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ed anguraronle il buon viaggio, dopo ch’ella sì fu da esse congedata e l’ebbe ringraziate dei disturbi presi per lei.

«Avanzatasi alcuni passi, la maga si rivolse per osservare la porta e riconoscerla, ma la cercò indarno; era divenuta invisibile per lei, come per qualunque altra donna, come abbiam già notato. A riserva dunque di questa sola circostanza, si recò dal sultano, assai contenta d’essersi così ben disimpegnata della commissione ond’era incaricata. Giunta alla capitale, andò per vie appartate a farsi introdurre dalla stessa porta segreta del palazzo, ed il sultano; avvertito del suo ritorno, se la fece venire innanzi, e scorgendola comparire con faccia tetra, stimando non fosse riuscita: — Al vederti,» disse, «giudico che il tuo viaggio sia riuscito inutile, e che tu non mi porti gli schiarimenti che mi attendeva dalla tua sagacia.

«— Sire,» riprese la maga, «vostra maestà mi permetterà di rappresentarle non essere dal mio aspetto ch’ella deve giudicare se io mi sia ben comportata nell’esecuzione dell’ordine, del quale mi ha onorata, ma bensì dal rapporto sincero di ciò che ho fatto e che m’è accaduto, nulla tralasciando per rendermi degna della sua approvazione. Ciò ch’ella può osservare di tristo sul mio volto, viene da ben altra cagione che da quella di non essere riuscita, ed io spero che vostra maestà sarà soddisfatta delle mie indagini. Non le dico qual sia questa cagione; il racconto che debbo farle, se ha la pazienza di ascoltarmi, glielo farà conoscere.»