argento, come se di terra fusse, ma vengasi piu oltre, et vegasi meglio, di qual conditione sieno le tanto amate richezze, le quali, se tu le spargi, scemano incontanente, se le conservi et ben rinchiuse tenghi, elle non ti fanno punto piu ricco, ma ben ti rendono tutto occupato, di modo, che tu non ne sei padrone, ma sol guardiano di esse doventi. Giesu Christo (quella sapienza infinita) chiamò con la sua santa bocca, Beati è poveri, et piu d'ogn'altro abracciò et favorì la dolce povertà. Molti sommersero le ricchezze loro, et prudentemente fecero, havendo temenza di non essere da quelle sommersi, molti le sprezzarno, et molti anchora con acerbissimo odio le perseguitarno. Non potrei veramente in mille carte discrivere e travagli che di continuo n'arrecano, et gli inviluppi ne quali duramente spesso ne stringono, si che, fortemente mi maraviglio di chi le cerca con tanta ansietà, e da
che sono elle in vero da fare? à che giovano? ò vero servir ci possono? Se tu le brami per haver copia de ginetti, corsieri, curtaldi, ò de cavalli turchi, certo che troppo stoltamente fai, e essendo il cavallo uno animalazzo ingordo, non mai, ne di giorno, ne di notte satollo, superbo, seminario di guerra, il quale ò che ad ogni picciolo inciampo, teme et ombreggia, non obedendo ne al freno, ne al sperone, tutto indomito, trabocandoti in mille pericoli, ò vero ch'egli si lascia à guisa di montone reggere da un simplice fanciullo, stringere il ventre con poca fascia, et porre i chiodi patientemente ne piedi. O quante dannose incursioni sono state fatte nelle nostre contrade da barbare nationi
che fatte non si sarebbono, se cavalli non si fussero
mai ritrovati, ma voi tu vedere che rea cosa sia et
nel cospetto ch’Iddio odiosa il nudrire si male bestie? odi quel che ne dice il Profeta, AB INCREPATIONE TUA DEUS. DORMITAVERUNT QUI ASCENDERUNT EQUOS. Et qualunque non sa che il porvi sua fiducia sia cosa da huomini d'Iddio nemici, oda et attenda il medesimo profeta. HI IN CURRIBUS. ET HI IN EQUIS, NOS AUTEM IN
NOMINE DOMINI. Veramente tutte le volte ch'io vego alcuni più chel dovere, de cavalli amici, cosi penso incontanente fra me stesso, et dico, Tra l'amante et la cosa amata conviene gli sia qualche similitudine, altrimenti non si crearebbe mai si ardente amore, poi che adunque costoro ne sono tanto vaghi, poi che segli fanno in tutto schiavi, poscia che altro non appetiscono et per haverne mandano hora nel reame di Napoli, hora in Turchia, et hora in Ispagna, certo che deveno anch'essi havere del cavallo, et deveno participare di quella bestial natura. Non voglio al presente raccontare tutti gli incommodi, che essi n'apportano, si nelle case nostre, come ne viaggi, dove se trottano ti rumpano le reni, et se vanno all'ambio troppo spesso inciampano, sono oltre questo (si come riferisce Absirtoco gli altri scrittori dell'arte veterinaria) soggetti a tutte l'infirmita alle quali soggetti sono gli huomini, lasciovi di dir il rimanente de fastidi che ne dano, per non trapassare da un Paradosso, all'altro, bastavi che non sieno da desiderare e beni di fortuna per accommodarsi; anzi per meglio dire, per incommodarsi di cotal cosa ma per che si bramano adunque tanto? bramansi forse per possedere Diamati, Rubini, Topatii, Smiraldi, ò altre simili gioie? Se per questo si bramano, fassi nel vero troppo vanamente, non veggiamo noi che il pregio di quelle, consiste ò nell'appetito de ricchi
et pazzi huomini, ò nella parola de bugiardi mercatanti? non veggiamo altresi che il prezzo et la reputatione loro è piu d'ogn'altra cosa all'incertezza et variera soggetta? l'Agata c'hora è in si vil pregio, fu in grandissima stima, et Pirro una gia n'hebbe qual tenne maravigliosamente cara, il Zaffiro, perche imita il color celeste, fu in gran reputatione appresso gli antichi, hora quasi si vilipende, et come cosa di poco valore si tiene, il Diamante poco si prezzava, hora e tenuto gratissimo, lo Topatio era havuto caro dalle donne, hora (non so per qual cagione) in si vil stima l'abbino, lo Smiraldo fu gia in suprema dignita et al presente se ne sta agietto, et par che si doglia della sua cambiata sorte, ma vegasi un poco piu diligentemente, di che giovamento et valore sieno le gioie, quando non puote il maraviglioso Carbonchio del Re Gioanni impedir ch'egli (mal grado suo) non capitasse nelle mani de nemici, et in possanza di quelli, non morisse, ma forse che tu desidri danari per havere le case tue de vari et belli drappi ornate, et per adobarti di ricamate et pretiose vesti, ma ben stolto da dovero et accecato sei, se non t'accorgi, che per quelle vivi sempre in continua molestia, provedendo che non sieno dannegiate da topi, consumate da ragni, et dissipate da tarli, bisognandole si spesso piegare, scottere, spiegar, sventolare et anche da ladroni guardare, oltre che essere si vede una espressa vanita a volere coprir e corpi
nostri (che altro non sono che puro fango) di bisso
di porpora, o de altro pretioso coprimento:
disiderero io d'essere ricco per havere le volte de finissimi
vini ripiene? per imbottar Grechi, Corsi, Sanseverini, Salerni, Fastignani, Rocesi, Amabili, Brianceschi,
Tribiani, Vernacie, et altre sorti, che per
non parere un Cinciglione, tutte non le voglio nomare,
non, che per questo non lo debbo giamai
disiderare, essendoci stato datto il vino dalli Dei
(si come afferma il divino mio Platone) per fare
una aspra vendetta contra de mortali, cosi vendicossi già de molti suoi nemici, inducendoli all'inebriarsi,
et poi finalmente all'uccidersi. Androcida
scrisse ad Alessandro che il vino era il sangue della
terra et che si schivasse di berne, dil che non
sapendosi guardare, amazzò il suo caro amico Clito
qual teneva in luogo di fratello, arse Persepoli,
puose in croce il medico, et molti altri crudeli
eccessi crudelmente comise. Sovviemmi d'haver letto
che li Cartaginesi il vietassero a' soldati, a'servi
et al magistrato, mentre durava l'uffitio del reggere
la città. Fu già richiesto Leotichida à dir la
cagione perche si parchi et moderati fussero nel
bere i suoi Spartani, a' quali rispose, tutto ciò farsi,
accioche gli altri non havessero a' consultare
per essi nelle loro occorenze. Cinea ambasciatore
di Pirro, la cui dolcissima favella tanto à ciascuno
piacque, et tanto al suo signor giovò, essen do in Aritia et veggendo l'ismisurata altezza
di quelle viti , disse sorridendo, che meritamente
pendeva la madre da cosi alta croce,
partorendo s maligno et pestifero figliuolo come
era il vino . Debbonsi disiderare le ricchezze per
haver vileggiando le mandrie de grassi armenti:
per possedere è cortili pieni de polli,
per nudrir collumbi, tortorelle, ò vero per pascere
il bel pavone: non credo io, percioche sarebbe
una espressa sciochezza, sono forse altra cosa gli
armenti che esca de lupi et rapina de per prii guardiani?
et il rallegrarsi di si fatte cose non s puo
meritamente dir che sia una allegrezza bestiale essendo
pel mezo delle bestie causata? cosi anche altro
non conosco essere è polli che preda de frodolenti
volpi , cibo d'ingordi uccellaci, ruuina de
cortili,et distrugimento de granai. Oh quanto è
maggior la molestia loro di quel che imaginare si
possa buono Iddio, per un'uovo, quanto strepito
quanto gridore si sente, et è pur una cosa non sol minuta
ma di qualità, anchor maligna, impoche fresco,
pel testimonio di Galeno, et della istesa isperienza
volge sozzopra il stomaco, et non fresco lo
contamina et distruge. Che dirò delle tortore il cui
pianto da si gran noia à chi lo ascolta, et la cui
carne sveglia il concupiscibile appetito à ne
mangia? Che dirò similmente de columbi non
mai del beccar stanchi, perturbatori et della
diurna et della noturna quiete, contaminatori delle case, di maniera che inferiori non sono di
molestia à pavoni, il cui rauco gridore porrebbe
spavento sin' nell'inferno. Hai misero pavone,
certo, chi te condusse in queste nostre parti, hebbe
assai piu riguardo alla gola et al ventre suo che
alle querele de vicini, al disfacimento de tetti,
et alle ruuine de nostri amenissmi giardini. Se
adunque per le sopradette cose non mi serveno
le ricchezze, a che mi serviranno? in qual cosa me
ne prevalero io? potrebemisi dire elle ti serviranno
per farti menare vita suave et gioconda, percioche
se ricco sarai, non ti mancaranno eccellenti
musici che ti dilettino et facianti raggioire,
quando afflitto et travagliato ti ritroverai: et io
dico, non mi poter in verummodo la musca dilettare,
essendo essa di sua natura tutta rea et
malvagia. Atanaso vescovo di Alessandria huomo
di gran santita et di profondo sapere, alla cui
lettione santo Gerolamo instantissimamente n'essorta,
la scaccio dalla Chiesa, perche troppo
mollificava et inteneriva gli animi nostri disponendoli
alle lascivie, et a vani piaceri, oltre che
aumenta la maninconia (se per avventura avviene
che da quella prima assagliti siamo.) Aurelio
Agostino maestro di santa Chiesa non l'approvo
mai, et gli Egittii non solo come cosa inutile, ma
dannosa la biasmarno , Aristotele anchora che
tenuto e il maestro di coloro che sanno , la vitupero,
dicendo, che Giove, ne cantava , ne sonava la cetra. Filippo biasmo Alessandro suo figliuolo
perche gli dava molta opera, et udillo una
volta fra l'altre dolcemente cantare, et potra alcuno
farmi bramoso di robba per spenderla poi
in cosi vano studio? non voglia gia Iddio che cosi
folle divenga mai. che far ne debbo finalmente?
forse per andare alla caccia? come sogliono i gran
principi et tutti quelli ch’oggidi fanno professione
di gentilhuomo? mai no che per questo cercar
non la debbo. Oime che il cacciare è un efercitio
per imprendere a incrudelire, esercitio veramente
da disperati, da frenetici, et da pazzi. Trovarno
la caccia i Tebani huomini crudelissimi,
ne si vidde mai ch'essa fusse esercitata salvo che
da popoli nemici d'Iddio, si come furono gli
Idumei, Ismaeliti et Filistei. Non si legge che alcuno
de santi Patriarchi o Profeti fusse mai
cacciatore, ma s bene di Esau, di Nimbrotto, di
Caino et altri simili , ne immeritamente disse
Agostino che Esau percio era peccatore, per che
fusse cacciatore, la onde, grandimente mi maraviglio
come esser possa che tanto vago ne sia il
Re Francesco huomo di si alto et nobil intelletto.
Fu la caccia come cosa pestilente interdetta
a preti nel concilio Milevitano, benche di tal
divieto poca stima si facci, ne per altro finsero è poeti
Atteone in cervo convertito che per darci ad
intendere che per il smoderato studio del cacciare
consumando le faculta nostre doventiamo non solo bestie, ma bestie cornute, et io ho conosciuto
piu d'un paio di femine, istimate le piu savie
et pudiche c'havesse la lor patria, le quali come
prima il marito s'era levato per far volare alla
pianura il suo falcone, ò vero per dar la fuga à
qualche timido animaluzzo, tantosto per non lasciar
rafreddare il luogo del conforte co gli amanti
loro si coricavano, et cosi mentre il misero marito
perseguitava per aventura il cervo, esso in
cervo disavedutamente si convertiva, et mentre
esso per è boschi giva gridando, altri con suo gran
scorno giucava alla muta et faceva la danza
trivigiana, ò miseri cacciatori à che vi giova il
tanto studio della caccia? se non à farvi per la
continua conversatione delle selve, et delle bestie,
doventare selvagi, bestiali, rozzi, et ispesso à
fiaccarvi il collo in qualche fosso. Scriveno gli historici
che Viriato (quello, che occupò pel suo ardire
il regno di Portugallo) di pastore doventasse
cacciatore, et di cacciatore solennissimo ladrone divenisse.
Horsu adunque poi che le facultà cercare
non si deveno per simil cosa, chi sarà si fuor
di senno che non mi acconsenti che almeno utili
sieno per farci far' commodamente l'amore et
havere copia di donne belle à trastullo della giovanezza
nostra? Io non niegaro giamai che per tal
effetto utilissime non sieno havendone tante fiate
veduto chiarissime dimostrationi, il che dir non
però posso senza un estremo mio cordoglio, et
ciò ciò nasce per una singolare affettione et riverenza
che à questo sesso (mosso da non so qual cagione
occulta) ho sempre portato et al presente
piu che mai porto, dirò però arditamente, che ne
anche per questo le doveremo cercare, percioche
altro non sono gli amori delle vaghe et belle donne,
che una losenghevuol morte, et un dolce veneno,
che ci trahe del senno quantunque ben sensati
siamo) Scrive Oro nel suo libro delle lettere
hieroglifice, che quando gli Egittii vogliono
rappresentare l'Amore, rappresentano un laccio, et
questo credo io perche quasi sempre à miserabil
conditione ci conduce. Oime che l'amore è una
troppo amara passione, che ha l'entrata sua ne
cuori nostri prestissima, ma l'uscita tarda, cagion
che poi ne naschino copiose lagrime, sospiri
cocentissimi, angoscie et travagli insupportabili, ne
per altro Alcesimarco Plautino, volle ch'egli fusse il
primo che trovasse appresso gli huomini l'arte
del manigoldo, se non perche viviamo per lui gelosi
per lui crudelmente siamo cruciati, presenti, siamo
absenti, et absenti per lui siamo presenti. Fu già
ritrovato un Eunuco che si trastullava al meglio
che poteva con l'amata del re di Babilonia, di cui
il misero, era molto prima che il Re, si fortemente
invaghito che ne menava smania, il Re volto ad
Appollonio Tianeo ch'era tenuto da ciascuno
un fonte di sapienza, dimandogli che pena se gli
dovesse per questo suo temerario ardimento, non
B altra, disse Appolonio, salvo ch'egli viva, dilche fortemente maravigliandosi, soggiunse, non dubitare signor mio, ch'amore (s'egli persevera in cosi folle pensiero) non gli faccia sentir accerbissimi martiri, sarà come una nave da contrari venti combattuta, volara il meschino al fuoco et a propri danni, come semplice farfalla, ardera et sara in giaccio, vorra et non vorra in un tratto, et ugualmente havera in odio et morte et vita, ne certo si sbagliava punto, conciosia che amore fusse quello che trasse dal senno il saggio Salomone et lo fece prevaricare la santa legge, indusse anchora Aristone Effesino figliuolo di Demostrato a giacersi con un'asina et generarne una figliuola che fu poi per nome detta Onofeli? questo anchora persuase à Tullio Stello l'innamorarsi d'una cavalla et da quella generarne una bellissima figlia, la qual chiamossi Epona, il medefimo sospinse Cratis pastor Sibaritano ad accendersi d'una capra, mosse Fedra et Gidica moglie di Cominio all'amor de figliastri, Bibli ad amare il fratello, Pasife à congiungersi col toro, et altri infiniti inconnenienti causò l'amore per cagione del quale desideriamo noi danari, stolti, stolti, che siamo, non sono ne anche da cercare le richezze per possedere delettevoli giardini da chiarissime fontane et giocondissimi alberi circondati, percioche tai luoghi ci fanno spesso marcire nell'otio e nelle lascivie, tirandoci al peccare per segre tissime vie, et che ciò sia vero, vegasi che quando M.Tullio volle descrivere le spurcitie et libidinosi fatti di G.Verre, dipinse primieramente tutte le amenità de luoghi ove solito era di conversare quasi che elle fussero state ministre de suoi falli. Le richezze furono sempre giudicate di si mala qualità che altri, spine, et altri fiamme, le dissero et sempre fecero gli huomini insolenti, arroganti, bizarri, avari, dispettosi, bestiali, negligenti, disdegnosi, folli, ritrosi, lascivi, et odiosi, ne alcuno ritrovossi mai che dubitasse ch'elle non fussero perpetuo alimento di pessime operationi. C. Plinio nella sua naturale istoria scrisse, essere noi et oppressi, et fin nel profundo tratti da tesori la natura per nostro benefitio ci nascose. Zenone afferma che piu tosto nuocano che giovino, ne lascierò di dire che andando Crates Tebano in Atene per dare opera alla filosofia, gitasse nel mare quanto havea d'oro et d'argento, pensando non potere et la virtù et le richezze insieme possedere, il medesimo affermorno Bione, Platone, et altri savi filosofi, ma à che piu cittare bisogna testimoni: quando la santissima bocca di Giesu disse, che piu agevolmente entrerebbe nella cruna d'un'accora, una fune di nave, che il ricco ne reame de celi, essortandoci à spargere senza alcun deletto le faculta nostre a bisognosi. Finsero alcuni (veramente ingegnosi) che essendo invaghito Giove delle rare bel
B ii
di Danae, egli si convertisse in pioggia d'oro, et cosi possedesse la desiderata preda, à dimostrarci essere l'oro più d'ogn'altra cosa atto, ad ispugnare la pudicitia delle innocenti virginelle, ma non solo è egli solito gittare à terra la donnesca honestà, che suole anchora essere cagione de tradigioni, homicidii, et altre essorbitanze, perciò credo io dicesse Possidonio, che la richezza era madre d'infiniti mali, il che non si può gia dire della beata et dolce nostra povertà, della quale diffusamente parlando Seneca, scrisse, che l'ignudo per lei era securo da ladroni et ne luochi assediati il povero ritrovavo pace. Sara adunque senza dubbio miglior la franca poverta, che le serve richezze, poi che infiniti beni opra, et niuno maleficio partorisce giamai.
