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LE

MADRI GALANTI Gli autori si riservano tanto per la ristampa, quanto per la recita della presente commedia tutt' i diritti che sono loro guarentiti dalle vigenti leggi sulla proprietà letteraria. LE MADRI GALANTI COMMEDIA IN CINQUE ATTI DI EMILIO DRAGA ED ARRIGO BOITO Rappresentata per la prima volta in Torino al teatro Carignano nel marzo 1863 MILANO TIPOGRAFIA DI G. BOZZA 1863.


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PERSONAGGI


ANNA Contessa D’ACQUI.
Donna MATILDE FOSCHI.
MARIA SENESI.
CAMILLA.
ENRICO SALVI, avvocato.
Conte D’ACQUI.
Barone ABATI.
COLLALTO.
Una modista.
Una cameriera.
Quattro signori.
Quattro signore.
Un domestico.




La Scena è in Milano, ai dì nostri.

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ATTO PRIMO


In casa del Conte d’Acqui. — Sala riccamente addobbata. — Un uscio nel mezzo, due usci laterali. — Su di una tavola sta spiegata una pezza di moire rosa. — Lumi accesi, è principio di sera.



SCENA PRIMA.

Anna, la Modista, Camilla in un canto.

Modista.

E le maniche?

Anna.

Simili a quelle del mio vestito bleu, ma assai più corte.

Modista.

Badi Contessa che allora le si ridurranno quasi a niente.

Anna.

S’è così, per far che non appariscano troppo le braccia, e guarnirete con due pagodes squarciate fino in cima, e di tulle molto fino e molto trasparente. [p. 8 modifica]

Modista.

Siamo intese. E la gonna?

Anna.

Molto lunga e molto ricca.

Modista.

Ed il busto?

Anna.

Stretto ed un po’ mancante alle spalle.

Modista.

Ho capito: allora prenderò per modello l’ultimo abito da ballo che ho fatto per la signora contessa.

Anna.

Oh, no; quello mi vien troppo su, e ci sto troppo comoda.

Modista.

Adesso ho capito meglio. La signora contessa vuole un vestito troppo lungo nella gonna, troppo stretto alla cintura, troppo basso alle spalle — la ci starà meno comoda.

Anna.

Poco importa. Questi tre difettucci sono indispensabili a far perfetto un vestito. E poi in materia di moda l’ultima cosa che si cerca è la comodità.

Modista.

Verissimo. Ma non crede, contessa, che scoprendo così le spalle, il busto non venga poi a discendere troppo giù sul petto?

Anna.

In questo caso ne ornerete il rimbocco con qualche cosuccia: su ciò non datevi briga: vedremo poi. [p. 9 modifica]

Modista.

Allora tutto è convenuto. Quanto alla stoffa (ripiegando la stoffa) la è davvero magnifica.

Anna.

Ho voluto arrischiare il rosa per un’ultima volta.

Camilla.

Mamma, e la veste che il papà ti disse or ora ch’io avevo bisogno?

Anna.

Oh! a proposito, madama Leblon, fatemi il piacere di procacciarvi un tessuto semplice molto per far un vestito a mia figlia.

Modista.

Di che colore?

Anna.

Oscuro.

Modista.

E il vestito un po’ scollato forse, alla vierge?

Anna.

No, no, accollato, molto accollato, e comodo assai: i fanciulli vogliono star comodi.

Modista.

Quell’ultimo che le ho fatto andava bene, mi pare.

Anna.

Non hai cresciuto d’allora, Camilla?

Camilla.

Cresciuta? Son due anni che non cresco più, mamma.

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Anna.

Ricordatevi che aspetto tutto per domani sera.

(alla Modista)

Modista.

A nov’ore, senza fallo.

Anna.

Mi raccomando.

Modista.

Sarà servita.

Domestico.

(annunciando) Donna Matilde Foschi.

(si ritira)
(la Modista s’avvia per uscire).


SCENA II.

Anna, Camilla, Matilde.

Anna.

Camilla, vattene.

(Camilla esce).

Matilde.

Ah! madame Leblon, e il mio vestito?

Modista.

Stanno attaccandovi la guarnizione.

Modista.

Quanti metri ce ne mettete?

Modista.

Novecentonovantotto metri di petite blonde.

Matilde.

Sta bene.

(la Modista s’inchina ed esce).

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SCENA III.

Anna e Matilde.

Anna.

Tanto fa metterne mille, mia cara; una dozzina più, una meno....

Matilde.

È quella che basta per far dire alla gente che porto un chilometro di blonde al mio vestito. Non vi siete ancora acconciata?

Anna.

Sarà mezz’ora che ci siamo alzati da tavola. Che opera c’è stassera?

Matilde.

Il Trovatore.

Anna.

Potremo andarcene all’ultimo atto.

Matilde.

Perchè, se è il più bello di tutti?

Anna.

Debbo finir la sera dalla Clari.

Matilde.

Oh! ma voi siete sempre lancée, cara mia.

Anna.

Che volete, ho tante relazioni.

Matilde.

E vostro marito? [p. 12 modifica]

Anna.

Egli mi accompagna di rado; per solito è il vecchio barone Abati che mi fa da cavaliere: cavaliere poco pericoloso, ma, malgrado ciò, divertente.

Matilde.

Io invece non vado mai ai balli senza mio marito: la gente è tanto maligna. Avete visto il signor Salvi in questi giorni?

Anna.

Sì, egli capita spesso a quest’ora.

Matilde.

Sapete ch’egli è un avvocato molto originale? Dicono che costoro imparano nel codice a fare i bussolotti colle parole; ma il signor Salvi è una eccezione.

Anna.

Sì, è un carattere che spinge la franchezza fino all’esagerazione, ma nello stesso tempo è un tipo di lealtà.

Matilde.

Oh certamente, ed è per questo che ho affidata a lui la mia causa. Anna, Davvero! non me ne ha mai mosso parola. Voi pensate sempre seriamente alla vostra separazione....

Matilde.

Seriamente assai. Sono spinta agli estremi. Foschi si rovina col giuoco, credo la mia dote assai compromessa. La separazione è necessaria. Per buona [p. 13 modifica] sorte ch’io sono tenuta troppo in onore dalla società perchè la mia riputazione abbia a temerne. Lo scandalo cadrà tutto su mio marito che ne ha la colpa.

Anna.

Non vi separerete però dalla vostra bambina.

Matilde.

No, mai. Foschi non la vorrebbe, fuorchè per giocarla. E poi la legge vuole che rimanga alla madre. Tanto più che io quella piccina me la idolatro. Se la vedeste col suo nuovo farsettino alla scozzese, la è un amore; ieri al corso tutti la guardavano. Ma la poveretta avea le gambine nude e tremava dal freddo: oggi è a letto ammalata. — Non andate a vestirvi?

Anna.

Vado e subito perchè aspetto il barone che mi ha promesso di portarmi il signor Collalto.

Matilde.

Com’è quel signore?

Anna.

Oh, balla bene assai.

Domestico.

(Annunciando) Il signor Salvi.

SCENA IV.

Anna, Matilde, Enrico Salvi.

Anna.

Ah! Il signor Salvi. [p. 14 modifica]

Salvi.

Signora contessa... Signora.

Anna.

Appunto: mentre vado un po’ allo specchio voi terrete compagnia un quarto d’ora a donna Foschi. Quando volete sapete essere gentile.

Salvi.

Farò quello che potrò, contessa.

SCENA V.

Salvi, Matilde.

Matilde.

Enrico (dopo qualche minuto di silenzio).

Salvi.

Scusate, signora. Rammentatevi che siamo in casa della contessa d’Acqui: chiamatemi sig. Salvi, o avvocato, come meglio vi aggrada.

Matilde.

Ebbene, signor Salvi, è egli così che mi farete passare il quarto d’ora promesso?

Salvi.

Stava cercando un modo per entrare in discorso.

Matilde.

E non lo avete trovato?

Salvi.

Non ancora. [p. 15 modifica]

Matilde.

Vi ajuterò io. Vi ricordate voi di una bella sera che passammo insieme, là, in quella dolce Brianza? È trascorso un anno d’allora.... eppure me ne sovvengo come fosse ieri. Cadeva l’autunno, noi ce ne andavamo soletti nel parco, mio marito era assente...

Salvi.

Basta così: ora tiro avanti da me, grazie — Il vostro processo nuota in cattive acque!

Matilde.

Come sarebbe a dire, signor Salvi?

Salvi.

Non andate in collera. Sarebbe a dire che vostro marito se la prende calda e non ne vuol sapere di separazione, di quella di beni in special modo; e non ha torto perchè se voi gli scappate col mezzo milioncino, il miserello se ne rimane tutto spogliato in mano de’ suoi creditori — Epperò egli spiffera a tutti che ciò che voi chiamate vostra dote non è altro che una donazione che vi fece egli medesimo sposandovi e che voi del vostro non avete mai avuto un centesimo — non temete, parlo sottovoce — Aggiunge che voi lo rimunerate dell’amore ch’egli vi porta colla gratitudine del serpe. Va all’inchiesta di avvocati e di testimoni, pone in subbuglio i tribunali e pagherebbe tant’oro per arrivare a scoprire in voi qualche piccola pecca che potesse aiutarlo a salvarsi.

Matilde.

E quali pecche, compiacetevi di dirmi, quali pecche potrebb’egli scoprire? [p. 16 modifica]

Salvi.

Puh! vi ricordate voi di una bella sera passata in Brianza?.... Andavamo soletti nel parco, vostro marito era assente....

Matilde.

Signore.... basta.

Salvi.

È la storiella che mi rammentavate or ora.

Matilde.

E che dovrebbe rammentarvi anche che in quel tempo prometteste di difendere le mie sostanze e il mio onore.

Salvi.

Eh! un anno fa! Promesse fatte al chiaro di luna, coll’anima spasimante.... ma senza un bricciolo di cervello. Scusatemi io vi dico la verità nuda e cruda: tutti abbiamo i nostri difetti, e questo è il mio. In quel tempo l’idea di una bella martire strappata dalle ughie di un marito era per me l’insuperabile del poetico; difendere poi questa martire, la più sublime delle cause, l’ideale dell’arte dei dibattimenti, e l’avvocato si atteggiò allora da paladino e promise di combattere per la sua dama nei tribunali, come i cavalieri della Tavola Rotonda ai tornei — Ah! ah! mi meraviglio, signora, che voi rivestiate ancora di poesia quelle vecchie promesse — Voi celiate, signora.

Matilde.

E voi mi parlate così, Enrico! non sono dunque più nulla per voi? [p. 17 modifica]

Salvi.

Perdonatemi, siete sempre la mia cliente.

Matilde.

Ah! Enrico....

Salvi.

Chiamatemi Salvi. — Dal giorno che mi consegnaste i documenti per il processo e che doveste confessarmi la storia della dote e.... altre piccole storielle, la bella martire si mutò per me in una semplice cliente. È forse mia la colpa se da quel giorno le illusioni, quelle diafane sirene coronate d’iridi e di veli, si mutarono nella grossolana figura della verità, e se riconobbi che la causa di una moglie che si separa dal marito per fini di danaro non era niente affatto la più sublime delle cause? — Potete dirmi che sia colpa mia se da quel giorno in poi, goccia a goccia è piovuta nell’anima mia l’acqua gelata del realismo? Da quel giorno vedo le cose come sono, sento le cose come sono, dico le cose come sono, e per questo mi chiamano un burbero, un carattere insopportabile... Egli è che da quel giorno il paladino si mutò in avvocato presso il tribunale civile di Milano; e credo che ne siate un po’ anche voi la colpa.

Matilde.

Dunque voi volete perdermi.

Salvi.

Oh no, non voglio perdervi, signora. — Ma oggi che non sono per voi altro che la metà di quello ch’ero in altri tempi e che però ci vedo più chiaro, m’accorgo di non potervi salvare che la metà di ciò che vi promisi in altri tempi. [p. 18 modifica]

Matilde.

Spiegatevi.

Salvi.

Questa metà è alla vostra scelta. L’onore o il denaro; uno dei due, pensateci.

Matilde.

Voi mi offendete.

Salvi.

Lo sapevo: scusate. — Poichè dunque è l’onore che scegliete, siamo d’accordo e vi approvo. — Lo salveremo; il modo ne è semplicissimo: troncate il processo e riconciliatevi con vostro marito.

Matilde.

Non m’intendete, signor Salvi.

Salvi.

Ah! gli è dunque il denaro che scegliete? mi permettete di non approvarvi? Gli è pur vero che ogni onoratezza può misurarsi a peso d’oro.... Voi stimate la vostra mezzo milione: ve ne sono molte che si accontenterebbero di molto meno.

Matilde.

Datevi pace. La mia fama me la salverò io, ve lo prometto. E poi che è infine una moglie divisa dal marito?

Salvi.

Non è una buona moglie.

Matilde.

V’ingannate! [p. 19 modifica]

Salvi.

Cioè, lo potrà essere, ma non certo per suo marito.

Matilde.

Eppure la legge è con essa, signor avvocato.

Salvi.

Ma non la società. — Giacchè però voi vi prendete la cura di salvarvi la riputazione, io mi prendo quella di salvarvi la dote.

Matilde.

E le astuzie di mio marito?

Salvi.

Con un po’ di accorgimento si sventeranno.

Matilde.

Davvero? oh grazie, grazie della buona parola!

Salvi.

Così io adempirò al mio incarico: ma voi dubito che possiate adempiere al vostro.

Matilde.

Vedrete la fine, signore.

Salvi.

Vedremo la fine.

Matilde.

Sta bene, e non parliamone più. Ora siate più gentile, e facciamo un po’ di pace.

Salvi.

La pace con chi?

Matilde.

Eh via, non voglio compromettervi; la pace coll’avvocato. [p. 20 modifica]

Salvi.

S’è così.... (si danno la mano).

SCENA VI.

Salvi, Matilde, il Conte.

Conte.

Oh! qui la signora Foschi?

Matilde.

Si, caro Conte, vengo a rapirvi la moglie.

Conte.

Per condurla?...

Matilde.

Alla Scala.

Conte.

Brave, brave, sempre a teatro queste signore. — E dove è mia moglie?

Matilde.

Sta vestendosi.

Conte.

Ancora una volta? da questa mane in qua sarà la quarta. — Donna Matilde, non abbisogna che vi presenti il signor Salvi?

Matilde.

Oh, ci conosciamo da molto tempo.

Conte.

Me ne rallegro.

(entra una cameriera).

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Cameriera.

La signora contessa prega la signora a voler passare un momento nel gabinetto.

Matilde.

Sarà certo per qualche consiglio di toilette: permettetemi, signori, è un affare d’importanza.

(esce)


SCENA VII.

Salvi, il Conte.

Conte.

E così, che ne dici di quella signora?

Salvi.

È una signora molto bene vestita e molto bene pettinata. — La incontro sovente con tua moglie ai teatri, ai passeggi, e nelle feste da ballo.

Conte.

Sì, è una sua nuova amica, e pare che simpatizzino molto insieme.

Salvi.

Capisco. — Saranno di quelle simpatie di toilette con toilette che si danno spesso fra le dame della cerchia elegante; quel mistico bisogno di ravvicinamento che si accende fra un bel vestito bianco di moire e un bel vestito nero di dentelle, fra uno splendido monile di diamanti, e una superba collana di perle: simpatie che prendono le loro radici, credo, un po’ dalle seduzioni del contrasto e da un [p. 22 modifica]sentimento di emulazione, un po’ anche dalla necessità di un certo vicendevole appoggio, di una direi quasi complicità che fa sì che l’una sia attratta irresistibilmente verso l’altra. Pure se una volta, per caso, una delle due toilettes offuscasse soverchiamente l’altra, la simpatia si muterebbe tosto in terribile antipatia, e le due signore si appiglierebbero a un pretesto qualunque per non guardarsi più in faccia.

Conte.

Ne sai di belle tu, caro Enrico: confesso che non m’ero addentrato tanto nella natura di queste simpatie.

Salvi.

Tu, caro d’Acqui, hai lasciato da parecchi anni la pratica della società, e te ne vivi quietamente colla tua buona Camilla; io invece ho campo d’osservarle certe cose, e di conoscerle più addentro di te. Epperò mi pare anche di aver capito che la relazione di quella signora Matilde non sia molto fruttuosa per tua moglie.

Conte.

Quella signora è vantata da tutti come un modello irreprensibile di condotta: che ne sai tu?

Salvi.

Io?... io sono l’avvocato di quella signora.

Conte.

Ne sei l’avvocato, ma non si può dire che tu ne difenda molto la causa.

Salvi.

La casa dell’amico non è il tribunale: là posso [p. 23 modifica]difendere la cliente dietro i baluardi del Codice; qui l’amicizia.... non potrà reclamare a sua volta i proprii diritti?... Ad ogni modo perdonami.

Conte.

Quà la mano, buon Enrico: mi pare veramente che dobbiamo vivere in un secolo molto falso e bugiardo, se ogni volta che si vuol parlare francamente si deve domandar perdono come di una increanza. Fra di noi, amico, non ci dovrebbero essere di queste formalità. — Del resto, mio caro, sappi che io non temo nulla per mia moglie.

Salvi.

Male. — Se non temi non ami. Io so che per le persone che si amano si teme sempre,... e tua moglie.... si diverte troppo con quella signora per non temerne un tantino.

Conte.

Lascia che si diverta; è ancor giovane, dicono che sia ancor bella; sacrificò a me la sua prima gioventù; ora sarei un tiranno se la rinchiudessi fra quattro pareti quel po’ di tempo che le rimane per divertirsi.

Salvi.

E allora, scusami, perchè tu e tua figlia non siete compagni ai suoi piaceri?

Conte.

