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gazione sul mio contegno diventa perfettamente inutile: la signora contessa non mi capirebbe. — Mi giustificherò col conte.
Anna.
Sì, congiurate con lui, mettetevi all’ombra di quella sua buona fede adamitica per strappargli un assenso che io non dividerò mai. — Ah! spiegherete il vostro logogrifo a lui? fatelo; ho la coscienza pura, e da voi non temo calunnie.
Salvi.
Ma non potete essere egualmente sicura degli altri vostri amici, dei vostri eleganti amici. — Voi accusate vostro marito di troppa buona fede: eppure la vostra supera di gran lunga la sua.
Anna.
Scherzate?
Salvi.
Quel signor Collalto, davanti a me, a me che vi parlo, dilaniò la vostra riputazione, questo sacro retaggio di vostra figlia; le vostre galanti abitudini non sono esse tali da vestire di verità le sue vili millanterie? contessa, eccovi una lettera di scusa che i miei padrini ottenevano stamane da quel superbo vigliaco.
(le dà una lettera).
Anna.
(senz’aprirla). Ciò che voi dite è vero?... — Lo sia: la mia condotta in fin dei conti fu sempre troppo onesta perchè un vanarello, come quel signor Collalto, di cui mi parlate, possa offuscarmi la riputazione. — È questa dunque la vostra spiegazione? Voi vi battevate per la mia riputazione?