CHE MEGLIO SIA L'ES
sere brutto, che bello.
PARADOSSO II.
Ualunche dubita che meglio non sia d'essere brutto che bello (che molti credo ve ne sieno) considri, che quante amorose facelle spente si vegano ne brutti visi, et contrafatti corpi, che ne belli
senza fallo di crudele incendio cagion sarebbono, considri anchora, à quante dannose fiamme, fatto si sia con la brutezza fortissimo riparo, non solo nell'antica, ma nella moderna età Certissima cosa mi pare, che se Elena la Greca, et Paris il pastor Troiano fussero suti brutti, si come furono belli, ne Greci sentito havrebbono tanti travagli, ne Troia sostenuto l'ultimo suo sterminio, con tanti guai, che sol nel scriverli mille dotte mani, ne sono al tutto rimaste istanche. Non havrebbe gia molti anni sono passato il mare lo feroce et bellicoso Inglese con si gran danni de Fiamenghi, se la vaga bellezza d'una gentil fanciulla con strabocchevole empito, tratto non ve l'havesse. Dirò anche di piu, che moltissime rovine non sarebbono nate nella citta di Firenze, se la rara bellezza d'una giovane Fiorentina non ne fusse stato cagione (si come appare a chi le Fiorentine storie attentamente legge.) Veggiamo anchora spesso, piu savi, et ingegnosi li brutti che li belli, et da Socrate incominciamo, il quale (per quanto s'intende) et dalla sua medaglia apparisce, fu stranamente sozzo, et fu però tale che merito di haver il testimonio dall'oracolo, d'essere il più savio di qualunque altro huomo. Esopo di Frigia favoleggiatore eccellentissimo, fu di figura quasi che mostruosa, di modo che, qual si voglia de baronzi, in comparatione di lui, seria paruto un Narciso, overo un de, non dimeno (come ogn'uno sa) abondo d'ogni
virtù, et hebbe sopra ogn'altro acutissimo intelletto. Di molta laidezza fu Zenone filosofo, fu brutto Aristotile, fu brutto Empedocle, bruttissimo fu Galba, ma d'ingegno et d'eloquentia nel cospetto di ciascuno illustrissimmo sempre apparve. Non puote già la brutezza di Filopomene impedirlo che egli doppo lesser stato valoroso soldato non divenisse anchora invittissimo capitano, et à suoi cittadini per le molte virtu gratiosissimo, potrei dir de molti altri, che per desiderio di brevità al presente tralascio. Sono anchora e' belli per la maggior parte piu malsani, meno robusti, meno sofferenti de disagi, anzi (se bene avvertir vorremo) quasi tutti molli, et effeminati li vederemo sempre. Non veggiamo noi altresì et per e' scritti de fedeli Istorici, et per una cottidiana isperienza, rade volte avvenire che la bellezza di alcuno sia grande et la castità non sa picciola? conciosia cosa che difficilmente si custodisca quel che da molti avidamente si appetisce. E quante donne belle vengonsi hoggi di per Italia che parimenti pudiche tenute sieno? Io son più che certo, che nella patria mia le più vaghe et belle, sono reputate le piu lascive et le meno honeste, et cos parmi che avvenga in ciascadun'altro luogo (se il mio avviso non m'inganna che facilmente ingannare mi potrebbe) si che, estremamente mi maraviglio di quelli che si lamen tano di non essere belli, facendone di ciò con la natura asprissime querele, et cercando di abellirsi con tanta diligentia et con si fervente studio, senza perdonare a' spesa, et senza risparmiare fatica. Deh dicammi questi tanto studiosi della fragil bellezza, se la natura madre discretissima dette lor quel che giova a che dolersi se ella non gli ha datto quel che diletta, et si vanamente aggradisce? Essa non da a suoi amici, cosa che le infirmita possano agevolmente distruggere et la vecchiaia repentinamente rubbare, conciosa che la vera liberalita si conosca dalla fermezza et longa stabilita del dono. Molti invero ne fece la bellezza adulteri, et mai (per quanto io sappia) alcuno non ne fece casto, molti ne trasse a gravi pericoli, et quasi tutti al peccare precipitosamente condusse, et se non mi ratenesse l'esempio di uno Hippolito, et dun Gioseppe, detto lo havrei forse senza alcuna eccettione. Furono già et al presente anchora sono molto studiosi di Castita, li quali apertamente confessano, che non potendo ne per longhe vigilie, ne per accerbe discipline, ne per assidui digiuni, domare gli incentivi della carne, et rafreddare i suoi riscaldamenti, havergli immantenente domati et rafreddati sol col vedere una brutta figura, la onde, ne vive anchora una consuetudine, che volendo dir, che una femina sia brutta dicasi egli è un rimedio et una ricetta contra lussuria. O' brutezza adunque santa, amica di castita B iiii schifatrice de scandali, riparatrice contra pericoli, tu certo fai le conversationi piu facili ,tu da quelle lievi ogni amaritudine, tu scacci ogni ria sospitione, tu sola sei finalmente medicina alla rabbiosa gelosia. Io vorrei saper ritrovare parole degne per lodarti come i tuoi meriti richiederebbono, ch'io lo farei vie piu che volentieri, perche da te, procedeno infiniti beni, et a gran torto sei dalli ignoranti biasimata, o come consigliarei io volentieri ogn'uno (che amico mi fosse) a farsi bello di quella belta che con esso noi persevera di continuo, ne ci abandona mangiando, dormendo, giuocando, o sospirando, di quella belta dico, che ci accompagna in sin'all'hore estreme, anzi nell'istesso cataletto con noi dimora, qual veramente dir potemo che nostra sia, et non de parenti, o della natura. Credasi pur a me, che meglio e il farsi bello di questa vera bellezza della quale al presente vi ragiono, che in quell'altra nascere che si facilmente con un picciolo parosismo di febre si corrompe, et guastasi. Mi sovviene d'havere molte fiate letto d'un giovanetto Toscano, il quale veggendo che la bellezza sua era molto sospetta et capital nemica della buona fama, ch'egli cercava con ogni arte et studio di procacciarsi, esso istesso con un rasoio stranamente si guasto la bella faccia et ridusse quelle sue guancie che parevano di dui finissmi rubini cosparse, ad un miserabil horrore. Il me desimo fecero anchora nella primitiva Chiesa, molte savie verginelle, delle quali fassi percio da buoni Christiani si gloriosa mentione, non farebbono gia cosi le femine de nostri tempi, anzi havendogli Iddio fatto si bella gratia d'esser brutte, esse proccacciano con peregrine foggie, con biacca, con lisci, con olii, con pezzuole, spelandosi, strisciandosi, fruttandosi, d'apparer belle, et che nasce poi finalmente da questa tanta industria? non altro certo, che peccato, morte, et ira d'Iddio: Vadisi adunque et la momentana bellezza disidrisi (se lo merita) che a me pare più tosto da fuggir, che da seguire, conciosia che dalla bellezza nasce l'orgoglio, germoglia l'alterezza, et con altere corna ne sorge la soperbia. Io per me, da che incomincia a saper distinguere la verita dalla bugia, fui sempre di questo parete, che piu fussero da prezzare le donne brutte, che le belle, ne senza ragione il dico, perche le brutte sono piu caste, piu humili, piu ingegnose et hanno maggior gratia, le belle piu altiere, meno stabili, et de modi piu schifi: piene di losenghe et di smancerie. meglio e adunque l'esser brutto che bello, niuno me lo nieghi, et niuno a questo mi s contrapunga, che lo faro bugiardo rimanere col testimonio di Socrate, il qual diceva, che la bellezza era un tiranno di picciol tempo, col testimonio di Teofrasto che scritto ci lascio non altro essere la belta che un tacito inganno, et se questo non gli sia bastevole, aggiugnerolli l'upinione di Teocrito, che disse, non altro essere, che un detrimento non conosciuto, et noi saremo si accecati et imprudenti che ad occhi aperti seguitaremo è danni nostri? et piu volentieri abbracieremo la dannosa bellezza, che l'util brutezza? Deh tolga Iddio da noi cosi folle pensiero, et saggi divenuti, faccia che incominciamo hoggimai à odiare quel che ne utile, ne gloria recato ci ha per alcun tempo.
MEGLIO È D'ESSER
ignorante, che dotto.
PARADOSSO III
gli huomini di lettere, con il lor sapere, non perturbassero la quiete et buoni ordini della città, ne veramente fuor di proposto temevano, conciosa che i literati credansi con un QUANQUAM poter gittar il mondo fozzopra, et confondere l'universo, sempre ritrovando qualche uncino,ò qualche storta spositione, da pervertire ogni nobile et florido intelletto. Non vede ogni uno che ciò che il dotto tocca lo fa in eresia come Mida l'oro subito tramuttare? Vegas un poco, come hanno miserabilmente oltraggiato la povera scrittura santa, Trovarno già nell'Evangelio, ET NON COCNOVIT EAM, DONEC PEPERIT FILIUM PRIMOGENITUM, et subitamente da quel DONEC, et da quel PRIMOGENITO, formarno due pestilenti Erese, delle quali, appena la Chiesa nostra libera et netta al presente ne rimane, il medesmo si fece sopra di quella parola NIS1, et anche sopra di quell'altra EX. Simil cosa non fecero giamai gli huomini indotti, anzi sel si farà 1a comparatione fra gli ignoranti et fra dotti, troverassi differenza piu che mediocre, troverassi dico, Ario, Fotino, Sergio, Nestorio, Macedonio, Appolinare, Giuliano, et altri molti eloquentissimi, et pieni d'humane dottrine, essere anche stati in ogni tempo autori dell'Eretica pravita. Et Hilarione, Antonio, Macario, Pan
o fior 2;;4nzu nutio, Serapione, Honofrio, Aniano, et altri infiniti, senza colori retorici, non sapendo le discipline matemattiche, privi de concetti metafisicali, sfplendere in ogni luogo di santita, fiorire d'innocentia, et di tanta virtu rilucere, che puote alcun di loro trapportare da luogo a luogo un monte d'ismisurata altezza. Io per me, non vego certo, a che sieno buone le lettere da sciocchi tanto istimate, per il governo de stati non credo sieno giovevoli, percioche vego molte nationi senza notitia di leggi imperiali ò di peripatetica filosofia, di tal maniera governarsi, che all'altre rimangono di gran longa superiori, anzi vego i litterati goffi, inetti, et come cavati gli hai da libri, esser, come il pesce tratto dall'acqua, alla militia parimenti non crederò che servino, havendone veduto a giorni miei piu d'un paio, li quali, per vigor de suoi libracci, vollero formar battaglie, indirizzar squadre, ordinare eserciti, et con gran biasimo sempre riuscirno. Et in vero, se nelle cose militari, nuovi accidenti acascano che scritti non si trovano), et nuovi stratagemmi s'usano, che da dotti registrati non furono come le diremo noi alla militia utili? certo che bastar doverebbe il buon giuditio congiunto con qualche isperienza, senza volger sozzopra i scrittori dell'arte militare, et che lettere hebbe mai Sforza da Cotignuola ò Braccio da montone? che litteratura hebbero Francesco Sforza, il Carmignuola, et Nicolò Picino? che littere hebbe, Gattamelata che appena sapeva sottoscrivere il proprio nome? Senza lettere era il Tolentino, senza lettere il Conte di Pitigliano, senza lettere Consalvo Ferrante, non lesse mai Vegetio, ne Frontino, l'Alviano, ò il Trivulzo, et pur ogn'un sa di quanto valor fussero. Non crederò similmente che al famigliar governo in parte alcuna giovino, onciosia che sovente veduto m'habbia honoratissime madrone, le quali, non furono mai al studio di Parigi, ne à quel di Padova, et talmente però le case et i vasalli reggono ch'ogn'uno ne rimane pien di stupore, et Arislotele con Senofonte, che di tal soggetto: scrissero, resterebbono di ciò confusi, anzi se presenti stati fussero, non dubito, che nuovi precetti non havessero dalla loro attioni, ne suoi libri traportati. Deh che direste Aristotele se hora vedessi la destrezza che nel commandare et eseguir usa la signora donna Cornelia Piccolomini contessa d'Aliffe? penso indubitatamente che direste per lei non scrissi, ne per lei tal assunto presi, et ti maravigliareste di vedere in una giovane donna, providenza infinita delle cose che avenir possono, maiesta nell' appresentarsi, severita nel corregere, mansuetudine nel conversare, et liberalità nel remunerare chi di buon cuore le serve, ma di lei per hora non parlero più, forse che un giorno mia penna manifestara meglio al mondo le sue divine qualità, et alle lettere fo ritorno, le quali, sono veramente produttrici de strani et dolenti effletti, vego io senza fallo, quas tutti e suoi seguaci, tristanzuoli, tiscuzzi, fracidi, catarrosi, et per conseguente di volto stampato del colore di morte, d'una difficile et vitiosa natura, pieni d'alterezza, colmi d'orgoglio, sprezzatori delle dolci conversationi, memici mortali delle donne che sono però (quando buone si ritrovano) l'honore et la gioia del mondo. Vantadori di piu, sospettosi, lunatici, bugiardi, et perché nostro signor Iddio previdde, che tali, esser doveano, quali ue gli ho in poche parole dipinti, lasciò che la scrittura santa amorevolmente n'ammonisce al non essere se non sobriamente dotti. Temendo che se troppo nelle dottrine ci profundassimo, non cadessimo in mille gravi danni, nella quale troviamo anchora scritte queste parole, NOLI ALTUM SAPERE, SED TIME, non volere sapere huom ne investigare le cose alte, ma sta in timore, et Paulo apostolo non mostra egli d'haver sprezato ogni litteratura poi che Cristo conobbe? non scrisse egli a' Corinti che nulla voleva sapere fuor che Cristo crucifisso? et che non era venuto instrutto di humana sapienza, ne di artificio retorico? non dice similmente la scrittura, che la scientia gonfia. Se gonfia, et non edifica gli animi in Dio, che ne vogliamo noi fare? Non si afferma anchora nella medesima, che la sapienza di questo mondo, e nel cospetto d'Iddio una mera stoltitia? et chiunque cerchera le cose alte, sara oppresso dalla gloria? ammonendoci nell'Ecclesiastico a non cercar cose, sopra la capacita degli intelletti nostri non minaccia Iddio per la bocca del Profeta di voler distruggere la sapienza de savi, et riprvare la prudenza de prudenti? Credero io essercii chi dubiti che la scientia non sia inventione del dimonio, poi che dimonio vol dir sciente? Non leggiamo noi ch'egli promise al troppo credulo Adamo la scientia del bene, et del male, se voleva asaggiare del pomo che Dio le havea prohibito? Afferma pur Platone, che un maligno spirito detto per nome Teuda, fusse della scientia inventore, donde credo io nasca che gli huomini dotti, sieno sempre maligni, invidios, seditiosi, et l'un cerchi sommergere, et oscurare la gloria dell'altro, sempre arabbiati, insidiosi, vendicatori, se non con l'arme, almeno con satire bestiali, con distichi mordaci, con iambici crudeli, et con furiosi Epigrammi. Qualunque dubita che rea cosa non sieno le lettere, dicami per cortesia se fusser buone li principi soffrirebbono d'haverne tanta caristia? noi sappiamo pur, come sono curiosi investigatori delle cofe buone. Credo io certo, poi che la robba et il sangue togliono si spesso a poveri vasalli, cos gli torrebbono anche le lettere, se conoscessero che di giovamento o di delettatione alcuna fussero, et anche penso che il gran collegio de Cardinali se elle fussero punto amabili, o di se, desiderio alcuno movessero non ne patirebbe tanto quanto ne pate. Io pur mi maraviglio, che se tali sono ch'esser possano a vecchi di diletto, et a giovani d'ornamento, come possibil sia che al meno gli ingordi frati non le vadino chiedendo per l'amor d'Iddio. Io non posso in paese veruno trovare persona savia, che l'ami, o con diligentia cerchi, salvo qualche mal