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tinse l’acqua. Riempitone il vaso, tornò addietro, ed uscì dal castello sano e salvo come v’era entrato. Allontanatosi alquanto, nel rivolgersi vide due di que' lioni accorrere alla sua volta; senza spaventarsi, sguainò la scimitarra, e si pose in difesa; ma com’ebbe veduto, strada facendo, che l’uno di quelli erasi sviato a qualche distanza, manifestando coi movimenti della testa e della coda che non veniva a fargli alcun male, ma per camminargli davanti, e che l’altro rimaneva di dietro per seguirlo, ripose il brando nel fodero, ed in tal guisa proseguì il suo cammino sino alla capitale delle Indie, ove penetrò accompagnato dai due leoni, che nol lasciarono se non alla porta del palazzo. Entratovi, ripresero le belve la stessa strada per la quale erano venute, non senza immenso terrore da parte del popolo e di quelli che li videro, i quali nascondevansi o fuggivano, chi da un lato, e chi dall’altro, per evitarne l’incontro, benchè caminassero a passo lento, senza dare verun indizio di ferocia.

«Diversi ufficiali, presentatisi per assistere Ahmed a scendere di cavallo, lo accompagnarono sino all’appartamento del sultano, dove questi conversava co’ favoriti. Quivi, accostatasi al trono e deposto il vaso appiè del padre, baciò il ricco tappeto che copriva i gradini, e rialzandosi: — Sire,» gli disse, «ecco l’acqua salutare che vostra maestà desiderava mettere fra le preziose curiosità che arricchiscono ed adornano il suo tesoro. Le auguro una salute sempre sì perfetta, che mai non abbia bisogno di farne uso. —

«Finito Ahmed il suo complimento, il sultano lo fece sedere alla destra, e quindi: — Figliuolo,» gli rispose, «vi sono gratissimo del vostro presente quanto del pericolo al quale voi vi cimentaste per amor mio.» (N’era stato informato dalla maga, la quale