Noi due stiamo così bene soletti, in casa. — E poi Anna non vuole che Camilla si mostri ancora nella società: ha sedici anni, è vero, e potremmo condurcela, ma poi.... ho timore anch’io che quel [p. 24 modifica]bel coricino mi si guasti, che quella folla me la contamini.

Salvi.

E così l’amore dell’una ti ammorza l’amore dell’altra, e temi per tua figlia quella stessa società che non temi per tua moglie. — Capisco che la contessa....

Conte.

La contessa (sei così chiaro nelle tue frasi che le si leggono in viso prima che le pronunci) la contessa, vuoi dire, mi sarà grata di tener nascosta Camilla: poichè tu credi, non è vero? che essa veda con ispavento il giorno in cui la figlia offuscherà la madre nelle sale da ballo...

Salvi.

Almeno.... gli è questo il grande spauracchio di molte madri giovani, caro d’Acqui.

Conte.

Ho tentato più volte con buone parole di distogliere Anna dalla troppa passione della società, ma essa ha un carattere molto tenace.

Salvi.

Perchè tu l’hai un po’ debole, amico; se tu l’avessi un po’ più vigoroso, non credi tu che potresti essere miglior padre e miglior marito?

Conte.

Enrico, non continuare così.

Salvi.

Oh! ti sei offeso? Vedi che il secolo non ha poi torto quando chiama la franchezza un’increanza? Devo daccapo domandarti perdono? [p. 25 modifica]

Conte.

Dirmi che non sono buon padre, io? Io che amo tanto Camilla, io che ho passato sedici anni ad educarla, a curarla, a farle il cuore, a coltivarle lo spirito, dirmi che non sono buon padre!

Salvi.

Ebbene! se sei buon padre voglio metterti alla prova. Senti — se io ti dicessi: — tua figlia ha sedici anni, è pura, è buona, è gentile come l’età che porta: coll’amarla tanto l’hai educata all’amore; ebbene, essa ama un giovane, questo giovane l’ama anch’egli tanto, questo giovane è retto di cuore, onesto, onorato, non molto ricco, non nobile, ma onorato. Dà tua figlia questo giovane e li farai tutti e due felici, ed essi ti benediranno: che risponderesti?

Conte.

Ti risponderei: — sì, dimmi il nome di questo giovane ch’io gli darò Camilla.

Salvi.

Bravo d’Acqui!

Conte.

Ma.... chi è questo giovane?

Salvi.

Oh.... non era che una supposizione.... per metterti alla prova....

Conte.

Benedetto uomo!... tu parli colle ipotesi....

Salvi.

Ipotesi... no.... non del tutto.... [p. 26 modifica]

Conte.

Dunque spiegati.... il suo nome....

Domestico.

(annunziando). Il signor Barone Abati.

SCENA VIII.

Il Barone Abati, Collalto, Conte, Salvi.

Barone.

Caro amico, ti presento il signor Collalto, che desiderava tanto di fare la tua conoscenza.

Conte.

Troppo onore, signore.

Collalto.

L’onore è tutto mio, signor conte.

Conte.

Come sta tua moglie?

(al Barone).

Barone.

Sempre gelosa.

Conte.

Guardate se la contessa ha finito di vestirsi.

(alla cameriera che si presenta).

Cameriera.

La signora è vestita; s’acconcia i fiori in testa.

Conte.

Andrò a far che si spicci, scusatemi.

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Barone.

Ed io non potrò penetrare nel santuario?

Conte.

Oh! sempre, amico. — Ritorniamo subito.

SCENA IX.

Collalto, Salvi.

Salvi.

Voi in questa casa?

Collalto.

E perchè no?

Salvi.

Ciò mi ha un po’ del meraviglioso. — Un’aquila che entra in un pollaio.

Collalto.

È naturale, caro Salvi: c’è un pollo stuzzicante: del resto pare che anche voi ci bazzicchiate nel pollaio: anzi son contento di avervi trovato; mi darete delle istruzioni intorno alla contessa.

Salvi.

Intorno alla contessa?

Collalto.

Sì, le sono stato presentato ad una festa da ballo, e dopo la seconda quadriglia la gentile contessa mi ha invitato a venirla a trovare in casa: ciò pronostica fortuna, non è vero, Salvi? Io poi che ho pratica di queste cose mi son fatto presentare [p. 28 modifica]legalmente al marito, dal barone Abati. Eh! sappiamo a che ci appigliamo noi, non è vero?

Salvi.

Questa volta per esempio vi siete appigliato ad un granchio: la contessa è una dama ammodo assai, e se vi frulla in cervello di tentar fortuna abbandonatene il pensiero.

Collalto.

Davvero? e siete anche voi di quelli che credono ch’io non possa avere mai fortuna colle dame? vedrete: vi proverò il contrario, e anche a spese di un marito.

Salvi.

E di una donna che comprometterete.

Collalto.

Tanto meglio — Gli è bene a forza di comprometterle queste signore che si diventa famosi con esse; e poi che colpa ne abbiamo noi s’esse son deboli.

Salvi.

(con ironia). Pure quando si è seducenti come voi un po’ di colpa si ha.

Collalto.

Certo, e mi vanto di averla. — Del resto se vi beffate di me perchè non ho barba sappiate che si può fare anche senza barba la conquista della contessa.

Salvi.

Quanto paghereste per averla? [p. 29 modifica]

Collalto.

Chi? La contessa?

Salvi.

No, la barba.

Collalto.

V’ingannate, signor Salvi. — Una guancia liscia e morbida ha per la donna matura seduzioni più forti che un mento ispido e barbuto. — La contessa ha una figlia non è vero?

Salvi.

Sì.

Collalto.

Di che età?

Salvi.

Di sedici anni.

Collalto.

Sedici e.... diciotto.... trentaquattro. È l’età giusta.

Salvi.

Inclinate alla maturità.

Collalto.

Certo. Le giovinette mi son tanto in uggia, mi han l’aria così insipida, così melensa. E poi una giovinetta la si crede sempre ammodo, come dite voi, e una donna matura si ha un filo di speranza che non lo sia.

Salvi.

Siete molto morale, Collalto. [p. 30 modifica]

Collalto.

Eh! diamine: che diventeremmo noi se tutte le donne fossero ammodo. Ma ditemi in fine, non è vero forse che la contessa è un po’ leggiera?

Salvi.

Cioè?

Collalto.

Un po’ civettuola?

Salvi.

Vedete, Collalto, vi son delle signore che vi parranno a prima giunta un po’ leggiere, un po’ civettuole, ma che oltre un dato limite vi sapranno mistificare mirabilmente. — Non vi è mai toccato ciò?

Collalto.

Mai. Io conosco le mie dame, e so che ce ne sono di quelle come voi dite, ma le si scorgono subito. — Guardate per esempio, l’amica della contessa, donna Foschi, — v’arrischiereste voi a dirle una mezza parolina un po’ galante?

Salvi.

Oh! donna Foschi è molto rispettabile, lo so.

Collalto.

Per buona sorte di quelle non ce ne sono molte: la è una vera benedizione ora che fuori della buona società abbiamo così poche risorse. — Di madamine non ce ne sono più; hanno derogato: una maitresse alla luce del sole costa troppo caro.

Salvi.

Gli è dunque per economia che sceglieste il sistema della mezz’ombra. [p. 31 modifica]

Collalto.

Certo, e poi non è forse maggior trionfo il sentirsi mormorar intorno quando s’entra in una sala. — Ecco lì l’amante della contessa K o della marchesa W, piuttosto che sentirsi gridare: l’amante della Lisetta, o dell’Albertina? C’è il rovescio della medaglia, non dico di no. Si corre rischio alle volte di passar la notte entro un’armadio, o sotto un letto....

Salvi.

Di buscare qualche legnata....

Collalto.

O qualche pistolettata, non dico di no; ma infine o si è uomini o si è bimbi.

Salvi.

Bravo, giovanotto! quanti mesi sono che usciste dal collegio?

Collalto.

Se questo è un sarcasmo, sappiate, signor mio, che ho già per amante una delle più belle dame dell’alta società. — Volete ch’io vi dica il suo nome?

Salvi.

No, no, risparmiatelo: siete tanto discreto! Non isperate però tanto sul conto della signora d’Acqui. Vi trovereste corbellato.

Collalto.

Eh via, Salvi, siate sincero: sareste forse voi.... non voglio farvi ombra, sapete.... fra amici.... dite una sola parola ed io mi ritiro.... [p. 32 modifica]

Salvi.

Basta, basta: se la prendete così, mutiamo discorso.

SCENA X.

Salvi, Collalto, Barone, Anna, Matilde, Conte.

Anna.

(entra assestandosi l’abito). Oh! chi mi dà uno spillo?

Barone.

Uno spillo? Eccovene contessa, io ne porto sempre con me un guancialino imbottito. Gli è un vade mecum indispensabile per il perfetto cavaliere.

Anna.

Grazie, barone. — Oh, signor Collalto, scusate — è facendovi aspettar tanto che vi si rimunera della vostra gentilissima visita.

Collalto.

Perdono, contessa, è col lasciarvi vedere che rimunerate generosamente la penitenza dell’aspettarvi.

Anna.

Sempre amabile. — Giacchè abbiam tempo sediamoci un poco. — (Siedono in giro, Collalto presso la contessa a sinistra, il barone con Matilde nel fondo, Salvi, col conte a destra).

Salvi.

(al conte). Vedi. — Vestito rosa guarnito in pizzo nero, vestito cilestro guarnito di pizzo bianco, [p. 33 modifica]contrasto piccante e malizioso: sul collo di tua moglie cinque fila di perle, sul collo della Foschi una collana di smeraldi — che t’aveva detto io?

Anna.

Dunque facciamo la pace, Matilde?

Matilde.

La pace! e che? c’è stata guerra fra noi?

Anna.

Certo, la questione del vestito giallo.

Matilde.

Oh! quello è un consiglio di toilette. Quel vestito giallo mi è così antipatico.

Anna.

Che mormorate, lì in un angolo, signor Salvi? Appressatevi.

Salvi.

Usate arti diplomatiche, contessa; ma perdonatemi, vicino a voi non potrei più mormorare di voi.

Anna.

(fra sè). Il signor Salvi è proprio il meno gentile di tutti.

(si volge a parlare con Collalto).

Barone.

(a Matilde). Non ascoltate una parola di quello che vi dico.

Matilde.

Mi domandavate qualche eau de Juvence o qualche cosmetico d’ebano per i baffi? [p. 34 modifica]

Salvi.

(al conte). Vedi, amico, il piccolo Collalto fa la corte a tua moglie.

Conte.

Bambocciate.

Collalto.

(ad Anna). Mi permetterete, contessa, che questa sera io venga a trovarvi in palco?

Anna.

Certo, certo, chiacchiereremo.

Collalto.

Grazie. — Andrò a dir quattro parole al conte se permettete.

Anna.

Mi derubate, signor Collalto.

Collalto.

Perdonatemi, ne avrò dette cento a voi; vedete che in fine non è che il quattro per cento. Procediamo senza usura. (va a stringere la mano al conte).

Barone.

(che avrà parlato frattanto con Matilde). Ah!

Matilde.

Non sospirate tanto, barone: guardate, c’è un posto vacante vicino alla contessa: essa consolerà il vostro giovane cuore.

Conte.

(al barone). Donna Foschi ti maltratta, povero amico. [p. 35 modifica]

Barone.

Ma!...

Collalto.

(accostandosi a Salvi, piano a lui). Vittoria, vittoria, caro Salvi: un ritrovo al teatro, e presto una dichiarazione.

Salvi.

(piano e con ironia a Collalto). Me ne congratulo. Leggete un brano di Werther per prepararvi.

Anna.

(al barone che sarà passato vicino a lei, discorrendole sommessamente). Finirete questa sera in teatro?

Barone.

Sì, contessa. — Dopo lo spettacolo avrò io l’onore di accompagnarvi da donna Giulia?

Anna.

Certo.

Salvi.

Signora contessa, badate che son quasi le nove.

Anna.

C’è tempo, c’è tempo ancora. Ma ditemi che mormoravate poco fa sul mio conto?

Salvi.

Niente di male. — Facevo osservare a vostro marito che stasera siete molto seducente.

Anna.

Vi ringrazio, ma le son cose che si fanno osservare a tutti fuorchè ai mariti. [p. 36 modifica]

Salvi.

Grazie della lezione.

Collalto.

(a Matilde). Signora, mi pare aver avuto più volte l’onore di scontrarla nei balli di quest’inverno.

Matilde.

Davvero?

Collalto.

Certo, signora. E poi basta averla veduta una volta per....

Matilde.

(con freddo riserbo). Non ho il bene di conoscerla, signore....

Collalto.

Sono.... Collalto.

Matilde.

(c. s.) Il signore adopera un sistema di presentazione molto semplice. (china il capo come salutando)

(Collalto s’allontana confuso.)

Collalto.

(a Salvi). Ve l’ho detto io che quella signora Foschi è intrattabile!

Salvi.

Oh! povero Collalto.

Conte.

Dite a madamigella di venire (a una cameriera che passa). [p. 37 modifica]

Collalto.

Avete una figlia, signora?

Anna.

Si.... è ancora una bimba. — Mia cara Matilde, noi dimentichiamo lo spettacolo.

Matilde.

Vengo.

Anna.

Andiamo. — Signor Collalto, a rivederci dunque.

Conte.

(ad Anna). A che ora debbo venirti a prendere?

Anna.

Oh! molto tardi.

Barone.

Non incomodarti, amico. Mia moglie e io siamo a disposizione della contessa. La riconduremo nella nostra carrozza.

Anna.

Il signor Salvi rimane?

Salvi.

Sì, contessa, se permettete.

(il conte accompagna tutti fuori).


SCENA XI.

Salvi, Camilla.

Camilla.

(entrando confusa). Oh siete solo! [p. 38 modifica]

Salvi.

Si, Camilla, son solo. — Vi fo paura?

Camilla.

No, ma credevo di trovar mio padre....

Salvi.

Ritornerà subito, non temete. Perchè volevate fuggire di qui, Camilla? Non sono dunque proprio che uno straniero per voi!

Camilla.

Oh! no.... ma....

Salvi.

Eccolo il papà.

SCENA XII.

Detti, il Conte.

Conte.

Buone nuove, Camilla, buone nuove!

Camilla.

E quali, papà?

Conte.

Maria arriva a Milano.

Camilla.

Oh! la mia buona zia. — Cos’hai che guardi?

Conte.

(a Salvi). Mi dirai poi quel nome, Enrico? [p. 39 modifica]

Salvi.

Si, quando saremo soli. — Perchè così rossa, Camilla?

Camilla.

Cosa avete detto a mio padre?

Conte.

Dunque, su, ragazzi miei: ecco la scacchiera, fate la solita partita. — Io rileggo ancora la lettera di Maria.

Camilla.

Disponete i pezzi — Oh! avete messo il re al posto della regina.

Salvi.

E voi il cavallo dove sta l’alfiere.

Camilla.

Ah! è vero.

Salvi.

Cominciate.

(Fanno quattro mosse — il conte finge di leggere e osserva invece attentamente i giuocatori).

Camilla.

Scacco matto.



Cala la tela.

[p. 41 modifica]

ATTO SECONDO


La sala dell’Atto primo. — Maria, Camilla seduta ad un tavolino da lavoro.



SCENA PRIMA.

Maria, Camilla.

Maria.

(osservando attentamente un fazzoletto). Per chi è questo fazzoletto?

Camilla.

Per la mamma: son tre mesi che vi lavoro intorno; vedete zia, che disegno intralciato? Ci si perde gli occhi a fissarlo.

Maria.

Ma.... c’è uno sbaglio....

Camilla.

Dove? [p. 42 modifica]

Maria.

Qui, nelle iniziali; non vedi? c’è un E invece di un A.

Camilla.

Oh povera me! Di che sbadataggini sono capace! ed ora come fare a ripararvi?....

Maria.

Non spaventarti tanto, Camilla; la cosa è più facile di quello che tu non creda. Un cantuccio di fazzoletto si smarca più agevolmente che un cantuccio di cuore.... Perchè mo’ ti sei fatta pensierosa?

Camilla.

Niente, zia, penso a quell’E.

Maria.

Via: lo correggerai più tardi, per ora piglia questo giubboncino e cuci là. Il figlioletto di quella povera donna ha freddo ed attende questi pochi panni per riscaldarsi. La neve, Camilla, è più vicina al quinto piano che al primo. — Aiutami anche tu, così finiremo più presto. — (Pensa lavorando) Camilla, che nome ha quel signor avvocato.

Camilla.

Si chiama il signor Salvi! — perchè?

Maria.

No, volevo sapere il suo nome di battesimo.

Camilla.

Il suo nome di battesimo, zia?.... ma.... credo che sia Enrico — perchè? [p. 43 modifica]

Maria.

Ah! Enrico!.... Chiedeva così.... per curiosità. Ed ora a cosa pensi?

Camilla.

Io? a quella povera madre di ieri sera. Aveva l’aria così estenuata, e quando le avete detto se voleva darvi il bambino da allevare, che l’avreste tenuto in luogo di figlio, la povera donna ruppe in pianto esclamando: No, no, Iddio me l’ha dato a me il mio figliolo e voglio tenerlo. Quelle parole mi commossero tutta.

Maria.

Ed io, cara Camilla, arrossii della mia offerta, e compresi esservi nel cuore di quella donna assai più squisitezza di sentimento che nel mio. Ma io non son madre: se lo fossi stata, chi sa forse che non le avessi risparmiata quella domanda.

Camilla.

Come sareste stata buona madre voi, cara zia.

Maria.

Era l’unico voto mio.... Sospiri? l’hai anche tu un voto nel cuore, non è vero?

Camilla.

Io, buona zia? non vi ho detto mai nulla.

Maria.

No, ma in queste tre settimane che sto sempre con te ho potuto indovinare qualche cosa.

Camilla.

