Le Mille ed una Notti/Continuazione della Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari-Banù

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Continuazione della Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari-Banù
Storia del Principe Ahmed e della Fata Pari-Banù Storia delle due Sorelle invidiose della loro Cadetta

[p. - modifica] La Fata Pari-Banou ed il Principe Ahmed. [p. - modifica] Schaibar il Nano.               Disp. XVIII.


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CONTINUAZIONE

DELLA STORIA DEL PRINCIPE AHMED

E DELLA FATA PARI-BANÙ.


Scheherazade, ripigliando la parola, continuò il racconto in codesti sensi:


NOTTE CCCXCVIII


— Quando Ahmed ebbe raggiunti i fratelli, che si furono abbracciati con molta tenerezza, e complimentati sulla fortuna di rivedersi nello stesso luogo ov’eransi separati, il principe Hussain, come maggiore, presa la parola, disse:

«— Fratelli miei, avremo ben tempo di discorrere delle particolarità dei nostri diversi viaggi; parliamo, ora di ciò che più ne importa sapere; siccome io tengo [p. 2 modifica] per certo che voi vi siate, al par di me, ricordati del motivo precipuo che ne ha indotti ad intraprenderli, non ci nascondiamo ciò che recato ne abbiamo, e mostrandocelo, rendiamoci anticipata giustizia, e vediamo a chi il sultano nostro padre potrà aggiudicare la preferenza.

«Per dare intanto l’esempio,» continuò Hussain, «vi dirò che la rarità riportata dal mio viaggio al regno di Bisnagar, è il tappeto su cui mi trovo seduto: comune e senz’alcuna apparenza qual lo vedete, allorchè vi avrò dichiarata la sua virtù, tanta maggior meraviglia sarà la vostra, non avendo voi certo inteso mai nulla di simile; ora ne converrete. In fatti, quale esso vi sembra, sedendovi sopra, quanti noi siamo, se si desidera venire trasportati in alcun luogo, per lontano che possa essere, quasi nello stesso momento si viene a trovarsi nel sito bramato. Ne ho fatta la prova prima di pagare le quaranta borse che mi è costato, senza dolermene; e quand’ebbi soddisfatto pienamente alla mia curiosità di vedere la corte ed il regno di Bisnagar, e volli qui tornare, non mi servii d’altro veicolo fuor di questo tappeto maraviglioso per ricondurmi qui, io ed il mio servo, che può dire quanto tempo abbia messo a giungervi. Ve ne mostrerò l’effetto ad entrambi allorchè crederete opportuno. Frattanto aspetto mi diciate se ciò che portaste possa entrare in competenza col mio tappeto. —

«Avendo qui Hussain finito di esaltare l’eccellenza del suo acquisto, Alì gli rivolse in questi termini il discorso: — Fratello,» disse, «bisogna confessare che il tappeto vostro è una delle cose più straordinarie che si possano immaginare, se ha, come non voglio dubitarne, la proprietà che dite. Ma confesserete vi possono essere altre cose, non dico vie più, ma almeno, altrettanto maravigliose in un altro genere; e per terrene convinto, il tubo d’avorio che qui [p. 3 modifica] scorgete, non pare, a vederlo, più che non sembri il vostro tappeto, una rarità da meritar grande attenzione. Eppure non l’ho pagato meno di voi, nè scontento sono del mio contratto che voi nol siate del vostro. Giusto come siete, converrete ch’io non sono stato ingannato, qualora sappiate, e ne abbiate avuta la prova, che, guardando per uno de’ capi, si vede qualunque oggetto si desideri. Nè voglio che mi crediate sulla parola,» soggiunse il principe, presentandogli il tubo; «eccolo; verificate se v’inganno.—

«Hussain prese dalle mani d’Alì il tubo d’avorio; ed accostatoselo all’occhio dalla parte che, nel presentarglielo, questi aveva indicato, coll’intenzione di vedere la principessa Nuronnihar, e sapere notizie di sua salute, Alì ed Ahmed, che tenevano in lui fissi gli occhi, rimasero estremamente stupiti al vederlo impallidire d’improvviso in modo che dinotava straordinaria meraviglia congiunta a gravissimo dolore. Hussain non diede loro il tempo di chiedergliene il motivo.

«— Fratelli,» sclamò, «è indarno che voi ed io abbiamo intrapreso si penosi viaggi colla speranza d’esserne ricompensati dal possesso della vezzosa Nuronnihar: fra pochi istanti l’amabile nostra cugina non sarà più in vita; la vidi testè giacente in letto, circondata dalle sue donne e dagli eunuchi, tutti lagrimosi, che sembra non attendano altro se non di vederla esalare l’ultimo respiro. Prendete, miratela voi pure in quel pietoso stato, ed unite alle mie le vostre lagrime.

«Alì, ricevuto di mano del principe Hussain il tubo d’avorio, guardò, e veduto con sensibile dispiacere il medesimo oggetto, lo presentò ad Ahmed, perchè mirasse anch’egli il triste ed affliggente spettacolo che tanto interessavali del pari. [p. 4 modifica]

«Quando Ahmed, prendendolo dalle mani di Alì il tubo d’avorio, ebbe guardato, e veduta la principessa Nuronnihar sì poco lontana dal termine de’ suoi giorni, preso la parola, e voltosi ai giovani: — Fratelli,» disse, «la principessa Nuronnihar, che forma egualmente l’oggetto de’ nostri voti, trovasi in fatti in uno stato che l’avvicina alla morte d’assai; ma per quanto mi pare, purchè non perdiamo tempo, avvi ancor modo di preservarla dal passo fatale. —

«Traendosi allora dal seno il pomo artificiale da lui acquistato, e mostratolo ai fratelli: — Questo pomo,» soggiunse, «non mi è costato meno del tappeto e del tubo d’avorio che ciascuno di voi riportò dal suo viaggio. L’occasione che si presenta di mostrarvene la maravigliosa virtù, fa sì ch’io non mi dolga delle quaranta borse ch’esso mi costa. Per non tenervi più a luogo sospesi, esso ha la virtù che un ammalato, fiutandolo, anche in agonia, ricupera sull’istante la salute: l’esperienza che ne feci mi vieta di dubitarne, e posso mostrarne a voi pure l'effetto nella persona della nostra cara cugina Nuronnihar, se ci sollecitiamo quanto è d’uopo per soccorrerla.

«— Se così è,» riprese Hussain, «non possiamo usare maggior diligenza che trasportandoci sull’istante nella stanza della principessa per mezzo del mio tappeto. Non perdiamo tempo; avvicinatevi, sedete qui con me; esso è abbastanza grande per contenerci tutti e tre senza incomodo; ma prima di tutto diamo ciascuno ordine ai nostri servi di partir subito insieme, e venirci a trovare al palazzo. —

«Dato l’ordine, Alì ed Ahmed sedettero sul tappeto con Hussain, ed avendo tutti e tre il medesimo interesse, formarono pure il medesimo desiderio di essere trasportati nella stanza di Nuronnihar; il desiderio fu esaudito sull’istante, e vennero trasportati sì celeremente, che si avvidero bensì di trovarsi nel [p. 5 modifica] luogo bramato, ma non già d’essere partiti da quelle ove stavano poc’anzi.

«L’inaspettata presenza de’ tre principi spaventò tanto le donzelle e gli eunuchi dalla principessa, i quali non comprendevano per qual incanto tre uomini si trovassero tra loro, che non li riconobbero alla prima, e gli eunuchi stavano per iscagliarsi su di essi come contro gente penetrata in un luogo al quale non era neppur bello d’accostarsi; ma in breve rinvennero dall’errore riconoscendo per quelli ch’erano in fatti.»


NOTTE CCCXCIX


— Sire,» continuò la sultana delle Indie, «non appena il principe Ahmed si trovò nella stanza di Nuronnihar, nè appena ebbe veduta la fanciulla moribonda, si alzò dal tappeto, ciò che pur fecero gli altri due principi, ed accostatosi al letto, le mise sono le nari il meraviglioso pomo. Poco dopo, la principessa aprì gli occhi, volse qua e là il capo mirando le persone che la circondavano, e postasi a sedere sul letto, domandò di vestirsi colla medesima libertà e conoscenza come se altro non avesse fatto che destarsi da profondo sonno. Le sue donzelle la informarono tosto in modo che ben dinotava la loro gioia, come fosse ai tre suoi cugini ch’ella doveva il subitaneo ricupero della salute; laonde, dimostrando subito l’allegrezza che provava di rivederli; li ringraziò tutti assieme, Ahmed in particolare. Siccome ella aveva chiesto di vestirsi, i principi limitaronsi [p. 6 modifica] ad esprimerle quanto grande era la loro, gioia d’essere giunti abbastanza in tempo per contribuire, ciascuno in qualche cosa, a ritrarla dal pericolo urgente in cui versava, ed i voti ardenti che facevano per la lunga durata della sua vita; quindi si ritirarono.

«Mentre la giovane abbigliavasi, i principi, uscendo dal suo appartamento, andarono a gettarsi appiè del sultano loro padre, per presentargli i loro omaggi. Comparendogli davanti, trovarono d’essere stati prevenuti dall’eunuco primario della principessa, il quale stava già informandolo del loro arrivo imprevisto, e del modo onde la principessa era stata, per opera loro, perfettamente guarita. Abbracciolli il sultano col maggior giubilo, tanto più che, nel medesimo tempo, in cui li vedea di ritorno, sentiva che la nipote, cui amava come propria figluola, dopo essere stata spedita dai medici, aveva ricuperata la primiera salute in guisa affatto miracolosa. Dopo i complimenti da una parte e dall’altra soliti in simili occasioni, i principi gli presentarono la rarità da ciascuno recata: Hussain, il tappeto che aveva avuto cura di riprendere, uscendo dalla stanze della cugina; Alì, il tubo d’avorio; ed Ahmed il pomo artificiale. Fattone ciascuno a sua volta l’elogio mano mano che glielo consegnava, lo supplicarono tutti di pronunziare intorno a quello cui egli si degnasse dare la preferenza, dichiarando a chi dei tre concedesse Nuronnihar in isposa, secondo la promessa.

«Il sultano delle Indie, ascoltato con benevolenza tutto ciò che i principi vollero dimostrargli in favore di quanto avevano riportato, senza interromperli, e ben istruito sulla causa della guarigione della nipote, rimase alcun tempo in silenzio, quasi meditando su ciò che dovesse rispondere; finalmente lo ruppe, tenendo loro questo discorso pieno di saggezza. [p. 7 modifica]

«— Figliuoli,» disse, «sceglierei con grandissimo piacere uno di voi, se lo potessi fare con giustizia; ma considerate voi medesimi se io realmente lo possa. Voi, principe Ahmed, vero è che mia nipote deve la sua guarigione al vostro pomo artificiale; ma, domando io, gliela avreste voi procurata, se prima il tubo d’avorio di Alì non ti avesse somministrato il mezzo di conoscere il pericolo in cui trovavasi, e se il tappeto del principe Hussain non vi avesse servito a venirla a soccorrere prontamente? E voi, Alì, il vostro tubo d’avorio giovè a far conoscere, a voi ed ai vostri fratelli, ch’eravate per perdere la cugina, ed in ciò è d’uopo convenire ch’essa vi deve grand’obbligazione. Bisogna però che ancor voi conveniate, che siffatta cognizione inutile sarebbe rimasta pel bene che le ne derivò, senza il pomo artificiale e senza il tappeto fatato. E voi, finalmente, Hussain, la principessa sarebbe un’ingrata se non vi dimostrasse la sua riconoscenza in considerazione del vostro tappeto, sì opportuno per procurarle la guarigione. Ma considerate che non sarebbe stato d’uso veruno per contribuirvi, se non aveste avuto prima notizia della malattia, e se Ahmed non avesse, per risanarla, adoperato il suo pomo artificiale. Perciò, siccome ne il tappeto, nè il tubo d’avorio, nè il pomo artificiale non mi concedono di dare la minima preferenza all’uno più che all’altro, ma per lo contrario una perfetta eguaglianza a ciascuno, e siccome io non posso accordare la principessa Nurounihar che ad uno solo, vedete voi medesimi che il solo frutto riportato dal vostro viaggio, è la gloria di aver egualmente contribuito a tornarla in salute.

«Se ciò è vero,» soggiunse il sultano, «sarete pur persuasi che tocca a me di ricorrere ad altra via per determinarmi in guisa più certa nella scelta che debbo fare tra voi. Ora, siccome v’ha ancor tempo [p. 8 modifica] sino a notte, egli è ciò che intendo fare quest’oggi medesimo. Andate adunque, prendete un arco ed, una freccia, e recatevi fuor della città, nella grande pianura degli esercizi de’ cavalli; mi accingo subito a seguirvi anch’io, e dichiaro che darò la principessa Nuronnihar in isposa a chi di voi avrà tirato più lontano.

«Del resto, non dimentico che devo ringraziarvi tutti in generale, e ciascuno in particolare, come faccio, del presente che mi riportaste. Molte rarità serbo nel mio gabinetto, ma non v’ha nulla che si accosti alla singolarità del tappeto, del tubo d’avorio e del pomo artificiale, de’ quali sto per arricchirlo ed accrescerlo. Sono tre capi che vi occuperanno il primo luogo, e ch’io conserverò preziosamente, non per semplice curiosità, ma per ricavarne, all’occasione, l’uso proficuo che se ne può ottenere. —

«I tre principi non ebbero nulla a rispondere, alla decisione pronunziata dal sultano. Quando furono lungi dalla sua presenza, si fecero dare un arco ed una freccia ciascuno, ch’essi consegnarono ai propri ufficiali, già adunati al primo annunzio del loro arrivo, e recaronsi quindi, seguiti da folla innumerevole di popolo, alla pianura degli esercizi de’ cavalli.

