Pagina:Le mille ed una notti, 1852, V-VI.djvu/47


35

«Le due donne, intanto, che la fata Pari-Banù aveva incaricate de’ suoi ordini, condotta la maga in un sontuoso appartamento, la fecero in primo luogo sedere sur un sofà; dove, mentre stava appoggiata ad un cuscino di broccato col fondo d’oro, le prepararono un morbido letto i cui materassi di raso spiccavano per un bel ricamo di seta; le lenzuola erano d’una tela delle più fine e la coperta di drappo d’oro. Aiutatala a coricarsi, poichè la maga continuava sempre a fingere che l’accesso di febbre, ond’era attaccata, la tormentasse in modo da non potersi aiutare da sè medesima; allora, dico, una delle donne uscì, tornando poco dopo con una tazza di porcellana finissima piena di liquore, e presentatala alla maga, mentre l’altra sua compagna l’aiutava a mettersi a sedere: — Prendete,» le disse, «è acqua della fontana dei Lioni, rimedio onnipossente per qualunque febbre. Ne vedrete l’effetto in men d’un’ora. —

«La maga, per meglio fingere, si fe’ pregare a lungo, come se provasse insuperabile ripugnanza a bere quella pozione; prese finalmente la tazza, e trangugiò il liquore scuotendo la testa, quasi si fosse fatta grande violenza. Quando fu ricoricata, le due donne la coprirono bene. — State in riposo,» le disse quella che aveva recata la pozione, «ed anzi, dormite, se ve ne sentite voglia. Noi vi lasciamo, e speriamo di trovarvi perfettamente guarita quando torneremo, tra un’ora circa.»

L’alba sorse con alto rammarico del sultano delle Indie, che il racconto di Scheherazade interessava al sommo. Lo ripigliò essa la domane, continuandolo i dì seguenti come di solito.