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ziato processo — poichè ora non ve la nascondo più questa idea, buona o malvagia che sia, questa idea che mi fu forza mascherare colla larva dell’indifferenza per non irritare la vostra singolare fantasia esaltata dagli scrupoli — io che attesi con ansia il giorno in cui potervi dire: Enrico, torniamo amici come prima; io ora mi vedo pagata da voi col sarcasmo più crudele, colla più amara parola. E perchè difendermi allora, vi domanderò, perchè farmi ricca e libera se non mi amate più? Dell’amor vostro che ne avete fatto, Enrico?
Salvi.
L’ho metamorfosato in atti giudiziari, e in carta bollata, credendo che vi riuscisse più utile.
Matilde.
Lo so io quel che ne avete fatto (alzando un po’ la voce.) L’amor vostro l’avete dato ad un’altra, sì, ad un’altra, (Salvi fa un gesto) ed eccovi tutto pauroso perchè temete che costei che me l’ha rubato possa udirmi! perchè costei, signore, sta in questa casa, lo so. Oh! avvocato mio, vi confondete; credevate potermi abbandonare così per un’altra, e soffocarmi la collera con un miserabile processo che mi date vinto?
Salvi.
Su, andiamo, un po’ di senno signora. Una donna che ha marito dev’essere certo abbandonata un giorno, a meno che.... l’altro... non sia tanto forte o pazzo da rinunciare per essa alla più cara parte dell’esistenza. — Sappiate che non sono nè così forte, nè così pazzo.