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diligenze per averne notizia; spedì corrieri in tutte le province de’ suoi stati, coll’ordine a’ governatori di arrestarlo e costringerlo a tornare alla corte; ma le indagini non ebbero il bramato effetto, e le sue pene, invece di scemare, non fecero che crescere. Spesso se ne lagnava col suo gran visir.

«— Visir,» diceva, «tu sai che Ahmed è quello de’ miei figliuoli ch’io ho sempre più teneramente amato, e non ignori le vie da me tentate per ritrovarlo, e sempre indarno. Sì vivo è il dolore che ne provo, che alla fine soccomberò, se tu non senti pietà di me. Per poco riguardo che abbi alla mia conservazione, ti scongiuro d’assistermi, e giovarmi del tuo soccorso e de’ tuoi consigli.»

Scheherazade fu interrotta dal sorgere del giorno. La domane, essa ripigliò il racconto, continuandolo le notti seguenti nel solito modo.


NOTTE CDIII


— Sire, il gran visir, non meno affezionato alla persona del sultano, che niente a ben disimpegnare l’amministrazione degli affari dello stato, pensando ai mezzi di recargli conforto; si ricordò d’una maga, della quale diceasi maraviglîe, e gli propose di farla chiamare per consultarla. Aderì il sultano, ed il gran visir, fattala venire, gliela condusse in persona.

«Il sultano disse alla maga: — Il dolore che mi opprime per l’assenza del principe Ahmed, sin dal tempo delle nozze del principe Alì, mio figliuolo, colla mia nipote Nuronnihar, è così notorio e pubblico, che tu senza dubbio non lo ignori. Mediante l’arte e