avvisato, niente presago de futuri danni, soggetto di sciagure, et bersaglio di afflittioni, il che, se piu chiaro veder volete, considerate che quando il fanciullo incomincia ad imparare lettere, subito per delettevole ogetto, se gli appresenta avanti li occhi la croce, vedete che bel principio si fa, poi che dalla croce s'incomincia, e che si po altro sperare nel mezo et nella fine, che poverta, stenti angoscie, cordogli, et dolorosa morte? si come quasi de tutti e literati aviene. Vedete (vi prego) il fine di Socrate di veleno morto per commandamento del magistrato, similmente quel di Anasagora che pur e di veneno, quel di Talete che mori di sete, riducetive a memoria la morte di Zenone per commandamento di Falaride tiranno, riducetive a memoria il povero Anasarco, con vari tormenti per voler di Nicocreonte spento, Archimede filosofo et matematico singolare, fu ucciso da soldati di Marcello, Pitagora con sessanta discepoli fu amazzato, Platone fu venduto per schiavo da Dionigi, per ricompensa delle sue fatiche, Anacarsi mori di morte repentina, Diodoro cre C po di cordoglio per non havere saputo sciogliere una quistione da Stilbone filosofo propostale? Aristotile? poi che perduto hebbe il favore di Alessandro, essendo in Calcide, si affogo nel fiume Eurippo, Calistene suo discepolo fu gittato fuori delle finestre? a M. Tullio fu mozzo il capo, tagliate le mani, tratta la lingua, ma prima fu bandito, gittata la casa a'terra, vide la figlia la qual amo piu che il cuor del corpo suo, davanti a gli occhi giacersi morta, vidde la moglie Terentia, della qual gia tanto si fido nelle braccia del suo aversario, Seneca anchora mori di violenta morte, Averroe che fece il gran Comento, fu fatto scoppiare con una ruota sul petto, ad Algazele casco la goccia, Gioan Scoto leggendo in Inghilterra, da una subita conspiratione de scholari, fu con e temperatoi amazzato. ma se volessi dir il mal essito de tutti e litterati antichi, non farei hoggi fine, et perche di quelli tuttavia parlando potrebbe altrui facilmente credere, ch'io vaneggiassi parlero anchora de moderni, et incominciaro dal Petrarca che mori subitanamente, poi da Hermolao barbaro, il quale, primieramente sbandito per haver senza consentimento de suoi signori, accettato i1 Patriarcato d'Aquileggia, mori del gavocciolo che sotto le ditella gli venne, Domitio Calderino parimenti mori di peste il Conciliatore fu arso morto, non havendolo potuto arder vivo, Angelo Politiano fini suoi gior ni percuotendo del capo e murì, il Savonarola c'hebbe spirito profetico, et huomo fu di tanta dottrina da Pappa Alessandro fu in Firenze arso, Pier leone da Spoleto fu gittato in un pozzo, à Thomaso moro s'è visto mozzar il capo, altre tanto s'e veduto fare al dotto vescovo di Roffa il Signor Gioan Francesco Picco fu da suoi terrazzani ammazzato. Non diro de tutti, perche sarebbe una fatica da spaventare un'Hercole, ispetialmente se aggiunger vi volessi la disgratia di qnelli che vanno quasi mendicando il pane d'uscio in uscio, et per la calamità qual seco portano le lettere non trovano ne da Principi, ne da reverendi prelati, chi dia lor fuoco al cenchio, andatene un poco per le corti de principi et vedrete in quanto favore sieno le lettere. So io che nel Reame di Inghiltera poca gratia, et poco trattenimento hanno i litterati, et in quel di Francia non dirò già minore, ma diro bene che non hanno quel che essi vorrebbono et par loro di meritare. Chi governa Carolo V. d'Austria? à chi da egli e suoi Reami a governare? quanti literati potete annoverar nella sua corte? crederemo noi che arivassero a due paia, il simile si po ben dir di Ferdinando re de Romani. Certo chiunque andera scorrendo la corte di Eerrara, di Mantova, et d'Urbino, trovera per tutto servarsi simil metro, egli e ben vero che da pochi anni in qua, apparito e ne confini d'Italia et di Alemagna un dignissimo prelato che molto
C ii le ama et molto le stima, et qualunque n'e studioso,
et vezeggia, et mirabilmente honora, ma se
savio sarà, come d'esser dimostra, non perseverera
longo tempo in s fatto proposito, et nel vero
sarebbe troppo gran peccato che si valoroso signore
guastasse col studio si vigorosa complessione,
et pel mezo delle lettere si facesse le stelle nemiche,
le quali fin'hora proveggiendoli de dui grassi
vescovati, anzi de dui principati, state le sono
molto propitie et benigne. Deh quanta pieta
mi viene al cuore, quando odo che qualche gentil
spirito si da alle lettere, quanto mi rincresce
che monsignor mio di Senegallia per l'amor che
meritamente le porto ne sia tanto fervente amadore. ‘
Come mi fa male, che il gentilissimo
protonotario Dandino se gli sia fitto in sino a gli occhi,
deh come anchora fortemente mi rincresce
che il vertuoso signor Emilio Feretto non sene
sapia mai (per cosa che gli sopravenga) spiccare, et
quanto mi dispiace che il galantissimo sgnor Gabriel
Cefano habbi deliberato invecchiarvi,
consumarsi tutto et finalmente morirvi, dall'altro
canto, quanto mi ralegro, che il cavaglier Gazuola
col magnifico messer Paulo Foffa l'habbino
abandonate, vorrei che simil consiglio seguitassero
il mio sgnor Mario Galeotta, Ottaviano Ferrerio,
Annibal della Croce, et Alberto Lollio col rimanente dell'academia delli Elevati, acciò non avvenisse a loro delle disgratie che avenir soglio no a chi le lettere segue et ammira, ma volete voi
meglio vedere quanto hoggi mai seno per
ciascaduno luogo schernite, di qui lo potete considerare,
che come alcuno latinamente parla se gli da
subito del pedante pel capo, et allor giuditio, chiunque
dice Pedante, conchiude ogni miseria, si come
nel dir ingrato s'inchiude ogni difetto. Mi soviene
(non e anchora guari) d'haver conosciuto dui
honorati cavaglieri, ambidui servidori del
Christianissimo re Francesco, li quali, perche, molta
affettitione alle dottrine mostravano, erano quasi
divenuti a lor soldati odiosi, et parevagli che
l'arme, con l'aggiunta delle dottrine, non potessero
virtuosamente operare, alla qual cosa, non
mi saprei giamai opporre, anzi, in molti modi
costretto mi sento di confessare, che le lettere
con qualunque altra professione congiunte, gli
arechino sempre malissimo augurio, Non cessaro
adunque sin che spirito nel petto mi senta, di esortar
altrui a lasciarle, a biasimarle, a odiarle, a
perseguittarle, et darle da ogni luogo eterno bando,
O' Dio perche non si fa un general divieto che chi
parla di lettere, sia rigidamente punito, et qualonque
tocca per leggere libro veruno, sia con ogni
grave supplitio castigato, con simil decreto si
vieti carta, penne, inchiostri et calamari,
guastassersi anche le stampe, acioche tolte via le lettere,
si togliesse anchora l'infelicita che da quelle nasce,
la qual parmi che non sol affliggi i seguaci,
C iii loro, ma che porga anchora danno a luoghi dove ragunar si sogliono le academie. Vadisi un poco diligentemente cercando per tutte le città che mantengono studi, vadisi a' Siena, a' Pisa, a' Salerno, a' Catania, a' Padova, a' Pavia, et vedretele tutte ò povere, ò seditiose, ò squallide, ò calamitose, vedretele divenute partecipi della mala sorte de litterati, Meglio è adunque l'essere ignorante che dotto, meglio è odiare le lettere che amarle, non si confondino, ne si arrosischino horamai più gli ignoranti nostri, de quali (la Dio merce) vegio infinita esser la schiera, anzi ralegrinsi di buon cuore, Iddio ringratiandone et aventurosa cosa reputando il non saper nulla, Sovenga lor che Socrate all'hora fusse dall'oracolo giudicato savio, quando confesso di non saper cosa alcuna. Sovenga loro il detto di Aurelio Agostino, LIEVANSI gli indotti et rubbano il cielo, et noi con le dottrine nostre siamo somersi nel profundo, Sovenga lor quel che disse nela storia delli Apostoli Festo giudice a' Paulo, che le molte lettere l'haveano fatto dal senno uscire. ON Dubito che il titolo di questo mio Paradosso, talmente non isbigotisca e' lettori, che poca credenza mi faccia haver per l'avenire à quanto sono per scrivere in favore de la tanto aborrita cecita, la quale, in vero, porta seco assai più commodi,di quelli che l'intelletto nostro capire et la lingua possa isprimere. Veggio io il ceco, dotato sempre di maggior memoria per non essere dalla luce degli occhi in varie parti disviato, la quale, di quanta importanza pero sia, di qui, lo pò bene ciascuno ottimamente considerare, poi che M. Tullio nel suo Oratore la chiama tesoro et i Greci la fecero madre della sapienza, oltre che tanti altri per godere di si nobil senso, conoscendosi della natural memoria privati. L'artificial s'imaginarno con spesa di pretiosi olii, con varie lavande, et con ceroti, et polvere di lontan paese portate. Trovasi anchora esser il ceco di molto miglior apprensiva, ne cio maraviglia parer ci deve havendo egli, le potenze dell'anima, meglio che l'illuminato raccolte et unite. e privo simil
C iiii mente di vedere tanti brutti spettacoli quanti hoggidi per ciascadun luogo si vegono, non rincontra quando va per le strade, e mostruosi scrignuti, gli abominevoli nani, e ridicoli gozzuti, et tanti altri contrafatti corpi, quai soleva Ottaviano Augusto chiamare ludibri et scherni della natura, non vede gli horribili Etiopi, non gli miserabili paralitici, non e schifevoli lazzarosi, non tanti idropici, iterici atratti, sfregiati, spelati rognosi, cancheriti, gottosi, franciosati, et altri simili. O quanti benefici si riportano dall'esser ceco, et danno veruno mai dalla cecita n'e resultato, ella non prohibisce che contemplare non possiamo a nostro bene placito le celestiali bellezze anzi se diligentemente avertir ci vorremo, essa e in buona parte cagione, di si bella et alta contemplatione. Democrito essendo di acutissimo vedere, si trasse gli occhi dal capo, per meglio potere contemplar il cielo, al quale con tutto l'affetto pareva che sospirasse. Non vieto la cecita che Homero (quantunque ceco) non divenisse il piu famoso et eccellente poeta che havesse mai per secolo alcuno la dotta Gretia, ne anche puote ostare che Didimo Alessandrino non apprendesse lettere Greche, Latine, et di più (che forse parera cosa incredibile) ch'egli diligentemente non imparasse le discipline matemattiche. L'esser ceco non fu d'impedimento che Claudio Appio (benche vecchio) prudentemente nel senato non consigliasse et nu merosa famiglia con summa destrezza non regesse, non fu anchora di veruno impaccio à Lippo, che perfetto oratore non doventasse. E che ne fu di peggio Annibale poi che perduto hebbe un occhio? resto egli per questo di esser coraggioso et di travagliar importunamente i Romani? et se perduto gli havesse anchora tutta due, non sarebbe per questo rimasto d'esser valentissimo guerriere, et a' nostri tempi D. Ugo di Moncada perduto ch'egli hebbe un'occhio perde egli per questo una sol dramma del suo valore? non gia, per quanto s'e veduto ne successi. E certamente follia espressa, à credere che la cecita fusse mai di nocumento alcuno. Tobia divento ceco, non fu meno d'Iddio temente et amorevole che prima si fusse. Ho io alcune volte a dilungo favellato con molti cechi li quali, m'hanno giurato, non essersi mai doluti di tal accidente, ma sempre haverne Iddio ringratiato, percioche se piu volevano per lor bisogne, gir in spagna, non vedevano con si mal stomaco L'affettado, et vantador Spagnuolo, et in Alemagna andando, non vedevano, quei volti fieri, ne quei habiti pieni di succedume, et di lor vi fu chi mi racconto esser stato in Inghilterra poi che perduto havea la luce, et haver sentito assai minor molestia, non havendo potuto veder in viso il dispettoso et inhospitale Inglese, parevami certo mentre favellava, tutto pien di gioia quasi fra se dicesse, se ho ra mi accadera di gir piu alla corte di Francia, lodato Iddio, che non vedro il sgarbato vestir di quella ricca corte da mal concertati colori distinto, non vedro piu un numero infinito de paggi si unti et bisunti, che ciascun di loro, condir potrebbe il calderone d'alto pascio, non mi vedro (anchor che sentir lo possa) urtar ad ogni passo, da si gran carovana de cuochi, guatteri, carettieri et vetturali, et se svolgero i miei pensieri) si come solito era di fare, pria che mi accecassi al visitar l'Italia, non vedro in Lombardia per difetto delle lor divise voglie, tanti belli edifitii dirupati, et tante amene ville distrutte, non vedro il goloso et lussurioso Milanese, non l'avaro Pavese, non il litigioso Piacentino, non il bizarro Parmegiano, non il bestemiator Cremonese, non l'ocioso Mantovano, non l'orgoglioso Ferrarese, non vedrò il cicalon Fiorentino, non vedro il bugiardo et simulator Bolognese, non l'usurario di Genova, non e' capi sventati di Modena, non il superbo Luchese, et dissemi piu volte prima che terminasse l'incomminciato ragionamento, che hora gli pareva d'esser troppo aventuroso poi che ritrovandosi l'anno passato in Roma non vidde piu la faccia d'infinite meretrici che a'guisa de Reine triunfano del pretioso sangue di Giesu, ne vidde a' Napoli le gran squadre de marani, le innumerabili torme de ruffiani, non uidde una infinita copia de boriosi cavaglieri che tutto il gior no a' guisa de fottiventi con gran stratio di chi li segue vanno su et giu con la bachetina in mano, non vidde in Sicilia que mangia catenacci che per ogni picciola cosa contrafanno il viso di Marte quando egli è piu forte adirato, ne tante donne in viso mirò disposte per picciolo pretio a' far altrui di se stesse intiera copia, che piu parole? si dolcemente mi favellò il buon Ceco, che mi fece venir voglia di accecare, essendomi ispesso di mala maniera anch'io conturbato per vedere in Vinegia nuvoli de mariuoli, in effetto credami chi è saggio, che l'è dolor senza paragone a'veder in viso l'indiscreto Padovano, il bestial Vicentino, il licentioso Trivigiano, il furioso Veronese, il tenace Bresciano, et l'inhumano Bergamasco. Veramente egli è di necessita che l'illuminato vega infinite cose da far per istomacaggine uscir le pietre de muri. Mi ramento haver letto che incontrandosi a' caso un santo huomo novellamente accecato con Arrio principe de eretici, duolsesi della sopragiunta cecita, a cui il sant'huomo rispose, non accade Arrio che tene doglia et incresca ringratiandone io di buon cuore Iddio, poscia che fatto ceco, piu non ti veggio Eretico perfido et disleale, sono per certo gli occhi nostri troppo male bestie, per la qual cosa narra Giobbe d'haver fatto co suoi occhi patto, che d'una sol donna contenti a' niuna altra pensassero, et il Profeta grandimenti si duole che gli occhi l'anima gli rubbassero, et che la morte gli era entrata nel cuore per le fenestre, cioe per gli occhi, che altro non sono che le fenestre dell'animo, al quale velocemente senza inciampo trovare, tutto ciò che veggiono rapresentano. Il Salmo anchora n'avertisce a' svolger altrove gli occhi nostri, per che non veggiano le vanita del mondo. Canta il gentil Poeta nel suo Poema,UT VIDI, PERII, Come subito viddi, rimasi morto. Vidde gia David la bella Bersabe una et un'altra fiata et talmente see gli sveglio il concupiscibile appetito, talmente da lascivi sguardi preso rimase, che gli ne segui poco men che morte, il medesimo quasi avenne a' me, quando ne miei piu verdi anni, prima