«Il sultano non si fece aspettare, ed allorché fu giunto, il principe Hussain, come primogenito, presa l’arco e la freccia, tirò pel primo; tirò poscia Alì, e se ne vide cadere la freccia più lontano che quella di Hussain; Ahmed tirò per l’ultimo, ma si perdè di vista la sua, e niuno la vide cadere. Si corse, si cercò, ma per quante ricerche si facessero, e fece il giovane in persona, non fu possibile trovare la freccia nè vicino, nè lontano. Quantunque potesse supporsi aver egli tirato più lungi di tutti, e così meritasse la mano di Nuronnihar, nondimeno, siccome era necessario che, per rendere la cosa evidente e certa, si [p. 9 modifica] trovasse la freccia, malgrado le rimostranze fatte al sultano, non lasciò questi di giudicare in favore del principe Alì. Dati adunque gli ordini pei preparativi della solennità delle nozze, pochi giorni dopo queste si celebrarono con grandissima magnificenza.»


NOTTE CD


Il mattino seguente, la sultana delle Indie, proseguendo il racconto:

— Sire, il principe Hussain non onorò le feste della propria presenza. La sua passione per la principessa Nuronnihar essendo sincera e vivissima, non si sentì forza bastevole per sopportar con pazienza la mortificazione di vederla passare nelle braccia di Alì, il quale, diceva egli, non la meritava meglio, nè l’amava con maggior affetto di lui. Ne provò anzi un dispiacere così sensibile che abbandonò la corte, e rinunziò ai diritto di succedere alla corona per andare a farsi dervis, e mettersi sotto la disciplina d’un famoso sceik, il quale godeva d’altissima riputazione di condurre vita esemplare, ed avea stabilito il domicilio, insieme a’ numerosi suoi discepoli, in un’amena solitudine.

«Nè Ahmed, pei motivi medesimi del principe Hussain, volle neppur egli assistere alle nozze di Alì con Nuronnihar, ma non rinunziò al mondo come lui. Non potendo comprendere come la freccia da lui scoccata, fosse, per così dire, divenuta invisibile, si sottrasse alla sua gente, e risoluto di cercarla onde non aver nulla a rimproverarsi, recossi al sito dov’erano state raccolte quello dei principi Hussain ed Alì, [p. 10 modifica] e colà, un passo dopo l’altro, camminando sempre dritto, e volgendo gli sguardi da una parte e dall’altra, andò tanto innanzi senza trovare quanto cercava, che stimò essere per riuscirgli inutile quella fatica. Attirato nondimeno come suo malgrado, non lasciò di procedere sino a certe rupi altissime, ove sarebbe stato costretto a disviare se avesse voluto passar oltre; quelle rupi, assai scoscese, giacevano in un luogo sterile, quattro buone leghe distanti dal punto ond’era partito.

«Avvicinandosi alle rocce, Ahmed scorge una freccia; la raccoglie, la considera, ed estrema è la sua maraviglia vedendo ch’era la medesima da lui scoccata! — È dessa,» disse fra se; «ma nè io, ne alcun mortale al mondo non abbiamo certo la forza di scagliare una freccia a tal distanza.» Siccome l’aveva trovata distesa per terra e non confitta colla punta, stimò che avesse battuto nella rupe e fosse stata ribattuta dalla sua resistenza. «Qui c’è sotto qualche mistero,» tornò a dire, «in una cosa si straordinaria, e questo mistero non può essere che vantaggioso per me. La fortuna, dopo avermi afflitto privandomi del possedimento d’un bene che doveva, com’io sperava, formare la felicità della mia vita, me ne serba forse un altro per mia consolazione.—

«In tal pensiero, siccome la facciata di quelle rupi avanzavasi in punte, ritirandosi in vari sfondi, il principe entrò in uno di questi, e nel volgersi qua e là, presentossi a suoi sguardi una porta di ferro senza apparenza di serratura. Temè non fosse chiusa, ma sospingendola, quella si apri per di dentro, ed ei vide un suolo inclinato in dolce pendio, senza gradini, pel quale discese col dardo in mano. Stimava immergersi nelle tenebre; ma in breve successe, a quella ch’ei lasciava una luce affatto diversa; ed entrando in una spaziosa piazza, di cinquanta [p. 11 modifica] o sessanta passi circa, vide un palazzo magnifico, di cui non ebbe tempo di ammirare la stupenda struttura; imperocchè, nello stesso istante, una dama d’aria e portamento maestoso, e d’una beltà alla quale niun vantaggio crescevano nè la ricchezza dell’abito ond’era vestita, nè le gemme che l’adornavano, avanzossi sino sul vestibolo, accompagnata da una turba di donne, fra cui ebbe poca difficoltà a distinguere la padrona.

«Appena il giovane ebbe scorta la dama, sollecitò il passo per andare a tributarle i suoi ossequi; e la dama, dal canto suo, vedendoselo venire incontro, lo prevenne, alzando la voce, con queste parole: — Principe Ahmed, avvicinatevi; siate il ben venuto. —

«Sommo fu lo stupore del principe udendosi nominare in un paese del quale non avea mai inteso parlare, sebbene così vicino alla capitale del sultano suo padre; nè comprendeva come potesse essere conosciuto da una dama a lui ignota. Accostasi infine alla dama, se le getta a’ piedi, e rialzandosi: — Madama,» le dice, «al mio giungere in un luogo nel quale temeva la curiosità non mia avesse fatto imprudentemente penetrare, vi rendo mille grazie dell’assicurazione che mi date d’essere il ben venuto; ma, o signora, oserei, senza commettere inciviltà; domandarvi per qual avventura accade che, come voi medesima me ne istruite, io non vi sia sconosciuto, a voi, ripeto, che ci siete tanto vicina, senza ch’io ne abbia mai avuto cognizione se non oggi? — Principe,» rispose la dama, «entriamo in sala: soddisferò alla vostra domanda più comodamente per voi e per me. —

«Terminando tali parole, la dama, per insegnare al principe Ahmed la via, lo guidò in una sala, la cui maravigliosa struttura, l’oro e l’ azzurro che ne [p. 12 modifica] abbellivano la volta a foggia di cupola, e la ricchezza inestimabile delle suppellettili, gli parvero novità sì rara, che ne dimostrò la propria ammirazione, sclamando di non aver mai veduto nulla di simile, nè credeva che nulla veder si potesse se ne approssimasse.

«— Vi assicuro però, — riprese la dama, «che questa è la minor parte del mio palazzo, e ne converrete quando ve ne avrò fatto vedere tutti gli appartamenti. —

«La dama sedè sur un sofà; il giovane prese posto accanto a lei, ed alla preghiera ch’egli le volse: — Principe,» cominciò, «vi meravigliate, voi dite, perchè io vi conosca senza che voi mi conosciuta; ma cesserà il vostro stupore quando vi avrò palesato chi sono. Voi non ignorate, senza dubbio, una cosa che la vostra religione v’insegna, ed è che il mondo trovasi abitato da genial pari che da uomini. Io sono figliuola d’uno di questi geni, de’ più possenti e distinti, ed il mio nome è Pari-Banù; talchè dovete cessare dal maravigliarvi che io conosca voi, il sultano nostro padre, i principi vostri fratelli e la principessa Nuronnihar. Sono parimenti informata del vostro amore e del vostro viaggio, onde potrei dirvi tutte le circostanze, poichè fui io a far porre in vendita a Samarcanda il pomo artificiale, che vi compraste; a Bisnagar, il tappeto trovatovi dal principe Hussain, ed a Sciraz il tubo d’avorio che ne riportò il principe Alì. Ciò basterà a farvi comprendere che nulla mi è ignoto di quanto vi risguarda. Aggiungerò soltanto che mi sembraste degno d’una sorte più felice di quella di possedere la principessa Nuronnihar, e che per farvici pervenire, trovandomi, io presente al momento che scoccaste la freccia, cui vi reggo in mano, e prevedendo non avrebbe oltrepassato nemmeno quella del principe Hussain, [p. 13 modifica] la presi per aria, e le diedi il moto necessario perchè venisse a battere nelle rupi, presso le quali testè la ritrovaste. Starà in voi solo d’approfittare dell’occasione, ch’essa vi presenta, di diventar felice.»


NOTTE CDI


— La fata Pari-Banù avendo pronunziate quest’ultime parole con diverso accento, guardando anche in atto tenero il principe Ahmed, e chinando per subita modestia gli occhi, con un rossore che le salì sul volto, non fu al giovane malagevole comprendere di qual felicità intendesse ella parlare. Considerando adunque a prima vista che la principessa Nuronnihar non potea più essere sua, e che la fata Pari-Banù superavala assai in bellezza, in vezzi ed in attrative, non meno che per uno spirito trascendente ed immense dovizie, per quanto congetturar potea dalla magnificenza del palazzo, in cui trovavasi, benedisse il momento in cui eragli sorto il pensiero di cercare una seconda volta la freccia da lui scoccata, e cedendo alla simpatia che trascinavalo verso l’oggetto che l’accendeva di novello amore: — Signora,» disse, «quando per non avessi altra felicità in tutto il corso della mia vita fuor di quella d’essere vostro schiavo ed ammiratore di tante prerogative che mi rapiscono, mi stimerei ancora il più fortunato dei mortali. Perdonatemi adunque l’ardire che m’ispira di domandarmi tal grazia, e non isdegnate, col ricusarmela, d’accogliere nella vostra corte un principe che tutto a voi si consacra. — [p. 14 modifica]«— Principe,» ripigliò la fata, «essendo molto tempo ch’io sono padrona della mia volontà, col consenso de’ miei parenti, non è in qualità di schiavo ch’io vi voglio accettare nella mia corte, ma come padrone della mia persona e di tutto ciò che m’appartiene e può appartenermi, dandomi la vostra fede, e volendomi aggradire qual vostra sposa. Spero non vi spiacerà se io vi provenga, con questa offerta. Già vi dissi che sono padrona della mia volontà: ora aggiungerò che non è lo stesso delle fate come delle donne mortali verso gli uomini, le quali non sogliono fare simili proposte, e terrebbono a gran disonore il procedere di tal guisa. Quanto a noi, lo facciamo, e crediamo che debba riescir gradito. —

«Ahmed nulla rispose a tal discorso della fata; ma compreso di gratitudine, crede non poter meglio manifestarla che coll’avvicinarsi per baciarle il lembo della veste. Non gliene diede essa il tempo, e presentatagli la mano, cui egli baciò, e trattenendo e stringendogli la sua: — Principe Ahmed,» gli disse, «non mi date voi la vostra fede, come io vi do’ la mia? — Ah, madama!» rispose il giovane, trasportato di gioia; «cosa potrei io fare di meglio, e che mi recasse maggior piacere? Sì, mia sultana, mia regina, io ve la do col mio cuore; senza riserva. — Se così è,» ripigliò la fata, «voi siete mio sposo ed io sono vostra sposa. I matrimoni tra noi non si celebrano con altre cerimonie, e sono più fermi ed indissolubili che non fra i mortali, ad onta delle formalità ch’essi v’arrecano. Adesso,» proseguì, «mentre si preparerà per questa sera il banchetto delle nostre nozze, siccome oggi probabilmente non avete preso nulla, vi farò recare una leggiera refezione, e poi vi mostrerò gli appartamenti del mio palazzo, e giudicherete voi medesimo se non sia vero, come vi dissi, che questa sala n’è la parte più meschina. — [p. 15 modifica]«Alcune fra le donne della fata, ch’erano con lei entrate in sala, e ne compresoro l’intenzione, uscirono, portando poco dopo cibi e vino squisito.

«Quando Ahmed si fu ristorato a sufficienza, la fata Pari-Banù lo condusse d’appartamemo in appartamento, dov’ei vide il diamante, il rubino, lo smeraldo e tutte le sorta di pietre fine, adoperate colle perle, l’agata, il diaspro, il porfido ed ogni specie de’ marmi più preziosi, senza parlare delle masserizie d’inestimabile ricchezza, il tutto profuso in modo sì stupendo, che ben lungi dall’aver veduto cosa che vi si accostasse, confessò nulla potervi essere di simile al mondo.

«— Principe,» disse allora la fata, «se tanto ammirate il mio palazzo, il quale, a dire vero, ha grandi bellezze, cosa direste poi di quelli dei capi dei nostri geni, che sono assai più belli, grandiosi e magnifici? Potrei farvi ammirare anche la venustà del mio giardino; ma ciò sarà per un’ altra volta: la notte si avvicina, ed è tempo di metterci a tavola. —

«La sala nella quale la fata fece entrare Ahmed, ed in cui stava apparecchiata la mensa, era l’ultimo luogo del palazzo che rimaneva da mostrare al principe, non inferiore a veruno di tutti quelli già percorsi. Entrando, ammirò l’illuminazione d’una infinità di lampade profumate d’ambra, la cui moltitudine, ben lungi dal produr confusione, era disposta con sì ben intesa simmetria, che faceva piacere a vederla. Ammirò parimente una grande credenza piena di vasellami d’oro, cui l’arte rendea più preziosi della materia; parecchi cori di donne, tutte d’incantevole beltà e riccamente vestite, che cominciarono un concerto di voci e d’ogni sorta d’istrumenti i più armoniosi che si udissero. Si misero a tavola, e Pari-Banù usò gran cura di servire al giovane i cibi più dilicati, ch’essa di mano in mano gli nominava, invitandolo a [p. 16 modifica] gustarne; e siccome il principe non ne aveva mai inteso parlare e li trovava squisiti, ne tesseva l’elogio, sclamando che il buon pasto ch’ella faceagli fare superava tutti quelli the si usavano tra gli uomini. E lodò del pari l’eccellenza del vino che gli fu servito, del quale non cominciarono però a bere, la fata e lui, se non all’ultima portata, composta sol di frutta, dolci, ed altre cose adatte a farla parer migliore.


