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NOTTE CDIX


— Narrò allora la maga al sultano delle Indie in qual maniera, fingendosi ammalata, fosse riuscita a commovere il principe Ahmed, il quale avevala condotta in un luogo sotterraneo, presentata e raccomandata egli stesso ad una fata di tal bellezza, da non esistere nulla di paragonabile nell’universo, pregandola di volere colle sue cure contribuire a risanarla. Gli espose poi, con qual compiacenza avesse la fata dato subito ordine a due delle fate che l’accompagnavano ad incaricarsi di lei e non abbandonarla se non si fosse ristabilita; cosa che aveale fatto conoscere non poter tanta condiscendenza provenire se non dalla parte d’una sposa verso il consorte. Nè mancò la maga di esagerargli la maraviglia ond’era stata colta alla vista della facciata del palazzo della fata, cui non credeva si potesse trovare al mondo nulla di eguale, mentre le due donne ve la conducevano sorreggendola d’ambo i lati, come una malata, quale fingeva di essere, che non avesse potuto sostenersi, nè camminare senza il loro aiuto. Gli fece la descrizione minuta della loro premura a curarla quando fu nell’appartamento, nel quale l’avevano, per così dire, portata, della pozione presa, della pronta guarigione ch’erane seguita, finta anche questa al par della malattia, sebbene non dubitasse della virtù della bevanda; della maestà della fata seduta sur un trono tutto sfolgorante di gemme, il cui valore superava tutte le ricchezze del regno dell’Indie; e finalmente dell’altre dovizie immense ed incalcolabili;