mirai i vivi raggi della donna mia all'hora si, che mi parve sentire al cuore colpi piu che mortali, allhora il mio libero arbitrio divenne al tutto servo, et se la bonta d'lddio (che mai vien meno) non mi soccorreva, ero in tutto perduto, ma di questo non parlo piu, et alle celesti scritture faccio ritorno, le quali, con efficacissime parole n'essortano al trarci gli occhi, se per aventura, ci scandalizano et offendono, ma quando avien mai che da quelli offesi non siamo? vo piu oltre cercando le commodita che dall'esser ceco risultano, et infinite le ritrovo, percio che cechi fatti, non ci fanno piu di mestieri ne colirii, ne occhiali, ne specchi christallini, non s'ha da temere cavalcando per le nevi che la bianchezza la vi sta non disgreghi et distrughi, non accade per opra de dotti fisici rimediar piu all'oftalmia, alla dilatatione della pupilla, alla scotomia, alle imagini, alle cataratte, all'ungula, alla perla, alla lagrima, all'epifora, alla lippitudine, et a molte altre infirmita che gli occhi sogliono troppo nemichevolmente infestare, non accade stillar piu acqua di ruta, di fenocchio, di salvia, di verbena, di chelidonia, non fa piu mestieri l'aloe nel vino infuso, ne meno la tutia, non s'han più di bisogno bianchi d'uova, ne pillule lucis, meglio e adunque l'esser ceco che illuminato, poiche il ceco nulla vede che l'affliga et tormenti, et chi vede ha del continuo per ogetto chi l'è cagione d'infinita molestia, chi le procura angoscia et chi le da materia d'acerbissimi dolori. Quanto dispiacere crediamo noi che sia ad un viandante vedersi traversar la strada da squallidi serpenti, da venenosi rospi, et da mordaci ramarri, vedersi sotto gli occhi precipitii pieni di spavento, vedere in faccia un'inimico mortale, vedersi con la bocca et con le mani schernire et uccellare. Non si legge da christiani nel sacro santo Vangelo. BEATI OCULI QUI NON VIDERUNT? Beati gli occhi che non viddero. Certamente, se occhi in capo, non havea, un mio caro amico, egli non havrebbe gli anni passati con estremo suo dolore, veduto la moglie con un pessimo adultero abracciata. Ahi tropo curiosi occhi nostri, di quan ti affanni ne siete voi cagione? e quante cose mostrate voi al semplice animo per turbargli la grata sua quiete? quante lettere scritte, quanti sculpiti motti rappresentate al cuore per riempirlo d'amaritudine? quanti gesti, quanti movimenti vegono gli occhi, cagione che poscia mai ne lieti ne contenti viviamo.
MEGLIO E'D'ESSER |
pazzo, che savio. |
P A R A D O S S O V. |
Enso indubitatamente che poca fatica havero a' persuader altrui, che meglio sia l'esser pazzo che savio, essendo stata gli anni passati (per quel ch'intendo) da dui nobilissimi ingegni con larga vena di Facondia, lodata la pazzia. Anderò adunque solamente facendo la scelta di quelle poche cose che da loro sono state pretermesse, (non so però se per inavertenza, ò pur, perche di soverchio racolto havessero.) dico adunque ricordarmi gia di haver letto ne libri de Filosofi, che a' voler essere in questa vita felice, bisognava esser pazzo, il che facilmente credero sovenendomi d'un buon'huomo, il quale era impazzito d'una si nuova spetie di pazzia, ch'e gli credeva che tutte le naui che nel poro arrivassero, fussero tutte sue, et perciò avanti che giugnessero le andava a rincontrare col volro, et col cuore tutto pieno di gioia et di contentezza, et cosi parimenti quando elle si partivano per far viaggio in levnte ò in ponente, buona pezza di via le accompagnava, pregandoli di buon cuore felice vento, et prospero viaggio, il che, risapendo poi il fratello che con sua mercatantia di Sicilia ne quei tempi venne (forse inuidioso di si buona fortuna) dettelo nelle mani di alcuni valenti Fisici, li quali risanandolo, di quella gran contentezza lo privarno, et essendogli di ciò, rimasto qual che poco di memoria, giurò piu volte, che mai non visse piu lietamente che in quel stato si vivesse, Io per me, non lego mai questo aventuroso accidente, che tutto d'invidia non mi strugha et consumi. Non e similmente cosa degna d'invidiare che un'huomo di bassa conditione et quasi della fece populare, per virtu della santissima pazzia, entri in cosi fatto humore ch'egli si creda d'essere imperadore? et senta nel cuor suo tutte quelle contentezze che sentir sogliono e' veri imperadori? Trovasi anchora al presente, nel Reame di Francia, un'orafo molto eccellente, che tiene per cosa certa che madamma Margarita figliuola di sua maiestà, gli habbi da esser consorte, et fermamente si persuade, che essa non meno di lui il disidri, et con diligentia tacita mente procuri, stranamente, in publico et in palese maravigliandos, per che tanto si tardino queste sue nozze. Mi soviene anchora haver udito raccontare dal mio maestro essersi ritrovato in Milano, un servidor Comasco, il quale dalla pazzia confortato, s'havea formato nella sua camera il concistoro con e Cardinali, Vescovi , et Arcivescovi et per un'hora del giorno (che tanto n'havea impetrato dal padrone) chiudevasi in camera, ponevasi in sedia come nuouo Papa, porgeva il piede a baci, riceveva ambasciatori, faceva cardinali, espediva bolle mandava Brievi et creava nuovi ufficiali per la sedia Apostolica et poi tornava a soliti seruigi, Ditemi (vi prego) qual sapienza havrebbe potuto imaginarsi un si maraviglioso diletto? che piu grata maniera d'inventione havrebbe potuto un'huomo rappresentare alla fantasia? Certamente io non so perche si adirino alcuni d'esser detti pazzi, essendone sempre ritrovato un'infinito numero, et quasi ogn'uno liberamente confessando esserne questo mondo una gabbia, ma penso io, che molti dichino et pochi sel credano, altrimenti non sene farebbe tanto rumore quando altri fusse detto pazzo. N'ho pur veduto molti nella patria mia pazzi piu di Grillo, che li pareva di pareggiare di senno Solomone, il quale, solo fra gli Hebrei hebbe titolo di sauio, ma quanto però fusse savio, chiaro vi puote apparire et da gli idoli a' quai sacrifico, et dalle molte le molte concubine quai sostenne, et longamente nudri. Numera la bugiarda et ambitiosa Gretia sette savi, il che considerando M .Tullio par se ne rida, affermando, che chiunque le lor attioni minutamente considerasse, ritrovarebbe esserci mescolato piu pazzia che sapienza. Oh quanti se ne sono conosciuti in ogni eta, che sol per contrafare il pazzo, si sono liberati da infiniti danni, et se fussero stati pazzi da dovere pensate quel che harebbono fatto? poi che solo il simularlo puote essere cagione de tanti beni. Quanti se ne viddero gia andare assolti da commessi furti, et da crudeli homicidii, per esser tenuti pazzi? non e solito di dar il cielo si gratiosi privilegi, se non a celeste schiatta, non vi voglio racontare l'historie antiche, perche pensomi che ciascuno nhabbi sofficiente cognitione, certamente, quanto piu mi profundo nella contemplatione della pazzia la trovo tuttavia cosa sopra modo giotta et delettevole, et vegola tutta piena di belle commodita. Io vego il pazzo non prendersi cura di posseder stati, di edificar ville, di prender moglie, di esser ne guelfo ne ghibellino, et quelli che noi riputiamo savi diligentemente tutte le predette cose cercare. Chi piu faggiamente in cio operi, e successi poi, ottimamente lo manifestano. Vego anchora il pazzo niente sollecito del mangiare, ne del vestire, et quelli, che sono detti savi, mai rachettarsi, ma di cosa veruna contentarsi, non po tutta
D l'industria humana, non po la Dea Copia, col suo corno, a lor insatiabili desiderii sodisfare, considrisi hora, chi piu s'accosti agli Evangelici precetti, per li quali, quieta lo soverchio pensiero et del vestirsi et del pascersi. Il pazzo non si cura de gli honori, sprezza le grandezze, et rifiuta i primi luoghi, et a quei che tenemo savi d'altro gia non cale, et per conseguir preminenze, per acquistare prelature, soffrono caldo et gelo, perdono il sonno et anche spesse volte col sonno, la cara vita hora per voi stessi giudicate chi meglio l'intenda et qual veramente alla voce d'Iddio piu ubidisca. Chiunque e impazzito non conosce tanti puntigli d'honore, non abada a duuelli, non piatisce alla civile, non doventa per tre scudi bersaglio degli archibusi, non si fiacca il collo correndo le poste, non si fa servo de signori indiscreti, non languisce per amor di dame, ne vago diviene di bionde treccie o' di vermiglie guancie, non paga datii ne tributi, à niuno finalmente è soggetto, ma vive piu d'ogn'altro libero et franco, può dir ciò che vuole si de principi, come de private persone senza riceverne pugnalate ò minaccie udire, non ha anche bisogno il pazzo di retorico artificio per farsi attentamente et con delettatione ascoltare, ne per mover il riso. O che vena di eloquentia mi fora al presente mestieri per dir compitamente la virtu della pazzia, la quale, é tanta che sol il fingerla dette moltissime volte occasione del vendicarsi di ricevute ingiurie, aperse anchora facil adito all'intelligenza de fatti altrui, ha de matti la Fortuna spetialissima cura, et da gravissimi pericoli come cari figliuoli sovente guarda? non viveno i pazzi per la maggior parte sani, et gagliardi? è donde nasce questo? se non perché non si pigliano affanni ne intraprendono mai querele. Sono veramente i matti cosa celeste, hanno spirito di profetia, sono pieni di furor divino, et di qui nasce ch'ognuno tanto se ne diletta, et i principi gli tengono si cari. Ho veduto principi lasciar da canto come bestie, huomini litteratissimi, per divisare co pazzi, ho similmente veduto molti signori, li quali, à pazzi larghissimi doni facendo, lasciavansi doppo le spalle servidori, benvoglienti, et creditori quasi ch'io non dissi languir per fame, l'è e pur a fede mia, cosa troppo maravigliosa, che sempre tutti gli huomini eccellenti habbino havuto un ramuscello di pazzia, guardate qual profession volete, et trovarete ch'io non mento, siano scultori, pittori, musici, architetti, ò ver literati, è qual buon poeta hoggidi si truova che alquanto pazzarello non sia? veramente chiunque ha piu del pazzo, sente anche piu del poeta et se l'Ariosto non ne havesse havuto piu che buona parte, mai havrebbe intonato versi ne tant'alti, ne si ben culti, et si vergognaremo, poi d'esser tenuti pazzi? Io certamente per esser di me, sparsa upinione che alquanto ne participassi, so bene quante commodita et
D ii quanti vantaggi n'ho riportato, altri di me si rideva, et io lor tacitamente uccellava et godendo de privilegi pazzeschi sedeva, quando altrui, che ben forbito si teneva, stavasi ritto, coprivami, quando altri stava à capo ignudo, et saporitamente dormiva, quando altrui non senza gran molestia vegliava. Considero alle volte che l'inventore delle carte fusse huomo piu di quel che si stima ingegnoso, poi che non solo fa che le virtu, giustitia, temperantia, fortezza, danari, bastoni, et simili cose giostrino et insieme chi di lor piu si vaglia contendono, l'un vincendo, et rimanendo vinto, ma fatto ha di piu, che l pazzzo habbi in cotal giuoco honoratissimo luogo, hebbe costui, ne si po negare giudicio perfetto et forse che anch'esso vidde quel che vego io, cioe non esser al mondo persone piu legate et serve, di chi si persuade et appetisce d'haver luogo fra quelli che son tenuti savi, tanti sono e riguardi, tanti e rispetti, et le avertenze che di haver, lor bisogna, de quali, il pazzo non si cura punto stassi egli sempre gioioso, et spensierato, non si riposa nella prudenza, non rifugge alla fraude, pon ha ricorso all'astutia, non non si confida nell'altrui favore, ne anche cio accaderebbe in alcun tempo, havendo di lui lddio cura et protettione. lo non dubito, che molti de nostri moderni Catoni meco non si adirino, perche tanto inalzi la pazzia de quali vorrei sapere se letto hanno mai le divine scritture, et chi piu di loro la esalta? chi piu la magnifica et ingrandisce? chi con piu efficaci parole condanna la sapienza? et noi temerari vorremo da quelle discordare et abracciar non solo quel che da Iddio e biasimato, ma anche odiato? Io trovo che le piu valorose nationi di Europa hanno supremo tittolo di pazzia, et non di sapienza. Incomminciamo un poco da Francesi, quai pazzi chiamarano Paulo in prima, a Galati scrivendo, il che poi si raferma dall'interprete santo Gerolamo, et Hireneo vescovo di Lione gli chiama anoitus, che nella volgar nostra lingua tanto sona quanto a dir senza mente, et in tutto pazzi, ne d'altra opinione fu Giulio Firmico nelle sue astrologhe commentationi, quanto valore habbino pero sempre mostrato nell'arme,n'e testimonio il Levante col Ponente, et forse anchora gli Antipodi, sin dove credo, rizzati sieno molti loro Trophei, ma non solo nell'arme chiari et illustri apparvero, che fiorirno anche di liberalita et di religione, si come appare per molti Tempii honorevolmente in varie provintie dificati, et al presente forse piu che mai fiorirebbono se non fussero tanto vaghi di apparir savi. Andianne hora in Portugallo, non hanno mostrato e stolti Portughesi et forze estreme, et ingegno acutissimo, et ardir incredibile ne gli Indiani acquisti? non ha Portugallo infiniti segni d'esser piu dell'altre provintie del celo amiche? havendo e piu belli et leggie-