NOTTE CDII


— Dopo la frutta, la fata Pari-Banù ed il principe Ahmed allontanaronsi dalla tavola, che fu sul momento levata, e sedettero a loro agio sul sofà, appoggiandosi ai cuscini di stoffa di seta a fiori di vario colore; lavorò all’ago di grande delicatezza. Tosto entrarono nella sala geni e fate in gran numero; dando principio ad un ballo de’ più maravigliosi, continuandolo finchè la fata ed il principe si alzarono. Allora i geni e le fate, continuando a danzare, uscirono dalla sala, precedendo i novelli sposi sino alla porta della stanze nella quale sorge il talamo nuziale, disponendosi, quando vi furono giunti, in due file per lasciarli passare; indi, ritiratisi, li lasciarono in libertà di coricarsi.

«La festa delle nozze fu proseguita la domane, o piuttosto i giorni, che ne seguirono la celebrazione, furono una festa continua; che la fata Pari-Banù, cui la cosa riusciva agevole, seppe variare con nuovi intingoli e cibi diversi ne’ conviti, con nuovi concerti; nuove danze, e spettacoli e divertimenti vari, tutti [p. 17 modifica] straordinari, che Ahmed non avrebbe saputo immaginarseli tra gli uomini in tutta la sua vita quando pure avesse campato mille anni.

«L’intenzione della fata non fu soltanto di dare al principe prove speciali della sincerità dell’amor suo e del trasporto della propria passione; ma volle eziandio fargli conoscere per tal via, che siccome egli non avea più nulla a pretendere alla corte del sultano suo padre, e che in nessun luogo della terra; senza parlare della sua bellezza, nè dei vezzi che l’accompagnavano, non avrebbe trovato cosa paragonabile alla felicità cui presso di lei godeva, doveva attaccarsi a lei per intiero, non separandosene mai più. E riuscì perfettamente in ciò ch’erasi proposto: la passione del principe Ahmed non diminuì col possesso, crescendo anzi al punto che più non era in sua facoltà di cessare dal suo affetto, quand’anche ella stessa avesse potuto risolversi a non più amarlo.

«Scorsi sei mesi, Ahmed, il quale aveva sempre amato ed onorato il padre, concepì un forte desiderio di saperne notizia, e non potendo appagarlo se non allontanandosi qualche tempo per andarne a sentire in persona, ne parlò in un colloquio a Pari-Banù, pregandola di concedergliene il permesso. Quel discorso inquietò la fata, la quale temè non fosse un pretesto per abbandonarla; laonde gli disse: — In che cosa posso io avervi dispiaciuta per costringervi a chiedermi tale permesso? Sarebbe mai possibile che aveste dimenticato di avermi data la vostra fede, e non mi amaste più, io che v’amo con tanta passione? Dovete esserne ben persuaso dalle prove che non cesso di darvene.

«— Mia regina,» rispose il giovane, «sono convinto del vostro amore, e me ne renderei indegno se non ve ne dimostrassi la mia riconoscenza con pari affetto. Se vi offende la mia domanda, vi [p. 18 modifica] supplico di perdonarmelo; non v’ha riparazione ch’io non sia pronto a darvi. Non lo feci per dispiacervi; unicamente mi mosse un motivo di rispetto verso il sultano mio padre, che desidererei sollevare dall’afflizione in cui devo averlo certamente immerso con una sì lunga assenza; afflizione tanto maggiore, come ho ragione di presumere, in quanto ch’ei non mi crede più in vita. Ma poichè vi dispiace che vada a dargli tale consolazione, io voglio ciò che voi volete, e non v’ha nulla al mondo che non sia disposto ad intraprendere per compiacervi. —

«Ahmed non fingeva, ed amandola in fatti di tutto cuore quanto avevale assicurato con quelle parole, cessò d’insistere ulteriormente sul permesso a lei richiesto, e la fata gli dimostrò quanto fosse soddisfatta della sua sommessione. Pure, non potendo abbandonare al tutto il disegno formato, ostentò d’intertenerla di tanto in tanto delle belle qualità del sultano delle Indie, e specialmente delle prove di tenerezza ond’eragli obbligato in particolare, colla speranza che alla fine si lascerebbe piegare.

«Ora, come Ahmed aveva pensato, era vero che il sultano delle Indie, in mezzo alle allegrezze in occasione delle nozze del principe Alì colla cugina Nuronnihar, dolevasi sommamente dell’assenza degli altri due suoi figliuoli. Non istette guari ad essere informato del partito preso da Hussain di abbandonare il mondo, e del luogo da lui scelto per dimora. Come un buon padre, che fa consistere parte della sua felicità nel vedere contenti i propri figli, particolarmente quando si rendono degni della sua tenerezza, avrebbe preferito che quegli fosse rimasto alla corte, attaccato alla propria persona; ma tuttavia, non potendo disapprovare la scelta dello stato di perfezione nel quale erasi impegnato, tollerò con pazienza la di lui lontananza. Quanto al principe Ahmed, egli fece tutte le possibili [p. 19 modifica] diligenze per averne notizia; spedì corrieri in tutte le province de’ suoi stati, coll’ordine a’ governatori di arrestarlo e costringerlo a tornare alla corte; ma le indagini non ebbero il bramato effetto, e le sue pene, invece di scemare, non fecero che crescere. Spesso se ne lagnava col suo gran visir.

«— Visir,» diceva, «tu sai che Ahmed è quello de’ miei figliuoli ch’io ho sempre più teneramente amato, e non ignori le vie da me tentate per ritrovarlo, e sempre indarno. Sì vivo è il dolore che ne provo, che alla fine soccomberò, se tu non senti pietà di me. Per poco riguardo che abbi alla mia conservazione, ti scongiuro d’assistermi, e giovarmi del tuo soccorso e de’ tuoi consigli.»

Scheherazade fu interrotta dal sorgere del giorno. La domane, essa ripigliò il racconto, continuandolo le notti seguenti nel solito modo.


NOTTE CDIII


— Sire, il gran visir, non meno affezionato alla persona del sultano, che niente a ben disimpegnare l’amministrazione degli affari dello stato, pensando ai mezzi di recargli conforto; si ricordò d’una maga, della quale diceasi maraviglîe, e gli propose di farla chiamare per consultarla. Aderì il sultano, ed il gran visir, fattala venire, gliela condusse in persona.

«Il sultano disse alla maga: — Il dolore che mi opprime per l’assenza del principe Ahmed, sin dal tempo delle nozze del principe Alì, mio figliuolo, colla mia nipote Nuronnihar, è così notorio e pubblico, che tu senza dubbio non lo ignori. Mediante l’arte e [p. 20 modifica] la tua abilità, non potresti dirmi cosa sia stato di lui? È egli ancor vivo? Dov’è? Che fa egli? Devo io sperare di rivederlo? —

«La maga, per soddisfare alle inchieste del sultano, rispose: — Sire, per quanta abilità possa io avere nella mia professione, pur non m’è possibile soddisfare sul subito alla domanda che la maestà vostra mi volge; ma se vuol concedermi tempo sino a domani, gliene darò la risposta.» Accordatole il sultano la dilazione, la licenziò con promessa di ben ricompensarla, se la risposta si trovasse conforme ai suoi desiderii.

«La maga tornò il giorno appresso, ed avendola il gran visir per la seconda volta presentata al sultano, ella gli disse: — Sire, per quanta diligenza abbia usata nel servirmi delle regole dell’arte mia, onde obbedire alla maestà vostra su ciò che desidera conoscere, non ho potuto sapere se non che il principe Ahmed non è morto; la cosa è certissima, e può starne sicura. Circa al luogo in cui possa essere, è quello che non mi fu dato scoprire. —

«Il sultano delle Indie fu obbligato a contentarsi di tale risposta, che lo lasciò all’incirca nella medesima inquietudine di prima sulla sorte del figliuolo.

«Ma per tornare al principe Ahmed, intertenne egli la fata Pari-Banù sì spesso del sultano suo padre, senza parlare più oltre del proprio desiderio di vederlo, che quell’ostentazione le fece comprendere qual ne fosse il pensiero. Cosicchè accortasi del ritegno e del timor suo di spiacerle, dopo il rifiuto che avevagli dato, essa primieramente ne inferì che il di lui affetto per lei, del quale non cessava di darle in tutti gl’incontri evidentissime prove, era veramente sincero; poi, giudicando da sè medesima dell’ingiustizia che vi sarebbe opponendosi alla tenerezza d’un figlio verso il padre, volendolo costringere a [p. 21 modifica] rinunciare alla natural tendenza che ve lo portava, risolse di appagare le di lui ardentissime brame; talchè un giorno gli disse:

«— Principe, il permesso che mi chiedeste d’andar a trovare il sultano vostro padre, aveami indotta nel giusto timore non fosse un pretesto per darmi una prova della vostra incostanza, abbandonandomi: non ho avuto altro motivo per negarvelo; ma ora, pienamente convinta, tanto dalle parole quanto dalle azioni vostre, che riposar posso sulla vostra costanza e sulla fermezza del vostro amore, cangio sentimento, e vi accordo tal permesso, però sotto la condizione di giurar prima che lunga non sarà la vostra assenza, e farete in breve ritorno; non deve tal condizione darvi alcun fastidio come se da voi la esigessi per diffidenza; non lo faccio se non perchè so che non ve ne darà alcuno, dopo il convincimento in cui sono, come già vi dissi, della sincerità del vostro amore. —

«Ahmed volle gettarsi appiè della fata per vie meglio manifestarle la propria gratitudine; ma essa ne lo impedì.

«— Mia sultana,» le diss’egli, «conosco tutto il pregio della grazia che mi concedete; ma mi mancano le parole per ringraziarvene condegnamente. Supplite alla mia impotenza, ve ne scongiuro, e checchè possiate dirne a voi medesima, siate persuasa che ne penso assai di più. Avete ragione di credere che il giuramento, cui da me esigete, non sarà per darmi alcuna pena; e ve lo faccio tanto più volentieri, poichè ormai non è più possibile ch’io viva senza di voi. Parto adunque, e la sollecitudine che metterò a tornare, vi darà a conoscere ch’io l’avrò fatto, non per tema di rendermi spergiuro mancandovi, ma perchè avrò seguita la mia inclinazione, la quale è di vivere inseparabilmente con voi per tutto il resto della vita; [p. 22 modifica] e se me ne allontanerò qualche volta, col vostro beneplacito, vi eviterò sempre il dolore, che una troppo lunga assenza potrebbe cagionarvi. —

«Pari-Banù intanto più lieta di tali sentimenti dello sposo, perchè la liberavano dai sospetti formati contro di lui nel timore, che la sua premura a voler recarsi dal sultano dell’Indie non fosse uno specioso pretesto per rinunziare alla promessa fede. — Principe,» gli rispose, «partite quando v’aggrada; ma prima non vi dispiaccia ch’io vi dia alcuni consigli intorno al modo con cui sarà bene vi comportiate nel vostro viaggio. In primo luogo, io non credo conveniente parlare al sultano vostro padre del nostro matrimonio, nè della mia qualità, non più che del luogo di nostra dimora, in cui, dacchè vi trovate da lui lontano, siete stabilito. Pregatelo a contentarsi di sapere che siete felice, che nulla desiderate di più, e che il solo motivo che v’ha spinto a visitarlo, è di far cessare le inquietudini nelle quali poteva essere sul vostro destino.»


NOTTE CDIV


— In fine, per accompagnarlo, gli diede venti cavalieri ben montati e meglio equipaggiati; e quando tutto fu all’ordine, il giovane prese congedo dalla consorte abbracciandola, e rinnovando la promessa di far in breve ritorno. Gli fu condotto il cavallo da lei fattogli allestire, il quale, oltre ad essere riccamente bardato, era pure più il bello e di maggior valore di quanti esistessero nelle scuderie del sultano dell’Indie. Lo inforcò egli con molta grazia, a gran piacere della fata, e voltole l’ultimo addio, partì. [p. 23 modifica]«Non essendo lunga la strada che conduceva alla capitale delle Indie, Ahmed mise poco tempo a giungervi, ed appena vi fu entrato, il popolo, giubilante di rivederlo, lo accolse con acclamazioni, accompagnandolo in folla sino all’appartamento del sultano. Il genitore lo ricevette a braccia aperte, e con altissima letizia, lagnandosi però, in modo proveniente dalla paterna sua tenerezza, del dolore che la lunga di lui assenza gli aveva cagionato. — E tale assenza,» soggiunse, «mi è stata tanto più dolorosa, perchè dopo quanto la sorte ebbe deciso in vostro svantaggio ed a favore del principe Alì, vostro fratello, aveva motivo di temere non vi foste lasciato trascorrere a qualche atto di disperazione.