Impossibile — e come? [p. 44 modifica]

Maria.

Vuoi proprio sapere anche il come? ebbene, senti: un giorno eravamo solette in questa stanza come adesso, discorrevamo di tante cose come adesso, quando entrò il domestico annunciando: Il signor Salvi....

Camilla.

Ah! v’ingannate.... zia.... v’ingannate....

Maria.

A quel nome ti scuotesti tutta, e diventasti rossa, rossa come....

Domestico.

(annunciando). Il signor Salvi.

Maria.

Come adesso, ecco — mi sono ingannata?

SCENA II.

Maria, Camilla, Salvi.

Salvi.

Signora Maria, signorina....

Camilla.

Signore.

Salvi.

La contessa è alzata?

Maria.

Sì, signor Salvi. [p. 45 modifica]

Salvi.

Son capitato un po’ per tempo a fine di trovarla prima che scappi a fare le sue visite, le sue passeggiate.

Maria.

Allora andremo a prevenirla, se permettete.

Salvi.

Oh! grazie!

SCENA III.

Enrico, il Barone.

Domestico.

(annunciando). Il signor barone Abati.

Barone.

(entrando con un enorme mazzo di fiori). O piuttosto il suo bouquet.... ma la contessa?

Salvi.

Ecco quello che accade quando si preparano i motti prima d’entrare, la contessa non c’è.

Barone.

(al domestico). Ehi! portate un vaso d’acqua per questi fiori.

Salvi.

Tranquillizzatevi, barone, la contessa verrà tosto, i vostri fiori non appassiranno attendendola.

Barone.

Pure confessatelo, voi, giovanotti dell’oggi, non sapreste presentare ad una dama un bouquet così come facciam noi.... [p. 46 modifica]

Salvi.

Che pur siete giovanotti dell’ieri. Avete ragione, l’ieri è sempre un gran maestro di educazione.

Domestico.

(entrando con un vaso da fiori). Ecco l’acqua.

Barone.

Bene, bene.

(entra Anna)


SCENA IV

Barone, Salvi, Anna.

Anna.

Oh! in quel mazzo di fiori s’indovina agevolmente una galanteria del barone.

Salvi.

E però s’indovina non meno agevolmente che non è una galanteria del signor Salvi.

Anna.

Vorreste confondermi?

Barone.

Come siete bella quest’oggi, contessa.

Anna.

E voi gentile. E la vostra festa da ballo?... si dice che sarà portentosa.

Barone.

Certo, poichè ci verrete, contessa. Appunto, avrei una grazia da chiedervi. [p. 47 modifica]

Anna.

Parlate, barone.

Barone.

Il primo valtz.

Anna.

Oh! la grazia è accordata.

Barone.

Siete buona come un angelo.

Anna.

State in guardia, barone, non voglio far gelosa vostra moglie. — Ve n’andate già?

Barone.

Ho ancora molte cosucce a fare. E poi, se devo dire il vero, non son venuto qui che per il valtz.

Anna.

Troppo cortese.

Barone.

I miei ossequi, signora contessa. Signor Salvi, ci vedremo sta sera?

Salvi.

Non so.

Anna.

Ah! ditemi, vi sarà anche il signor Collalto?...

Barone.

Senza fallo.

Salvi.

Ebbene, sì, barone, ci verrò anch’io. [p. 48 modifica]

Anna.

A rivederci.

(Il barone esce).


SCENA V.

Salvi e Anna.

Anna.

E uno.

Salvi.

E che calcolate contessa, s’è lecito, con tanta riflessione?

Anna.

Pensavo che ho già il primo valtz impegnato e stavo almanaccando su chi potrò contare per la prima mazurka.

Salvi.

Mi pare che abbiate delle feroci idee di danza per questa sera.

Anna.

Certo. E avrei bisogno d’un bel cavaliere, giovane, disinvolto, che mi compensasse piacevolmente della noia che mi darà il barone colle sue pirouettes del secolo passato. Ci venite voi questa sera, signor Salvi?

Salvi.

Sì, contessa.

Anna.

(parlando a sè stessa). E chi potrebb’essere questo cavaliere? [p. 49 modifica]

Salvi.

Non lambiccatevi troppo il cervello, che il cavaliere si troverà senza cercarlo.

Anna.

Oh! v’ingannate davvero. Gli uomini d’oggi sono così selvatici che se noi non li cercassimo un tantino si correrebbe rischio di sonnecchiare tutta la sera sulla nostra scranna. Dunque ci venite voi questa sera, signor Salvi?

Salvi.

Me l’avete già domandato.

Anna.

Per darvene un’idea, sentite questa: Una volta per ballare una misera mazurka ho dovuto fare la corte per venti minuti ad un signore.... e costui fu così malaccorto, che, dopo avermi lasciato consumare vanamente tutte le arti possibili, mi costrinse, per venirne a capo, a invitarlo io medesima.

Salvi.

Inventate delle storielle voi per fare un po’ la modesta. E chi volete che le creda? la bella contessa d’Aqui, la corteggiata contessa d’Aqui che ricorre a tali mezzi per ballare una mazurka! E non avevate pronto subito ai vostri piedi qualche Collalto, contessa? Eh! via! chi volete che lo creda?

Anna.

Certo, per mala sorte, il signor Collalto non c’era: del resto siamo d’accordo, la storiella è incredibile, e non la crederei neppur io se non avessi sott’occhi in questo momento il signore del quale volevo [p. 50 modifica]parlare e al quale sto facendo la corte da venti minuti e la cui poca avvedutezza mi sforza pure a dirgli chiaro e tondo: signor Salvi, se non avete impegni per la prima mazurka di questa sera....

Salvi.

A vostra disposizione, contessa.

Anna.

Oh! finalmente v’ho trovato, povero Salvi.

Salvi.

E anzi tutto, cercato. Ma ciò diverge un poco dallo scopo della mia visita.

Anna.

Ah! la vostra visita aveva dunque uno scopo?

Salvi.

Sì, e non quello d’invitarvi a ballare, dovete esservene avveduta; ma un altro assai diverso.

Anna.

Dite pure.

Salvi.

Vorrei prima una promessa: potreste star seria un poco?

Anna.

Ah! c’è qualcosa da ridere allora?

Salvi.

No.

Anna.

S’è così, la vostra raccomandazione è superflua. Sono seria. [p. 51 modifica]

Salvi.

Grazie e perdonatemi. La confidenza che sto per farvi mi tocca nel fondo del cuore, e tocca anche voi, contessa.

Anna.

Animo dunque, son seria, Salvi; guardate.

Salvi.

(con commozione). Sto per dirvi una parola che forse vi giungerà inattesa. Preparatevi.

Anna.

Signor Salvi, che avete?... vi prego.... badate.... è cosa ch’io possa sentire?...

Salvi.

E che importa. — Ciò che dico è onesto, e lo dico altamente: Amo vostra figlia, signora, me l’accordate in isposa?

Anna.

(ridendo). Ah! ah! ah! ah! Confesso che non m’ero preparata abbastanza....

Salvi.

Me ne sono accorto.

Anna.

Perdonate la mia ilarità, ve ne prego, ma non posso frenarmi.

Salvi.

Continuate, signora, e vogliate perdonare la mia serietà. [p. 52 modifica]

Anna.

Basta. Non prolungate lo scherzo, potrebbe, a lungo andare, riuscire noioso: il mio l’ho saputo finire a tempo, prima che degenerasse in insolenza.

Salvi.

Non credevo che il chiedere ad una madre la figlia in isposa fosse farle un’insolenza. Del resto sappiate che ciò che v’ho detto è vero, è sacro.... Pure per non farvi andare in collera non parliamone più, contessa, perchè il momento non mi pare troppo opportuno. E crediate che questa piccola scaramuccia non deve mutare per nulla i nostri impegni per questa sera.

Anna.

Che impegni?

Salvi.

Come? ve ne siete già dimenticata? parlo, contessa, della prima mazurka che avrò l’onore di ballare con voi.

(per andarsene).


SCENA VI.

Anna, Matilde, Salvi.

Domestico.

(annunciando). Donna Foschi.

Anna.

Oh! siate la benvenuta, cara Matilde: come state?

Matilde.

Come sto? domandatelo al mio avvocato il quale sta per prender la fuga vedendomi arrivare. — Cattivo auspicio, non è vero? [p. 53 modifica]

Salvi.

Non lo so. Del resto sappiate che m’indirizzavo appunto a casa vostra.

Matilde.

A casa mia?

Salvi.

, per affari d’importanza.

Matilde.

Se la è così, andiamocene; perdonate, amica, ma sono affari d’importanza.

Salvi.

No, non pigliatevi tanta briga, signora.

Anna.

Il signor Salvi ha ragione, mia cara, questa è casa vostra.

Salvi.

Vedete, la contessa è tanto gentile....

Matilde.

Ma....

Anna.

Io mi ritiro nel mio gabinetto di toilette, avete tempo due ore da chiacchierare.

Salvi.

Vedete, la contessa si ritira; approfittiamone.

(Anna esce).

[p. 54 modifica]

SCENA VII.

Matilde, Salvi.

Matilde.

(siede). Siete contento ora?

Salvi.

Di che?

Matilde.

D’avere schivato così di por piede in casa mia?

Salvi.

Ditemi in verità, vi son forse dei trabocchetti in casa vostra?

Matilde.

Cioè?

Salvi.

Nulla, è un sospetto che mi è venuto poc’anzi nel vedere la ferocia colla quale provocate le persone ad entrarvi.

Matilde.

Finiamola.

Salvi.

Finiamola pure. Tanto più che ho fretta di dirvi....

Matilde.

Oh! prevedo già quel che avete fretta di dirmi: una cattiva nuova, certo. [p. 55 modifica]

Salvi.

Una cattiva nuova; temo che abbiate indovinato.

Matilde.

Oh! che c’è....?

Salvi.

La sentenza....

Matilde.

È pronunciata?...

Salvi.

No, lo sarà domani, ma è nota....

Matilde.

E.... ho perduto?...

Salvi.

No, avete vinto! siete divisa da vostro marito, e la dote è salvata.

Matilde.

Ah! respiro.

Salvi.

Respirate pure.

Matilde.

Come provarvi la mia gratitudine, Enrico, come provarvi la mia riconoscenza!

Salvi.

Col non parlarmene più.

Matilde.

No, vedrete col tempo ch’io non dimentico i benefizj ricevuti, Enrico: già il cuore me lo diceva d’affidarmi a voi; siete il primo avvocato d’Italia. [p. 56 modifica]

Salvi.

Vi prego, signora, vi sono certe lodi che fanno arrossire come gl’insulti.

Matilde.

Eh via! non arrossite, pudico. Ora che il processo è finito spero che ritorneremo buoni amici come prima. Che comodità, essere libera, libera come una vedova, senza la noja.... (ravvedendosi) e il dolore del lutto. Ho già steso tutto il piano della mia Vita Nuova; domani ve ne farò parte; questa sera saprete il mio nuovo domicilio; ho intenzione di passare la primavera in Brianza, in quella cara Brianza, Enrico!...

Salvi.

Vi saluto, signora; a casa vostra troverete un plico contenente alcuni vostri documenti, che tengo ancora fra mani, e un bigliettino.

Matilde.

Un bigliettino?....

Salvi.

Sì.... è la polizza dell’avvocato; tre o quattro cento franchi tutt’al più: adesso siete diventata così ricca!

Matilde.

Dunque è proprio vero che non mi amate più, Enrico.

Salvi.

È naturale, vi mando la polizza.

Matilde.

Ah! — Io che pure speravo non avervi perduto, Enrico, io che per raccostarmi più a voi, che amavo e amo ancora, volli legarvi coi nodi di questo [p. 57 modifica] sgraziato processo — poichè ora non ve la nascondo più questa idea, buona o malvagia che sia, questa idea che mi fu forza mascherare colla larva dell’indifferenza per non irritare la vostra singolare fantasia esaltata dagli scrupoli — io che attesi con ansia il giorno in cui potervi dire: Enrico, torniamo amici come prima; io ora mi vedo pagata da voi col sarcasmo più crudele, colla più amara parola. E perchè difendermi allora, vi domanderò, perchè farmi ricca e libera se non mi amate più? Dell’amor vostro che ne avete fatto, Enrico?

Salvi.

L’ho metamorfosato in atti giudiziari, e in carta bollata, credendo che vi riuscisse più utile.

Matilde.

Lo so io quel che ne avete fatto (alzando un po’ la voce.) L’amor vostro l’avete dato ad un’altra, sì, ad un’altra, (Salvi fa un gesto) ed eccovi tutto pauroso perchè temete che costei che me l’ha rubato possa udirmi! perchè costei, signore, sta in questa casa, lo so. Oh! avvocato mio, vi confondete; credevate potermi abbandonare così per un’altra, e soffocarmi la collera con un miserabile processo che mi date vinto?

Salvi.

Su, andiamo, un po’ di senno signora. Una donna che ha marito dev’essere certo abbandonata un giorno, a meno che.... l’altro... non sia tanto forte o pazzo da rinunciare per essa alla più cara parte dell’esistenza. — Sappiate che non sono nè così forte, nè così pazzo. [p. 58 modifica]

Matilde.

Oh! vani artifizj, signor avvocato! non datemi a credere che volete ammogliarvi. Io poc’anzi parlavo della contessa d’Acqui, (Salvi fa un moto di sorpresa) mi capite ora soltanto?

Salvi.

Non una parola di più su quest’argomento: abbenchè io non vi debba nessuna giustificazione, pure vi dico, che il vostro sospetto è falso. Vi saluto.

Matilde.

Enrico, Enrico, e partite, e lasciate così una donna dopo averla perduta? Eccomi sola, Enrico, giovane, libera, senza un appoggio al mondo, senza un ajuto al mondo, e ciò per amor vostro....

Salvi.

Vi compiango, Matilde.

Matilde.

(con collera). Che? che cosa avete detto?

Salvi.

Vi compiango, signora, perchè sapete troppo fingere. Pure se posso rendervi qualche servigio, ve lo renderò. Io sono il solo che possa dirvi la verità, e ve la dico; tenetene conto, perocchè non la sentirete più tanto sovente nelle sale, questa verità. Domani tutta Milano v’avrà condannata, ma non uno oserà dirvelo in viso. E nel vostro piano di vita nuova avete pensato bene a ciò che farete domani? Cangerete domicilio, andrete in Brianza; ma del vostro onore, della vostra bambina che ne farete voi? oh! a ciò non avete ancora pensato. La separazione, [p. 59 modifica] signora, è una grave e triste fatalità, e non è gaio il giorno che si abbandona la casa del marito. E conviene che una madre abbia assai sofferto e soffocato immensi dolori prima d’aver il diritto di staccare i suoi figli dal loro padre!

Matilde.

Ebbene, che il padre reclami sua figlia ed io gliela cedo.

Salvi.

Oh! aspettate quando la vostra figliuola avrà sedici anni, e che l’aureola della sua giovinezza farà impallidire l’artifizio delle vostre grazie. Allora cedetela al padre, ch’ei ve la nasconderà bene, povera fanciulla.

Matilde.

Che volete voi dire?

Salvi.

Oh! perdonate, perdonate all’ironia che m’è ricomparsa involontariamente sul labbro; essa partiva da un amaro pensiero che mi si è desto nel cuore. Avrei dovuto dirvi con parola buona e sincera: Matilde, siate madre affettuosa, amate la vostra figliuola, conservate per essa la vostra ricchezza, ritiratevi con essa fuori della folla se volete che la folla non impari a schernirvi e spregiarvi e, quel ch’è peggio, unendo in uno stesso disprezzo la madre e la figlia!

Matilde.

Signore.

Salvi.

Ah! comprendo.... Avrei fatto meglio a tacere? [p. 60 modifica]

Matilde.

Certo. Non vi chiedevo consigli. — Siete libero, seguite pure i vostri capricci, da alcuni minuti mi siete diventato indifferente; ma non crediate già ch’io vi dimentichi; mi ricorderò di voi, perchè mi avete molto offesa. — Andate.

Salvi.

Scusate — non essendo qui in casa vostra....

Matilde.

Allora me n’andrò io, signore. — Non voglio che in questa casa mi si legga in viso.... che s’indovini.... che si commenti. — Capirete bene!

Salvi.

No, no; non incomodatevi, signora, se desiderate ciò, lasciatemi escire pel primo. Son troppo di cattivo umore per dissimularlo facendo una commedia: ne affido la parte a voi. (esce).

SCENA VIII.

Anna, Maria, e detto.

Anna.

(entrando). Sola?

Matilde.

Sì.

Anna.

Che c’è di nuovo, Matilde? [p. 61 modifica]

Matilde.

Ho vinto il processo, domani uscirà la sentenza: vi raccomando il segreto fino a domani.

Anna.

Non dubitate. Vi fo le mie congratulazioni.

Matilde.

Oh! sono addolorata! È triste assai il giorno che si abbandona la casa del marito. Cangerò domicilio, vorrei trovarmi una casetta tranquilla. Questa primavera viaggerò per isvagarmi, in Francia o in Inghilterra.

Anna.

Brava, Matilde. Ma permettete che vi presenti la signora Senesi, mia cognata: Donna Foschi, una mia cara amica.

Matilde.

(con un inchino). Signora.

Maria.

(un altro inchino). Signora.

Anna.

Oh! ditemi. Matilde, come vi vestite stasera per la festa?

Matilde.

Ci verrà il signor Salvi?

Anna.

Sì. Io vestirò tutta in rosa.

Matilde.

Sarò in rosa anch’io con una parure d’opale. [p. 62 modifica]

Anna.

Potrebbe darsi però ch’io mi mettessi in bianco colla mia corona di perle.

Matilde.

E forse sarò in bianco anch’io con un diadema di diamanti che ho in vista e che voglio comperare ad ogni costo.

Anna.