D iii ri cavalli del mondo, dandoli per metropoli et capo del regno, una Lisbona non men nobile et memorabile che grande et ricca, con porto di mare, col famoso et honorato fiume Tago, che per quella dolcemente passa, situata poi in luogo alto, et da tre uguali colli legiadramete ornata. Vegniamo in Alemagna ove trovo i Svevi reputati piu de gli altri sciocchi, quali però si fussero nelle loro faccende divinamente Cesare, ce lo mostrò ne suoi Commentari. Discendiamo hora in Italia dove quattro nobili citta ritrovo, Siena, Modena, Parma, et Verona, tutta quattro notate dell'essere sopra l'altre pazze, et veggiamo un poco come l'habbi Iddio dotate de bellissimi privilegi, et spetial cura sempre n'habbi. Primieramente Siena (la vecchia) é sopra de ameni colli fondata, gode d'un sereno et puro celo, piena d'honorati edifitii, fruttuose ville, salutiferi bagni, copiosa di ricche et buone vettovaglie, ornata di vaghe et cortesi donne, abbondante de giovani disposti, vecchi discreti, fanciulli ubidienti, servi fedeli, contadini patientissimi, ma di Siena siami per hora detto à bastanza, che alla nobil Parma mene vado, La quale, siede in un bello et grasso piano, lieta pero di vicine montagne, ricca d'illustri et poderofe famiglie feconda de sacerdoti et coraggiosi soldati, li quali, per virtu della dolcissima pazzia son fatti a' lor vicini quasi formidabili. Tacero io il cascio Parmegiano del qual mangiando, dico fra me stesso, che se per tal vivanda prevarico il padre Adamo esser degno d'iscusa, et tutte le volte ch'io ne asaggio, non posso invidiare ne l'ambrosia, ne il nettare di Giove, faro io errore se fra i molti ornamenti di quella citta vi ripongo dui virtuosi giovani et di animoo, et di natura fratelli, de quali l'uno si chiama Gabriele, et l'altro Lionello Tagliaferro? non credo certo che alcuno di tal fallo ripigliar con ragione me ne possa, tanto son benigni, accostumati, et hospitali. Che diro di Modena? certamente, non so donde mi debba incominciare le sue divine lodi, percioche se incomincio dalli ingegnosi artefici di rotelle, de forcieri, veluti, drappi meschi, forbici, guanti, et altre cose a' sostentamento del corpo appartenenti, le quali, ivi s ritrovano di tutta perfettione, temo non fare ingiuria al conte Uguccione Rangone, il quale, alla età nostra, è un vero esempio di cortesia et di bontà, et se faccio primieramente mentione de molti valentissimi soldati che da quella uscire sogliono, temo non offendere la bellezza et rara gentilezza delle donne Modenese, la quale e tanta che pare che il debito chiega che di loro sopra tutte l'altre cose si favelli, ma dalle donne facendo principio, non haro io giusta cagione di temere che di cio offesi ne rimanga un'infinito numero de studiosi giovani, studiosi dico, delle lettere Greche, Latine, Toscane, sacre et profane, passaromene adunque con silentio, et a Verona farò diritto et ratto volo, D iiii della quale, volendo parlare, disdro (come disse colui) un fiume, anzi un torrente di eloquenzia. Verona fu detta quasi Veruna, veramente una degna de cui scrivino le piu dotte penne, et parlino le piu diserte lingue, prende suo nome dal vero, di cui fu sempre amicissima, il sito e gratioso, ivi si prende gran diletto da contemplare acque correnti, colli ameni, monti fruttiferi, campagne ampie et aperte, d'indi, come dal cavallo Troiano, escono huomini et da guerra et da lettere, non vi manca industria mercantile, stimasi grandimenti la nobilta, ne per danari e nobili con gli ignobili facilmente si mescolarebbono et per darci anchora meglio a vedere quanto Idio l'ami, dato gli ha per pastore il bon Matteo Giberto gloria et honore dell'ordine episcopale, qual mai non vego che non mi paia di vedere una viva imagine di Ambruogio, p di Agostino. Vedete hora, come vero si truova il comun detto che Iddio ha cura de matti: non vi pare che gli habbi trattato meglio dall'altre nationi, non mi voglio stender piu oltre, poi che tal argomento e stato da altri et forse con miglior modo trattato. Sono adunque da esser molto ben riveriti e pazzi poi che Iddio tanto gli ama, et hagli col suo amirabil consiglio eletti, per confondere la sapienza di questo mondo, volendo che le più nobili citta, et le piu valorose nationi, pazze et non saggie dette sieno.
CHE MALA COSA NON sia se un Principe perda il stato.
P A R A D O S S O. V I.
On so veramente, per che tante querele facciano e Principi se aviene che perdano e stati, essendo di necessita, che se non d'altra violentia, almeno da la morte, che a tutte le cose e solito di por termine, ne siano finalmente deposti. Doverebbono in vero piu tosto vergognarsi che essendo soggetti a tutte l'humane qualita, come ciascun'altro huomo (quantunque di humil fortuna) presumino et appetischino d'essere a tanti altri (forse di maggior valore preferiti) ne si vogliono contentare d'essere pari a gli altri di conditione, come sono pari per natura. Disse gia un savio Filofofo et di chiara fama ne suoi tempi, che tra ricchi si contendeva meritamente di richezza, tra belli di bellezza, ma che tra gli hnomini dovea esser il lor contrasto della gentilezza, et dell'humanita, ne fra loro doversi mai ricercare altra preminentia che dell'esser l'uno piu d'altro benigno, liberale, honesto, cortese, et affabile, Lodarsi per tanto da savi maravigliosamente Diocleziano, che per modestia ricusasse l'imperio, ch'era pur grande, et assai ben stabili// to, il cui esseempio, mosse poi molti 'altri a far il simigliante, fra quali, vi e stato doppo longo intervallo di tempo, il fratello di Carlo magno, che si fece monaco di monte Cassino, dove et santamente visse, et a simil studio molti baroni del medesimo regno devotamente trasse. Antiocho anchora Re di Siria essendo da Romani privato di tutta la giuriditione che egli havea di qua dal monte Tauro, rifferi gratie al Senato singolari, che da si grave molestia liberato l'havesse. Herculeio similmente et Galerio contentaronsi di darsi totalmente all'agricultura et abandonare la preminenza qual haveano sopra gli altri huomini. Deh perche non fu sempre questa modestia nel cuor de Principi? perche non si sforzano e' filosofi de nostri tempi di sbarbare da petti questa infinita cupidigia del regnare? la quale, non d'altronde però nasce, che da pessima volunta, ovunque signoreggiano gli huomini de dominii bramosi, sempre vi si trova poca giustitia, e ricchi conculcano e' poveri, et e' nobili oltraggiano gli ignobili. Hò io spesse volte detto, disiderare grandimenti si servasse una vecchia usanza dell'isola di Taprobane, ove il piu valoroso et più studioso di commodi di soggetti principe si eleggeva et il medemo per arbitrio del popolo ( se per aventura piegato havesse dal diritto camino) si deponeva, Essempio non molto dissimile par c'hoggi di s'osservi in Boemia, et in Datia, benche non si procacci d'haver sempre lo migliore vorrei che chi ci havesse ad esser principe, vi fusse per viva forza tratto, non succedesse per heredita, ne da se stesso ò con arme ò con frode s'ingerisse, ne credasi alcuno che questa mia volunta d'altronde nasca che dall'haver conosciuto molti signori ingiusti scelerati, et de lor vasalli nemici capitali. Ho veduto Principi non haver altro pensiero che di vituperar hor questa, et hor quell'altra fanciulla et haver disposto à ciò e' lor ruffiani,che à guisa de brachi ò de segugi andessero per ogni lato cercandone vestigii. Hai sozzi cani, è questa la forma del governar vasalli insegnata da maggiori nostri? è questo il modo che s'usava ne tempi antichi? sente ella questa nuova foggia punto dal Christianesimo? so fermamente che no, altrimenti il buon Homero non havrebbe mai chiamato e' principi sotto nome de pastori. perciò che questo non è pascere, ma egli è bene un consumare et eternalmente distruggere. Hò conosciuto principi piu d'ogn'altra cosa curiosissimi investigatori di chi havea le borse ben tirate, et per rubbarli, subornare chi desse lor briga et chi gli provocasse all'arme, et primi poi, querela facessero di spargimento di sangue, accioche tosto condennati rimanessero de lor beni ignudi. O'crudelta degna di querele tragiche, o inhumanita per secolo alcuno, non più udita. Ho conosciuto in Lombardia un barone delle piu illustri case , il qual ridendo, tutto pieno di festa, mi raccontavai havere fatto sacheggiare il granaio ad un suo vasallo, per che egli era ito alla caccia, quantunque pur di lontano veduto non havesse ne lepre, ne di lepre vestigio, et faceva, professione di huomo evangelico, ò Christo, e pur grande la tua sofferenza, ben sei tu detto con ragione PATIENS ET LONGANIMIS. Poi che soffri si patientemente si sulla terra questi crudeli et inessorabili mostri, nati per divorare l'humilissima tua plebe. Ho conosciuto nel Reame di Napoli Principi che haveano animo di lupo, anzi che d'huomo, non raccontaro piu de fatti particolari, et contato ne habbia, per che il dolore che ne sento, tutto m'indebolisce, et fammi divenire le mani al scriver tarde et lente, non sono questi portamenti atti et sofficienti a provocare Iddio a sdegno et far che gli
stati per longa successione de tempi posseduti, altrove finalmente si traportino? si sono certo. Crederemo noi che se li principi volessero far l'uffitio loro, che tanti se ne trovassero chi cercassero d'esser signori? ò vero chi si dolessero essendone privati? Credo veramente di no. Niuno adunque si dolga se perde il stato, anzi ralegrisi, come ralegrar si suole chiunque è di grave soma scaricato, meglio è veramente di perderlo che tanto indugiare ch'egli lor poscia perda et distruga.ESSER MIGLIOR L'IM
briachezza, che la Sobrita.
PARADOSSO. VII.
eccellentia del vino, quinci'vi prego consideratelo, poi che la verita cosa tanto nobile, vi fa dentro sua stanza, Noto penso a ciascuno sia il proverbio de Greci IN VINO VERITAS. la verita sta nel vino, erro adunque Democrito dicendo, che la si stava nel profundo del pozzo, et io co Greci arditamente sostengo star ella nel vino, del qual parere, fu anchora Horatio (si come ne suoi versi dal medesimo vino aitati) et chiaramente et con diffuso sermone si dimostra. Vuole similmente il divino Platone, ch'egli fosse un vero fomento dell'ingegno per virtu del quale, forse che esso ritrovo le idee et i numeri, scrisse le leggi, scrisse d'amore, et institui si ben ordinata Republica, vuole anchora Platone che le muse sentissero odore di vino, et di qui avenire che chi non ne beve, non possa ne anche versi comporre alti et numerosi, ma lasciamo andare il comporre de versi, che po far di buono colui che vino non beve? in prima non e ben atto al generare, e privo di ardire et di forze, ha la vertu concottrice debile et inferma et presto muore. Venne gia non so che strana fantasia a Timoteo essendo giovinetto di non voler bere vino, il che risapendo Paulo apostolo, et considerato e pericoli, ne quali, l'imprudente giovane si metteva privandosi di cosi santo beveraggio, subito gli scrisse, che per ogni modo non mancasse di berne, se non per altro almeno, per aiutare, il stomaco, et soccorrere al le molte et spesse infirmita che patir soleva. Che diranno qui e bevitori d'acqua? questo non fu già ccnsilio di Cisti fornaio, o di Novello Tricongio? ma fu di Paulo vase di elettione, maestro de Gentili (di quel Paulo dico) che fu rapito al terzo celo, et vidde i gran segreti d'lddio, tra quali, per aventura apprese che il vino fusse sopra tutte le cose del mondo da istimare et caro tenere, ma se forse qualche miscredente facesse poco caso del testimonio di Paulo, considri quel che scritto n'hò trovato in Galeno et in Oribasio, il vino giovare à nervi, risanare gli occhi (il che forse parerà strano a chi letto non ha gli aforismi d'Hippocrate) revocare appetito a' svogliati, donare alegrezza a contristati, scacciare il freddo da corpi, provocare l'urina, rafrenare il vomito, conciliar il sonno, et fare che le crudita quasi repentinamente si cuochino, e buono anchora secondo Galeno per mitigare l'acerba natura de rabbiosi vecchi, l'animo per lui di piu, grandimenti eccita, il corpo per lui tutto si ricrea, et i spiriti pigliano vigore. Ben conobbe tanta virtu Hecuba apresso di Homero, essortando Hetore il figliuolo a ricrearsi col bere, da duri travagli nella battaglia sostenuti, cosi l'havesse Pindaro conosciuta, ch'egli non haverebbe mai cominciato il suo bel poema con dir ch'ottima cosa fusse l'acqua, certo che detto havrebbe ottima cosa esser il vino, la cui efficacia, fu talmente ne tempi passati conosciuta, che molti gravissimi huomini à quello in tutto si donarno. Noè in prima, piantò la vite, et al benigno liquore d'indi ne n(v)enne, fu deditissimo, di cui non furono già pero meno amici, Agamenone, Homero, M,Antonio, L.Cotta, Demetrio, Tiberio, Claudio, Bonoso, imperadore, Alcibiade, Catone Pacuvio cosso, Ennio, Filippo, Eraclide, et et il figliuolo di Tiberio, ne pero alcuno de questi fu per il vino men saggio et virtuoso. Furono del vino avidissimi e' Tartari, ma più di loro e Perfiani, et fra capacissimi bichieri di cose importanti sovente consultavano, il che fu anchora solito farsi da Tedeschi (se il vero afferma Tacito nella descrittione de lor costumi) Furono li Macedoni del vino sopra gli altri huomini vaghi et Alessandro nobil conflitto constitui del bere, dettesi al vino sopra modo Mitridate, perde egli per questo di modo il ceruello che xxxx anni virilmente contra Romani non combattesse? Certamente mi doglio di non haver parole atte ad isprimere le singolari virtu che seco porta, ch'io farei stupire ogn'uno di maraviglia, non merita egli somme lodi facendo gli huomini d'aspri et difficili, piacevoli et affabili? de mutoli, facondi? de timidi, securi et franchi, anchora che soli et ignudi fra mille armati si titrovino? non ha egli fatto divenir famosa Ungaria, Boemia, Francia, Alemagna Polonia, et tutta finalmente la Gretia? Della Italia, mi raporto a Plinio, il quale scrive, esservi stata stata l'imbriachezza di tal maniera, che non solamente trapassava il vomito, ma che costrignevano anchora e giumenti all'immoderato bere concludendo poi, che in veruna parte del mondo restavasi di vedere la santa imbriachezza, la quale (per quanto si vede nelle storie) era venuta a tanta reputatione, che chi non s'imbriacava non era galant'huomo tenuto. Cirro pertanto, (dico il più giovane) se, del Reame degno reputava, perché poteva bere maggior copia di vino et senza tedio smaltirlo. Nota Plutarco ne la vita di Licurgo che appresso de Spartani, e' fanciulli si lavassero col vino per fargli vigorosi pieni di spirito, sani et con la pelle piu soda, O' potenza infinita in quanti modi ti mostri e scuopriti a' mortali? ben ti poteva bastare che con la tua virtu potessi amorzar et totalmente estinguere la mortifera cicuta. Trovasi, che ne anche dispiacesse l'imbriachezza ad Esiodo, poi che commando che per xx giorni avanti il nascimento della canicula, et xx dopoi, l'huomo largamente bevesse senza mescolarci pur una gocciuola d'acqua, il che, se osservato havesse Ligurgio di Tratia, egli non sarebbe suto da Bacco nel mare precipitato per haver posto dell'acqua nel vino. Cornellio Celso medico più d'ognaltro eccellente, loda nel regimento della sanita che almeno una volta al mese l'huomo bevendo disordini, quanti utili medicamenti? quante salutifere lavande? E quante giovevoli formentationi col vino si fanno? Gli Hircani lavavano e corpi de morti col vino per purificargli o forse pensando potergli restituire la vita. Lodasi da savi la legge che ne conviti loro servavano i Greci AUT BIBAT aut HABEAT Come
più presto alcuno nell'hora del mangiare si appresentava, costrignevanlo o al bere, ò al partirsi, il qual costume hoggi par che da Tedeschi, se non in tutto, almeno in buona parte si servi et usi. Pretermetrero io di raccontare come il vino solo havesse già auttorita di por l'arme nelle mani a Sennoni et farle haver vittorie degne de tutti gli annali, pretermettero io di raccontar come nell'anno della fondatione di Roma, cccxviii. fuffe mandato contra Sarmati Lucio Pio et sol col vino acquistolli et fecegli al popolo Romano soggetti. Era ne migliori tempi in tanta reputatione il vino che Mezentio soccorse i Rutuli contra Latini, indutto sol che per mercede gli ne fusser date non so che misure (si come scrive Varrone) passeromela io con silentio che tanto al nostro Redentor piacesse, che l'acqua (come cosa men buona) in pretioso vino tramutasse, et al fine di sua vita chiedesse bere? Col vino sano l'impiagato Samaritano, col vino volle che si facesse la Reverenda memoria del suo supplitio et altre si vuolle che Habraamo cortese offerta ne facesse, et se il vino al nostro signor si mirabilmente piacque, et la sua madre tanta cura prese nellenozze di Galilea perche non vene mancasse, maravegliarenci noi con ragione se anche stremamente sia stato a molti di nostri tempi grato? de quali più oltre con esempi ragionarei, et con infinite altre ragioni procederei più che di buon'animo, perche godo infinitamente di cotai
discorsi, ma perche fuggo volentieri l'odiosa prolissita,
qui faro il fine essortando ogn'uno
ad abbracciar l'imbriachezza,
et schiviar la sobrieta, la
qual fa gli huomini
maninconici, intro
nati, et pusilla
nimi.