«— Sire,» rispose Ahmed, «lascio considerare a vostra maestà se dopo aver perduto la principessa Nuronnihar, ch’era l’oggetto unico delle mie brame, io poteva risolvermi a rimaner testimonio della felicità del principe Alì. Se fossi stato capace d’un’indegnità di tal natura, che sarebbesi mai pensato alla corte ed in città dell’amor mio, e che cosa pensato ne avrebbe vostra maestà medesima? È l’amore una passione di cui non possiamo sbarazzarci a piacimento: domina essa e tiranneggia, e non dà ad un vero amante il tempo di far uso della propria ragione. Vostra maestà sa che, scoccando la mia freccia, m’avvenne cosa straordinaria non prima d’ora accaduta ad alcuno, cioè che non fu possibile rinvenire il dardo, benchè l’avessi tirato in una pianura così eguale e sgombra da ogni impaccio com’è quella degli esercizi de’ cavalli, producendomi di tal guisa la perdita d’un bene, il cui possesso non era meno dovuto all’amor mio che nol lesse ai principi miei fratelli. Vinto dal capriccio della sorte, non perdoni il tempo in vane querele. Onde appagare il mio spirito inquieto per quell’avventura, ch’io non intendeva, mi allontanai [p. 24 modifica] inosservato della mia gente, e tornai solo sul luogo della lizza. La cercai qua e là, a destra ed a sinistra del sito ove sapea ch’erano state raccolte quelle di Hussain e di Alì, e nel quale pareva dovesse esser caduta anche la mia: ma ogni fatica fu inutile. Non mi stancaì; proseguii le indagini, e continuando a progredire pel piano sempre in linea retta, dove m’immaginava che fosse caduta, aveva già fatto più d’una lega, volgendo gli occhi da una banda e dall’altra, ed anche deviando tratto tratto per recarmi a riconoscere il minimo oggetto che mi porgesse idea d’uno strale, quando riflettei non esser possibile che il mio fosse giunto così lontano: mi fermai quindi, e chiesi fra me se non avessi perduto il cervello, e se il buon senso non mi mancasse a segno di lusingarmi d’aver avuta la forza di spingere sì lungi una freccia, che niuno de’ nostri eroi più antichi e famosi per la loro forza, mai non avessero fatto. Dietro tal ragionamento, stava per abbandonare l’impresa; ma quando volli eseguire la mia risoluzione, mi sentii come trascinato mio malgrado; dopo aver camminato per quattro buone leghe, giunto laddove la pianura è finita da certe rupi, vidi una freccia; corsi a raccoglierla, e riconobbi esser quella ch’io aveva tirata, ma che non si era trovata nel luogo e nel tempo che abbisognava. Laonde, ben lontano dal pensiero che la maestà vostra mi avesse usato un’ingiustizia pronunziando in favore del principe Alì, interpretai diversamente ciò che mi era accaduto, nè dubitai non ci fosse sotto qualche mistero a mio vantaggio, intorno al quale non doveva tralasciar nulla per chiarirmene; e lo fui senza troppo allontanarmi dal luogo; ma è questo un altro mistero sul quale supplico vostra maestà non le spiaccia ch’io custodisca il silenzio, e si limiti a sapere dalla mia bocca che sono felice e contento della mia sorte. In mezzo a questa, siccome sola cosa che [p. 25 modifica] la turbasse, e fosse capace di turbarle, era l’inquietudine nella quale non dubitava che vostra maestà vivesse sulla mia sorte dopo le mia scomparsa dalla corte, stimai mio dovere venirvene a liberare. e non volli mancarvi. Ecco l’unico motivo che mi conduce, e la sola grazia che imploro da vostra maestà è di permettermi ch’io venga di tempo in tempo a tributarlo i miei rispetti ed informarmi dello stato di sua salute.

«— Figliuol mio,» rispose il sultano delle Indie, «non posso negarvi il permesso che mi chiedete; avrei però preferito che rimaneste presso di me. Insegnatemi almeno come possa aver vostre notizie tutte le volte che mancaste di venirmene a dare voi medesimo in persona, o che necessaria fosse la vostra presenza. — Sire,» rispose Ahmed, «ciò che la maestà vostra mi domanda, forma parte del mistero di cui le ho parlato; la supplico adunque di volermi concedere che, anche su questo punto, conservi lo stesso silenzio: mi recherà sì di frequente al mio dovere, che temo piuttosto rendermi importuno, di quello che darle motivo d’accusarmi di trascuratezza, allorchè la mia presenza sarà necessaria.»


NOTTE CDV


«— Sire,» proseguì la domane Scheherazade, «il sultano delle Indie non istancò ulteriormente Ahmed su tale proposito, e gli disse: — Figliuolo, non voglio penetrare più innanzi nel vostro segreto; ve ne lascio intieramente padrone, per dirvi che non potevate farmi maggior piacere di quello di venir a restituirmi, colla [p. 26 modifica] vostra presenza, l’allegrezza della quale io da tanto tempo non era più suscettibile, e che sarete sempre il benvenuto ogni qualvolta vorrete tornare, senza pregiudizio delle vostre occupazioni o de’ piaceri vostri. —

«Ahmed non rimase più di tre giorni alla corte del padre, e partitone il quarto di buon mattino, la fata Pari-Banù lo accolse con alta gioia perchè non si attendeva a vederlo sì presto di ritorno; la qual sua sollecitudine fu causa ch’ella rimproverasse se medesima d’averlo sospettato capace di mancare alla fedeltà che lo doveva, ed avevale tanto solennemente promessa. Nè lo dissimulò al principe, francamente confessandogli la sua debolezza, e chiedendogliene perdono. Allora l’unione de’ due amanti divenne così perfetta, che quanto l’uno voleva, era pure il desiderio dell’altro.

«Un mese dopo il ritorno del principe, avendo la fata Pari-Banù notato che da quel tempo lo sposo, il quale non aveva mancato di farle il racconto del suo viaggio, e parlarle del colloquio avuto col padre, in cui pure avevagli chiesto il permesso di venirlo tratto tratto a vedere; che il principe diceva, non le parlava più del sultano come se più non esistesse, invece che prima ne faceva sempre parola, stimò se ne astenesse per di lei considerazione. Laonde pres’ella occasione un giorno di tenergli questo discorso:

— Ditemi, principe, avete voi posto in oblio il sultano vostro padre? Non vi ricordate più della promessa che gli faceste d’andare di quando in quando a trovarlo? Per me, non dimenticai certo ciò che me ne diceste al vostro ritorno, e ve lo rammento, affinchè non lasciate trascorrere molto tempo senza adempire alla vostra promessa.

«— Signora,» rispose Ahmed, collo stesso accento [p. 27 modifica] gioviale della fata, «siccome non mi sento colpevole della dimenticanza onde mi parlate, preferisco soffrire il rimprovero vostro, senza averlo meritato, anzichè espormi ad un rifiuto, dimostrandovi una sollecitudine fuor di luogo d’ottenere cosa che avrebbe potuto riescirvi discaro d’accordarmi. — Principe,» ripigliò la fata, «non voglio che abbiate ormai più tali riguardi per me; e perchè un fatto simile più non accada, essendo già un mese che non avete veduto il sultano delle Indie vostro padre, mi pare che non dobbiate mettere, nelle visite da fargli, maggior intervallo d’un mese. Cominciate dunque da domani, e continuate così di mese in mese, senza esservi bisogno che me ne facciate parola, od attendiate ch’io ve ne favelli; vi acconsento assai volontieri. —

«Il principe Ahmed partì dunque il giorno seguente colla stessa comitiva, ma più splendida, ed egli medesimo più magnificamente montato, equipaggiato e vestito della prima volta, e fu dal sultano ricevuto colla stessa gioia e compiacenza, continuando così per molti mesi a visitarlo, sempre in un equipaggio più sfarzoso.

«Alla fine, alcuni visiri, favoriti del sultano, i quali giudicarono della grandezza e potenza del principe Ahmed dai segni ch’ei ne mostrava, abusarono della libertà che il sultano loro concedeva di parlargli, per fargli sorgere nell’animo qualche sospetto contro di lui. Gli dimostrarono come non fosse prudenza ignorare dove il figliuolo si ritirasse, d’onde ritraesse di che fare tanta spesa, egli cui non aveva assegnato appannaggio, nè rendita di sorta, e che parea non venisse alla corte se non per imporgli, ostentando di mostrare che non aveva bisogno delle sue liberalità per vivere da principe, e finalmente esser da temere non gli sollevasse i popoli per tentare di detronizzarlo. [p. 28 modifica]«Il sultano, ben lungi dal pensiero che Ahmed fosse capace di formare un disegno sì malvagio qual era quello che i favoriti pretendevano d’insinuargli, rispose loro: — Voi burlate; mio figlio mi ama, ed io sono vie maggiormente certo del suo affetto e della fedeltà sua, perchè non mi ricordo d’avergli dato il minimo motivo d’essere scontento di me. —

«A tali parole, un favorito prese l’occasione di dirgli: — Sire, benchè vostra maestà, a giudizio generale de’ più sensati, non abbia potuto adottare miglior partito di quello da lei preso per mettere d’accordo i tre principi in proposito del matrimonio della principessa Nuronnihar, chi sa se il principe Ahmed sìasi assoggettato alla decisione della sorte colla medesima rassegnazione del principe Hussain? Non può essersi immaginato di meritarla egli solo, e che vostra maestà, invece di accordargliela preferibilmente a’ suoi fratelli maggiori, abbiagli usato ingiustizia, rimettendo la cosa alla decisione della sorte?

«Vostra maestà può opporre,» aggiunse il maligno favorito, «che il principe Ahmed non da verun segno di malcontento, che vani sono i nostri timori, che ci spaventiamo troppo facilmente, e che abbiam torto a suggerirle sospetti di tal natura contro un principe del suo sangue, che forse non hanno fondamento; ma, o sire,» proseguiva il favorito, «questi sospetti possono fors’anco essere ben fondati. Vostra maestà non ignora che in affare sì dilicato ed importante, bisogna appigliarsi al partito più sicuro; consideri che la dissimulazione da parte del principe la può illudere ed ingannare, e che tanto più è a temersi il pericolo, poichè sembra che il principe Ahmed non dimori molto lontano dalla sua capitale. In fatti, ov’ella vi abbia prestata la medesima attenzione di noi, avrà potuto osservare che tutte le volte ch’ei [p. 29 modifica] giunge, egli ed il suo seguito non sono stanchi, i loro abbigliamenti e le gualdrappe de’ cavalli, con tutti gli ornamenti, hanno il medesimo splendore come se uscissero allora dalla mano dell’artefice. Nè i medesimi cavalli sono più sfiancati di quello che se venissero dal passeggio. Tali indizi della vicinanza del principe Ahmed sono tanto evidenti, che noi credemmo mancare al dover nostro se non glie ne facessimo l’umile nostra rimostranza, affinchè, per la propria sua conservazione, e pel bene de’ suoi sudditi, prenda quelle misure che stimerà opportune. —

«Quando il favorito ebbe chiuso il suo lungo discorso, il sultano, mettendo fine alla seduta, disse: — Checchè avvenga, io non credo che mio figliuolo Ahmed sia così cattivo come vorreste persuadermi; non vi sono però men grato dei vostri consigli, e non dubito che non me li diate con buona intenzione.»


NOTTE CDVI


— Il sultano delle Indie parlò in tal maniera a’ favoriti senza dar a conoscere che i discorsi loro avessero fatto impressione alcuna sul di lui animo. Pure non mancò di esserne inquietato, e risolse di far osservare i passi del figliuolo Ahmed senza dirlo al gran visir. Mandata a chiamare la maga, che venne introdotta da una porticella segnata del palazzo e condotta nel suo gabinetto, le disse:

«— Tu mi dicesti la verità quando assicurasti che mio figlio Ahmed non era morto, e te ne sono grato. Ora bisogna che tu mi faccia un altro piacere. [p. 30 modifica]Dacchè l’ho trovato, e che di mese in mese ei viene alla mia corte, non mi fu possibile sapere da lui il luogo di sua dimora, ed io non ho voluto violentarlo per cavargliene suo malgrado il segreto; ma io ti credo abbastanza destra per fare in modo che la mia curiosità rimanga appagata, senza che nè lui, nè persona veruna della mia corte ne sappia nulla. Sai ch’egli è qui, e siccome suol andarsene senza prendere congedo da me, come neppure da alcun altro della mia corte, ti prego di non perder tempo; va, segui i suoi passi, e fa in modo di scoprire dove si ritira, onde portarmene la risposta. —

«Nell’uscire dal palazzo del sultano, avendo la maga saputo in qual sito il principe Ahmed avesse trovata la freccia, si recò colà sollecitamente, e si nascose tra le rocce in modo da non poter essere veduta.

«Alla domane, partito Ahmed allo spuntar del giorno, senza aver preso commiato nè dal sultano, nè da altro cortigiano, la maga, vedendolo venire, lo accompagnò cogli occhi sinchè lo smarrì di vista lui e la sua comitiva.

«Siccome le rupi formavano una barriera insuperabile ai mortali, sia a piedi, sia a cavallo, tanto erano scoscese, la maga giudicò una delle due cose: o che il principe si celasse in una caverna, oppure in qualche luogo sotterraneo, in cui geni e fate facessero loro dimora. Quando pertanto ebbe stimato che il principe ed il suo seguito fossero scomparsi rientrando nella caverna o nel sotterraneo, essa uscì dal luogo ov’erasi nascosta, ed andò direttamente allo sfondo in cui avevali veduti sparire; vi entrò, ed avanzando sin dove dividevasi in parecchie svolte, guardò da tutte le parti, andando e tornando più volte sui propri passi. Ma ad onta della sua diligenza, non le venne fatto di scorgere alcun’apertura di caverna, [p. 31 modifica] come neppure la porta di ferro, la quale non era sfuggita alle ricerche di Ahmed; essendo quella porta apparente soltanto agli uomini, ed in ispecial guisa a coloro, la cui presenza tornar poteva gradita alla fata Pari-Banù, e non mai alle donne.