Rivaleggiamo, signora, a quel che pare.

Matilde.

Troppo onore! Ma non ho tempo da rimanermi. A rivederci.

Anna.

A questa sera.

SCENA IX.

Anna, Maria.

Anna.

(suona il campanello: entra la cameriera). Voglio per questa sera il mio vestito giallo: lo guernirete di fresco con quei merletti di Venezia che ho comperato ieri. Avviserete il gioielliere che si rechi tosto da me. Se temete di non poter finire in tempo il lavoro, Camilla v’aiuterà.

Maria.

Camilla sta cucendo un abitino per un nostro poverello. [p. 63 modifica]

Anna.

Non monta, ditele che sua madre glielo comanda e che preme (la cameriera esce). Nella nostra società, cognata, la carità è il superfluo, il lusso è il necessario.

Maria.

Dite una frase crudele.

Anna.

Eh! che volete, cognata. Siamo tutti poverelli ad un modo e questa grande società ha anch’essa le sue indigenze. Se io non mi ponessi stasera un nuovo adornamento sul capo sarei più miserabile del vostro mendicante. Non la conoscete voi la nostra società?

Maria.

L’ho conosciuta molto quand’ero giovane la vostra società, e mi ricordo che fino all’età dei ventitrè anni le ho dette anch’io queste follie, perchè allora correvo ridente per le sale da ballo, e, mi ricordo, anche questo, ci siam molte volte sfilate accanto nella furia dei valtz, e ballavamo bene assai tutt’e due. Ma dacchè mi son maritata non ho più ballato, e dacchè son rimasta vedova non sono entrata più nelle sale del mondo.

Anna.

Io invece ballo ancora.

Maria.

È naturale. Siete bella, non avete mai pianto e però vi siete conservata giovane; io invece.... i dolori m’hanno invecchiata. Pure una madre, sia pur bella, giovine, felice, deve ballar poco. [p. 64 modifica]

Anna.

Avete delle idee di riforma, cara cognata; ma la vostra riforma capaciterà poco e pochi; non sapete che oggi ballano più le madri che le ragazze? Quella signora che vi ho presentato, ha una figliuola, è divisa dal marito, e pur balla, e balla assai, ve lo assicuro. E poi è usanza, è moda; tutte fanno così.

Maria.

E i figli intanto?

Anna.

I figli? sono a balia, o al collegio, o in convento.

Maria.

Tolga Iddio che ciò sia, signora. Pensate un po’ che mai avverrebbe d’una generazione che non avesse conosciuto le cure materne! Credete voi che i doveri d’una madre si restringano nel dare alla figliuola una sana nutrice, poi una saggia istitutrice, e nel porla più tardi in convento od in collegio, e nell’apparecchiarle finalmente un bel corredo da sposa? V’ha tutta una educazione che le fanciulle non ponno imparare che nell’amoroso consorzio della madre.

Anna.

È forse un rimprovero codesto?

Maria.

No; ma se io avessi una figlia come Camilla porrei in essa tutto il mio amore, tutto il mio orgoglio, studierei giorno e notte quel suo bel coricino, quella sua anima candida, e se una volta mi fosse dato scuoprirvi una buona simpatia, me la mariterei e sarei felice tanto, e ne’ suoi figliuoli ringiovanirebbe la mia vecchiezza. [p. 65 modifica]

Anna.

Oh! grazie al cielo, siamo ancora lontani.

Maria.

Men di quanto credete.

Anna.

Cioè?

Maria.

La simpatia c’è già, e l’ho scoperta io....

Anna.

Impossibile!

Maria.

Sì, un bravissimo giovine, il signor Salvi....

Anna.

Ah! ora capisco, siete anche voi della congiura. (suona il campanello).

Maria.

Io non sono d’alcuna congiura; se ho parlato così gli è perchè mia nipote è la più cara affezione che mi sia rimasta in terra.

(entra una cameriera).

Anna.

Fate venir Camilla, (alla cameriera). — Volevo appunto darle una lezioncina intorno a quel signor Salvi. Avete fatto bene a rammentarmelo.

Maria.

Ve ne supplico, non affliggetela. [p. 66 modifica]

Anna.

State tranquilla, cognata; questo anzi vi provi com’io pensi a mia figlia.

Maria.

Se permettete allora mi ritiro.

(esce.)


SCENA X.

Anna, Camilla.

Camilla.

Eccomi, hai ancora qualcosa da comandarmi?

Anna.

No. — Dobbiamo discorrere un po’ insieme.

Camilla.

Discorrere insieme, madre mia?

Anna.

Sì; e perchè tanto stupore?

Camilla.

È già tanto tempo che non discorriamo insieme.

Anna.

Perchè da qualche tempo amate più fantasticare che discorrere. — Del resto il discorso che devo farvi è breve: domani entrerete in convento.

Camilla.

Vuoi farmi monaca? Mamma.... se vuoi farmi monaca mettimi nelle Suore di carità, te ne prego. [p. 67 modifica]

Anna.

Non si tratta di ciò, si tratta di porvi in convento per un pajo d’anni a fine di farvi sloggiar dal cervello alcune vostre affezioni.

Camilla.

Vuoi dunque uccidermi il cuore.... no, no. Allora, quando non t’amassi più, che mi resterebbe sulla terra?

Anna.

Eh! parlo di certe altre affezioni, di cui dovreste aver vergogna.

Camilla.

E ci son tali affezioni? io non ne ho.

Anna.

(alzando la voce con collera). Bugiarda! (Camilla si copre il viso con le mani, e piange).

SCENA XI.

Anna, Camilla, Conte, Maria.

Conte.

(entrando). Che c’è, Camilla?

Camilla.

Babbo.

Anna.

Vostro padre viene a tempo, signorina, a tempo per udire una piacevolissima storiella. — Immaginatevi che questa mattina il signor Salvi m’ha [p. 68 modifica] chiesto la mano di madamigella. Ah! ah! io mi son messa a ridere.

Camilla.

Mia zia! (si getta nelle braccia di Maria).

Conte.

(serio). Alcuni giorni fa, Salvi ha chiesto a me pure la mano di mia figlia, e non mi son messo a ridere.

Anna.

Come? vorreste forse difenderla? sta a vedere che oggi si maritano le bimbe. Io per me ho fermato di mandare Camilla in convento.

Conte.

Oh! su questo proposito come su quell’altro parleremo un po’ insieme, signora.

Camilla.

(al conte). Non andare in collera colla mamma.

Anna.

(con collera crescente). Al convento, al convento! là imparerà la modestia, là imparerà a non fare la sguajatella co’ giovani, poichè io non soffrirò mai che si possa dir di mia figlia che fa le moine col tale o col tal’altro, capite? Perchè io in casa mia non voglio civetterie di sorta.

Conte.

(con severità). Anna.

Maria.

Cognata. [p. 69 modifica]

Anna.

E che? non potrò dare ammaestramenti a mia figlia? Al convento! La civetteria, sapete Camilla, è brutta cosa; tenetevela in mente questa parola di vostra madre.

Camilla.

Ti giuro che non so di che parli.

Anna.

Ah! non sapete di che parlo, carina? non sapete che l’alzare gli occhi quand’entra un giovane in una stanza, e l’andargli incontro festevole, e lo stringerli la mano, e il fargli smorfie e dolcezze e promesse, non sapete che ciò si chiama civetteria?

Conte.

(c. s.). Basta.

Domestico.

(annunziando). Il signor Collalto.

Anna.

Andatevene (a Camilla).

Conte.

No, rimani (a Camilla).

SCENA XII

Conte, Anna, Camilla, Maria, Collalto.

Anna.

(andandogli incontro con molta affabilità e sorridente). Oh! signor Collalto! [p. 70 modifica]

Collalto.

Contessa, permettete che deponga questi fiori?

Anna.

(stringendogli la mano). Oh! siete molto gentile, grazie, Collalto (osservando il mazzo di fiori). Delle rose, delle camelie! delle viole! siete molto gentile.

Collalto.

Dite piuttosto che sono un raffinato speculatore. — Potrei aspirare all’onore di ballare con voi stasera il primo valtz?

Anna.

Oh! certo! di tutto cuore. Sedete, ve ne prego.

Conte.

(prendendo una sedia, e chinandosi verso Anna, piano a lei). E questa, Anna, cosa è?



Cala la tela.

[p. 71 modifica]

ATTO TERZO


Gabinetto nel palazzo del barone, sontuosamente addobbato, molti sedili sparsi qua e là; lampade accese. — Due usci in fondo, dai quali si vedranno sfilare le coppie dei danzatori.



SCENA PRIMA.

Quattro signori, e Salvi in disparte, (tutti seduti).

1.° Signore.

Ah! (sbadigliando leggermente).

2.° Signore.

Oibò amico! bada ove sei!

1.° Signore.

Oh! il grave scandalo! ove sono? fra gente che crede divertirsi e s’annoia peggio di me, senz’aver la franchezza di dimostrarlo cogli sbadigli.

2.° Signore.

Guardate un po’ dove si caccia la franchezza dell’uomo. [p. 72 modifica]

1.° Signore.

Va, conte, non sei filosofo. Lo sbadiglio è il retaggio del pensatore, è il gran grido della materia soffocata dal vuoto.

2.° Signore.

Se la è così, non son filosofo. Io non ispalanco la bocca che per ciarlare. La ciarla fu data all’uomo per turar lo sbadiglio.

1.° Signore.

Non la tua, però, che mi fa l’effetto contrario.

2.° Signore.

Oh! Oh! i motti! i motti!

3.° Signore.

Le mot dévore, et rien ne resiste à sa dent.

2.° Signore.

Da dove piomba questo Victor Hugo?

3.° Signore.

Come? conoscete le contemplations, signore!

2.° Signore.

Certo.

3.° Signore.

Benone, così potremo ciarlare un po’ di letteratura.

2.° Signore.

Di quel che vorrete, marchese, pur che si ciarli.

4.° Signore.

(calcolando a mezza voce). Settantacinque mila seicento e....

(segue a piacere)

[p. 73 modifica]

SCENA II

Barone, Signori, Salvi.

Barone.

Come, giovinotti, e disertate così le sale da ballo? la prima polka è già incominciata. Oh! signor Salvi, anche voi fra gl’immobili?

Salvi.

Sì, barone. Quando ognuno parla e si muove, amo assai l’immobilità ed il silenzio. Allora fo come quel signore che per goder meglio lo spettacolo, prende la sua sedia chiusa, osserva, e tace; ed è in questo gabinetto, lontano dal frastuono della musica e dei balli, che anch’io prendo la mia sedia chiusa, osservo e tacio.

Barone.

Ma.... e lo spettacolo?

Salvi.

Avete tempo da perdere?

Barone.

Aspetto la contessa d’Aqui.

Salvi.

L’aspetto anch’io. Allora, prendete anche voi la vostra sedia chiusa ed osservate senza farvi osservare. — In questo boudoir si fanno vedere i sette peccati mortali del secolo.

Barone.

Ah! bah! [p. 74 modifica]

Salvi.

(mostrando í quattro signori). Ed ecco gli attori che li rappresentano.

Barone.

Vi faccio notare che gli attori sono quattro.

Salvi.

Non interrompetemi. Vedete là quel giovine sdraiato su quella poltrona che per darsi un po’ di moto ciondola macchinalmente una gamba, mentre tenta di nascondere colla mano lo sbadiglio che va sfiorandogli le labbra?

Barone.

È il visconte Amalfi.

Salvi.

No. — È la Noja. — Primo peccato capitale, figlio primogenito dei piaceri e dell’ozio; veste per lo più il frac; la sua missione è quella di passare il tempo, e vedete come lo passa.

4.° Signore.

(c. s.). Settanta cinque mila sei cento e.... (segue a piacere).

Salvi.

Avete udito? Quello è il secondo peccato: l’Aritmetica. Esso non parla mai che di cifre; la cifra è per esso religione ed eloquenza. Vedete: toglie di tasca un libriccino e nota e calcola; alla vista lo si direbbe un astronomo, ed è invece....

Barone.

Un agente di cambio. [p. 75 modifica]

Salvi.

Psss! Sapete di che parlano quei due là in fondo?

Barone.

No, le loro parole non mi giungono all’orecchio.

Salvi.

Per buona sorte! — Essi parlano di letteratura; l’uno è marchese, l’altro conte; osservate i modi, le vesti, l’atteggiamento del marchese, e poi ditemi se non riconoscete in esso il terzo peccato: la Caricatura; osservate poi quel rapido paroleggiar del conte, quel moto perpetuo delle sue labbra, e troverete tosto la Ciarla, quarto peccato. L’uno è figlio della boria e dell’affettazione, l’altro della leggerezza e dell’ignoranza e, vedete, vanno perfettamente d’accordo.

Barone.

E gli altri tre?

Salvi.

Oh! gli altri tre li troveremo subito: se volete, potete rinvenirli ancora in questi quattro; se no, li vedrete qui appena fuori dell’uscio, giacchè dove ci sono dei frac quello è il posto dei peccati mortali. — Gli altri dunque sono Vanità, Indifferentismo.... che fanno sei....

Barone.

Ma.... siete in frac anche voi.

Salvi.

Certo, e perchè non potrei essere la Maldicenza? che fa sette! [p. 76 modifica]

Barone.

Ah! ah! vorreste per caso portar la riforma sull’abito nero?

Salvi.

Oh! vi pare? l’alta società non me lo permetterebbe: perchè, infine, cos’è oggi l’alta società? — l’abito nero.

(Entrano alcune dame: tutti si alzano).


SCENA III.

Tre Dame, Signori, Barone, Salvi.

3.° Signore.

(al 2.° Signore). (Ecco tre grazie rimaste sul tappeto).

Barone.

Gentili Signore, e qual ventura vi conduce fra noi?

1.a Dama.

Dite sventura, barone, mi si è staccata la ghirlanda.

2.a Dama.

Un galante cavaliere m’ha scucita la veste.

Barone.

Oh! ciò tornerà in onore del mio guancialino, che metto subito a vostra disposizione.

(offre alle signore un guancialino da spille).

[p. 77 modifica]

2.a Dama.

Un galante cavaliere Grazie.

3.° Signore.

(al 1.° Signore). (Vi raccomando il guancialino).

Barone.

E qui, signor Salvi, trovereste forse un ottavo peccato?

Salvi.

(No! questo è uno dei peccati vecchi; data da Eva, barone: è la Civetteria).

SCENA IV.

Le Dame, i Signori, Barone, Salvi, Collalto, poi Anna, poi Matilde.

Collalto.

Signori e signore, s’incomincia presto il primo valtz.

Barone.

Oh! e la contessa..?

Collalto.

Appunto, la contessa d’Aqui non è ancora arrivata?

Barone.

No. Corro ad avvertire l’orchestra che aspetti ancora un momento. [p. 78 modifica]

Collalto.

Bravissimo. (entra Anna). Ah! eccola.

2.° Signore.

(salutandola). Contessa.

3.° Signore.

(stringendole la mano). Contessa.

Barone.

Così tardi?

Collalto.

Così tardi?

Barone.

Siete incantevole.

Collalto.

Sfolgorante.

(entra Matilde).

2.° Signore.

Ecco donna Foschi, più bella del solito.

Matilde.

(ad Anna, con una riverenza). Signora....

(l’una guarda il vestito dell’altra).

Anna.

(a Matilde, inchinandosi). Signora....

Collalto.

Il waltz sta appunto per cominciare.

Anna.

S’è così, aspettate che m’aggiusti un poco, e poi entriamo in campo. [p. 79 modifica]

Barone.

Siete adorabile. (sta per offrire il braccio ad Anna).

Collalto.

Eccovi il braccio. (offrendo il braccio ad Anna).

Barone.

Perdono, spetta a me.

Anna.

Ah! Collalto: barone.... scusate.... una dimenticanza.... sono impegnata col signor Collalto.

Barone.

Come? — Ma io sono stato il primo, signore.

Collalto.

Ed io l’ultimo, barone.

Matilde.

(a Salvi). (Andate presto, avvocato, a liberare la vostra dama da quest’imbroglio).

Salvi.

(Via, siate prudente).

Barone.

Il diritto è pel primo.

Collalto.

Per l’ultimo è la preferenza. — Molti primi saranno gli ultimi, e molti ultimi saranno i primi.

Anna.

Ebbene. — Rimettiamoci alla sorte: il bouquet deciderà; l’ho preso a caso. — Se è il vostro, avrete vinto voi; se è quello del barone, avrà vinto il barone. [p. 80 modifica]

Matilde.

(a Salvi). (Vedete la vostra Penelope).

Collalto.

È il mio. Ho vinto. Eccovi il braccio. Ah! ah! povero barone.... molti primi saranno gli ultimi....

(esce con Anna).
(i tre cavalieri escono colle tre dame e Matilde).


SCENA V.

Barone, Salvi, poi 1.° 2.° 3.° signore e 4.a dama.

Barone.

Signor Salvi.

Salvi.

Che?

Barone.

M’avete dato una lezione poc’anzi e voglio giovarmene, parola d’onore. Non più feste in casa mia, son più balli, non più cene; domattina chiudo la porta a tutti sette i peccati mortali. — Vada altrove la noia ad esalare i suoi sbadigli, ch’io per me non voglio più che nessuno s’addormenti sui miei seggioloni; vada altrove l’aritmetica a fare i suoi computi, le mie sale non sono nè la Borsa nè il mercato; via di qua le ciarle ignoranti e le ridicole caricature che ci fanno grazia della presenza loro; non vo’ più dar cene all’indifferentismo, offrire spettacolo alla vanità, far ballare la maldicenza; e [p. 81 modifica]così non mi vedrò rubar la mia dama dal primo bambolo venuto, la mia dama che spetta a me, me solo, capite?

Salvi.

Via, via, consolatevi, barone....

2.° Signore.

(al 3.° signore). Ma se io vi garantisco che la contessa è cotta.

