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«Alcune fra le donne della fata, ch’erano con lei entrate in sala, e ne compresoro l’intenzione, uscirono, portando poco dopo cibi e vino squisito.

«Quando Ahmed si fu ristorato a sufficienza, la fata Pari-Banù lo condusse d’appartamemo in appartamento, dov’ei vide il diamante, il rubino, lo smeraldo e tutte le sorta di pietre fine, adoperate colle perle, l’agata, il diaspro, il porfido ed ogni specie de’ marmi più preziosi, senza parlare delle masserizie d’inestimabile ricchezza, il tutto profuso in modo sì stupendo, che ben lungi dall’aver veduto cosa che vi si accostasse, confessò nulla potervi essere di simile al mondo.

«— Principe,» disse allora la fata, «se tanto ammirate il mio palazzo, il quale, a dire vero, ha grandi bellezze, cosa direste poi di quelli dei capi dei nostri geni, che sono assai più belli, grandiosi e magnifici? Potrei farvi ammirare anche la venustà del mio giardino; ma ciò sarà per un’ altra volta: la notte si avvicina, ed è tempo di metterci a tavola. —

«La sala nella quale la fata fece entrare Ahmed, ed in cui stava apparecchiata la mensa, era l’ultimo luogo del palazzo che rimaneva da mostrare al principe, non inferiore a veruno di tutti quelli già percorsi. Entrando, ammirò l’illuminazione d’una infinità di lampade profumate d’ambra, la cui moltitudine, ben lungi dal produr confusione, era disposta con sì ben intesa simmetria, che faceva piacere a vederla. Ammirò parimente una grande credenza piena di vasellami d’oro, cui l’arte rendea più preziosi della materia; parecchi cori di donne, tutte d’incantevole beltà e riccamente vestite, che cominciarono un concerto di voci e d’ogni sorta d’istrumenti i più armoniosi che si udissero. Si misero a tavola, e Pari-Banù usò gran cura di servire al giovane i cibi più dilicati, ch’essa di mano in mano gli nominava, invitandolo a gu-