«La maga, vedendo riuscire inutili le sue fatiche, fu costretta a contentarsi della fatta scoperta. Torno quindi a renderne conto al sultano, e terminando il racconto delle sue indagini, aggiunse:

«— Sire, come vostra maestà può comprendere, da quanto ebbi l’onore di esporlo, non mi sarà difficile darle tutta la soddisfazione che può desiderare sulla condotta del principe Ahmed. Non le dirò ora cosa io ne pensi; preferisco farglielo conoscere in modo che non ne abbia a dubitare. Onde pervenirvi, non le domando che tempo e pazienza, col permesso di lasciarmi fare, senza informarsi dei mezzi de’ quali mi devo servire. —

«Prese il sultano buon augurio delle misure che la maga adottava con lui, e le disse:

«— Sei padrona; va, ed opra come crederai meglio; attenderò con pazienza l’effetto delle tue promesse. —

«E per incoraggiarla, le fe’ dono d’un diamante di gran valore, dicendole esser ciò arra di miglior ricompensa quando avesse finito di rendergli il servigio importante, pel quale fidava nella sua abilità.

«Non avendo il principe Ahmed, dacchè ottenne dalla fata Pari-Banù il permesso di andar a fare la sua corte al sultano delle Indie, mancato mai di soddisfarvi una volta al mese, la maga, la quale non l’ignorava, aspettò che il mese corrente fosse spirato, ed un giorno o due prima del suo termine, non mancò di recarsi appiè delle rocce, nel sito dove aveva perduto di vista il principe e la sua gente ed ivi aspettò, nell’intenzione di eseguire il progetto immaginato. [p. 32 modifica]«Alla domane, il giovane uscì, come al solito, dalla porta di ferro, col medesimo seguito che soleva accompagnarlo, e giunse vicino alla maga, cui non conosceva. Vedendo una donna caricata, colla resta appoggiata al sasso, e sentendola lagnarsi come persona che soffre, la compassione mosselo a sviarsi per avvicinarsele e chiederle qual fosse il suo male, e cosa potesse fare per sollevarla...»

L’alba sorse ad interrompere la sultana delle Indie. — Temo assai,» le disse la sorella, «che questa megera turbi la felicità del principe Ahmed; sono gente pericolosa! — Le maghe hanno alcerto mezzi di nuocere,» rispose Scheherazade; «ma le fate hanno maggior potere, e quella che protegge Ahmed saprà ben guarentirlo da ogni insidia.» Così disse la sultana, la quale, la notte seguente, continuò in tal guisa il racconto:


NOTTE CDVII


— Sire, l’artificiosa maga, senza alzare il capo, guardando il principe in modo di accrescere la compassione ond’era già tocco, rispose, con parole interrotte e quasi potesse appena respirare, di essere partita di casa per recarsi alla città: ma che, strada facendo, una febbre violenta l’aveva assalita; che, mancatele alfine le forze, era stata costretta a fermarsi e rimanere nello stato in cui la vedeva, in un luogo lontano da ogni abitazione, e per conseguenza senza alcuna speme di aiuto.

«— Buona donna,» riprese Ahmed, «non siete tanto lontana dal soccorso di cui abbisognate, quanto [p. 33 modifica] v’immaginate; sono pronto a dimostrarvelo, ed a mettervi qui vicinissimo, in un luogo ove si avrà per voi non solo tutta la cura possibile, ma ben anche dove troverete una pronta guarigione. Dunque, alzatevi, se potete, e soffrite che uno de’ miei vi prenda in groppa. —

«A quelle parole del principe, la maga, la quale non fingeva d’essere malata se non per giungere a sapere la di lui dimora, cosa facesse e qual ne fosse la sorte, non ricusò il beneficio ch’egli con sì buona grazia esibivale; e per dimostrare che ne accettava l’offerta piuttosto cogli atti che colle parole, fingendo che la pretesa malattia ne l’impedisse, fece alcuni sforzi per rizzarsi, e nel medesimo tempo, smontati due de’ cavalieri del seguito, l’aiutarono ad alzarsi, ponendola in groppa dietro ad un altro cavaliere. Mentre risalivano in sella, il principe, tornando indietro, si pose alla testa della sua comitiva, e giunse in breve alla porta di ferro, la quale apertagli da un altro seguace ch’era corso innanzi, Ahmed entrò, e giunto nel cortile del palazzo della fata, senza smontare: staccò un messo per avvertirla che bramava di parlarle.

«La fata Pari-Banù sollecitossi tanto maggiormente perchè non comprendeva per qual motivo il marito fosse di ritorno così presto; ed allora, senza lasciarle tempo di chiedergliene la causa: — Mia principessa,» le disse il giovane, indicandole la maga, cui uno de’ suoi, dopo averla aiutata a scendere, sosteneva sotto le ascelle, «vi prego di avere per questa buona donna la stessa compassione di me. L’ho trovata poco fa nella condizione che vedete, e le ho promesso l’assistenza di cui abbisogna. Ve la raccomando, persuaso già che non l’abbandonerete, tanto per vostra propria inclinazione, quanto riguardo alle mie preghiere. — [p. 34 modifica]«La fata Pari-Banù, la quale, mentre il principe le parlava, aveva tenuti gli occhi fissi sulla pretesa malata, comanòo a due delle sue donne, che l’avevano seguita, di riceverla dalle mani de’ cavalieri, condurla in un appartamento del palazzo ed avere per essa i medesimi riguardi che avrebbero usato alla di lei persona.

«Mentre le due donne eseguivano l’ordine ricevuto, Pari-Banù, accostatasi ad Ahmed ed abbassando la voce: — Principe,» gli disse, «lodo la vostra compassione; è degna di voi e della vostra nascita, ed io mi fo un vero piacere di assecondare la vostra buona intenzione; ma mi permetterete di dirvi ch’io temo la vostra pietà non abbia ad essere mal ricompensata. Mi sembra che quella donna non sia tanto malata quanto vuol far apparire, e credo sbagliarmi assai se dessa non è stata appostata espressamente per arrecarvi gravi disgusti. Questo però non vi dia pena; checchè si possa macchinare contro di voi, siate persuaso ch’io vi libererò da tutti i lacci che vi si potessero tendere: andate, e proseguite il vostro viaggio. —

«Quel discorso non inquietò Ahmed.

«— Mia diletta,» rispose, «siccome non mi ricordo d’aver fatto male a chicchessia e non ho pensiero di farne, così non credo nemmeno che alcuno pensi di arrecarmene. Comunque esser possa, non tralascerò di fare il bene ogni qual volta me se ne presenti il destro. —

«Ciò detto, s’accommiatò dalla fata, e ripresa la sua strada, interrotta per occasione della maga, in poco tempo giunse col seguito alla corte del sultano, che lo ricevette all’incirca secondo il solito, trattenendosi, per quanto gli era possibile, onde nulla lasciar trasparire del turbamento prodottogli dai sospetti, fatti nascere in lui dai discorsi de’ favoriti. [p. 35 modifica]«Le due donne, intanto, che la fata Pari-Banù aveva incaricate de’ suoi ordini, condotta la maga in un sontuoso appartamento, la fecero in primo luogo sedere sur un sofà; dove, mentre stava appoggiata ad un cuscino di broccato col fondo d’oro, le prepararono un morbido letto i cui materassi di raso spiccavano per un bel ricamo di seta; le lenzuola erano d’una tela delle più fine e la coperta di drappo d’oro. Aiutatala a coricarsi, poichè la maga continuava sempre a fingere che l’accesso di febbre, ond’era attaccata, la tormentasse in modo da non potersi aiutare da sè medesima; allora, dico, una delle donne uscì, tornando poco dopo con una tazza di porcellana finissima piena di liquore, e presentatala alla maga, mentre l’altra sua compagna l’aiutava a mettersi a sedere: — Prendete,» le disse, «è acqua della fontana dei Lioni, rimedio onnipossente per qualunque febbre. Ne vedrete l’effetto in men d’un’ora. —

«La maga, per meglio fingere, si fe’ pregare a lungo, come se provasse insuperabile ripugnanza a bere quella pozione; prese finalmente la tazza, e trangugiò il liquore scuotendo la testa, quasi si fosse fatta grande violenza. Quando fu ricoricata, le due donne la coprirono bene. — State in riposo,» le disse quella che aveva recata la pozione, «ed anzi, dormite, se ve ne sentite voglia. Noi vi lasciamo, e speriamo di trovarvi perfettamente guarita quando torneremo, tra un’ora circa.»

L’alba sorse con alto rammarico del sultano delle Indie, che il racconto di Scheherazade interessava al sommo. Lo ripigliò essa la domane, continuandolo i dì seguenti come di solito. [p. 36 modifica]

NOTTE CDVIII


— La maga, la quale non era venuta per fare la malata a lungo, ma unicamente per ispiare dove si ritirasse il principe Ahmed, e cosa avesse potuto indurlo a rinunziare alla corte del sultano suo padre, trovandosene già abbastanza informata, avrebbe volentieri sin da quel punto dichiarato che la pozione aveva fatto il suo effetto, tanta n’era la voglia di tornar ad informare il sultano del buon esito della commissione affidatale. Ma siccome non se le era detto che la pozione facesse sul momento l’effetto desiderato, fu d’uopo, suo malgrado, attendere il ritorno delle due donne.

«Venute in fatti nel tempo che avevan detto, trovarono la maga alzata e vestita. Vedendole questa entrare: — Oh la mirabile pozione!» si mise a sclamare; «essa fece il suo effetto più presto assai che non mi diceste, ed è già qualche tempo ch’io vi attendeva con impazienza, onde pregarvi di condurmi dalla vostra caritatevole padrona, affinchè la ringrazi della sua bontà, di cui le sarò eternamente grata, e che, guarita come per miracolo, non perda tempo a continuare il mio viaggio. —

«Le due donne, fate come la loro signora, avendo dimostrato alla maga la parte cui prendevano alla gioia ch’essa provava per la pronta sua guarigione, la precedettero per mostrarle la strada, conducendola, attraverso vari appartamenti, tutti più sfarzosi di quello dal quale usciva, nella sala più magnifica e riccamente addobbata di tutto il palagio.

[p. 37 modifica]«In quella sala stava Pari-Banù, seduta sopra un trono d’oro massiccio, adorno di diamanti, rubini e perle di straordinaria grossezza, e suonata a destra ed a sinistra da gran numero di fate, tutte d’incantevole bellezza e riccamente vestite. Alla vista di tanto splendore e maestà, la maga rimase non solo abbagliata, ma ben anche talmente interdetta, che dopo essersi prosternata davanti al trono, non le fu possibile aprir bocca per ringraziare la fata, come si era proposto. Pari-Banù le risparmiò l’incomodo.

«— Buona donna,» le disse, «sono assai lieta che siasi presentata l’occasione di servirvi, e vi reggo con piacere in grado di proseguire il vostro cammino. Io non vi trattengo; ma prima non vi sarà discaro visitare il mio palazzo. Andate colle mie seguaci: vi accompagneranno, e ve lo faranno vedere. —

«La maga, sempre interdetta, prosternossi un’altra volta colla fronte sul tappeto che copriva i gradini del trono, prendendo congedo, senza aver la forza nè l’ardire di pronunziare una sola parola, e lasciossi condurre dalle due fate che l’accompagnavano. Essa visitò con maraviglia, ed in mezzo a continue esclamazioni, gli stessi appartamenti, stanza per istanza, le medesime ricchezze e la magnificenza istessa che la fata Pari-Banù avea già tatto osservare in persona al principe Ahmed la prima volta che le si era presentato, come abbiam riferito; e quanto vie maggiormente la colmò di stupore fu, che dopo aver veduto tutto l’interno del palazzo, le due fate le dissero ciò non essere che un saggio della grandezza e potenza della loro signora, e che nell’ostensione de’ suoi stati possedeva altri palagi, de’ quali ignoravano il numero, tutti d’architettura e di modello diversi, non meno superbi e magnifici. E intertenendola di varie altre particolarità, la condussero sino alla porta di ferro, da cui il principe Ahmed l’aveva introdotta, l’apersero, [p. 38 modifica] ed anguraronle il buon viaggio, dopo ch’ella sì fu da esse congedata e l’ebbe ringraziate dei disturbi presi per lei.

«Avanzatasi alcuni passi, la maga si rivolse per osservare la porta e riconoscerla, ma la cercò indarno; era divenuta invisibile per lei, come per qualunque altra donna, come abbiam già notato. A riserva dunque di questa sola circostanza, si recò dal sultano, assai contenta d’essersi così ben disimpegnata della commissione ond’era incaricata. Giunta alla capitale, andò per vie appartate a farsi introdurre dalla stessa porta segreta del palazzo, ed il sultano; avvertito del suo ritorno, se la fece venire innanzi, e scorgendola comparire con faccia tetra, stimando non fosse riuscita: — Al vederti,» disse, «giudico che il tuo viaggio sia riuscito inutile, e che tu non mi porti gli schiarimenti che mi attendeva dalla tua sagacia.

«— Sire,» riprese la maga, «vostra maestà mi permetterà di rappresentarle non essere dal mio aspetto ch’ella deve giudicare se io mi sia ben comportata nell’esecuzione dell’ordine, del quale mi ha onorata, ma bensì dal rapporto sincero di ciò che ho fatto e che m’è accaduto, nulla tralasciando per rendermi degna della sua approvazione. Ciò ch’ella può osservare di tristo sul mio volto, viene da ben altra cagione che da quella di non essere riuscita, ed io spero che vostra maestà sarà soddisfatta delle mie indagini. Non le dico qual sia questa cagione; il racconto che debbo farle, se ha la pazienza di ascoltarmi, glielo farà conoscere.»