3.° Signore.

Baie! quelle donne non possono amare: non amano nemmeno abbastanza per ingannare i loro mariti.

2.° Signore.

Eh via! parola d’onore, il conte d’Acqui è minotaurizzato.

Barone.

(a Salvi). Pss! (prestano attenzione al discorso dei due signori).

3.° Signore.

Chi ve l’ha detto?

2.° Signore.

Me l’ha detto Collalto medesimo.

3.° Signore.

Ah! Fraility thy name is woman! È un verso inglese. Sapete cosa vuol dire?

2.° Signore.

No.

3.° Signore.

La donna è un vaso di porcellana. [p. 82 modifica]

Barone.

(irritato). Lasciatemi andare.

Salvi.

Dove?

Barone.

Dalla contessa, da Collalto; voglio fare uno scandalo.

Salvi.

Siete pazzo! badate, barone, siete in casa vostra.

1.a e 4.a Dama.

(entrando). Barone, barone....

Barone.

Madamigelle....

3.a Dama.

Conducetemi dalla mamma, il mio ballerino è scomparso....

4.a Dama.

E il mio balla con donna Foschi.

(barone colle due dame esce da una parte, Salvi dall’altra).


SCENA VI.

Anna, Collalto.

Collalto.

Nessuno, contessa. — Entriamo? [p. 83 modifica]

Anna.

Come volete.

Collalto.

Grazie.... Continuerò dunque la storiella. — Io era, come vi diceva, il mio sarto: così, in via di discorso, gli dico: Eh! non sapete? un vostro avventore è caduto stamane da cavallo, e si è rotto una gamba. — Bene, osservò seriamente il sarto, si sarà rotto anche i calzoni.

Anna.

E non ne avete altre delle fanfaluche da raccontare?

Collalto.

Eh! vorrei potervene dire fino a domattina: lo scopo mio, contessa, è di farvi sorridere: siete così bella quando sorridete!

Anna.

Grazie del complimento.... per quando non sorrido.

Collalto.

Il mio paradiso sta tutto nel contemplarvi, contessa: sorridete, ve ne prego....

Anna.

(ridendo). Signore, moderatevi un poco.

Collalto.

Moderarmi.... contessa! e non ve ne siete accorta?

Anna.

Di che?

Collalto.

Ora.... là.... in quella sala quando volavamo stretti [p. 84 modifica] assieme nella tempesta del waltz, i miei polsi battevano come per febbre; io, contessa, non vedevo più nulla, più nulla che voi, sentivo l’alito vostro e n’ero briaco, ed ero colto da vertigine come chi si trova sollevato in un attimo a sovrumana altezza; e non ve ne siete accorta, contessa?... io vi amo!

Anna.

(alzandosi con uno scroscio di risa). Ed io niente affatto, signore.

SCENA VII.

Salvi, Anna, Collalto, poi Barone.

Salvi.

(ad Anna). Come? e non ballate?

Anna.

No, il primo giro non lo ballo mai lungamente.

Salvi.

Perchè forse preferite ciarlarlo lungamente, il primo giro; in questo caso è più fortunato quel cavaliere che potrà chiedervi il secondo. A momenti si incomincia la nostra mazurka.

Barone.

Ah! eccovi qui, contessa: sono ai vostri ordini. Posso?....

(per offrirle il braccio).

Salvi.

Ancora troppo tardi, barone. Contessa, usciamo: ho qualche cosa a dirvi. [p. 85 modifica]

Barone.

Ah! questo è un tradimento, contessa.

Salvi.

Dite fatalità, barone (a Collalto). (Avrò bisogno di parlarvi).

Collalto.

(a Salvi). (A’ vostri comandi. Del resto la dichiarazione è fatta, sapete?)

Salvi.

Andiamo a ballare?

Anna.

Dopo questo ballo, tocca a voi, barone.

SCENA VIII.

Barone, Collalto.

Barone.

(a Collalto che s’era incamminato alla porta). Signor Collalto, devo dirvi una cosa.

Collalto.

Un segreto?

Barone.

Sì, devo dirvi che siete un maleducato, signore.

Collalto.

Oh! barone. [p. 86 modifica]

Barone.

(con ischerno). Silenzio, è un segreto — che nessuno lo sappia: vien gente.

Collalto.

Vi domando spiegazione.

Barone.

Aspettate un poco.

4.° Signore.

(entrando). Al rialzo o al ribasso?

1.° Signore.

Oh! al ribasso, sempre al ribasso, io sono scettico e pessimista, questo è il mio giuoco.

4.° Signore.

Sta bene, concluderemo l’affare.

(escono per l’altra parte).

Barone.

Dunque siete un maleducato, signorino. Il rubare in una festa la ballerina ad un gentiluomo è la più grave offesa che gli si possa fare, e voi, signore, mi avete offeso rubandomi la contessa e lanciandomi inoltre una ridicola beffa davanti a tutti con quella specie d’epigramma sui primi e sugli ultimi.

Collalto.

Ah! ah! mi somigliate terribilmente ad Otello, barone.

Barone.

Signorino, badate... [p. 87 modifica]

Collalto.

Silenzio, vien gente. Ah! ah! Otello, Otello! (esce ridendo).

3.° Signore.

(a braccio della 4.a Dama). Il waltz è per me una magica danza; ha un non so che di turbinoso che mi sale alla testa, e che mi fa provar dolcemente le voluttà dell’annegato, travolto dai vortici del mare.

1.a Dama.

Siete molto esaltato.

3.° Signore.

(col 1.°, presso alla porta). E tu non fai saltar queste dame?

4.° Signore.

No. Si sta per incominciare un whist, preferisco far saltar le carte.

2.a Dama.

(parlando col 4.° signore). La povera fanciulla è morta etica l’altr’ieri, il carnevale l’ha uccisa.

4.° Signore.

Il carnevale, signora, è il simoun d’Europa, anche una forte casa bancaria è fallita l’altr’jeri.

(escono; entrano Anna e Salvi).


SCENA IX.

Salvi, Anna.

Anna.

Sono tutta affannata, ballate come un selvaggio. [p. 88 modifica]

Salvi.

Perdonatemi, ma non capisco che si possa ballare come un uomo incivilito.

Anna.

Forse perchè non capite come un uomo incivilito possa ballare. — Se siete così austero! caro Salvi, seguite un mio consiglio e fatevi quacchero.

Salvi.

Grazie, contessa, ma, che volete, ci son tante cose che non capisco! fra le altre, per esempio, c’è quel briciolo di ragnatela quadrata che pende dalle vostre mani.

Anna.

Come! un magnifico fazzoletto in point d’Alençon.

Salvi.

Oh! non ardisco porre in dubbio la sua magnificenza, pure se quello è un fazzoletto, come dite, perchè non v’asciugate con esso il sudore che la mia danza selvaggia vi ha fatto salire alla fronte?

Anna.

Profanazione! a ciò vi ha un batiste che, se si vuole, si tiene qui in un taschino.

Salvi.

Adunque il vostro fazzoletto in point d’Alençon è una mostra vana, una convenzione, un superfluo.

Anna.

V’ingannate; questo pezzo di ragnatela è men superfluo di quello che credete; senza di questo una toelette è compromessa, è perduta. Questo pezzo di ragnatela, signor Salvi, è il nostro punto d’appoggio. [p. 89 modifica]

Salvi.

(con ironia). Non si può negare che vi appoggiate sul sodo. Pure cedo umilmente alle vostre dimostrazioni; ho a parlarvi di cose più importanti.

Anna.

Più importanti! impossibile: dite più nojose.

Salvi.

Forse.

Anna.

Se è così, ve ne supplico, parliamo ancora del mio fazzoletto in point d’Aleçon.

Salvi.

Ebbene, permettete che l’osservi. (mentre Enrico osserva attentamente il fazzoletto, passa Matilde col 2.° signore).

Anna.

Non me lo sciupate.

Salvi.

Non temete. — Ecco dunque un punto d’appoggio! non è certo su questo che Archimede avrebbe sollevato il mondo. Ma ciò che non è valso al filosofo è valso alla donna. — Donna, Aracne, ecco il tuo simbolo. Gli è con questo che ti copri le guancie nei momenti del vago rossore. Guai allora per l’uomo che s’intricherà in questi fili. — Contessa, dicono che il signor Collalto vi si sia intricato.

Anna.

Ah! baje: non mutate discorso.

Salvi.

Non lo muto contessa. Ecco dunque la sintesi del [p. 90 modifica] genio della donna. — Dietro ai veli d’una candida menzogna cela i misteri d’una men candida verità. — Cos’è un marito per essa? è un bel fazzoletto in point d’Alençon che si tien sempre fra mano per non compromettersi; mentre v’ha qualcos’altro che rassomiglia un po’ troppo a quel tale battiste che, se si vuole, si tiene in un taschino. — Contessa, dicono che teniate in un taschino il signor Collalto.

Anna.

Ah! ah, quello scioccherello che non sa nemmeno fare una dichiarazione.

Salvi.

Eppure.... io credevo che ve l’avesse fatta (facendosi serio). Contessa, ve ne supplico, corron delle voci maligne su di voi.

Anna.

Baje!

Salvi.

Coll’onore non si scherza.

Anna.

(ridendo). Volete un mio consiglio? fatevi quacchero.

Salvi.

(sempre serio). Temete le perfidie del mondo, ve ne prego, temete que’ giovinastri imprudenti come Collalto, que’ vecchi balordi come il barone; sono pericolosi, contessa.

Anna.

(c. s.). Ah! ah! fatevi quacchero. [p. 91 modifica]

SCENA X.

Barone.

Contessa, l’orchestra rincomincia, tocca a noi.

Anna.

Sì, tocca a noi, datemi il braccio. Ma vi raccomando, non ballate troppo pateticamente; vostra moglie potrebbe diventarne gelosa.

Barone.

Non temete. Sono severo e forte come una piramide.

Collalto.

(di dentro). Ah! ah! chi è questo? il barone! — avrei giuocato la testa.

Barone.

(brusco). Avreste giuocato di nulla. — Andiamo, contessa?

(barone ed Anna escono).


SCENA XI.

Salvi, Collalto.

Collalto.

Quante vittime! tutti gelosi di me, anche il barone. Questa si chiama gloria. Don Giovanni al paragone non è più che un casto Giuseppe. [p. 92 modifica]

Salvi.

A chi parlate?

Collalto.

Oh bella! a chi m’ascolta.

Salvi.

(brusco) Allora siete sicuro di parlar solo.

Collalto.

Ah! ah! caro Salvi, sempre fatto! siete un gran bravo ragazzo; fuori che in materia di conquiste: là, avete le idee ancora un po’ retrograde. — Alcuni giorni fa mi domandavate, parlando della contessa, se ero appena uscito dal collegio; oggi a voi, caro Salvi! la contessa è lì lì per cadere. Ah! ne avrei delle belle a dirvi. (ridendo). Ah! ah! volete che vi racconti la storia del mio amore?

Salvi.

(serio). Tempo fa conoscevo di vista un certo tale che m’aveva l’aria di persona abbastanza educata ed onesta, se non che una volta gli saltò il grillo di raccontarmi un suo libero romanzetto con una signora, che del resto io non conoscevo moltissimo. Non so più se il romanzo avesse stile di menzogna o di verità, ma il fatto si è che, a metà del racconto, io consegnai il mio biglietto a quel signore. — Un giorno dopo quel signore aveva un braccio al collo.

Collalto.

(ridendo). Ah! ah! caro Salvi! sempre allegro; ne sapete di belle voi, mio buon collega! [p. 93 modifica]

Salvi.

Ditemi.

Collalto.

Che c’è?

Salvi.

Avete dieci scudi da prestarmi pel whist?

Collalto.

Non dieci, ma venti; ad un vecchio amico come voi!... eccoli (trae la borsa).

Salvi.

No, no.... vi prego: riponete.... scusate, non è questo che volevo.... C’è una vecchia massima che dice: volete liberarvi dagli importuni che vi si chiamano amici? domandate loro del denaro. Di rado la massima falla; questa volta però con mio grande fastidio ha fallato: rimettete la vostra borsa, signore.

(esce, Collalto rimane sbalordito ed esce poco dopo; entrano, il 3.° ed il 4.° signore).

4.° Signore.

Io sto per la Foschi.

2.° Signore.

Ed io per l’altra. Quell’occhio patetico e provocante.... quelle spalle d’alabastro....

4.° Signore.

E nella Foschi quel modo austero pudico.

3.° Signore.

Ma nella contessa, quel brio, quella grazia....

4.° Signore.

La Foschi è una vestale. [p. 94 modifica]

3.° Signore.

La contessa d’Acqui una odalisca.

(escono dall’altra porta. Entra Anna a braccio del barone).


SCENA XII.

Anna, Barone.

Anna.

(ridendo). Ove mi trascinate, barone? temete che vostra moglie c’insegua? Coraggio! volete un bicchier d’acqua?

Barone.

Ridete pure, non sapete quanto mi fate soffrire.

Anna.

Dove, povero barone?

Barone.

Dove? al cuore. Questa sera m’avete abbeverato di disinganni. Il bouquet ripudiato.

Anna.

Fu il caso.

Barone.

Ricusati due balli, il terzo interrotto a metà.

Anna.

La stanchezza m’opprimeva.

Barone.

Ma soprattutto quel piccolo signor Collalto ch’io detesto... [p. 95 modifica]

Anna.

E che v’ha fatto mai il poverino?

Barone.

E me lo chiedete, traditrice!

Anna.

Badate, vostra moglie potrebbe udire. Avete uno spillo?

Barone.

Eccolo, tiranna.      (le porge il suo guancialino).

Anna.

Mi parlate in in stile del secolo passato, barone.

Barone.

Ah! come siete crudele. Ebbene, contessa, sappiatelo....

Anna.

(fingendo sgomento). Vostra moglie!...

SCENA XIII.

Anna, Barone, Collalto poi 2.° Signore, quindi Salvi.

Collalto.

Tutti cercano nelle sale la bella contessa, e la bella contessa si nasconde a tutti come il sole fra la nebbia.

Anna.

Oh! fate dei progressi, signor Collalto. [p. 96 modifica]

Barone.

(a Collato). Signore! sarei io per avventura la nebbia?

Collalto.

(senza badargli). I miei progressi son merito vostro, contessa; mi avete dato poco fa una dolce lezione.

Barone.

(impazientito). Signore, sarei io per avventura la nebbia?

Collalto.

Oh! siete molto pertinace nelle vostre idee.

Barone.

Sì, quanto voi nelle vostre offese.

Anna.

Ah! ah! su via pace, pace, signori.

Collalto.

Tentate provocarmi, barone, provocarmi innanzi alla contessa; non lo soffrirò....

Barone.

Signore, badate....

Anna.

(con affettazione). Barone, è qui vostra moglie.

Barone.

(piano con terrore) Dove?.... (s’allontana frettolosamente).

Collalto.

(al barone che esce). Fermatevi.... non si fugge... [p. 97 modifica] è fuggito.... vedete, contessa, s’è ritirato; la è una bella storiella da raccontare.

Salvi.

(che avrà udito le ultime parole, serio a Collalto). Non la racconterete.

Collalto.

Oh! l’amico Salvi.

Salvi.

Sapete, mio caro, che avete il bernoccolo dell’impudenza sviluppato sino all’ultimo grado

Collalto.

(affettando disinvoltura). Ah! bah! veramente?

Salvi.

Veramente. Ed è un molto maligno bernoccolo. Ma ciò che più mi meraviglia si è che non abbiate ancora trovato uno che ve lo faccia calare un tantino: la sarebbe da senno un’azione filantropica, perchè vi so dire che un battaglione d’individui col bernoccolo alla vostra maniera basterebbe per compromettere tutte le donne di Lombardia, e non esagero. Sì, potete vantarvi, signor Collalto, d’appartenere ad una fra le razze le più terribili del giorno; quella che, senz’esser capace di torcere un capello ad alcuno, assassina l’onore di tutti.

(Matilde e 2.° signore si presentano sulla porta).

Collalto.

Signore, la mia dignità non....

Salvi.

Eh via, tacete, signore; vi è certa gente che [p. 98 modifica] parla della dignità umana come altri del Messico, solo perchè ne ha letto o sentito dire qualcosa.

Collalto.

Contessa, una quadriglia sta per incominciare; vorreste?...

Salvi.

La contessa non balla, rispondo io.

Collalto.

Signor Salvi, v’aspetto nel gabinetto da giuoco.

(esce).

Salvi.

Ci verrò subito.

SCENA XIV.

Conte, Anna, Matilde, Salvi, i quattro Signori, le tre Dame ed altri invitati.

Conte.

(va direttamente ad Anna). Anna cos’è accaduto? entrando ho udito circolar per le sale il vostro nome; qui avviene uno scandalo, rispondete.

Salvi.

Nulla, conte, m’era saltato in capo di dare una lezione a quel signor Collalto.

Conte.

Volevate battervi? [p. 99 modifica]

Salvi.

Un po’!

Conte.

E per chi volevate battervi?

Salvi.

Per nessuno.

Conte.

Anna, si dice che il duello fosse per voi.

Salvi.

Che? menzogna! Il duello era per vostra figlia, contessa.

2.° Signore.

Per sua figlia!

1.a 2.a 3.a Dama.

Ha una figlia!....

Anna.

(piano a Salvi). Signore, siete pazzo? mi compromettete.

Salvi.

(piano ad Anna). No, vi salvo l’onore, e siccome non ho ancora smesso l’idea di diventare vostro genero, permetterete che ve lo salvi.

Conte.

Enrico, dimmi, cos’è accaduto?...

Salvi.

Saprai tutto. [p. 100 modifica]

Matilde.

(piano a Salvi). Avvocato, siete molto abile nella menzogna, ma temo che non vi serva. Volevate battervi per la contessa: negatelo, se lo potete; una lingua di donna potrebbe nuocervi.