MEGLIO È D'HAVER LA
moglie sterile, che feconda
PARADOSSO. VIII.
O non so veramente come dir si possi in alcun modo rea cosa la sterilità della moglie, essendo cagione di farla doventare di ritrosa et bizarra, benigna, humile, et pronta più all'ubidienza del suo consorte, la onde, la moglie feconda, si vede sempre d'ifinito ardire et orgoglio piena ne maraviglia è, se veggendo tanti cari figliuoletti che dal suo imperio dependeno, et i suoi cenni con tanta riverentia osservano, ella si fattamente gonfi, che gli paia d'esser non sol moglie, ma vera, et assoluta signora della casa. Essendo una fiata in Milano, et famigliarmente (come si suole in quella città) ragionando con una gentildonna, d'una molto peregrina foggia di veste che s'havea fatto una sua vicina, sospirando, mi disse, non havere altra cosa più nell'animo fitta, che di havere una simil veste, io, che conosceva il marito possente per adempirgli tal desiderio, dimandai perche tanto non vezeggiasse il consorte quando ambidui stanno sotto coperta. ch'impetrasse et simil veste et altro che piu le fusse piacciuto, risposemi che mai non oserebbe chiedergli cosa alcuna, non havendogli anchora fatto figliuoli, ma che se Iddio ne gli faceva mai gratia, voleva molto maggior cosa d'una veste, avenne
finalmente che ingravido et partori dui figliuoli in un parto, belli come agnoli, et divenne tanto altiera et sdegnosa, che il marito non havea mai pace se non quando era fuor di casa, et quelli sono de frutti che ne da la tanto desiderata fecondita, ma quanti vantaggi naschino dall'odiata sterilita, non gli saprei già io tutti annoverare, tanti et tanti sono, Primieramente se la moglie sara sterile non converra ne anche pascergli altrui figluioli, non s'udira sgridare quando da dolori di parto repentinamente sara assaglita, non s'udira chi pianga nella culla quando s'havra voglia di dormire, non sentirassi l'aspra molestia delle troppo litigosi nudrici, ne finalmente proveransi le crudeli doglie che per la morte loro si sentono, Mi soviene d'haver letto che andando Solone per visitar Talete che all'hora filosofando habitava non guari lontano dalla citta di Mileto, essersi maravigliato molto et quasi havernelo ripreso che si pigliasse si poca cura d'haver figliuoli, d'indi à pochi giorni Talete haver astutamente introdotte un giovane, il qual dicesse venirsene di Atene, fu costui diligentemente dimandato da Solone, se in Atene fusse accaduto cosa veruna di nuovo, à cui rispose non esserci altro che la morte d'un gentilissimo giovanetto, la quale havea contristato tutta la citta per esser figliuolo d'un cittadino sopra ogn'altro valoroso et istimato, il cui nome gli era caduto dalla memoria, ò sventurato padre disse allhora Solone già tutto
intenerito, et à poco, à poco nascendoli nelI'animo il sospetto, dimandò s'egli per aventura havesse nome Solone, rispose che Solone havea nome, il che udito percosse per gran sdegno del capo il muro, et rimase per soverchio dolore di tal maniera afflitto che poco gli manco non divenisse del tutto pazzo. All'hora Talete quasi sorridendo dissegli, queste sono le cose ò Solone che mi spaventano et isbigotiscono dal generar figliuoli, poscia che te huom si forte et d'animo si costante possono tanto agevolmente conturbare et dielli à vedere esser stata una fit(n)tione ritrovata per dimostrargli onde nascesse la poca volunta de haver figliuoli, ma dicami un poco chiunque tanto brama la donna feconda, che sa egli finalmete di che sorte gli partorisce se sterile non fusse? Certa cosa è che non havrebbe l'imperio romano con tanto gran danno sofferito si horribili mostri come furono Gaio, Caligula, Nerone, Commodo et Bassiano, se M. Antonino, se Domitio, et Septimio Severo ò non havessero havuto moglie, o almeno sterili state fussero. Soleva dir Augusto Dio volesse che presa moglie mai non mi fussero nati figliuoli, et spessoo chiamava la figlia et la nipote dui cancheri che lo strugevano con estremo suo dolore, il medemo fu detto dal padre di Tolomeo Filopatro lo qual non solo uccise il proprio padre, ma uccise anche il fratello, la mogliere, et la madre che nove mesi nel ventre portollo, et tante volte in collo teneramente levosselo, il simile credo anche dicesse Agripina madre del crudele st spia(e)tato Nerone, lo medemo affermo il padre di Fraate re de Parthi, poi che vidde si crudelmente il figliuol suo amazzar trenta fratelli, et poi finalmente contra del vecchio padre stringere senza niuno rimordimento di conscientia il suo micidial coltello. Ho io gia letto che Epaminunda huomo d'altissimo intelletto et di generosissimo spirito vivesse longamente senza prender moglie et essendogli rinfacciato da Pelopida che iniquamente facesse non procurado d'haver figliuoli per agiutto della già inchinata republica, haver prontamente risposto, guarda che tu molto di me peggio non facci, lasciando seme di si mala natura come tu lasci. Era il figliuolo di Pelopida giovane infame, et per la scelerata et corrotta vita, al tutto di perduta speranza, ma che dirò di Mitridate, ilquale, per desiderio di signoreggiare non potendogli succedere le insidie contra il padre suo di nascosto tessute asprissima guerra apertamente gli mosse. Che diro di Lotario figliuolo di Ludovico, il qual, sospettando che più di lui amato fusse Carolo il fratel minore, puose il padre in prigione? che si dira di C.Turanio, di Antipatro, di Gallieno figlio di Valeriano imperadore? et altri tanti micidiali et contra del padre loro ingratissimi? Ma cio cbe ho detto intorno a questo fatto, siami per nulla, rispetto à quello che son per
E iiii dire. Non ha predetto Giesu Cristo nel suo santo Vangelo che beate saranno le sterili femine? a che dolersi adunque et per vili stimare quelle cose, alle quali l'ineffabil bonta del Redentore promette eterna felicita? Credamisi indubitatamente che la sterilita e un singulare rimedio de matrimoniali incommodi, li quali per miglior via schivare non si possono. Credamisi per certo, che la sterilita e un'ottima et util medicina contra la malvagita de figliuoli, salvo se non si havesse quell'herba detta Hermetia della quale, chiunque ne mangia (se il vero dice Democrito) non solo genera figliuoli buoni, honesti, accostumati, ma anche belli et gratiosi, ma qual diligente et dotto herbolaio conobbe mai si miracolosa cosa? qual mano esercitata di prudente hortolano coltivolla? scrissene mai Dioscoride? parlone mai Crescentio o il Plateario de spetiali? a nostri tempi non credero gia io che stata sia da verun padre conosciuta, di modo vego i giovani di nostra eta, fatti disubidienti, amazzatori. tavernieri, metidori de dadi, biastemiatori d'iddio et de suoi santi, et finalmente d'ogni virtu capital nemici, credo fermamente che Democrito se la sognasse, o vero la vedesse, poi che tratti si fu per meglio filosofare, gli occhi dal capo. Dicciamo pur tutti ad una voce, che meglio sia d haver la donna sterile che feconda, ne curianci piu d'haver figliuoli, poi che si male riuscite fanno. Io per me, son stato longamente in cotal desiderio, ma totalmente mi s'e spento, veggendo ch'altro non sia il generarne, che far vasalli a principi. Ricordomi d'esser gia capitato in alcune sterili montagne, d'onde uscir suole infinita copia de fachini buratini, venditori di latte et altri simili, de quali, infinite schiere si vegono a Vinegia, dove hanno un proverbio (come alcun nasce) di dire, egli e nato un asino a Vinitiani, non voglio parlar delle consolationi che ne caviamo, quando fanno briga et alle case ci tornano col capo rotto et con le braccia spezzate, non parlero quando ne vien rifferito ch'essi per furto, o per homicidio ci siano impesi, o nelle galere posti, ne quando rubbano le case, battendo spesse volte padre, madre, et le sirocchie. Sentomi abondar d'infinito numero de travagli che da quelli nascono, ma per schivare fastidio, non solo a chi leggera, ma a me, che si mal volentieri scrivo, faro qui il fine.
MEGLIO E' VIVERE MAN
dato in esiglio, che nella patria
longamente dimorare.
PARADOSSO. IX.
On mi ricordo in tutto l mio vivente
di haver letto, che gli huomini forti
et virtuosi temessero mai d'esser mandati
in esiglio, ma sovviemmi bene, che gia fusse detto à Diogene che li Sinopei l'havessero bandito, et come cosa ignominiosa gli rinfacciassero l'esiglio, et esso havergli
arditamente risposto, et io rinfaccio loro, la troppo longa dimoranza nella citta, donde non sapendosi mai partire paiommi in tutto simili alle conchilie, che stanno del continuo apiccate alle pietruzze.
Ben doveano questi tali haver puoco cuore, ben
mostravano di non sapere, quanti bei privilegi havessero e' fuorusciti, gli racconterò io brievemente, acciò che alcuno non si maravigli, se molti et spontaneamente elegessero l'esiglio et altri pacientemente il supportassero. Primieramente non dano atltrn(u)i materia di peccar d'invidia, et mentre dura il tempo del bando niuno ardisce chieder
gli danari in prestanza non essendo chi non sappia che a' fuorusciti mancano sempre e' danari, per il che possono senza conscientia havere, ò sentir pel viso rossore, chiedere, importunare, et altrui affrontare, conciosia
che sotto colore del esser fuor di casa loro, et in lontano paese, et con e' beni al fisco deputati, possono senza rispetto, chiedere ogn'uno di soccorso, non è anche il fuoruscito ubrigato à far banchetti, aloggiar forastieri, sontuosamente vestire, armeggiare, et festeggiare, affermare potendo che quando egli era nella sua patria, mettesse tavola, giostrasse, splendidamente
vestisse, et vita menasse veramente da cavagliere,
non è vergogna à chi vive in bando, se egli à tem pi determinati non responde, et mantiene le promesse fatte, conciosia
che assai sodisfaccino ringraziando de ricevuti piaceri, et con la buona volunta di compire se mai aviene che nell'amata patria faccia ritorno, possono andar soli, ò vero con uno ò dui servidori (si come à loro più piace) del qual privileggio credo molti se ne trovino, che
volentieri goderebbono per avanzar le spese, et cosi levarebbonsi dall'animo molti gravi dispiaceri, non sono di più tenuti à mantenersi la casa ben guernita, à starsi con la moglie, della qual
gratia molti so io, che nella citta nostra si ritrovano, che volentieri userebbono, non potendo sofferir con patientia la mala conditione della moglie, e' tristi portamenti de figlioli, et i latrocinii
de servidori. Conoscendo Anasandrida Spartano
non essere per li sopradetti privilegi mala cosa l'esiglio, scrisse ad un suo amico, il quale, di malissimo animo sopportava d'esser mandato fuori della patria, Non ti dolere di abandonare la citta, ma dogliati più tosto di abandonar la giustitia la quale esser devrebbe guida et norma delle tue
attioni, è come pò esser cosa dispiacevole il lasciare la patria, poi che similmente lasciansi infiniti dispiaceri che seco suole portarsi? meno moleste ci sono le calamita, che à quella avengono, ne tanto
acerbamente cuoce l'udir che morto ò ferito sia
alcuno de nostri amici ò benvoglienti, Siamo lontani dalle discordie civili, non tenuti alle gravezze cittadinesche, non di andar in consilio, non che
gli uffitiali ben ministrino et dell'amministratione rendano a superiori buona ragione, non s'odono le differenze de confini, non si teme più l'ira del principe ò sdegni de vicini, ma spensieratamente vivesi, ritrovando spesse volte gratissime venture, molti n'ho io conosciuti, li quali più agiatamente vissero fuor di casa che nella propria
patria, senza haver pero mai detto il Paternostro
di santo Giuliano, nel vero e troppo gran cosa la
tenerezza, c'hanno le vedovelle a fuor usciti, so
quel che dico, ne pensi alcuno ch'io mi sogni, o
vaneggi. Ricordomi d'haver letto, che essendo ritornato Tenero dalla Troiana espeditione, e volendolo il padre Telamone mandare in bando,
non se ne curò punto, anzi saggiamente rispose,
la Patria, padre mio, e dovunque l'huomo e ben raccolto. Veramente se l'esiglio fusse da savi giudicato si mala cosa (come molti sciocchi per mancamento de propositi alle volte divisano) non si
sarebbono ritrovati tanti che spontaneamente
l'havessero abracciato si come fece Metello Numidico et altri molti. Havendo gli Ateniesi dato bando è Calistrato, et oprando senza farnelo consapevole alcuni suoi amici, per che egli fusse rimesso, interdisse con molte preghiere si amorevole uffitio, et fuor della patria sua (quantunque copioso de beni) volentieri fini e suoi giorni. Ricordomi anchora d'haver letto che essendo bandito Demetrio (il Falereo) et habitando in Tebe, mostrava molto d'haver a schifo la conversatione di Crates Tebano, percioche secundo il costume di Cinici sprezzatissimamenti viveva, non rimase psrcio Crates di visitarlo, et un giorno fra gli altri benignamente salutatolo, disse tante belle cose in commendatione dell'esiglio, che Demetrio si reco a gloria d'haver bando, et a suoi domestici, rivolto maledisse il suo iuditio obliquo et i molti negotii che talmente l'haveano tenuto occupato,ch'egli non havesse potuto per avanti conoscere si eccellente filosofo. Trovo io pochi huomini di valore haver campato tal fortuna (anzi per dir meglio) parmi che solamente gli huomini virtuosi siano da lor signori fatti essuli. Bandito fu Annibale da Cartaginesi doppo l'haver sostenuto infiniti travagli, doppo l'haver tanto sudato in servigio della sua ingrata Republica: o come di rado vien famoso che mai esce de termini di sua terra, non po acquistar prudentia ne po haver molta isperienza chi mai non esce della patria. Gli Ateniesi anchora, privarno dell'amata citta il buon Teseo, che tante cose opero degne de sempiterne lodi, et per virtu del quale, ampliossi infinitamente quella patria, da medesimi fu anche scacciato Solone dator de leggi et costretto finir sua vita nell'isola di Cipri. Fu anchora dato esiglio al virtuoso Milciade, per opra del quale si viddero ammazzare con tanta gloria trecento millia Persiani. Camillo fatto essule, fu
alla patria di gran giovamento, era in bando Traiano (ilgiusto) quando fu fatto imperadore Essule fu il giusto Aristide, essule si vidde Temistocle
et costretto rifuggirsene a Zerse essule fu Alcibiade, visse similmente con bando il buono Ermodoro, non havendo gli Efesi riguardo alcuno alla
sua bonta, ne tal fortuna schivar puote Rutilio,
molto meno il mio. M.Tullio, non so pero se cio
fusse per ricompensa d'haver conservato la Republica che a terra non cadesse, et fatto gli innumerabili bentficii. E' chi e che non desiderasse con si bella et honorevole squadra d'havere perpetuo bando? Sono si forse mentovati huomini senza core? senza forze? o senza consiglio? Io disidro di buon cuore bando almeno di diece anni a un mio amico, come la propria anima caro perchè indubitatamente spero che stando fuori delle morbidezze
della sua patria egli habbi a divenir piu mansueto, et assai mi rincresce non sia dalla necessita costretto a provare come sappi di sale il pan d'altrui, perchè ne sperarei maggior profitto di quel
che per hora vego del suo esiglio. Potrei anchora (se io volessi esser alquanto più prolisso) in molti modi mostrare non esser nell'esiglio ponto
di male, o dishonore, ma lasciarollo di fare
non tanto per schivare molestia a delicati lettori
quanto perche mi soviene che il facondissimo
messer Gioan Bocaccio, scrivendo ad un suo ami co Fiorentino trattasse gia cotesto argomento con diffuso sermone, per tanto faro qui fine al Paradosso,a lui rimettendovi, che fu nel scrivere
più d'ognaltro di sua eta et accorto et eloquente
MEGLIO E L'ESSER DE
bole et mal sano, che robusto
et gagliardo.