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NOTTE CDIX


— Narrò allora la maga al sultano delle Indie in qual maniera, fingendosi ammalata, fosse riuscita a commovere il principe Ahmed, il quale avevala condotta in un luogo sotterraneo, presentata e raccomandata egli stesso ad una fata di tal bellezza, da non esistere nulla di paragonabile nell’universo, pregandola di volere colle sue cure contribuire a risanarla. Gli espose poi, con qual compiacenza avesse la fata dato subito ordine a due delle fate che l’accompagnavano ad incaricarsi di lei e non abbandonarla se non si fosse ristabilita; cosa che aveale fatto conoscere non poter tanta condiscendenza provenire se non dalla parte d’una sposa verso il consorte. Nè mancò la maga di esagerargli la maraviglia ond’era stata colta alla vista della facciata del palazzo della fata, cui non credeva si potesse trovare al mondo nulla di eguale, mentre le due donne ve la conducevano sorreggendola d’ambo i lati, come una malata, quale fingeva di essere, che non avesse potuto sostenersi, nè camminare senza il loro aiuto. Gli fece la descrizione minuta della loro premura a curarla quando fu nell’appartamento, nel quale l’avevano, per così dire, portata, della pozione presa, della pronta guarigione ch’erane seguita, finta anche questa al par della malattia, sebbene non dubitasse della virtù della bevanda; della maestà della fata seduta sur un trono tutto sfolgorante di gemme, il cui valore superava tutte le ricchezze del regno dell’Indie; e finalmente dell’altre dovizie immense ed incalcolabili; [p. 40 modifica] tanto in generale quanto in particolare, racchiuse nella vasta estensione del palagio.

«Terminò qui la maga il racconto dell’esito della sua commissione, e continuando il discorso: — Sire,» proseguì, «che pensa la maestà vostra delle ricchezze inaudite della fata? Forse dirà che ne prova ammirazione, e si rallegra dell’alta fortuna del principe Ahmed suo figliuolo, che ne gode in comune colla fata. Quanto a me, o sire, supplico vostra maestà a perdonarmi se mi prendo la libertà di mostrarle, che ne penso altrimenti, ed anzi mi trovo compresa di spavento quando considero il male che può derivargliene; e questo forma l’oggetto della mia inquietudine, cui non ho potuto sì ben dissimulare, ch’ella non se ne sia avveduta. Voglio credere che il principe Ahmed, per l’ottima sua indole, non sia da sè capace di nulla tentare contro vostra maestà; ma chi può rispondere che la fata, colle sue attrattive, colle carezze ed il potere già da lei acquistato sull’animo dello sposo, non sia per ispirargli il pernicioso disegno di soppiantare vostra maestà, impossessandosi della corona del regno delle Indie? Tocca a vostra maestà a prestare ad una cosa di tal importanza tutta l’attenzione che merita. —

«Per quanto il sultano delle Indie fosse persuaso della buona indole del figliuolo, pur non lasciò di sentirsi scosso dal discorso della maga, ed accommiatandola, le disse: — Ti ringrazio della pena che ti sei presa e del salutare tuo avviso; ne comprendo tutta l’importanza, la quale mi sembra tale, che non posso deliberarne senza prendere consiglio. —

«Quando erano venuti ad annunziare al sultano l’arrivo della maga, egli intertenevasi coi medesimi favoriti che avevangli già ispirato contro Ahmed i sospetti che dicemmo. Fattosi seguire dalla maga, si recò ancora dai medesimi, e comunicato loro ciò che aveva [p. 41 modifica] in quella saputo, parlando anche del proprio timore non la fata voltasse l’animo del principe, chiese loro quali mezzi stimassero opportuni per antivenire sì gran male.

«Uno de’ favoriti, prendendo la parola per tutti, rispose: — Per prevenire codesto male, o sire, poichè vostra maestà conosce chi potrebbe diventarne l’autore, e che costui si trova in mezzo alla sua corte ed è in suo potere di eseguirlo, non dev’ella esitare a farlo arrestare, e non dirò privarlo di vita, la cosa farebbe troppo chiasso, ma almeno rinchiuderlo in una stretta prigione pel resto de’ suoi giorni. —

«Gli altri favoriti applaudirono, tutti ad una voce, a questo sentimento.

«La maga, trovando troppo violento il consiglio, chiese al sultano il permesso di parlare, e quando le fu accordato, disse:

«— Sire, son persuaso essere lo zelo per gl’interessi della maestà vostra che faccia proporre da’ suoi consiglieri di arrestare il principe Ahmed; ma non avranno discaro ch’io ponga loro sottocchio che, arrestando il principe, converrebbe pur nello stesso tempo sostenere i suoi compagni; ma quelli che l’accompagnano sono geni. Credono essi agevole il sorprenderli, metter loro le mani addosso ed impossessarsi delle loro persone? Non iscomparirebbero essi per la proprietà che posseggono di rendersi invisibili? E non andrebbero sul momento ad informare la fate dell’insulto fatto al suo sposo; e questa, vorrebb’ella lasciare invendicato l’oltraggio? Ma se, per qualche mezzo meno clamoroso, il sultano può mettersi al sicuro dai cattivi divisamenti che coltivar potesse il principe Ahmed, senza che la gloria della maestà sua vi fosse compromessa, e niuno sospettar potesse che vi fosse dal canto suo nessuna mala intenzione, non sarebbe meglio metterlo ad effetto? Se sua maestà [p. 42 modifica] ponesse qualche fiducia nel mio consiglio, siccome i geni e le fate possono cose superiori alla portata degli uomini, ella pungerebbe il principe Ahmed dal lato dell’onore, impegnandolo a procurargli certi vantaggi, per mediazione della fata, sotto pretesto di trarne grande utilità, di cui gli sarebbe grato. Per esempio, ogni qual volta la maestà vostra vuol mettersi in campagna, è costretta ad una spesa prodigiosa, non solo in padiglioni e tende per lei ed il suo esercito, ma eziandio in cammelli, muli ed altre bestie da soma, pel solo trasporto delle salmerie; or non potrebb’ella impegnarlo, pel gran credito che deve avere presso la fata, a procurarle un padiglione che potesse stare nella mano, e nonostante ricoverare sotto di sè tutto intiero il suo esercito? Non ne dico di più a vostra maestà. Se il principe apportasse il padiglione, vi sono tante altre domande di simile natura da potergli fare, che converrà alla fine soccomba sotto il peso delle difficoltà o dell’impossibilità dell’esecuzione, per quanto fertile di mezzi e d’invenzioni possa mai essere la fata che co’ suoi incantesimi l’ha ammaliato. Per tal modo, la vergogna farà che più non osi comparire, e sarà costretto a passare i suoi giorni colla fata, escluso dal commercio di questo mondo; così la maestà vostra non avrà più nulla a temere dalle sue intraprese, e non le si potrà rimproverare un’azione tanto odiosa come quella dello spargimento del sangue d’un figliuolo od il condannarlo ad una perpetua prigione. —

«Terminato ch’ebbe la maga di parlare, il sultano chiese a’ favoriti se avessero cosa migliore da proporgli; e vedendo che conservavano il silenzio, determinossi a seguire il consiglio di quella donna; come il più ragionevole, e che d’altra parte più si uniformava alla dolcezza da lui sempre seguita nella sua maniera di governo.» [p. 43 modifica]

NOTTE CDX


— Alla domane, quando il principe Ahmed si fu presentato davanti al padre, il quale intertenevasi co’ suoi favoriti, ed ebbe preso posto presso la di lui persona, la sua presenza non impedì che la conversazione non continuasse ancora qualche tempo su varie cose indifferenti. Poi, il sultano, prendendo la parola, e volgendosi al principe Ahmed: — Figliuolo,» gli disse, «quando veniste a trarmi dalla profonda tristezza in cui mi aveva immerso la lunga vostra assenza, voi mi faceste un mistero del luogo che sceglieste a vostro ritiro; ed io, lieto di rivedervi e sentire che eravate contento della vostra sorte, non volli penetrare nel vostro segreto, appena compresi che non ne avevate piacere; Non so qual ragione possiate aver avuta per trattare in tal modo con un padre il quale, sin d’allora, come oggi faccio, vi avrebbe dimostrata la parte che prendeva alla vostra felicità. So qual è questa felicità; me ne rallegro con voi, ed approvo il partito preso di sposare una fata degna tanto di essere amata, sì ricca e potente, come da buona fonte ho saputo. Possente qual io sono, non mi sarebbe stato possibile procurarvi un matrimonio consimile. Nell’alto grado, al quale foste sollevato, grado che potrebb’essere da ogni altro invidiato fuorchè da un genitore par mio, vi domando non solo che continuate a viver meco in buona armonia, come sempre faceste sino al presente, ma ben anco vogliate adoperare tutto il credito che aver potete presso la vostra fata [p. 44 modifica] per ottenermi la di lei assistenza ne’ bisogni ch’io! possa avere, e da quest’oggi concedere ch’io metta questo credito alla prova. Voi non ignorate a quale spesa esorbitante, senza parlare dell’imbarazzo, i miei generali, gli officiali subalterni ed io stesso andiamo soggetti tutte le volte che dobbiamo metterci in campagna in tempo di guerra, onde provvederci di padiglioni e di tende, di cammelli ed altre bestie da soma per trasportarli; se, poneste attenzione al piacere che mi fareste, son persuaso non troverete difficoltà veruna a far in guisa che la vostra consorte v’accordi un padiglione, il quale stia nella mano, e sotto cui tutto il mio esercito possa stare al coperto, specialmente quando le avrete fatto conoscere ch’è destinato per me. La difficoltà della cosa non vi attirerà un rifiuto: a tutti è noto il potere che hanno le fate di farne di più straordinarie. —

«Il principe Ahmed non aspettavasi che il padre dovesse esigere da lui una cosa simile, la quale parvegli sulle prime difficilissima, per non dir impossibile. In fatti, benchè non ignorasse assolutamente quanto fosse grande il potere dei geni e delle fate, dubito, nondimeno, che si estendesse sino a concedergli un padiglione come gli chiedeva. D’altra parte, sin allora non aveva domandato nulla di consimile alla consorte, accontentandosi dei continui segni ch’essa gli dava della sua passione, e non dimenticando nulla di ciò che poteva persuaderle ch’egli vi corrispondeva di tutto cuore, senz’altro interesse se non quello di conservarsi nelle di lei buone grazie. Così si trovò imbarazzatissimo sulla risposta da dare.

«— Sire,» ripigliò, «se ho fatto un mistero a vostra maestà di quanto m’è occorso, e del partito da me preso dopo aver trovata la mia freccia fecilo perchè mi parve dovesse importarle poco d’esserne informata. Ignoro in qual guisa abbia potuto sapere il mistero; [p. 45 modifica] non posso però celarle che tale rapporto è verace: io sono sposo della fata di cui le si tenne parola, l’amo, e son persuaso di esserne riamato; ma circa al credito che ho presso di lei, come vostra maestà suppone, non posso dirle nulla, perchè non solo non l’ho mai messo alla prova, ma non me ne cadde neppur il pensiero, ed avrei desiderato che vostra maestà avesse voluto dispensarmi d’intraprenderlo, e lasciarmi godere della felicità d’amare e d’essere riamato, col disinteresse ch’erami prefisso in ogni altra cosa. Ma ciò che un padre domanda, è un dovere per un figlio che, com’io, suol obbedirgli in tutto. Benchè mio malgrado, e con inesprimibile ripugnanza, non ommetterò di esternare alla mia sposa il desiderio di vostra maestà, ma non le prometto di ottenerne il compimento; e se cesso divenire a tributarle i miei rispetti, sarà segno che non l’avrò ottenuto; intanto, le domando anticipatamente la grazia di perdonami, e considerare ch’ella medesima mi avrà ridotto a tale estremità. —

«Il sultano dell’Indie allora rispose al principe Ahmed: — Figliuolo, sarei dolentissimo se ciò che vi domando potesse cagionarmi il dispiacere di non più vedervi; capisco benissimo che non conoscete il potere d’un marito sopra una moglie. La vostra farebbe vedere di amarvi assai debolmente, se col potere, che come fata possiede, vi ricusasse una cosa di sì piccola conseguenza, come quella cui vi prego di chiederle per amor mio. Lasciate la vostra timidezza; essa non viene se non perchè credete di non essere corrisposto nel vostro amore, e ricordatevi che, per non saper dimandare, si viene spesso a privarsi di grandi vantaggi. Pensate che nell’egual guisa che voi non le neghereste ciò ch’ella domandasse, perchè l’amate, neppur essa vi ricuserà quanto le domanderete, perchè vi ama.»