Salvi.

(piano a Matilde). Anche una penna d’avvocato potrebbe nuocervi, signora, se m’irritate.

SCENA XV.

Barone e detti.

Barone.

Al buffet dunque, signori e signore! al buffet!

Salvi.

Venite a prendere una tazza di thé, contessa? (dà il braccio alla contessa).

Conte.

Donna Foschi.                (dà il braccio a Matilde)

(escono)


SCENA XVI.

I quattro Signori e due Dame.

2.° Signore.

Amici, signore, volete gli ulteriori chiarimenti intorno a nostra figlia? [p. 101 modifica]

1.a Dama.

Dite.

2.° Signore.

È un angelo di bellezza, è una perla di candore, ha sedic’anni.

3.° Signore.

Sedic’anni! Ed io che credevo la contessa così giovine! Chi ve l’ha detto?

2.° Signore.

Donna Foschi. Oh! a proposito, aspettate; volete un’altra notizia recentissima?

1.a e 2.a Dama.

Che? che?

2. Signore.

Donna Foschi s’è separata dal marito.

1.° Signore.

Io che la credevo una signora tanto austera.

2.° Signore.

E suo marito resta senza un quattrino in tasca.

4.° Signore.

Ah! ed io che gli ho prestato 4,000 franchi ieri sera al giuoco.

(ridono).

1.° Signore.

Ah! che noia!



Cala la tela.

[p. 103 modifica]

ATTO QUARTO


La Sala dei due primi Atti.



SCENA PRIMA.

Anna, e il Conte.
(Anna è seduta — il conte passeggia agitato)

Conte.

Poco fa per eludere le mie domande evocaste le memorie della luna di miele. — Convenitene, memorie abbastanza lontane; luna sbiadita, sbiadita sull’orizzonte fra le nubi vaporose delle migliaja di merletti, di tessuti e di veli che si successero sulle vostre spalle. Anna! voi non vi sentite scevra di colpe poichè vi ritirate dietro queste trincee: io mi aspettavo armi meno spuntate da una donna del vostro spirito.

Anna.

Il mio spirito? è un’ora che gli gridate la croce addosso: non mi diceste un momento fa che lo spirito è il bersaglio della maldicenza? [p. 104 modifica]

Conte.

E lo ripeto....

Anna.

E che bisogna mutar vita? Ebbene, l’ho turato il mio spirito. — Adesso, voi vi burlate, scettico che siete, anche del mio cuore?

Conte.

Il vostro cuore? oh! da molto tempo egli giace dietro la vostra bianca epidermide, precisamente come una libreria nella maggior parte delle case dei nostri amici: tutti i tesori di questo mondo; ma sotto vetrina, vetrina che resta religiosamente chiusa e di cui talvolta va smarrita la chiave.

Anna.

Siete un miracolo di gentilezza. — E tutto per uno scandalo, in cui non ho colpa io.

Conte.

Fu un velo squarciato, Anna. — Voi non siete più sola in società: la riputazione di Camilla sta dietro la vostra,... e quel nome....

Anna.

Domandate a Salvi, a lui che la vuol sposare, perchè lo ha profanato il nome di Camilla.... in una festa da ballo.

Conte.

Voi esagerate adesso: non è profanato il nome della fanciulla se è un onest’uomo che lo pronuncia.

Anna.

Ma in una festa da ballo.... [p. 105 modifica]

Conte.

Ah! dunque, signora, l’atmosfera che circonda le vostre spalle nude, molto nude, basta sola a corrompere persino il nome di una giovinetta? — Tanto peggio!

Anna.

Con qual diritto lo ha pronunciato? Ieri ancora, Camilla era un fiore ignorato: quando il giorno opportuno fosse giunto, avrebbe certo destato ammirazione viva e sincera, ma rispettosa.... Ora eccola sulle labbra di tutta un società ciarliera e curiosa.

Conte.

Quando si tratta di vostra figlia, voi non vedete la società dal solito punto di vista: la smascherate con una strana ingenuità: ah! cercando la chiave del cuore, perdete assolutamente quella dello spirito.

Anna.

Voi me lo fate perdere: e poichè parlate chiaro, parlerò chiaro anch’io. — Sono stanca di scene. — Ieri me ne faceste una a proposito di questa vostra sposina appena uscita di fascie.... che volete imparentare col codice, voi che avete un acquila sul vostro blasone....

Conte.

Ah! rimettete la maschera? Ebbene: sappiate che i blasoni ai dì nostri hanno perduta l’indoratura.

Anna.

Sì, come a vostro parere io ho perduto lo spirito e la chiave: voi, voi dimenticaste la vostra dignità non rispondendo a quell’avvocato come meritava, e trattando me come.... come non merito. [p. 106 modifica]

Conte.

Ebbene: vi do’ parola che oggi a ogni costo saprò come voi stessa trattaste e trattate vostro marito. Quanto a Camilla, lasciatemene il pensiero; io non abdico il mio potere paterno.

Anna.

io quello di madre.

Conte.

Ne dimenticaste da molto tempo i doveri.

Anna.

Questa vostra è una crudeltà senza esempio, lasciatemi....

Conte.

No: ascoltatemi, e con tutta attenzione. (Anna siede indispettita) Rimorchiandomi nei vostri convegni galanti, in queste fiere dei vostri giojelli e dei vostri sorrisi, mi menavate a scuola senza saperlo. — Ho veduto sempre e dappertutto l’amore preferito al matrimonio: è un fenomeno spiegatissimo: i romanzi piacciono assai più della storia. — Perciò feci quant’era in me perchè la storia in casa mia fosse possibilmente meno nojosa. Era un dovere, nè però mi sarei creduto per questo meno esposto alle sventure.... ai pericoli, se la mia stima illimitata per voi non fosse stata l’armatura che mi preservava nel presente e nell’avvenire dal timore delle.... vicende che mi vedevo accadere d’intorno....

Anna.

Voi parlate come se aveste in mano una prova, come se aveste la certezza.... [p. 107 modifica]

Conte.

Allora non vi parlerei più. — (pausa) Per gli sposi la pace domestica è il fiore che sbuccia dalle attrattive reciproche, dai reciproci vezzi; ma quando il nome di sposi si cambia in quello di marito e di moglie, allora.... gli è pur forza amarsi, per lo meno vivere in buona armonia ad onta delle spine cresciute intorno a quel fiore; la pace diventa il frutto della tolleranza. Questa virtù l’ho praticata, Anna....

Anna.

E credereste forse, Gustavo, che anch’io....

Conte.

L’avrete esercitata anche voi, non nego; però in dose omeopatica; — io all’incontro ho mandato giù delle pillole molto amare, Anna, delle pillole ch’erano....

Anna.

Dosi d’arsenico forse?

Conte.

Quasi. — Voi avete corso il mare magno della vita galante: io sono stato sulla spiaggia ad osservare la vostra candida vela, sicuro che se il vento si fosse fatto pericoloso avreste avuto la prudenza, la forza di ammainarla. — Stanotte è scoppiato l’uragano: voi ci eravate in mezzo, navicella che porta il mio nome....

Anna.

Ed eccomi in porto.

Conte.

Manco male. — L’uragano non vi ha inghiottito.... ma vi sono avarie.... [p. 108 modifica]

Anna.

(con dispetto). Voi vi afferrate alle vostre idee con una strana caparbietà.

Conte.

Gli è che qui si tratta di sapere tutta la verità. — Si tratta di sapere s’io ho ingoiato veramente l’arsenico, se la confidenza fu dabbenaggine, e codardia la pazienza. Si tratta di sapere cosa faceste del mio povero nome!...

Anna.

Voi scherzate su cose tali?

Conte.

Potrebbero essere gli ultimi scherzi della mia vita! — Oggi, ve lo ripeto, la luce sarà fatta.

Anna.

Volete ricorrere a un ufficio d’indizj? volete esporre il mio nome al giudizio dei vagheggini maledici? saranno felici di lacerarlo.

Conte.

Perdio! insegnatemi come far la luce altrimenti sullo scandalo di questa notte! Voi dite di esserne al bujo: vorreste ch’io sfogliassi la margherita come un pastorello per sapere se mi amate o se mi tradite? Sarà tutta vostra la colpa se troverete chi scagli la pietra....

Anna.

Dio mio! voi fate comodamente la morale qui in casa: ma metterla in pratica fuori del guscio non è tanto facile. — Si, datevi attorno; troverete i [p. 109 modifica] testimoni dell’accusa; quelli della difesa saranno assenti e d’ignota dimora.

Conte.

E non sapevate voi prima di adesso che l’onestà deve congiungere alla purezza che soddisfa la coscienza, la prudenza che indovina e previene la calunnia? Se non vi troverò colpevole e vi saprò calunniata, sarà una differenza che soddisferà il mio amor proprio: ma il sistema passato non sarà stato buono per questo.

Anna.

E mi bandirete dalla società, non è vero? condannerete la madre al convento cui sottraete la figlia?

Conte.

Farò quello che la dignità e l’amor mio mi ispireranno. — Cercate, cercate, Anna, quella tal chiave smarrita, e le mie parole non vi daranno più l’emicrania.

Anna.

Badate.... giunge vostra sorella. — Ella forse ha tutto udito: ecco come voi mi fate la riputazione! e poi venitemi a parlar di prudenza! (esce).

SCENA II

Maria e il Conte.
(Il conte si getta agitatissimo sopra una sedia; entra Maria).

Conte.

Maria! arrivi dalla strada? oggi anticipasti di molto la passeggiata. [p. 110 modifica]

Maria.

Appunto. — Rientro con Camilla: ella si è indugiata nella anticamera colla cameriera di tua moglie per chiederle novelle del fratellino malato.

Conte.

Ella è buona, non è vero, buona assai la mia figliuola?

Maria.

Tutta bontà, tutta candore....

Conte.

O Maria! perchè la società ce le guasta col suo alito velenoso queste dolci e ingenue creature.

Maria.

Come ti fai serio, fratello: gli è forse perchè Camilla ha perduto da qualche tempo il suo buon umore?

Conte.

Mi sono accorto, sì, del cambiamento; ignara d’ogni cosa di questo mondo, ella è triste da qualche tempo, come se le avesse già tutte conosciute.

Maria.

Ma, via, fratello.... hai delle idee molto lugubri stamane sulle cose di questo mondo. — La malinconia di tua figlia è ben naturale del resto....

Conte.

Si, perchè ella ama.

Maria.

E giacchè ti è nota la malattia... [p. 111 modifica]

Conte.

Oh! voglio che lo sposi, a ogni costo: andranno a stabilirsi in campagna; e io con loro.... verremo nel tuo villaggio solitario, e vivremo la vita tranquilla, serena, vera.... noi quattro....

Maria.

(inquieta) Oh! certo una sventura, una sventura è passata sulla tua casa.... sopra te stesso....

Conte.

Che! che dici?... sopra di me?...

Maria.

Tua moglie forse!...

Conte.

Ebbene, che ne sai tu? Maria, dimmi....

Maria.

Calmati.... io, io non so niente: ma la tua faccia, le tue parole.... tu escludevi tua moglie del sogno della tua vita avvenire....

Conte.

E tu temevi di una catastrofe.... che forse non avvenne. — Ah! mi ricordo, sorella, ed ora più che mai, de’ tuoi consigli: tu non approvasti mai le abitudini di mia moglie, e mi rimproverasti sempre la mia debolezza.

Maria.

Ma pure qualche cosa ti è accaduto.

Conte.

Stanotte fummo a casa del barone Abati, un barone [p. 112 modifica] ridicolo, ma una casa molto alla moda. — Mia moglie era bella, corteggiata, ammirata; io annojato a morirne. — Verso l’alba, il rumore di una disputa mi attira in un gabinetto dove trovo Anna fra il sig. Collalto e l’avvocato Enrico; una provocazione era stata gettata, si parlava di una riparazione d’onore. — Il nome di una moglie è sulle labbra di tutti i benevoli astanti: metto alle strette l’avvocato e mi risponde....

Maria.

Che cosa?

Conte.

Che si batteva per mia figlia! Era una risposta evasiva.

Maria.

Come ci poteva entrare la povera Camilla!

Conte.

Ecco il mistero.

Maria.

Ma tua moglie?...

Conte.

Ella, ella sola deve essere stata la causa dello scandalo!

Maria.

Il signor Enrico avrebbe dovuto venir subito....

Conte.

(pensieroso). Egli fu sempre il migliore de’ miei amici, ma come spiegare il suo contegno? [p. 113 modifica]

Maria.

Io mi ci perdo davvero!

Conte.

Voglio uscire di casa; avrò da chi so io la spiegazione di questo enigma. — Ecco Camilla; non sappia parola di tutto questo.

Maria.

Oh no! ha già abbastanza di che tormentarsi.

Conte.

Se venisse Enrico, mi aspetti. — Io vado da donna Matilde.

Maria.

Da colei!... (s’interrompe vedendo entrare Camilla).

SCENA III

Detti e Camilla.

Camilla.

Oh! addio, papà, dammi un bel bacio. — Sta meglio sai, zia, il fratello di Marianna. Le ho regalato l’usignolo nella sua bella gabbia dipinta perchè l’appenda nella stanza del poveretto. Così egli avrà un compagno per cantare le canzonette della convalescenza.

Maria.

(baciandola in fronte) Mia cara....

Conte.

E tu, quando canterai bricconcella...? [p. 114 modifica]

Camilla.

Io? ma io canto sempre!

Conte.

A bassa voce allora, e in tal caso le canzonette somigliano ai sospiri. Ah! tu sospiri?

Camilla.

Non ti capisco.

Conte.

Tanto meglio. — Ora, un altro bacio, e addio sorella.

Camilla.

Come! esci di casa, papà? così presto?

Conte.

Per tornar subito: addio. (esce).

SCENA IV.

Camilla e Maria.

Camilla.

Il papà scherzava con una faccia scura scura; ma, cosa vuol dire?

Maria.

Eh! gli uomini hanno tante brighe, tanti affari; non ci badare. — Ora, dimmi piuttosto: sei contenta della passeggiata?

Camilla.

Certo. Come sorridevano quelle faccie pallide, [p. 115 modifica] quando aprimmo il sacco pieno di giubboncini e di camiciuole. — Ma dimmi, perchè questi poveri non sanno ringraziare senza ripetere: Signora contessa, signora contessina!? È dunque il nostro titolo che ispira la loro riconoscenza.

Maria.

Le sono debolezze dell’umana natura.

Camilla.

Eppure ho sempre creduto che la vera nobiltà non fosse quella che si trova bell’e fatta nascendo.

Maria.

Sicuro. Tanto più che la maggior parte dei nobili ai dì nostri somigliano ai loro antenati come.... il Cicerone di Brera somiglia all’oratore romano.

Domestico.

(annunziando) Il signor Salvi.

SCENA V.

Camilla, Maria, Salvi poi Anna.

Salvi.

(entrando e salutando) Signora Maria, signorina....

Maria.

Oh! il nostro signor Enrico! — vi aspettavamo.

Salvi.

Lo credo. E senza certi affari di tutta urgenza sarei venuto molto prima. — La signora contessa è visibile? [p. 116 modifica]

Camilla.

Sì, sì. Margherita le ha servito poc’anzi la colazione.

Maria.

Le annuncieremo la di lei visita.

(s’incammina alla porta).

Anna.

(dalla sinistra) Chi c’è? oh! signor Salvi.

Salvi.

Contessa.

(Maria e Camilla escono).


SCENA VI.

Anna e Salvi.

Anna.

Davvero che vi aspettavo. E non m’ingannai certo, sperando che dopo un benefico sonno sareste rinsavito?

Salvi.

Ho paura d’esser io l’ingannato, signora, chè davvero sperava, dopo una scena come quella di questa notte, avreste dato qualche giorno di congedo alla vostra ilarità.... e questa ironia...

Anna.

Speravate dunque trovarmi colla emicrania e cogli occhi rossi di pianto?

Salvi.

Perdonate, signora contessa: vi sta davanti un [p. 117 modifica] uomo profondamente commosso: i vostri scherzi, credetemi, mi fanno molto male. Lasciate ch’io vi parli seriamente, con la mia franchezza....

Anna.

(con ironia) Oh! la vostra franchezza!

Salvi.

Lo so. Ella è ospite importuna in società.

Anna.

In società?... ma voi vivete nei boschi, voi? la società! via, sento di abituarmi a poco a poco alle prediche. Coraggio, stigmatizzatela anche voi questa mia povera società.

Salvi.

Perdonate....

Anna.

Chiamatela anche voi la fiera, il mercato dove noi portiamo le monete di rame e voi seminate le verghe d’oro, voi!

Salvi.

Se volete attribuirmi boria di predicatore, e orgoglio di moralista, non colpite nel segno. — Sì, posseggo, è vero, un tesoro; sono guidato da una verga magica....

Anna.

Davvero? beato voi! e perchè non mi partecipaste una tanta fortuna?

Salvi.

Ve la partecipai, contessa, quando vi chiesi la mano di vostra figlia... [p. 118 modifica]

Anna.

Ah! è dunque Camilla la maga, il tesoro è Camilla? — Perdonatemi a vostra volta, ma, per l’avvenire, non contate che sul vostro scrigno e non lasciatevi guidare che dal vostro cervello.

Salvi.

Cercai di farlo sempre.

Anna.

Non questa notte, per esempio, nè quando vi saltò in capo di impalmare la contessina Camilla.

Salvi.

(serio) Allora, e sempre! — Ma vi prego, signora contessa, abbandoniamo questa scherma di parole, di ironie e di sottintesi. Io vi devo una spiegazione.

Anna.

È da qualche tempo, mi pare, che la sto aspettando.

Salvi.

Ditemi sinceramente, o signora: la scena di questa notte vi parve essa tanto strana? sinceramente, ditemi, non la prevedevate voi?