PARADOSSO. X.
O trovo per il parere de tutti e più savi, ch'altro non fusse mai la debolezza et mala complessione de corpi nostri che una perpetua essortatrice alla santa parsimonia, et dica pur chi vuole il contrario, ch'essa fu sempre assidua sconfortatrice de vani piaceri, et singolare maestra d'humilta et di modestia. O quante volte harei fatto di gran brighe, quante volte mi sarei azuffato con alcuni satievoli et temerari, se la debolezza delle miei membra ritirato non m'havesse, et fattomi divenire al mio dispetto piacevole, et humile. Egli e behe vero ch'ella ci pare nel cominciamento di niuna soavità, et di niuna dolceza, ma certo che l'e una fedel compagna, la qual, spesso (senza tirarci li orecchi n'ammonisce della nostra fragil conditione, et ci fa ridure a memoria la gran miseria della mortalita nostra. Per tanto, solea dir Stilbone filosofo, che gli huomini malsani erano simili a quelli che sono retenuti nelle fracide prigioni, donde si spera poterne agevolmente uscire per la rovina che da ogni lato appare, cosi parmi habbino questi altri speranza di lasciar tosto il mortal carcere, poiche da catarri, stomachi, fianchi, et gotte si vede aperto. Certa cosa e che si come in un rotto fodero dimuora spesse fiate un coltello di buono acciaio et di perfetta tempra, cosi in un fragil corpo dimuora spesso una mente nobile, un'animo prudente, et un spirito magnifico et generoso, atto con la debilta, non solo à tentare, ma à condurre anche à fine ogni bella et honorata impresa. Non veggiamo noi che nelle galere al piu forte tocca maneggiare il remo, et il piu debole (che sempre suole essere il piu prudente) ha sol la cura del temone? Non invecchiarno anche piu tosto le forze di Milone, di Aiace, et di Hercole, che quelle di Socrate, di Nestore, di Catone, ò di Solone? questo nostro corpo del qual noi tanta stima il piu delle volte facciamo, altro non e pero che la casa dell'animo, la quale, se bene e fragile, che importa essendo hospite de pochi giorni? Ma miseri noi, che mai sappiamo cio che veramente sia da disiderare, biasimamo sempre et si dolemo, de cuorpi mal sani, li quali, sono anche (per (per dir il tutto) spesse, fiate de robusti piu fermi, et piu durabili. Ho io veduto alcune volte nelle nostre contrade rompere i coperchi delle torte, et poi ricucirli, accio che meglio n'evaporasse il cibo che dentro vi si ci cuoceua, et duravano assai piu che gli intieri et sani. Si che, parevami veramente, che da quella rottura acquistassero una certa eternità, il simile, senza dubbio accade à noi oltre che i corpi sani et de testura folta, puteno piu degli altri, conciosia, che non vi si esalino le superfluita cosi agevolmente come si fa in quelli che di rara sono, et di qui nasce, che muoiono anche piu sovente di morte subitana. Annovera Plinio nella sua natural istoria infinite infirmita ch'infestare ne sogliono, et noi siamo di si picciola levatura che per un duol di capo, ò per un termine di febre, si vogliamo incontanente sbattezare. Si dolemo alle volte della quartana, della quale, o rallegrarci, ò almeno non si doveremo tanto acerbamente dolere essendone sol per un giorno matregna et per dui benigna madre, et chiunque ne guarisce (si come molti antichi medici affermano) vive poscia perpetuamente sano. Deh che faremo noi se ci accadesse che dal corpo nostro uscisse innumerabil copia de serpenti, il che a Ferecide filosofo avenne, o vero, che per tre anni intieri gli occhi nostri non vedessero sonno come al buon Mecenate accade? o vero fussimo da perpetua fe
F bre occupati, si come ne tempi passati molti se ne sono ritrovati? So che ci adiraremo di buona sorte contra il cielo, so che biastemeremo Iddio, et malediremo tutta la sua corte, Doveremo per certo ralegrarsi, et non tristarsi, dell'infirmita, poi che l'Apostolo dice, d'esser piu forte quando egli e piu infermo, non e mai l'infermo gonfiato dalla superbia, ne combattuto dalla lussuria, non lo molesta mai l'avaritia, non lafflige l'invidia, non lo fa alterato l'ira, non lo soggioga la gola, non lo ritarda dal ben oprare l'accidia, ne lo punge l'ambitione. Deh volesse Iddio che tali fussimo sani, quali promettiammo d'essere quando infermi siamo. Legesi, che per esser il beatissimo santo Basilio debole et in tutto mal sano, egli apprendesse ne scrittori di medicina tanto, che si poteva aguagliare a qualuque piu dotto fisico di quella eta, il che ho io anche veduto ne miei tempi a piu d'un paio essere accaduto, tacero e nomi di quelli, per non potergli mentovare senza qualche parte di mia gloria. Ho letto, che essendo platone di natura sana et robusta, elegesse un luogo paludoso, un'aria torbida, et un celo di folta nebbia stampato per divenire infermo, et cosi rafrenare i strabocchevoli empiti della carne, dalla quale si sentiva troppo stimolare, non po veramente in alcuno, fiorir l'ingegno, se la carne non sfiorisce et spolpisi. Io per me, tutte le volte che mi ricordo della debolezza del filo, a cui, si attiene questa dolente et misera mia vita, tut tutto certo mi ragioisco, et sentomi per alegrezza saltar il cuor nel petto, all'hora fra me stesso dico tanto più presto mene volaro al cielo, donde già ne riportai questa anima. Si che vegasi de quanti beni cagione sia l'inferma nostra complessione, percio che, se tosto morir bramiamo, ogni minimo disordine, ci cava subito d'impacio, ma se anche siamo volunterosi di longa vita, credasi a me, che molto più longamente campiamo, conciosia che cotai persone guardinsi sempre più diligentemente da disordini et più sobriamente vivino, che non fanno gli robusti et ben gagliardi, li quali della lor sanita et robustezza troppo fidandosi tentano ogni duro pericolo, mangiano qualunque vitioso cibo, dormeno al sereno, et stanno senza riguardo havere sotto e piovosi tetti, gli induce anchora la robustezza a ferir huomini, a spogliare viandanti, a oltraggiare gli impotenti, et finalmente a terminare con biasimo et dishonore i giorni loro.
NON ESSERE COSA DETESTA
bile ne odiosa, la moglie dishonesta.
PARADOSSO. XI.
Uanto sia pazzo il mondo che sempre si duole di quello ch'ei si dovrebbe meritamente ralegrare penso che pochi lo conoschino, imperoche l'ignorantia
nostra che n'acceca, non ci lascia apertamente vedere quello che più fora mestieri d'intendere, et come che molte cose celate ne sieno, questo in prima pare che nascofto ci sia che la pudicitia delle moglie faccia, che elle sieno troppo imperiose, troppo ardite, et che de mariti non habbino verun timore, per la qual cosa ralegrare ci doveremo molto piu tosto di haverle dishoneste che pudiche, perche l'haveremo similmente meno insolenti, meno moleste et orgogliose. Io mi ricorda che essendo in Lione nel M. D. xxxiiii. fummi da un buono marito detto, haver per chiaro inditio la moglie havergli all'hora fatto le fusa torte, se piu dell'usato lo vezeggiava et affabile se gli dimostrava, ma oltre le prefate commodità, queste altre vi sono di piu, che per l'impudicitia della moglie ne acquistamo de molti amici, sonoci havuti infiniti rispetti, et gli disagi cotanto odiosi, non osano si famigliarmente di accostarsi al limitare delle case nostre, procuransi da principi et gran signori honoratissimi uffitii, acquistansi delle grasse badie, de ricchi vescovati et ottime propositure, et chil credesse mai, che in Italia, anzi per tutta Europa fussero de molti buoni feudi introdotti nelle case sol per l'impudicitia o delle moglie, o delle sirocchie et tall'hor per opra delle proprie figlie? et pur e vero, et io n'addurei testimoni pieni di fede et di religione, se non temessi dispiacere altrui, mostrarei anche forse con poca fatica, quinci havere havuto fondamento non solo molte famiglie illustri, ma anchora molte belle et ampie giuriditioni. Certamente che al mio poco giuditio in questo risolvere si dovrebbe ogn'uno, che se noi si abattemo a moglie bella, non essere punto da maravigliarsene se ella sia men che honesta, et se n'abattiamo ad alcuna brutta, non essere da curarsene. Mi ricordo haver letto(non e anchor gran tempo) d'un filosofo, il quale, havendo brutissima donna per moglie, et ritrovandola amorosamente abracciata con un gentilissimo giovane della medesima citta, a colui rivolto che sul fico si ritrovava, misero te, gli disse, che dura necessita t'ha qui condotto? non si curo punto dell'adulterio commesso, non dell'ingiuria a lui fatta, non della fede rotta, ma piu tosto hebbe di colui pieta che si fusse con si brutta femina carnalmente congiunto, non sapeva il sciocco filosofo (si come l'astuto giovane) essere le brutte femine per segrete cagioni spesse volte piu da prezzare che le belle non sono. E pero certa cosa, che noi siamo molto iniqui giudici, vogliamo verso delli appetiti nostri, usare tutta quella piacevollezza ch'usare si possa, ma verso le povere et fragili femine, vogliamo essere l'istessa severita dal natural ritratta. Non scrissero gia i savi della miglior scuola che l'adulterio era quell'una cosa che ragionevolmente non si poteva ne permettere, ne prohibire? percio che l'uno il vietava
F iii |
nostra libidine ostinatamente lo prohibiua, et che ciò sia vero, noi veggiamo apertamente et alli potentissimi Re, et alli ferocissimi tiranni di rado esser accaduto la possessione de casti matrimoni, legasi un poco i'storia di Arcturo (quantunque favolsa ci paia) legasi di Olimpiade, che tante volte, et si cautamente puose la diadema del montone sul capo di Filippo re di Macedonia. legasi de Cleopatra, la quale in Egitto essendo, spinta, non da premio (come hoggidi si fa) ma sol da passione amorosa, con si leggiadra et inusitata maniera à Cesare, si conduceva, legasi di Clitennestra et di Elena, che alla presentia delli ambasciatori Greci havendo ritrovato molto migliori giacciture in Troia che in Gretia, non si vergogno di dire che volentieri, et non sforzatamente havesse seguito l'adultero Troiano, legasi parimenti di Fedra, di Messalina moglie di Claudio et amante di Silio, di Pasife, di Simiamira madre di Eliogabalo et di Antonio Caracalla si fuocosamente inamorata, legasi di Beronice, di Medea, di Saffia, et di Popullia, la quale, essendo adimandata da un suo famigliare, per qual cagione, le bestie, se non à determinati tempi ammettessero il coito, rispose percio lo fanno per che bestie sono, legasi di molte altre, quali io taccio, per non esser prolisso. Io mi ramento anchora haver udito dire che l'impudicitia delle moglie, era quella cosa, che ci appa recchiava il primo grado alla vita piu libera, et per consequente piu lieta et piu tranquilla, dandoci occasione di fare divortii, et di dare libelli di repudio senza por mano a veneni, ò a' coltelli, ò singolar beneficio come fareste tu, se fussi ben conosciuto, degno d'ogni bella ricompensa, ma dimmi un poco per cortesia tu, che tanto ti lagni, che la donna tua faccia altrui copia di se stessa, et hai riposto l'honore et la reputatione nelle gambe d'una feminuccia, parendoti che l'havere un paio di corna sul capo, sia piu grave peso che l'haverci il monte di Etna, ò di Vesuvio? credi tu forse che dall'altrui fallo nascere ti possa infamia? stolto sei se lo credi. Confesso bene che te ne possino agevolmente nascere fastidi, danni, et cordogli, si come anchora dell'altrui virtu, te ne può venire alegrezza, ma non gia gloria alcuna. Pisistrato fu (per quanto ho letto) delli Ateniesi Tiranno molto sauio et accorto, hora costui, intendendo, che la madre sua ardeva per amore che portava ad un vezoso giovanetto di Atene, col quale, per non havere che in vecchiezza rimproverare alle carni sovente si trastullava, quel, tutto timido, et isbigotito per la conscientia che lo rimordeva, con lieto volto à cenare con esso lui invitò, et dopoi levate le tavole, gli dimandò come ben cenato havesse, rispose il giovane riverentemente et con la voce fioca, essere stato di quella maniera che si suole alle tavole de gran principi, soggiunse
F iiii |
fusse stato li giorni passati nell'animo d'un amico mio ch'egli ne me, ne se stesso, ne altrui havrebbe de fastidi riempiti, ma cosi aviene per voler parer troppo savio, et per non saper ben discerne l'honore dalla vergogna. Ho io udito raccontare da huomo, che non sa mentire, che essendo rifferito a un gran principe, che uno de suoi cavaglieri, si dava piacere con l'amata sua, qual piu che se stesso amava, havergli risposto, ben essergli caro, che le cose che piacevano a se, piacessero anche ad altrui, percioche inditio sarebbe al mondo che del tutto non mancasse di giuditio. Ho similmente udito raccontare, che essendo detto al signor Prospero Colonna da un frate minore, piu di malignita, che d'innocentia pieno, ch'una monaca sua stretta parente, era stata la notte passata con il guardiano, havere saviamente risposto, se Santo Francesco comporta si patientemente le corna, ben le posso anch'’io sopportare, andatene padre, che di simil cosa non prendo io cura. o risposta degna di si gran capitano, et inditio chiaro d'haver notitia delia fratesca iniquita. Gli antichi nostri, di noi, più savi et aveduti, trovarno dui bei modi di vendicare e scorni dalle moglie lor fatti TACENDO et FUGGENDO, ma perche a nostri tempi ci pare di vedere molto piu di Argo, habbiamo giudicato essere cosa d'animo troppo vile. et troppo rimesso il fuggire, et il tacere, et percio aggiunto gli habbiamo ferri, veneni, et lacci, cosa nel vero sopramodo crudele, et inhumana, anzi tutta aliena dalla tenerezza et pieta, che Giesu Christo, nostro verace maestro, n'insegno, mentre con esso noi, riempiendoci sempre d'ottimi essempii converso. Trovansi anchora alcuni litterati scrittori, che per util aviso iscritto ci lasciarno, emendarsi l'impudica vita delle femine, con l'età matura, con e spessi parti, con l'assidue fatiche, con l'hauere l'animo di continuo travagliato, et con la poverta, la qual ci fa uscire e grilli del capo per baldanzoso ch'egli si sia, la onde, credo, indutto ne fusse Crates (il tebano) a dire che l'amore con la fame et col disagio si rafrenasse. ma io per me, tutte le volte che mi va per la memoria la focosa libidine d'una femina della citta nostra, il cui nome voglio per hora taccere, non posso persuadermi che con si lieve riparo rafrenare si possa una passione tanto rabiosa, alla quale, come poche si trovino, che foggette non le siano, chiaro puote apparire da ciò che si legge in Erodoto, il quale, diffusamente narra, che essendo il Re Ferone privato della luce, fusse dall'oracolo
consigliato che si lavasse gli occhi con urina di feIL PRIMO LIBRO |
mina che con altro huomo che col proprio marito giacciuta non si fusse, che cosi ricuperarebbe il vedere. Incommincio Ferone disideroso di sanita, dalla propria moglie, et poi da infinite altre ne mai perciò ricuperadola, fecele tutte ardere. D'una povera feminella trovò finalmente l'urina si giovevole, ch'egli ne rihebbe il vedere, et quella per ricompensa tolse per sua moglie. Una simile storia (benche alquanto diversa) narra anchora Diodoro, dicendo, che Sofis figliuolo del Re d'Egitto havendo per non so qual accidente, perduto la vista doppo’l spatio di diece anni, fu, dormendo, avisato cercasse primieramente di placare il Dio che nella citta di Eliopoli si adorava, et poi afissasse gli occhi nella faccia d'una femina ch'altro huomo che il proprio marito isperimentato non havesse et cosi dalla propria donna incominciando, di molte ne fece la prova et niuna fedele ritrovandone, doppo longo cercare, una trovonne moglie d'un'hortolano, et quella prese per sua donna havendo tutte l'altre fatto ardere, non senza gran stupore et maraviglia di chi prima fidato s'era nella feminil fede, la quale (per quanto intendo) da chi n'ha sovente fatto l'isperienza, che da me stesso non l'oserei per la poca prattica affermare, e si fragile, et debole, che molto piu risistenza si truova nel giunco, o’nel vetro, à che tristarsi adunque se la moglie non è honesta? veramente se ralegrare non ci vogliamo per le sopradette commodita? non ci dogliamo almeno della commune sciagura, anzi sopportiamo pacientemente quel che schifare per molta industria et arte non potemo, ricordandosi anchora, che il signor nostro condennar non vuolle l'adultera, non voglio pero dir io, che molte caste donne non si trovino, come detto hanno alcuni al mordere la donnesca honesta troppo inchinati, perche so bene di quanto cordoglio nella mia più giovenile eta stato mi sia cagione l'incredibil honesta della donna mia, la quale, ne per longa et fervente servitu, ne per ismisurato amore ch'io gli portassi, mai, si volle piegare a' miei desiderii, tengo però per cosa certa, che si come in virtu et nobilta d'animo è singolare, cosi fusse unica in questa parte et rarissime all'eta nostra ritrovarsi quelle che di sua mente sieno.
MEGLIO E' DI PIAN/
gere, che ridere.
PARADOSSO.XII.
On diremo noi ( et con gran
ragione) che miglior sia il pianto che il riso poi che Solomone scritto n'ha' lasciato nelle sue sagratissime carte, che meglio sia di girsene alla casa
DE PARADOSSI | 47 |
sono dell'altre piu difficili à risanare, lasciamo adunque il ridere da canto poi che non ha del grave, et in tante calamitose rovine luogo alcuno non si vede al ridere atto et opportuno.
ESSERE MIGLIOR LA |
carestia, che l’abondanza. |
PARADOSSO.XIII. |
Utti gli huomini aveduti liberamente concederno sempre, che l'abondanza fusse madre de vitii, nemica della modestia, et pertinace aversaria della sobrieta, et che cio sia vero, ricordomi che essendo l'anno del M.D.XLIII. in Picardia dietro la corte, haver udito una femina, la quale agremente si doleva che all'hora fusse una gran caristia di vino, et sovenevale che quando ven'era maggior abondanza, fusse del continuo col rimanente della sua famiglia imbriaca. Certissima cosa e che quando minor copia di vettovaglie si ritrova, tanto menor essere l'insolentia degli huomini, et all'hora non sdegnarsi alli altrui servigi, la onde al tempo dell'abondanza stentasi stremamente per haver un disutilissimo servidore. Non
e veramente altro l'abondanza del presente an/IL PRIMO LIBRO |
no, della quale noi pazzamente tanto si ralegriamo, che un'arra et un pegno della seguente caristia, et fu gia da curiosi scritori osservato, che tutte le regioni copiose di vettovaglie, fussero anche sempre copiose de malvagi huomini. Incominciamo un poco dalla Hircania, ove(se il vero ci referiscono e’ dotti istorici) ciascuna vite produce una gran metreta di vino, et ciascun'albero de fichi quaranta moggia oltre che il formento cadendo dalle sue spiche, senza industria di cultura rinasce, ivi anchora l'ape fanno su gli arberi il mele, che poi dalle frondi con larga vena distilla, et gli huomini sono anchora piu degli altri fieri, tristi, bestiali, et orgogliosi. In India hanno due sementi, l'una l'estate et l'altra il verno, et gli habitatori di que paesi, sono sopra modo bizarri, bugiardi, et frodolenti. In Babilonia ogni granello di formento ne partorisce ducento, oltre, che il miglio et il sisamo per la fecondita del terreno che vi e maravigliosa, cresce alla grandezza di giusto et perfetto albero, et e'paesani sono anche piu degli altri fecondi in tutte le scelerate operationi. In Tacape città dell'Affrica vedesi una infinita abondanza di qualunque cosa al vivere
humano opportuna, et evvi anche una mostruosa, abondaza di tristitie, di latrocinii, di adulterii, di perfidie, et dislealta. Dall'altro canto, considrisi attentamente che le regioni sterili, sono tutte industriose, amiche di virtu, et di travagli sofferenDE PARADOSSI. | 48 |
ti.Genova in prima capo di Liguria per esser edificata sopra d'un scoglio fa gli huomini per l'acquisto d'ogni picciola cosa arditi a' tutti e disagi piacevoli, accotumati, et vigilanti, dotti nell'arte marineresca, et quasi ad ogni cosa destri. Firenze similmente di Toscana metropoli, perche pate difetto di vettovaglie ha gli homini sopra gli altri savi, accorti, ben parlanti, investigatori di tutte le sottigliezze? ne trovasi hormai luogo si rimoto, ove la Fiorentina prudenza penetrata non sia. Vinegia anchora per essere nell'acque salse fondata tra capanne de miseri pescatori, volto gl'ingegni et l'arti a gli acquisti levantini donde ne divenne in picciolo tempo et gagliarda et per tutti e vicini liti tremenda. La Republica di Lucca per la caristia del territoro, divenuta e di modo industriosa, che detta ne per commun proverbio la Republica delle formiche, et i cittadini di quella sono servi d'honore, amici di virtu, pieni di lealta et religiosi senza alcuna superstitione, ne sia chi mi opponga il volto Barbuto di Lucca, percioche di tal cosa hoggimai raveduti, gli dano a punto tanto di riverentia quanto se gli conviene, et non piu, lasciaro il favellare dell'altre sterili regioni, per non essere troppo rincrescevole. Certissima cosa è che se copiosamente produranno e nostri campi, haveremo anchora da pascere maggior copia
di cavalette, di grue, etIL PRIMO LIBRO |
altri ingordi animalacci, et nel granaio converacci nudrire de molti topi, occuparci nel spegnere de vermi, et prima piu fatica havere nel sbarbare il lollio che tra grani sovente nasce, bisognera di piu essere schiavo di chi lo miete, di chi lo ricoglie, et di chi lo batte in su l'aia et per conchiuderla in poche parole, l'ansieta che fra molti compartir si suole, sara quasi impossibile ad esser da un solo (quantunque sofficiente) retta: converacci guardare con maggior diligenza che le chiavi del granaio non ci sieno da servidori contrafatte, oltre che poi, mille altri pensieri ne veranno per la mente et in un tratto di arrichire, et di guardarlo per molti anni nelle fosse, dove non infracidisca (si come spesso aviene) et tanti altri duri incommodi dall'abondanza nascono, che mi confondo poterne raccontare la menoma parte. Lasciarò per tanto contemplare il restante à chi leggerà e' nostri Paradossi, a' quali, se piacerà di volere anche in luogo dell'Hircania, dell' India, et altri simili luoghi, considerare il stato di Terra di Lavoro, di Puglia, della Marca, et di Milano, troveralli certamente per la grassezza piu degli altri seditiosi, amutinatori, carnalacci, et licentiosi.
MeglioDE PARADOSSI | 49 |
MEGLIO E' MORIRE,CHE |
longamente campare. |
PARADOSSO. XIIII. |
Anta e hoggidi la miseria delle cose humane, che ben potrebbe liberamente ogn'uno confessare, meglio essere il morire, che longamente campare, essendo la morte ministra vera di giustitia, porto sicurissimo de travagli, et certissima via di salute eterna. Veramente, quando mai altro in beneficio de mortali non operasse, ella e almeno cagione, di farci rimanere dall'offendere si stranamente come facciamo il magno Iddio, essa anchora ne cava di mille stenti, ne libera dall'ingordigia de piu potenti, et dalle mani rapaci de crudeli tiranni, et per non annoverare di uno in uno e benefici, che per lei di continuo riceviamo, dico, che d'infinito impaccio ne trahe. Certo, se non era la morte, eravamo miserabilmente a pene eterne condennati, eravamo da una infinita caligine totalmente oppressi. Si che paruto m'e sempre un grande ignorante, quel babuasso di Aristotele (che tanto pero si loda et da sciocchi si ammira) affermando ne suoi libri, che la morte fusse l'ultimo de tutte le terribili cose, ben pare, ch'egli non udisse giamai l'oracolo de Gioanni Apostolo, forse che imparato havrebbe non essere ne dolenti, ne miseri, ma beati e morti. Mol
GIL SECONDO LIBRO |
ti savi ne primi secoli voluntaria morte elessero, molti conoscendo niuno male, anzi infinito bene, in quella stare nascosto, se stessi hor col ferro, hor col veneno, et tall'hora col precipitarsi da qualche alta rocchia amazzarno. Fassi mentione appresso de scrittori Greci d'un giovinetto d'Ambraccia, il quale, leggendo e' dialogi di Platone scritti dell'immortalità, quanto piu tosto puote, si procuro la disiata morte, et a nostri tempi, Marco Cavallo leggendo i dotti componimenti de messer Nicolo Leonico fastidito della presente vita, delibero senza molto tempo interporvi di voler morire, leggesi anchora che havendo in Sicilia dui giovani fatto verso la madre loro piatosissimo uffitio, essa, Iddio, per ricompensa di tanta benivoglienza, caldamente pregasse, et la seguente notte esser stati ritrovati morti, dilche, fortemente dolendosi la misera feminella, fugli dall'oracolo risposto, che miglior cosa della morte non se gli poteva dare. Era gia anticha usanza nella Tratia di fare dirotti pianti, et mostrare gran cordogli, pel nascimento de figliuoli, et nella morte loro, ridersi, farsi giuochi, et celebrar triunfi, conoscendo di gran longa miglior la morte che la vita, et se una barbara natione priva di filosofia hebbe gia tanta cognitione del vero che la morte si dolcemente amasse, non si vergognaremo noi di essere del vivere tanto bramosi? non disse il gentil poeta Toscano che l'era fin d'una prigione oscura a gli animi gentili? Paulo apostolo che fu
veramente vase della misericordia di lddio, non deDE PARADOSSI | 50 |
siderava egli morire, per essere con Giesu Christo? et noi per commettere mille eccessi, per aggiugnere sempre colpe a' colpe, diverremo della mortal vita tutta via piu volunterosi? Ezechia desiderava la morte, per godere delle bellezze del cielo, et noi pazzi la vita bramaremo per aviluparsi tutta via nelle brutezze del mondo? Simeone anchora (quel giusto et santo vecchio) di buon cuore bramolla, et noi cechi, senza giuditio, privi in tutto di discorso, l'odiaremo et mal ne diremo? Non mi penso gia io che senza cagione da Romani fusse detta L E T U M, anzi perciò credo che detta ne fusse, perche lieti, et contenti ne fa, benche alcuni affumati grammaticucci dichino essere per antifrasi, o'ignoranti noi, poi che non conosciamo benefitii tanto singolari. Eh che alegrezza? che consolatione habbiamo noi in questa misera vita? qualunque piu longamente campa non vede egli et sente sempre cose di affanno, piu tosto che di gioia? non è la vecchiezza l'istesso morbo? non sono e' vecchi vivi cadaveri con e' suoi catarri? Essortandoci la scrittura divina al spesso ramemorare l'hora del morire se dalle male opre, et sconci fatti, guardare ci vogliamo. Hor da voi stessi pensar potete che se la sola memoria ne fa si certo et util beneficio che fare debba la istessa morte? Sottogiugnero volentieri le formate parole della scrittura, accio che altri non pensi che me le sogni MEMORARE NOVISSIMA
G iiIL SECONDO LIBRO |
TUA ET IN AETERNUM NON PECCABIS. Simil sententia lego anchora ne pagani scrittori, il che hà fatto hoggimai, che non ne rimanga più in dubbio, anzi in questo risoluto mi sia, che chiunque habbia paura della morte te (in qual si voglia professione) non possa mai fare cosa degna d'honore, et per questo fusse da filosofi diligentemente inculcato nelle nostre orecchie il dispregio di quella, et da migliori scrittori lodarsi alcune barbare nationi, le quali, alla morte correno con quella prontezza d'animo, che si farebbe a publichi triunfi, o ad altri giocondissimi spettacoli, et come disse il Poeta, alzando il dito con la morte scherzano. La natione Alemana per altro non e già cresciuta in si gran reputatione, salvo che per essere della vita prodiga, et della morte avida, ne per altro introdutta fu ne gli esserciti la musica de le trombe, de ciuffoli,de tamborri, et della cetra (benche al presente la cetra piu non s'usi che per fare testimonianza che il gir alla morte sia come gire al fonte et al colmo di tutte le consolationi, meglio è adunque morire che tanto campare. et piu beata diciamo la morte che ogni cosa adegua et senza alcun deletto havere, sopra d'ogn'uno ha suo imperio che la vita, ne senza ragione crediamo che adimandato un filosofo che cosa fusse morte, rispondesse esser un dolce sono eterno et un caso inevitabile, al quale, ne con lagrime, ne con preghiere, ne con sospiri si poteva in alcun modo riparare.
IL FINE DEL PRIMO LIBRO. |