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NOTTE CDXI


— Il sultano delle Indie non persuase col suo discorso il principe Ahmed, il quale avrebbe preferito ch’ei gli avesse domandato qualunque altra cosa piuttosto che esporlo a dispiacere alla sua cara Pari-Banù, e pel cordoglio che n’ebbe, partì dalla corte due giorni prima del solito. Appena arrivato, la fata, che sin allora lo aveva sempre veduto presentarsele davanti con viso sereno, gli chiese la cagione del mutamento che vi leggeva, e visto che, invece di risponderle, le chiedeva nuove della sua salute, in aria che faceva conoscere com’evitasse di soddisfarla: — Risponderò,» diss’ella, «alla vostra domanda quando avrete risposto alla mia. —

«Il principe se ne schermì a lungo, protestando che non era nulla; ma più si difendeva, e più la fata lo sollecitava. — Non posso,» diss’ella, «vedervi nello stato in cui siete, se non mi dichiarate prima ciò che vi frastorna, per dissiparne la cagione, qualunque esser possa: bisognerebbe che sia molto straordinaria se fosse fuor del mio potere, a meno che non si tratti della morte del sultano vostro padre; in tal caso, oltrechè m’ingegnerei da parte mia di contribuirvi, il tempo v’apporterebbe consolazione. —

«Non seppe Ahmed resistere più a lungo alle istanze della fata, e le disse: — Signora, prolunghi Iddio la vita del sultano mio padre, e lo benedica sino alla fine de’ suoi giorni! Io l’ho lasciato pieno di vita [p. 47 modifica] ed in perfetta salute; non è quindi questa l’origine della tristezza, della quale vi accorgeste. È il sultano medesimo che me ne dà motivo, ed io ne sono tanto più afflitto, perch’ei mi mette nella necessità di esservi molesto. In primo luogo, o signora, sapete la premura ch’ebbi, colla vostra approvazione, di tenergli nascosta la fortuna che ho di vedervi, d’amarvi, di meritare i favori e l’amor vostro, e di ricevere, dandovi la mia, la vostra fede; eppure ignoro da qual parte ne sia stato informato. —

«La fata Pari-Banù, interrompendo a questo passo il giovane: — Io lo so,» rispose; «sovvengavi di ciò che vi predissi intorno alla donna che vi fe’ credere d’essere ammalata, e della quale foste mosso a compassione; fu ella che riferì al sultano vostro padre quello che voi tenevate celato. Io vi aveva detto che colei era tanto malata quanto voi ed io, ed essa ne dimostrò la verità. In fatti, dopo che le due donne, alle quali io l’aveva raccomandata, le ebbero data un’acqua efficacissima per ogni sorta di febbri, della quale però non avea bisogno, finse che lo specifico l’avesse guarita, e fecesi condurre da me per pigliar commiato, all’uopo di correre tosto a render conio del successo della sua intrapresa. Aveva anzi tal fretta, che sarebbe partita senza vedere il mio palazzo, se, comandando alle due mie donzelle di condurla, non le avessi fatto comprendere che meritava la pena di essere mirato. Ma proseguite, e vediamo in che cosa il sultano vostro padre v’abbia posto nella necessità d’essermi molesto; cosa però che non accadrà, vi prego di esserne certo.

«— Madama,» riprese Ahmed, «avrete potuto notare che sin ora, contento d’essere da voi amato, non vi chiesi verun altro favore. Dopo il possesso d’una sposa sì amabile, che cosa potrei io mai desiderare di più? Pur non ignoro il poter vostro; ma [p. 48 modifica]io mi era imposto un dovere d’astenermi dal metterlo alla prova. Considerate adunque, ve ne scongiuro, non esser io, ma il sultano mio padre che vi fa la domanda indiscreta, a quanto parmi, d’un padiglione che stia nella mano e che lo metta al coperto dalle ingiurie della stagione, quando trovasi in campo, con tutta la sua corte e l’esercito. Ancora una volta, non son io, è il sultano mio padre che vi chiede questa grazia.

«— Principe,» rispose la fata sorridendo, «mi duole che sì piccola cosa v’abbia cagionato l’imbarazzo e l’angostia di spirito onde vi scorgo afflitto. Ben veggo che due cose vi hanno contribuito: una è la legge che v’imponeste di contentarvi d’amarmi e di essere da me riamato, ed astenervi dalla libertà di volgermi la menoma domanda che mettesse il mio potere alla prova; l’altra, che v’immaginaste essere la domanda, cui il sultano vostro padre esigette che mi faceste, superiore a questo potere. Quanto alla prima, vi lodo, e ve ne amerei di più, se fosse possibile circa poi alla seconda, mi sarà facile farvi comprendere che quanto il sultano domanda è una bagatella, e che, all’occasione, posso altra cosa ben più difficile. Mettete dunque l’animo in calma, e siate persuaso che, lungi dall’importunarmi, mi farò sempre un gratissimo piacere d’accordarvi tutto ciò che potrete desiderare ch’io eseguisca per amor vostro. —

«Ciò dicendo, la fata comandò si chiamasse la sua tesoriera, e venuta questa: — Norgihan (era il nome della tesoriera),» le disse la fata, «recami il più gran padiglione che si trovi nel mio tesoro. —

«Tornò Norgihan pochi momenti dopo, e recò un padiglione che non solo stava nella mano, ma che anzi vi sì poteva nascondere chiudendola, e lo presentò alla sua padrona, la quale lo diede al principe Ahmed affinchè lo considerasse.» [p. 49 modifica]A questo passo del racconto, la sultana delle Indie tacque, ripigliando la parola la notte seguente, con gran diletto della sorella, sempre più stupita delle maraviglie narrate da Scheherazade.


NOTTE CDXII


— Sire, quando il principe vide ciò che la fata Pari-Banù chiamava il padiglione più grande che avesse nel suo tesoro, credè volesse burlarsi di lui, ed i segni della sua sorpresa gli apparvero sul volto e nel contegno; la fata, avvistasene, proruppe in uno scroscio di risa.

«— Come! principe,» sclamò, «credete dunque ch’io voglia farmi beffe di voi? Vedrete in breve che non faccio da burla. Norgihan,» disse poi alla tesoriera, riprendendo dalle mani del consorte il padiglione, e rimettendolo a lei, «va a spiegarlo; che il principe giudichi se il sultano suo padre lo troverà men grande di quello che ha domandato. —

«Uscì la tesoriera dal palazzo, e se ne allontanò abbastanza per far in guisa che, quando lo avesse eretto, l’estremità giungesse sino al palazzo medesimo; ciò mio, il principe Ahmed lo trovò non già più piccolo, ma sì grande da poter accogliere sotto di sè due eserciti numerosi quanto quello del sultano delle Indie.

«Allora: — Mia principessa,» diss’egli a Pari-Banù; «vi domando mille perdoni della mia incredulità; adesso che lo veggo, credo non esservi nulla d’impossibile in tutto ciò che voleste intraprendere. — Voi vedete,» rispose la fata, «che il padiglione è più [p. 50 modifica] grande del bisogno; ma notate inoltre, che ha la proprielà d’ingrandirsi od impicciolirsi in proporzione di ciò che vi deve stare al coperto, senza che vi sia bisogno di mettervi mano. —

«La tesoriera ripiegò il padiglione, lo ridusse nel primiero stato; lo riportò, e conseguollo al principe. Questi lo prese, e la domane, senza differir oltre, salito a cavallo ed accompagnato dalla solita comitiva, andò a presentarlo al padre.

«Il sultano, persuaso che un padiglione quale aveva richiesto, fosse fuor d’ogni possibilità, stupì sommamente della sollecitudine del figliuolo. Ricevuto pertanto il padiglione, ed ammiratane la picciolezza, qual non fu il suo stupore, da cui non rinvenne così presto, allorchè, fattolo spiegare nella grande pianura che dicemmo, riconobbe che due eserciti, poderosi quanto il suo, vi potevano stare al coperto comodamente! Siccome però avrebbe potuto considerare questa circostanza come una superfluità, che poteva anche in pratica tornare incomoda, non dimenticò Ahmed di avvertirlo, che tal grandezza troverebbesi sempre proporzionata al numero delle soldatesche.

«In apparenza, il sultano dimostrò al figliuolo la propria gratitudine per un presente così magnifico, pregandolo di ben ringraziarne da parte sua la fata Pari-Banù; e per maggiormente dimostrargli il conio che ne faceva, comandò fosse gelosamente custodito nel suo tesoro. Ma ne concepì in cuore una gelosia maggiore di quella ispiratagli da’ suoi adulatori e dalla maga medesima, considerando che, col favore della fata, il figliuolo poteva eseguire cose infinitamente superiori alla propria possanza, ad onta della grandezza e ricchezze sue. Laonde, più accanito di prima a trascurar nulla per farlo perire, consultò nuovamente la maga; e dessa gli consigliò d’impegnare il principe a portargli l’acqua della Fontana dei Lioni. [p. 51 modifica]«Verso sera, mentre il sultano teneva l’assemblea ordinaria de’ suoi cortigiani, ed il principe Ahmed pur vi si trovava, gli volse il discorso in questi termini:

«— Figliuolo, già vi manifestai l’alta mia gratitudine pel regalo del padiglione che mi procuraste, e ch’io riguardo come l’oggetto più prezioso del mio tesoro: or bisogna che, per amor mio, facciate un’altra cosa che non mi riuscirà meno gradita. Sento che la fata vostra sposa si serve d’una cert’acqua della Fontana de’ Lioni, che guarisce da ogni sorta di febbri le più perniciose. Siccome sono intimamente convinto che carissima vi sia la mia salute, non dubito neppure che non vogliate chiedergliene un vaso e recarmelo, come un rimedio efficacissimo del quale posso ad ogni momento aver bisogno. Fatemi adunque quest’altro importante servigio, e mettete così il colmo alla tenerezza d’un buon figliuolo verso un buon padre. —

«Il principe Ahmed, avendo creduto che il sultano contenterebbesi di aver a sua disposizione un padiglione non men singolare che utile: come quello portatogli, nè gl’imporrebbe altro incarico capace di metterlo in discordia colla sposa, rimase come interdetto alla nuova domanda, non ostante la di lei assicurazione di accordargli tutto ciò che dal suo potere dipendesse. Dopo un silenzio d’alcuni momenti: — Sire,» disse, «supplico la maestà vostra a tenere per certo non esservi nulla ch’io non sia disposto a fare od intraprendere onde contribuire a procurarle tutto ciò che sia capace di prolungare i suoi giorni; ma desidererei ciò fosse senza l’intervento della mia consorte: è per questo che non oso promettere a vostra maestà di recarle di quell’acqua. Tutto ciò che far posso, è di assicurarla che le volgerò tale domanda, ma facendomi la stessa violenza come in proposito del padiglione. —

[p. 52 modifica]

«Alla domane, il principe Ahmed, di ritorno alla fata Pari-Banù, le fece il racconto sincero e fedele di quanto eragli occorso alla corte col padre, all’atto della presentazione del padiglione, ch’egli aveva ricevuto con sentimento di profonda gratitudine per lei; ne mancò di esporlo la nuova domanda ond’era incaricato da parte sua; e terminando, soggiunse:

«— Mia principessa,» non vi espongo questo se non come una semplice narrazione dell’accaduto tra il sultano mio padre e me. Quanto al resto, voi siete padrona di esaudire la sua richiesta, oppure negargliela, senza ch’io vi prenda verun interesse; io non voglio se non quello che voi vorrete. — No, no,» rispos’ella, «mi è grato che il sultano delle Indie sappia che non mi siete indifferente. Voglio contentarlo, e quali pure esser vogliano i consigli che dargli possa la maga (poichè veggo benissimo essere colei ch’egli ascolta), piacemi che non ci colga in diletto, nè voi, nè io. V’ha qualche malignità in ciò che domanda, e lo comprenderete dal racconto che sono per farvi. Sta la Fontana de’ Lioni in mezzo al cortile d’un grande castello, il cui ingresso è custodito da quattro possentissimi lioni, due de’ quali dormono alternativamente mentre vegliano gli altri; ma ciò non vi spaventi; vi dirò il modo di passare in mezzo ad essi senza pericolo.» [p. 53 modifica]

NOTTE CDXIII


— Sire, la fata Pari-Banù occupavasi allora a cucire, e siccome teneva vicino parecchi gomitoli di filo, ne prese uno, e presentandolo al principe:

«— Prima di tutto,» gli disse, «prendete questo gomitolo; in breve vi dirò l’uso che dovrete farne. In secondo luogo, fatevi preparare due cavalli, uno per montarlo, l’altro che condurrete a mano, carico d’un ariete tagliato in quattro pezzi, che bisognerà facciate uccidere oggi. In terzo luogo, vi munirete d’un vaso onde attinger l’acqua, che vi farò dare. Salite a cavallo di buon mattino, guidando l’altro per mano; e quando sarete uscito dalla porta di ferro, gettatevi davanti il gomitolo di filo: esso rotolerà, e non cesserà di rotolare se non alla porta del castello. Seguitelo fin là, e quando siasi fermato, siccome la porta sarà aperta, vedrete i quattro lioni; i due di guardia desteranno coi loro ruggiti gli altri. Non vi atterrite; ma gettate a ciascuno un quarto d’ariete, senza smontare di cavallo. Ciò fatto, senza perder tempo, date di sproni, e con rapida corsa recatevi prontamente alla fontana, riempite d’acqua il vaso, stando sempre in sella, e tornate colla medesima celerità: i lioni, occupati ancora a mangiare, vi lasceranno libera l’uscita. —

«Ahmed partì la domane, all’ora indicata dalla fata Pari-Banù, ed eseguì punto per punto le di lei prescrizioni. Giunto alla porta del castello, distribuì ai quattro lioni i quarti dell’ariete, e passando intrepido in mezzo ad essi, penetrò sino alla fontana, ove [p. 54 modifica] attinse l’acqua. Riempitone il vaso, tornò addietro, ed uscì dal castello sano e salvo come v’era entrato. Allontanatosi alquanto, nel rivolgersi vide due di que' lioni accorrere alla sua volta; senza spaventarsi, sguainò la scimitarra, e si pose in difesa; ma com’ebbe veduto, strada facendo, che l’uno di quelli erasi sviato a qualche distanza, manifestando coi movimenti della testa e della coda che non veniva a fargli alcun male, ma per camminargli davanti, e che l’altro rimaneva di dietro per seguirlo, ripose il brando nel fodero, ed in tal guisa proseguì il suo cammino sino alla capitale delle Indie, ove penetrò accompagnato dai due leoni, che nol lasciarono se non alla porta del palazzo. Entratovi, ripresero le belve la stessa strada per la quale erano venute, non senza immenso terrore da parte del popolo e di quelli che li videro, i quali nascondevansi o fuggivano, chi da un lato, e chi dall’altro, per evitarne l’incontro, benchè caminassero a passo lento, senza dare verun indizio di ferocia.