Anna.

Buon Dio! le cadute degli aereoliti non so se le prevedano neppure gli astronomi.

Salvi.

Eppure con un po’ più di stima per me e per la mia passione, meglio che prevederla, avreste potuto arrestarla nell’aria. [p. 119 modifica]

Anna.

Insomma, voi pretendete da me profezie e miracoli....

Salvi.

Le madri sanno farli i miracoli; io ne pretendevo uno dalla madre di Camilla....

Anna.

Ah! ma sapete che questa vostra ostinazione nel chiamarmi la madre di Camilla è molto ridicola, signor avvocato? Io sono la contessa Anna, se vi garba, e non potrò mai essere altro per voi. — Passate sugli ostacoli, sui rifiuti che rendono impossibile questo matrimonio, con una facilità...

Salvi.

Quali rifiuti, signora contessa? quali ostacoli? vostro marito....

Anna.

Il rifiuto mio.... l’abisso che separa la nostra dalla vostra posizione....

Salvi.

Ah! è questo l’ostacolo? Via, alla fine parlaste chiaramente. — Potrei rispondervi che appunto facendo i calcoli col mio scrigno e col mio cervello, come voi dicevate, questo ostacolo non mi parve un abisso. Il mio senso paterno difendeva da ogni sospetto meno nobile la mia domanda: aveva davanti a me una brillante e onorata carriera; ma, poichè per voi gli uomini valgono in ragione degli antenati, poichè la madre, scusatemi, misura la felicità della figlia a stregua di blasone.... ebbene! ogni spie[p. 120 modifica]gazione sul mio contegno diventa perfettamente inutile: la signora contessa non mi capirebbe. — Mi giustificherò col conte.

Anna.

Sì, congiurate con lui, mettetevi all’ombra di quella sua buona fede adamitica per strappargli un assenso che io non dividerò mai. — Ah! spiegherete il vostro logogrifo a lui? fatelo; ho la coscienza pura, e da voi non temo calunnie.

Salvi.

Ma non potete essere egualmente sicura degli altri vostri amici, dei vostri eleganti amici. — Voi accusate vostro marito di troppa buona fede: eppure la vostra supera di gran lunga la sua.

Anna.

Scherzate?

Salvi.

Quel signor Collalto, davanti a me, a me che vi parlo, dilaniò la vostra riputazione, questo sacro retaggio di vostra figlia; le vostre galanti abitudini non sono esse tali da vestire di verità le sue vili millanterie? contessa, eccovi una lettera di scusa che i miei padrini ottenevano stamane da quel superbo vigliaco.

(le dà una lettera).

Anna.

(senz’aprirla). Ciò che voi dite è vero?... — Lo sia: la mia condotta in fin dei conti fu sempre troppo onesta perchè un vanarello, come quel signor Collalto, di cui mi parlate, possa offuscarmi la riputazione. — È questa dunque la vostra spiegazione? Voi vi battevate per la mia riputazione? [p. 121 modifica]

Salvi.

Dietro la vostra sta la riputazione della fanciulla che io amo.... io pronunciai il nome della fanciulla; il vostro non avrei potuto pronunciarlo senza offendervi....

Anna.

Voi usciste, signore, dal vostro diritto.

Salvi.

Obbedii a un dovere.

Anna.

Ebbene, io ho il dovere di disingannarvi sulle vostre illusioni.

Salvi.

E la vostra risposta alla domanda dell’avvocato Salvi è sempre la stessa?

Anna.

Sempre: ma amici sempre, non è vero? (dandogli la mano). Poichè vorrete, spero, far senno e comprendere le mie ragioni.... Dunque amici come prima?...

Salvi.

(con un inchino). Come prima di esservi presentato, signora contessa.

Anna.

Ah! (ritira la mano, s’inchina ed esce).

Salvi.

(al domestico che entra). Fatemi il favore di annunciarmi alla sorella del signor conte; ditele che avrei bisogno di vederla un momento. (domestico esce). — Sì, è necessario. (siede ad un tavolo e [p. 122 modifica] scrive con commozione crescente, quindi rilegge lo scritto, e lo piega in forma di lettera).

SCENA VII.

Maria, Salvi.

Maria.

(entrando frettolosa). Chiedevate di me? volevate parlarmi?

Salvi.

Sì, perdonatemi, signora Maria, se la stima che nutro per voi mi fa abusare della vostra bontà.

Maria.

Caro signor Enrico, i complimenti sono inutili fra noi. Di che si tratta? Mio fratello mi tenne parola della faccenda di questa notte...

Salvi.

Ed io vi pregherei appunto di una ambasciata per lui. Eccovi questa lettera che vi pregherei di consegnargli.

Maria.

(inquieta). Ma, che c’è dunque?

Salvi.

Nulla, nulla che possa sgomentarvi. — Voi amate caldamente Camilla, sapete ch’io l’amo: ho indovinato tutto questo dalla vostra cordialità a mio riguardo: io debbo corrispondervi colla confidenza. Leggete. (le porge la lettera). [p. 123 modifica]

Maria.

Se non vi duole, fatemene voi stesso la lettura. Ho due occhi che vogliono ritirarsi dal servizio a ogni costo.

Salvi.

Leggo — (leggendo). «Amico mio — La scena di questa notte fu il signor Collalto che la provocò vantandosi con me della conquista di tua moglie. Dimenticandomi la realtà, risposi al calunniatore come se la donna da lui calunniata fosse già stata la madre della mia sposa. — Mi perdonerai tu d’aver usurpato il tuo diritto? Se non mi illusi, tu mi avevi già concesso quello di amare tua figlia — Or ora la contessa rialzò davanti a me la realtà — La mia passione è troppo profonda perchè ch’io possa dimenticare Camilla, ma la dignità e il dovere m’impongono di non turbare la pace della tua casa per fabbricarmi la felicità. Io mi allontano oggi da queste care pareti, per non rivederle che fra molto tempo. Al mio ritorno non avrò uno stemma sul mio biglietto di visita, ma gli anni avranno portato via con sè l’ostacolo maggiore che adesso si frappone al mio matrimonio. — La madre sarà succeduta alla donna galante. — Addio, addio colla fede e colla speranza.»

Maria.

Povera Camilla! sentite: evitiamole l’asprezza di un colpo improvviso; io so ch’ella v’ama tanto: ma è così facile allo spavento. — Cerchiamo di predisporla, ditele voi stesso una parte del vero, annunziate un viaggio abbreviando il tempo e la [p. 124 modifica] distanza. — Sì, sì, fermatevi ancora un momento: vado da lei, le dico due parole, la conduco quì...

Salvi.

E mi fate partire colla gioia nell’anima! oh! cuor d’angelo...

(Maria esce).


SCENA VIII.

Salvi, il Conte.

Salvi.

(il conte entra cupo, accigliato; Salvi si volge, e si scontra in esso).

(con sorpresa). Oh!...

Conte.

Voi!... vi maravigliate ch’io entri in casa mia! disturbo forse?...

Salvi.

Tu scherzi?

Conte.

Tu... tu; ebbene! guardami in faccia (gli afferra la mano).

Salvi.

Perdio! tu hai le braccia di ferro.

Conte.

Guardami in faccia, ti dico!

Salvi.

Che avvenne? sei tutto stravolto; lasciami. [p. 125 modifica]

Conte.

Che avvenne? che avvenne? Tu non supponi che l’imbecille possa aver un lampo di senno, il cieco un raggio di luce, e mi domandi che avvenne? Giù la maschera scellerata, la maschera ipocrita dell’amico, e mostrami nuda una buona volta la faccia.... ormai l’impostura non ti giova...

Salvi.

Sei tu impazzito?

Conte.

Non potevi tu uccidermi senza avvelenarmi la piaga? Ma fingersi innamorato di mia figlia, dell’unica mia figlia, e farla complice innocente in questo gioco infernale.... fare di questo amore un pretesto per tradire la ospitalità, per sedurre la madre!....

Salvi.

Basta, perdio! non proseguire... Sei pazzo!

Conte.

(con ira crescente). Io ti credevo il migliore degli amici, il tipo della fierezza e dell’onestà; avevi sedotto me pure, ed io ero felice di dare alla mia Camilla un marito che credeva degno di lei.... e tu intanto ne profanavi la casa.... ne tradivi il padre....

Salvi.

Signor conte, per ciò che avete di più sacro...

Conte.

Oh! cose sacre al mondo? e ve ne sono ancora? giuraste anche per le ceneri di vostra madre, non riescireste a rimettermi la benda. Questa notte non [p. 126 modifica] trascinaste in publico il mio disonore? Tutti gli ospiti del barone non furono spettatori della tresca? Quel lungo colloquio, quel fazzoletto, e impedirle di danzar con questo o con quello... oh derisione! eravate geloso della contessa: suo marito non lo fu mai, ma voi, che la conosceste meglio, temevate che quel Collalto mi disonorasse di seconda mano!

Salvi.

Vi ripeto, conte, ditemi chi fu l’autore dell’orrenda calunnia. — Ditelo in nome di Camilla.

Conte.

Taci: quel nome non ti venga più sulle labbra. Chi vi ha calunniato? una donna che voi avete calunniato davvero, quando venivate a farmi la morale, a illuminarmi sulle amicizie della contessa.

Salvi.

Donna Matilde!... signor conte, un uomo che dimentica lunghi anni di amicizia, di affetto, per una parola velenosa di una donna come quella, merita la compassione e il disprezzo, non altra risposta.

Conte.

(irritatissimo). E avete anche il coraggio di ingiuriarmi?

Salvi.

(al colmo dell’agitazione). Ma voi, siete un uomo voi? credere a quella donna, distruggere tutto un passato per innalzare con una parola un presente ignominioso ad entrambi, a tutti? — Oh! dopo la morte di mia madre, io non piansi più, ma sento che le lagrime non erano inaridite del tutto. [p. 127 modifica]

Conte.

Chi non sa piangere di dolore, può piangere di rabbia, può contraffare le lagrime.

Salvi.

Il dolore si aggruppa nel cuore, la rabbia prorompe: io non piango, ma bestemmierò finchè avrò fiato, bestemmierò la turpe credulità, la debolezza ridicola, le ire e gli affetti di un giorno...

Conte.

Cessate, cessate una volta: siete ancora in casa mia e non posso...

SCENA IX.

Detti, Anna poi Maria.

Anna.

Che avvenne, per amor del cielo?

Conte.

Via di quà, signora, via...

Maria.

(entrando affannata). Per carità, fratello! venendo a questa volta io e Camilla abbiamo udito le vostre ultime parole: la povera fanciulla è svenuta: certo tu sei ingannato.

Conte.

Oh sì! atrocemente ingannato.

Anna.

Ma, insomma, che avvenne? [p. 128 modifica]

Conte.

Non datevi più la pena di fingere, signora: ormai tutto è alla luce del giorno. Signor avvocato Salvi, la vostra vittima, la più innocente è là, malata in quella stanza. — (Enrico fa per slanciarvisi). — Fermatevi: stava per indicarvi una porta, ma non quella.

Salvi.

Io non partirò, signor conte, per quanti insulti possiate gettarmi in faccia: prima di andarmene voglio vedervi arrossire.

Maria.

Ma, fratello, ti ripeto che devi essere nell’errore: vieni, andiamo da Camilla; ho una lettera, vieni; ella è svenuta, ti dico. (Trascina verso la porta il conte ed esce con lui).

SCENA X.

Anna, Enrico.

Anna.

Ma che cosa è stato, signor Enrico? non si può sapere nemmeno questo? Il vostro alterco si sentiva per tutto l’appartamento.

Salvi.

Oh! fu un’orribile cosa...

Anna.

(scherzando). Mio Dio! voi mi fate rabbrividire. — Pare che si tratti di un delitto. [p. 129 modifica]

Salvi.

Diceste il vero.

Anna.

(con leggiera ironia). Da senno? E chi è il colpevole?

Salvi.

Voi.

SCENA XI.

Detti, Maria, il Conte e Camilla.

Conte.

(tiene in mano la lettera di Salvi) Enrico... Enrico....

Salvi.

Camilla...

Maria.

(a Salvi). La posta è arrivata in tempo.... quantunque un po’ tardi.

Salvi.

(serio). Troppo tardi, signora Maria.

Anna.

(fra sè). Ma oggi è dunque il giorno degli enigmi?

Camilla.

(commossa, sorridente, con gli occhi bassi).

Signor Salvi.... ecco qui il babbo, che m’incarica di dirvi in suo nome.... due cose.... [p. 130 modifica]

Conte.

(prendendo con trasporto la mano di Salvi).

E cioè, che l’amico ti chiede perdono! ecco la prima: poi....

(guardando Camilla).

Camilla.

Poi....

Anna.

(freddamente). Camilla, la seconda la direte dopo ch’io sarò partita (suona: al servo che si presenta:) avvertite la cameriera di prepararmi subito i bauli: fra un’ora voglio essere in via pel Lago.

(servo esce).

Conte.

(stupito e sdegnoso). Voi partite!....

Maria.

(con dolce rimprovero). In questo momento!

Camilla.

(piangente e supplichevole). Oh! mamma, tu parti?

Salvi.

Ah! no, per ora no; tocca a me di partire! — Addio, Camilla; addio, amico mio! signora contessa, potete rimanere.

(esce rapidamente).
(Camilla cade piangendo fra le braccia di Maria).

Conte.

(ad Anna). Guardate! e siete madre voi?



Cala la tela.

[p. 131 modifica]

ATTO QUINTO


Salotto nell’appartamento di Enrico Salvi. — Una porta o destra, altra a sinistra — una più grande in mezzo.



SCENA PRIMA.

Salvi, Camilla — seduti a un tavolino.

Salvi.

(leggendo). Possa, la donna tua farti beato
Coi lieti occhi amorosi;
A te, fidata consigliera, allato
In atto di benigno angelo posi
E nell’amor ti sia
Come perpetuo lume in dubbia via.

Ma tu non ascolti. A che pensi?

Camilla.

Me lo domandi? e tu stesso, povero amico a cosa pensavi? le tue labbra leggevano, ma la tua mente era altrove. — Partire, abbandonare la nostra bella casetta senza aver riabbracciata mia madre, e sapendola in collera ancora... [p. 132 modifica]

Salvi.

Vedi, Camilla — avevo torto io quando prevedeva che la gioia della sposa sarebbe stata il rimorso della figlia? — Ma tuo padre l’ha voluto....

Camilla.

Mio padre soltanto?...

Salvi.

E il mio cuore e il tuo. — La ragione ha fatto il dover suo — ha combattuto ostinatamente — ma quando ti vidi malata, il cuore vinse... e la ragione ebbe torto. — Ma ora tu pensi a tua madre, mio povero angelo.... ed io tentavo appunto distoglierti dalla triste realtà con un po’ di poesia.

Camilla.

Ne ho tanta nel cuore da tre mesi; e se non fosse per seguire il mio poeta, credi tu ch’io potrei lasciare Milano in circostanze come le nostre?

Salvi.

Fatti animo, mia cara: tutto si accomoderà; al nostro ritorno troverai qui tua madre.

Camilla.

Ho tanto bisogno di un suo bacio! — Mio padre dovrebbe essere di ritorno a momenti.

Salvi.

Fra una mezz’ora al più. Ma non attenderti troppo da questa sua gita.

Camilla.

Avrà veduto la mamma, le avrà parlato, forse l’ha persuasa.... [p. 133 modifica]

Salvi.

Ne dubito molto, Camilla. — Durante la nostra assenza sarà molto più facile la riconciliazione. — Ella tornerà in città: qui le memorie della tua infanzia risusciteranno intorno a lei; tutto le parlerà della sua fanciulla, e il dì del nostro ritorno ella sarà sulla porta ad attenderla e avrà tutto scordato.

Camilla.

Ma tu vuoi che andiamo fino a Napoli.... ci vorrà tanto tempo!

Salvi.

Ma non credi che insieme passerà presto?

Camilla.

(con effusione) Oh! col mio poeta!....

Salvi.

Chiamar poeta un avvocato!...

Camilla.

Tu lo sei, si che lo sei. — Prima di essere tua moglie la vita e la natura erano per me come un libro arcano di cui intravedevo le bellezze e indovinavo gli affetti.... ma era scritto in una lingua sconosciuta: ebbene tu me l’hai insegnata in tre mesi! Ciò non può essere l’opera della tua scienza, è dunque il miracolo della tua poesia!

Salvi.

È il miracolo dell’amore! (le prende la mano, e la tiene fra le sue, accarezzandola). [p. 134 modifica]

SCENA II.

Detti, Maria, poi il Conte.

Maria.

Non si può dire, ragazzi miei, che voi perdiate il vostro tempo; si parte fra poco e tuttavia....

Camilla.

I bagagli sono pronti: Enrico mi faceva un po’ di lettura per farmi dimenticare che quell’ora deve pur arrivare. — Povera zia, e tu resterai qui tutta sola.

Maria.

Oh! non accorartene, giacchè accettaste questo vecchio mobile della zia nella vostra casetta nuova, alleggerirò il fardello della riconoscenza rendendomi utile. — Voglio che al vostro ritorno troviate il vostro nido provvisto e compito come se fosse quello di un consigliere ammogliato da quarant’anni.

Salvi.

In questo caso mi attenderò di scoprir qualche giorno in un nascondiglio cinque o sei Sovrani litografati, e mi spenderete un tesoro in berretti da notte.

Maria.

Lasciate fare a me. — Appunto, Camilla; la tua piccola borsa?...

Camilla.

Ma si parte dunque davvero? ne parlate proprio come se ogni speranza fosse perduta.

(entra il conte).

[p. 135 modifica]

Camilla.

Solo!

Maria.

Non ottenesti nulla?

Conte.

Meno di nulla. — Mia moglie era partita dalla villa jeri non dicendo ad alcuno per dove.

Camilla.

Oh povera me!

Maria.

Non l’hai dunque veduta?

Conte.

Giunsi a Como stamane: jeri fui in Brianza sperando trovarla presso suo cognato; se correvo a Como direttamente ve la trovavo ancora.

Camilla.

Ma dove mai può essere andata?

Maria.

La lettera che le parlava della vostra partenza avrebbe però dovuto giungerle jeri....

Conte.

Se non si è fermata anch’essa in Brianza.

Salvi.

Povero d’Acqui! vedi ch’io non mi ingannava dicendoti che la mia felicità ti sarebbe costata ben cara.... [p. 136 modifica]

Conte.

La tua felicità è quella di Camilla, è la mia, caro Enrico; e non la gustiamo soavemente noi quattro? — Vivaddio! quella signora contessa....

Camilla.

Oh! papà, perdonate alla mamma. — Anche noi abbiam forse dei torti....

Conte.

Noi? — via, non voglio rattristarti; stattene allegro, Salvi; tutti i miei affetti ormai alloggiano in casa tua: come potrei accorgermi di ciò che manca nella mia?

Maria.

(sorridendo). Oh! non difettate di ospiti, ragazzi miei.

Salvi.

Fosti già al tuo palazzo? (al conte).

Conte.

Giungo direttamente dalla ferrovia.

Salvi.

Ma, la contessa non potrebbe essere....

Camilla.

(con premura). Sì, sì, ella può essere a casa nostra....

Conte.

Può darsi poichè senza saperlo ho indicata questa casa al cocchiere: davvero m’imaginava che tutti dovessero fare lo stesso. [p. 137 modifica]

Maria.

Mandiamo subito qualcuno....

Conte.

Ci vado io stesso. — Voi partite alle quattro, ho dunque tutto il tempo.

Camilla.

Enrico, se accompagnassi mio padre?

Salvi.

Faresti benissimo, ti divagheresti.

Maria.

Ma tu devi viaggiar tutta notte, Camilla....

Camilla.

Starmene qui ad aspettare nell’incertezza, mi sarebbe peggio. — E poi, se dobbiamo proprio partire sento che lo farò meno mestamente dopo aver riveduto la mia stanzuccia di una volta, e il salotto dove c’è il ritratto della mamma.

Conte.

Quella povera Anna! quanti tesori essa perde di tenerezza e di felicità! — Andiamo, Camilla, andiamo.

(esce con Camilla).


SCENA III.

Salvi, Maria, poi Matilde.

Salvi.

Scrivo due righe per affari, e sono da voi, cara zia. [p. 138 modifica]

Maria.

Fate, fate, io vado ad aggiungere qualche cosa al baule della viaggiatrice.

Domestico.

(sella porta) Donna Matilde Foschi chiede parlare al signor avvocato.

Salvi.

(sorpeso). Ella! che vuol da me? (al domestico) ditele che sto per partire; no... aspettate... fatela entrare. (il domestico esce) Che vorrà ella mai?

Matilde.

(entrando). Signor avvocato...

Salvi.

Signora...

Matilde.

Voi mi trovate ben pallida e ben dimagrata, signor Salvi...

Salvi.

Non vi avevo osservato molto attentamente.

Matilde.

Oh! gli è che questi pochi mesi sono stati dieci anni per me. Voi invece... con una sposa...

Salvi.

Scusatemi... qual è il motivo della vostra visita?

Matilde.

Tutta una storia, tutta una storia dolorosa, che volge a una catastrofe... — Ho bisogno di voi. [p. 139 modifica]

Salvi.

Come avvocato?

Matilde.

Sì, come avvocato: come il solo che conosce tutti i miei affari,...

Salvi.

In questo caso non potrei rifiutarmi: — ma io parto oggi stesso per la Toscana. — Ad ogni modo un collega mi supplisce intanto presso i clienti: potrò indirizzarvi a lui...

Matilde.

Oh no; impossibile: non potrei confidarmi che a voi. Signor Salvi, con voi mi sento più franca.... ebbene sappiate che la poca fortuna scampata al naufragio di mio marito....

Salvi.

Ha naufragato nelle vostre mani?...

Matilde.

Io sono rovinata. — Ho però grandi speranze, parenti molto ricchi... e di... una certa età, ma intanto ho bisogno della vostra penna e della vostra discrezione. — Sentite. — Un amico mio si è fatto garante di me presso i miei creditori, ma costoro vogliono che la garanzia... la... come la chiamano...

Salvi.

La fidejussione...

Matilde.

Appunto — sia fatta in tutte le regole; il mio amico è pronto a soddisfarli con una ipoteca sui suoi beni, ma per tutto questo abbiamo bisogno di chi [p. 140 modifica] conosca bene le faccende mie: voi foste altre volte in diretti rapporti co’ miei creditori, essi hanno molta stima di voi, pretendono il vostro nome. Mi capite, signor Salvi, è una cosa delicatissima: quel mio amico è giovane... il mondo potrebbe tradurre una prova di generosa amicizia...

Salvi.

In una prova d’amore, capisco — il mondo è così cattivo!

Matilde.

Signor Salvi, porgetemi la mano dalla barriera che ci divide per sempre e sarà l’ultima prova...

Salvi.

Voi desiderate un atto di fidejussione. Per servirvi bisognerebbe ch’io fossi notaio; poi che, essendo notaio, non partissi quest’oggi alle quattro...

Matilde.

Come! un avvocato non basta per questo? vedete! ed io credeva che voi foste tutto...

Salvi.

E non sono nemmeno notaio! — Ma... da senno, signora Matilde, venir da me per sfuggire a un giudizio temerario... da me?... Del resto è naturale! Voi pensaste: L’avvocato Salvi ne sa una, ne può sapere anche un’altra.

Matilde.

Signor Salvi...

Salvi.

Ma voi avete decisamente una buona stella. — Se fossi notaio a quest’ora saprei il nome del [p. 141 modifica] vostro amante. Un altro a cui ricorriate, non avendo la fortuna di conoscervi intimamente, come voi dite, prenderà la cosa per il suo verso....

Matilde.

(alzandosi). Vedo, signor Salvi, che questa nuova posizione, questo ideale d’amore che riusciste finalmente a chiudere fra quattro pareti, non vi ha fatto un po’ meno severo. Avete sempre...

Salvi.

I guanti gialli di una volta quando mi imbatto nelle maschere di una volta. Ah! gli è che fra i tanti creditori, il debitore lo dimenticaste. Io sdegno la moneta che voi mi regalaste: ecco perchè, signora, vi rendo le vostre calunnie con un gruzzolo di verità...

Matilde.

Quali calunnie?...

Salvi.

(chiamando). — Signora Maria!

SCENA IV.

Detti, Maria.

Salvi.

(piano a Maria). Trovate modo di metterla garbatamente alla porta.

Maria.

Signora Foschi... [p. 142 modifica]

Matilde.

Signora Senesi...

Maria.

In lutto?

Salvi.

Io non me n’ero accorto. (piano a Matilde). È per la perdita che mi annunciaste?

Matilde.

(a Maria). Purtroppo! oh in questi mesi!

Salvi.

Per la perdita?...

Maria.

Della vostra figliuola forse?

Matilde.

No! grazie al cielo! per quella di mio marito. Povero Foschi! morì in due giorni.

Maria.

Signora, voi mi ispirereste una profonda pietà, anche se foste meno di una straniera per me. Anch’io perdetti un marito.

Matilde.

Non è vero che la è una fatalità? restarsene in una posizione così falsa....

Maria.

A voi però resta una cara fanciulla.

Matilde.

Da cui mi è forza separarmi.... per motivi.... di famiglia.... [p. 143 modifica]

Salvi.

Ah! voi partite dunque... a quanto sento, signora?

Matilde.

Sì, partirò, signor avvocato: poichè nelle disgrazie l’amicizia sparisce.... comprenderete che il soggiorno di Milano non può più essere il mio.

Salvi.

Lodo la vostra prudenza.

Maria.

Enrico.... credo che di là abbiano bisogno di voi. — Signora Foschi.... abbandonate dunque vostra figlia.... Enrico, è tardi sapete?

Salvi.

I miei complimenti, signora. (a Matilde).

Matilde.

Signore.... (s’inchina con freddezza, Salvi esce).

SCENA V.

Maria e Matilde.

Maria.

Signora Foschi, voi avete certo la madre, la sorella, qualche parente, senza dubbio, cui confidate nell’assenza la vostra creatura?

Matilde.

La metterò per ora in un collegio! poi se le mie speranze non falliscono.... [p. 144 modifica]

Maria.

(pensosa). In un collegio! E resterete assente da Milano molto tempo?

Matilde.

Molti anni certo.

Maria.

Molti anni! (con risoluzione). Signora Foschi, volete confidare a me la vostra fanciulla?

Matilde.

(con sorpresa). A voi?

Maria.

(con effusione). Oh! io le terrò luogo di madre... sarò sua madre. — Io non lo fui signora, e la mancanza di questo affetto mi rese arida e infelice la vita.

Matilde.

Certo la vostra offerta.... oh! ve ne sono grata nell’anima.... ma pure....

Maria.

Perchè esitate....?

Matilde.

Gli è che....

Maria.

Vi pare che la mia casa possa valere il collegio....

Matilde.

Oh! signora. [p. 145 modifica]

Maria.

E allora?

Matilde.

Vi parlerò apertamente. — La mia Carolina, ve lo dissi, è povera. Il suo avvenire mi spaventa. Esse però ha una voce magnifica....

Maria.

E che ne vorreste fare? Educarla al teatro forse?

Matilde.

È l’unico mezzo per assicurarle quella indipendenza....

Maria.

(interrompendola). La indipendenza! Uditemi, signora: io sono ricca, sono sola al mondo. I miei parenti non hanno bisogno della mia fortuna, e potrei....

Matilde.

Che dite voi mai?

Maria.

Dico che se troverò nella vostra Carolina l’affetto di figlia in ricambio dell’affetto di madre che io le darò, se le doti del suo cuore....

Matilde.

Oh! è un cuor d’angelo.

Maria.

Allora come sarà mia figlia d’affetto, lo sarà anche di nome, lo sarà anche davanti alla legge.

Matilde.

Che! l’adottereste? [p. 146 modifica]

Maria.

Sì. — Ve lo dissi: l’isolamento, la solitudine della mia vita mi pesano, mi sono insoffribili. Dio non mi concesse le dolcezze di un affetto figliale, ed io ne sono sitibonda. Ringrazierei il cielo, se me le accordasse nella vostra Carolina.

Matilde.

Signora, nessuno meglio di voi può comprender quanto debba costarmi il rinunziare a queste dolcezze — e nessuno comprenderà del pari meglio di voi se per l’avvenire di Carolina, per assicurarle quella fortuna indipendente che salverà la sua giovinezza da molti pericoli, io non esito a dirvi: il giorno in cui mi chiederete che abdichi per voi: ai diritti di madre... lo farò.

Maria.

Oh! grazie! — Correte dunque, correte subito a prendere la vostra Carolina.... stava quasi per dire mia figlia.... Oh! mi pare già di essere madre....

Matilde.

(con cupa tristezza). E a me pare di non esserlo più! ma Dio vi benedica, o signora. Voi mi togliete il più grande dei dolori — quello di lasciare anche la miseria a mia figlia!

(esce).

Maria.

No, quella donna non sa esser madre; no, essa non ama sua figlia. [p. 147 modifica]

SCENA VI.

Anna, e Detta.

Anna.

(entrando precipitosamete). Maria, Maria, non c’è Camilla? Dov’è mia figlia?... non è ancora partita, ditemi, non è ancora partita?

Maria.

Oh! Anna, Anna, abbracciamoci.

Anna.

(cadendo nelle braccia della cognata). — Lasciatemi piangere.

Maria.

Oh! Camilla, vi aspettava, sapete? — Il suo amore fu profeta!

Anna.

M’ama dunque ancora? non mi disprezza? non è adirata?

Maria.

Che dite! non lo fu mai. — Uscì con suo padre per cercarvi — non venite da casa vostra?

Anna.

Da casa mia? — Oh! non vi rientrerò, Maria, se prima non avrò avuto un bacio di Camilla, un bacio che consacri la mia vita nuova. — Oh la solitudine! Dio l’ha fatta per il pentimento. — E volevano [p. 148 modifica] farla partire senza avermi veduta.... senza avermi.... — Ma non sapevano che io sono una madre io, una madre come tutte le altre! Sarei venuta subito.... dopo due giorni, per lei; fu la vergogna di comparir davanti agli altri miei giudici....

Maria.

Giudici!... ma voi non foste colpevole mai, Anna! non avete intorno a voi che l’affetto, che l’amicizia....

Anna.

Di quanti perdoni ho bisogno! e li desiderai tanto, appena mi trovai sola. — Oh! la solitudine!

Maria.

Guardate.... voi la vedete per la prima volta: è la casa di Camilla, il paradiso che vi farà tutto dimenticare.

Anna.

Voi lo gustate da tre mesi, voi....

Maria.

E furono la mia vita nuova! — Oh! la buona notizia, la buona notizia che darò a Camilla!

Anna.

Verrà subito...?

Maria.

Non può tardare. — Essi contavano partire alle quattro. — Ora sono le tre passate. — La povera fanciulla non voleva assolutamente partire... per voi. [p. 149 modifica]

Anna.

Ed io finora non meritai l’amor suo.

Maria.

Parliamo dell’oggi, dell’oggi soltanto. — Sentite, la vo’ prevenir io della vostra presenza, concedetemi questo favore. — Ella sta per riprendermi una gran parte del bene che mi vuole. — E poi, il vostro primo colloquio deve essere con lei sola.

Anna.

Sentite!... il campanello! è lei, è lei!...

Domestico.

(annunciando). Il signor barone Abati.

Anna.

Un estraneo! in questo momento!... dove ritirarmi?

Maria.

Quì, quì, in questa stanza. (addita l’uscio a destra. — Anna vi si slancia).

SCENA VII.

Maria, Barone.

Maria.

Signor barone.

Barone.

Signora Maria... e gli sposi?... non son già partiti? Potrò ancora baciar la mano alla sposina? [p. 150 modifica]

Maria.

È uscita con suo padre per un’ultimo affare: ritorneranno da un minuto all’altro. La prego d’accomodarsi....

Barone.

E che nuove della bella contessa, di donna Anna? si è eclissata, si è avvolta nel mistero... bricconcella, nessuno ne sa più nulla. Tutti fanno supposizioni, commenti.

Domestico.

(entrando, piano a Maria). Una donna velata chiede di parlare alla signora...

Maria.

È sola?

Domestico.

È con una piccola bambina.

Maria.

Vengo. Mille scuse, barone, se la lascio così, ma i nostri viaggiatori non tarderanno a capitare.

(esce frettolosa).


SCENA VIII.

Barone, Domestico.

Barone.

Ehi!

Domestico.

Comandi, signor barone. [p. 151 modifica]

Barone.

Tu eri prima al servizio della contessa d’Acqui?

Domestico.

Per obbedirla.

Barone.

Ebbene, dammi le ultime notizie che corrono in cucina.

Domestico.

Su che?

Barone.

Sulla contessa.

Domestico.

Oh, non vorrei essere indiscreto.

Barone.

Villano, se lo chieggo io... (gli dà uno scudo).

Domestico.

Se la è così, ecco. All’ora che le parlo, il conte, l’avvocato, e la contessina sono dietro a cercarla per tutta Milano; ma la contessa non si può trovare. Ed io poi so da fonte sicura che la è andata nientemeno che...

Barone.

Dove?...

Domestico.

Nel nuovo mondo. Ah! ah! la cercheranno un bel pezzo. [p. 152 modifica]

SCENA IX.

Conte, Salvi, Camilla, Barone.

Conte.

(entrando). Su, lesti, che son quasi le quattro. — Oh, barone, tu qui!

Barone.

Io son sempre dove c’è una bella signora che parte

Salvi.

Su, meno triste, Camilla, fatti animo! — Tu, Michele, porta giù questi bauli.

Conte.

E dov’è andata Maria? — Sbrighiamoci, o perderemo la corsa — il mio orologio ritarda.

Barone.

(a Camilla). Posso offrirvi il braccio, gentilissima signora?

Camilla.

No, grazie: ho tanti impicci. — Ma la zia dov’è?

Conte.

Sarà forse da, basso a sorvegliare ai bauli.

Salvi.

Ebbene, andiamo. — Non dimentichi nulla Camilla? [p. 153 modifica]

Camilla.

Nulla.

Conte.

Presto.

(Escono. — La scena rimane vuota un momento).


SCENA X.

Anna, Matilde, poi Camilla.

(Dalla porta a sinistra entra Matilde che s’avvia inquieta alla porta di mezzo: dalla porta a destra esce violentemente Anna che corre per seguire i partiti. — Le due donne si riconoscono, e restano un momento a guardarsi stupefatte).

Anna.

Voi!... qui!

Matilde.

(con tristezza) La fatalità mi separa da mia figlia.

Anna.

(con espansione). L’amore mi ricongiunge alla mia.

Camilla.

(precipitandosi dalla porta). Mamma, mamma!

Anna.

Camilla! (si gettano l’una nelle braccia dell’altra: entra Maria) [p. 154 modifica]

SCENA XI.

Anna, Matilde, Camilla, Maria.
poi Barone, Salvi e Conte.

Matilde.

(a Maria). La bimba è nelle vostre stanze — ma da che parte s’esce? ho sbagliato l’uscio...

Conte.

Anna!... Vien Anna! (si stringono la mano).

Salvi.

Ero sicuro che sareste tornata.

Maria.

(additando Anna e Camilla abbracciate). Guardate; io sarò così colla vostra figliuola.

Anna.

(nelle braccia di Camilla). La mia vita ora è qui: non sono più che madre.

FINE.