«Diversi ufficiali, presentatisi per assistere Ahmed a scendere di cavallo, lo accompagnarono sino all’appartamento del sultano, dove questi conversava co’ favoriti. Quivi, accostatasi al trono e deposto il vaso appiè del padre, baciò il ricco tappeto che copriva i gradini, e rialzandosi: — Sire,» gli disse, «ecco l’acqua salutare che vostra maestà desiderava mettere fra le preziose curiosità che arricchiscono ed adornano il suo tesoro. Le auguro una salute sempre sì perfetta, che mai non abbia bisogno di farne uso. —

«Finito Ahmed il suo complimento, il sultano lo fece sedere alla destra, e quindi: — Figliuolo,» gli rispose, «vi sono gratissimo del vostro presente quanto del pericolo al quale voi vi cimentaste per amor mio.» (N’era stato informato dalla maga, la quale [p. 55 modifica] conosceva la Fontana dei Leoni, ed il pericolo cui bisognava esporsi per andare ad attingerne l’acqua.) «Fatemi il piacere,» soggiunse, «di spiegarmi per qual astuzia, ossiavvero per qual forza incredibile poteste guarentirvene,

«— Sire,» rispose il giovane, «io non ho veruna parte nel complimento di vostra maestà; esso devesi tutto intiero alla fata mia sposa, e non mi attribuisco altra gloria fuor di quella d’aver eseguiti gli ottimi suoi consigli. -

«Allora gli spiegò quali fossero stati questi consigli, col racconto del viaggio intrapreso, ed in qual modo si fosse comportato. Quand’ebbe finito, il sultano, dopo averlo ascoltato con grandi dimostrazioni di gioia, ma nel segreto dell’animo con pari gelosia, che crebbe a dismisura invece di scemare, si alzò, e ritiratosi solo nell’interno del palazzo, mandò subito a chiamare la maga, che in breve gli comparve davanti.

«La megera risparmiò al sultano la briga di parlarle del principe Ahmed e del felice esito del suo viaggio, essendone già stata informata dal rumore che se n’era sparso, ed aveva preparato un altro spediente immancabile per imbarazzarlo, ed anzi farlo perire, a quanto pretendeva. Lo comunicò quindi al sultano, ed il giorno appresso, nell’adunanza dei cortigiani, questi lo dichiarò al principe Ahmed in questi termini: — Figliuolo,» gli disse, «ho una sola preghiera da farvi, dopo la quale non avrò più nulla ad esigere dalla vostra obbedienza, nè a domandare alla fata vostra consorte, ed è di condurmi un uomo che non abbia più d’un piede e mezzo di statura, colla barba lunga trenta piedi, che porti in ispalla una stanga di ferro del peso di cinquecento libbre, di cui si serva come di bastone a due capi, e che sappia parlare. —

«Credendo Ahmed che non vi fosse al mondo un [p. 56 modifica] uomo quale il padre chiedeva, volle scusarsene, ma il sultano persiste nella sua domanda, ripetendogli che la fata poteva cose ancor più incredibili.

«Il giorno seguente, tornato il giovane al regno sotterraneo di Pari-Banù, partecipolle la nuova esigenza del sultano, ch’ei risguardava, a suo credere, ancor meno possibile delle due precedenti.

«— Per me,» soggiunse, «non so immaginare che in tutto l’universo vi sia od esister possa tal fatta d’uomini. Ei vuole, senza dubbio, sperimentare, s’io abbia la dabbenaggine di affaticarmi per trovarglielo; o, se pur ve n’abbiano, bisogna che suo occulto pensiero sia di perdermi. In fatti, perchè pretendere ch’io m’impadronisca d’un uomo sì piccolo, armato alla guisa ch’egli intende? Di quali armi potrò io valermi per ridurlo a’ miei voleri? Se ve ne sono, attendo vogliate suggerirmi un mezzo per trarmi da tal impaccio con onore.»

Scheherazade, scorgendo i primi raggi del dì che già penetravano nell’appartamento del sultano, fu costretta ad interrompersi; e, la notte seguente, ripigliò il racconto di tal guisa:


NOTTE CDXIV


— «Principe,» rispose la fata, «non v’affannate; eravi qualche rischio a portare al sultano vostro padre l’acqua della Fontana de’ Lioni: ma non avvene alcuno per trovar l’uomo ch’egli esige. Costui è mio fratello Schaibar, il quale, ben lungi dal somigliarmi, benchè siamo figliuoli d’uno stesso [p. 57 modifica] genitore, ha un’indole sì violenta, che nulla è capace di trattenerlo dal dare segni sanguinosissimi del suo risentimento, per poco che gli si dispiaccia o lo si offenda. D’altronde, è il miglior uomo della terra, sempre pronto a prestar servizio in tutto ciò che si desidera. È fatto appunto come il sultano vostro padre lo ha descritto, e non ha altre armi che la stanga di ferro del peso di cinquecento libbre, dalla quale non si diparte mai, e che gli serve a farsi rispettare. Lo faccio venir subito, e giudicherete se vi dico la verità; ma soprattutto preparatevi a non atterrirvi della straordinaria sua figura, quando lo vedrete comparire. — Mia regina,» ripigliò Ahmed, «Schaibar, diceste, è vostro fratello? Qualunque esser possa la sua bruttezza e deformità, ben lungi dallo spaventarmi alla di lui vista, ciò basta per farmelo amare, onorare e risguardare come mio più prossimo parente. —

«La fata fecesi portare sul vestibolo del palazzo un vaso d’oro pieno di fuoco ed una scatoletta del medesimo metallo che, le fu presentata; tratti da questa certi profumi, in essa contenuti, e gettatili nel vaso, se ne sollevò un densissimo fumo.

«Qualche momento dopo tal cerimonia, la fata disse al principe Ahmed: — Caro sposo, ecco mio fratello che viene: lo vedete? —

«Il principe guardò, e scorse Schaibar, che non era più alto d’un piede e mezzo, e veniva gravemente colla sua stanga di ferro pesante cinquecento libbre sulla spalla, e la barba folta, lunga trenta piedi, che sostenevasi davanti, coi mustacchi grossi a proporzione, rialzati sino alle orecchie, e che gli coprivano quasi tutto il volto; i suoi occhi porcini erano infossati nella testa, d’enorme grossezza e coperta d’un berretto a punte; era gobbo davanti e di dietro.

[p. 58 modifica]«Se il principe non fosse stato prevenuto che Schaibar era fratello di Pari-Banù, non lo avrebbe certo potuto mirar senza terrore; ma rassicurato da tale cognizione, lo aspettò di piè fermo colla fata, e lo ricevette senza alcun indizio di debolezza.

«Schaibar, il quale, secondo che inoltravasi, avea guardato il principe con un certo occhio che avrebbegli dovuto gelar l’anima, domandò, accostandosi a Pari-Banù chi fosse quell’uomo.

«— Fratello,» rispos’ella, «è il mio sposo; il suo nome è Ahmed, ed è figliuolo del sultano delle Indie. il motivo pel quale non v’invitai alle mie nozze e che non volli distogliervi dalla spedizione in cui eravate impegnato, e dalla quale udii col massimo piacere che tornaste vittorioso; è a suo riguarda che mi presi la libertà di chiamarvi. —

«A tali parole, Schaibar, guardando il principe Ahmed con occhio grazioso, che nulla però scemava della sua fierezza, nè dell’aria sua feroce: — Sorella,» disse, «posso prestargli servigio in qualche cosa? Ei non ha che a parlare. Basta ch’egli vi sia consorte, per obbligarmi a compiacerlo in tutto ciò che può desiderare: — Il sultano suo padre,» ripigliò Pari-Banù, «ha la curiosità di vedervi; vi prego dunque a permettere ch’ei vi sia guida. — Vada pur innanzi,» riprese Schaibar; «io son pronto a seguirlo. — Fratello,» tornò a dire Pari-Banù, «oggi è troppo tardi per intraprendere tale viaggio; vi prego differirlo sino a domani. Intanto, siccome è bene che siate istruito di quanto accadde tra il sultano delle Indie ed il principe Ahmed dopo il nostro matrimonio, ve ne interterrò questa sera. —

«Alla domane, Schaibar, informato di ciò ch’era meglio non ignorasse, partì di buon’ora, accompagnato dal giovane Ahmed, il quale doveva presentarlo al sultano. Giunsero alla capitale; ed appena [p. 59 modifica] Schaibar fu comparso alla porta, tutti quelli che lo videro, colti da terrore alla vista d’oggetto sì spaventoso, si nascosero alcuni nelle botteghe o nelle case, delle quali chiusero le porte; altri, dandosi alla fuga, comunicarono egual terrore a quelli che incontravano, i quali voltarono subito strada, correndo a tutte gambe senza guardarsi indietro. Per tal modo mano mano che Schaibar ed Ahmed progredivano a passi misurati, trovarono una totale solitudine in tutte le vie e nelle piazze sino al palazzo. Colà i custodi, invece d’impedire almeno che il nano non entrasse, fuggirono, chi da una parte, chi dall’altra, e lasciato così libero l’ingresso, il principe e Schaibar inoltraronsi senza ostacoli sino alla sala del consiglio, dove il sultano, seduto sul trono, dava udienza, ivi pure entrando senza impedimento, giacchè gli uscieri avevano abbandonato il posto appena ebbero veduto comparire il deforme omicciattolo.

«Schaibar, colla testa alta, avvicinatosi fieramente al trono, senza attendere che Ahmed lo presentasse, apostrofò in questi termini il sultano delle Indie: — Tu mi hai domandato,» gli disse; «or eccomi. Che vuoi tu da me? —

«Invece di rispondere, il sultano si era poste le mani sugli occhi, distogliendo la testa per non vedere sì spaventevole oggetto; il nano, sdegnato di quell’accoglienza incivile ed offensiva, dopo avergli dato l’incomodo di venire, alzò la stanga di ferro, e dicendogli: — Parla dunque!» glie la scaricò sulla testa e l’uccise, facendolo in più breve tempo che Ahmed non avesse pensato a domandargli grazia per lui. Tutto ciò che potè fare, fu d’impedire che non ammazzasse anche il gran visir, il quale stava alla destra del sultano, dimostrandogli che non aveva se non a lodarsi de’ buoni consigli dati da esso a suo padre.

[p. 60 modifica]«— Sono dunque costoro,» disse Schaibar, «che gliene diedero di cattivi. —

«Ciò detto, scagliossi contro gli altri visiri a destra ed a sinistra, tutti favoriti ed adulatori del sultano, e nemici di Ahmed. Tanti colpi, tanti morti, non isfuggendo se non quelli, de’ quali non s’impossessò lo spavento sì da renderli immobili, ed impedir loro di procurarsi salva la vita colla fuga.

«Terminata la terribile esecuziohe, uscì il nano dalla sala del consiglio, e nel mezzo del cortile, colla stanga di ferro in ispalla, guardando il gran visir che accompagnava Ahmed, al quale era debitore della vita:

«— So;» disse, «esservi qui una certa maga, più nemica del principe mio cognato che i favoriti indegni testè castigati; voglio che mi sia condotta.» Il gran visir mandò a cercarla, e quando fu alla presenza del formidabil nano, questi, scaricatale addosso la sua stanga: — Impara,» le disse, «a dar consigli perniciosi ed a far la malata.» La maga rimase morta sul colpo.

«— Non basta,» aggiunse Schaibar; «accopperò tutta la città pur anco, se non riconosce sul momento il principe Ahmed, mio cognato, per sultano delle Indie. —

«Subito gli astanti, appena udito il decreto, fecero risuonare l’aria gridando ad alta voce: — Viva il sultano Ahmed!» Ed in breve tutta la città eccheggiò dell’egual acclamazione e proclamazione nel medesimo tempo. Schaibar lo fece vestire dell’abito di sultano dell’Indie, lo installò sul trono, e fattegli prestare l’omaggio ed il giuramento di fedeltà a lui dovuto, andò a prendere la sorella Pari-Banù, e condottola con grandissima pompa, la fece parimenti riconoscere per sultana dell’Indie.» [p. 61 modifica]

NOTTE CDXV


— Quanto al principe Alì ed alla principessa Nuronnihar, non avendo essi presa parte alcuna nella cospirazione contro Ahmed, allora vendicato dal nano, e della quale anzi non avevano neppur avuta cognizione, il nuovo monarca assegnò loro per appannaggio una estesissima provincia, colla sua capitale, dove recaronsi a passare il resto de’ loro giorni. Inviò anche un ufficiale al principe Hussain, suo fratello maggiore, per annunziargli il cambiamento accaduto, ed offerirgli di scegliere in tutto il regno la provincia che più gli piacesse, per goderne in perpetuo dominio. Ma Hussain trovavasi tanto felice nella sua solitudine, che incaricò l’officiale di ringraziare da propria parte il sultano suo minor fratello della gentilezza che voleva usargli, assicurarlo della sua sommissione, e manifestargli che la sola grazia onde lo pregava, era di permettere che continuasse a vivere nel prescelto ritiro.»

Il dì non compariva ancora, e Scheherazade, vedendo che col racconto delle sue storielle teneva il Sultano delle Indie nell’incertezza di sapere se la farebbe morire o lascerebbela in vita, ne cominciò tosto un’altra in questi sensi: