Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/59

CAPITOLO LIX

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CAPITOLO LIX.

Impero greco salvato. Numero, passaggio de' Crociati, e avvenimenti della seconda e della terza Crociata. S. Bernardo. Regno di Saladino nell'Egitto e nella Sorìa. Conquista Gerusalemme. Crociata marittima. Riccardo I, re d'Inghilterra. Papa Innocenzo III. Quarta e quinta Crociata. Federico II Imperatore. Luigi IX di Francia, e due ultime Crociate. I Franchi o Latini scacciati dai Mamalucchi.''

[A. D. 1097-1118] Se fosse lecito per un istante dimenticare la gravità della Storia, l’Imperatore Alessio1 potrebbe essere paragonato a quella fiera chiamata Jackal, che per nudrirsi di quanto avanza al pasto del leone, accompagna questo animale alla caccia. Sieno pure stati rilevanti i timori concetti dal ridetto principe, grande l’impaccio in cui trovossi al passaggio delle prime Crociate, i vantaggi venutigli in appresso dalle imprese de’ Franchi largamente nel compensarono. Già assicurato, per accortezza e vigilanza, il possedimento di Nicea, prima conquista de’ Crociati, dalla qual Fortezza a proprio talento minacciava i Turchi, [p. 382 modifica]li costrinse così a sgomberare i dintorni di Costantinopoli. Intanto che i pellegrini guerrieri, trascinati da cieco valore, penetravano nel cuor dell’Asia, l’astuto Imperator de’ Greci colse maestrevolmente l’istante in cui gli Emiri della costa marittima erano stati richiamati sotto lo stendardo del Sultano, per discacciare i Turchi dalle Isole di Rodi e di Chio, e restituire le città di Efeso, Smirne, Sardi, Filadelfia e Laodicea al Governo dell’Impero esteso per opera di lui dall’Ellesponto alle rive del Meandro e alle dirupate coste della Panfilia. Tornate le chiese all’antico loro splendore, rifabbricate e affortificate le città, questo deserto paese videsi di bel nuovo popolato da colonie di Cristiani, che di buon grado s’indussero ad abbandonare il soggiorno di una frontiera, che a costo di tanti pericoli custodivano. Tutte queste paterne sollecitudini alle quali avea volto l’animo Alessio, possono in qualche modo scusarlo ai nostri occhi, se la cura della liberazione del Santo Sepolcro pose da un lato; ma i Latini lo accusarono di diffalta e perfidia. Se per una parte, questi gli aveano fatto giuramento di obbedienza e fedeltà, egli erasi per l’altra obbligato a secondare la loro impresa o colla persona, o almeno co’ suoi denari e colle sue truppe. Col ritirarsi vergognosamente ogni vincolo de’ Crociati disciolse, e le loro spade, fin lì state ad essi strumento di vittorie, titolo e mallevadori della giusta loro independenza divennero. A quanto apparisce, non rinnovellò Alessio le sue antiche pretensioni sul regno di Gerusalemme2; ma le frontiere della Cilicia e del[p. 383 modifica]erano più recenti acquisti e meglio alle truppe greche la sorìa la Sorìa accessibili. Annichilato, o disperso trovavasi il grande esercito de’ Crociati. Boemondo sorpreso e fatto prigioniero avea lasciati gli Stati di Antiochia privi di un Capo che li governasse; costretto questo Principe a contrarre un rilevante debito per liberarsi di schiavitù; i Normanni non assai numerosi per rispingere i continui assalti de’ Greci e de’ Turchi. Pervenuto a tale estremità, Boemondo si appigliò al coraggioso partito di confidare la difesa di Antiochia al proprio congiunto, il fedele Tancredi, di armare contra l’Impero di Bisanzo tutte le forze dell’Occidente, in somma di mandar a termine quel disegno che additato aveangli le lezioni, e l’esempio del genitore Guiscardo. Imbarcatosi segretamente, attraversò il mare da’ suoi nemici occupato, e se vogliam credere alla novelletta della principessa Anna, una bara entro cui si collocò, agli occhi di tutti lo nascondeva3. Accolto in Francia fra le acclamazioni e i pubblici applausi, lo stesso Re diedegli la propria figlia in isposa. Glorioso funne il ritorno nell’Asia, perchè i guerrieri i più rinomati del [p. 384 modifica]secolo condiscesero a far parte della spedizione sotto di lui. Ripassò il mare Adriatico, condottiero di cinquemila uomini a cavallo e di quarantamila fanti d’ogni banda dell’Europa raccolti4. Ma la salda resistenza che la Fortezza di Durazzo opponea, la prudenza di Alessio, la carestia che già faceva sentirsi, e la vicinanza del verno, deluse avendo le speranze ambiziose del Capitano, i confederati ne abbandonarono vituperosamente gli stendardi. Un Trattato di pace5, diè tregua al terrore de’ Greci, che ben presto la morte dello stesso Boemondo liberò per sempre da un avversario, cui non opponea freno alcun giuramento, niun pericolo atterriva, niun prospero successo saziava. I figli di questo nel principato d’Antiochia gli succedettero; ma, determinati con ogni circospezione i confini, stipulata con tutta chiarezza la natura del vassallaggio da prestarsi da essi, le città di Tarso e di Malmistra tornarono in potere dell’Imperator di Bisanzo, divenuto padrone di tutta la circonferenza della costa di Natolia, da Trebisonda sino ai confini della Sorìa. La discendenza di Selgiuk stanziatasi nel regno di Rum6, [p. 385 modifica]d’ogni lato dal mare e dagli altri Musulmani rimase disgiunta. Le vittorie de’ Franchi, e persino le loro sconfitte crollato aveano il poter de’ Sultani, ritiratisi dopo la perdita di Nicea in Cogni, o Iconium, picciola città situata nell’intorno del paese e distante più di trecento miglia da Costantinopoli7. Invece di tremare per la propria capitale, i Principi Comneni faceano guerra offensiva ai Turchi, e dovettero soltanto alla prima Crociata, se la caduta del vacillante loro Impero fu differita.

[A. D. 1101] Nel dodicesimo secolo, tre grandi migrazioni accaddero nell’Occidente, intese a trasferirsi per terra alla liberazione della Palestina, perchè l’esempio e i buoni successi della prima Crociata, eccitarono l’ardore dei Pellegrini e de’ soldati lombardi, franchi e alemanni8.  [A. D. 1147] Quarant’otto anni dopo la liberazione del Santo Sepolcro, l’Imperatore Corrado III, e Luigi VII Re di Francia, impresero la seconda Crociata, a fine di soccorrere il vacillante Impero [p. 386 modifica] [A. D. 1189] de’ Latini della Palestina9. [A. D. 1189] Una gran parte dei guerrieri della terza Crociata, era condotta dall’Imperatore Federico Barbarossa10, che non meno dei Re di Francia e d’Inghilterra, scosso erasi alla notizia della perdita di Gerusalemme, perdita che tutti i Cristiani feriva. Le tre spedizioni, e nel numero de’ Crociati, e nelle lor traversate per mezzo al greco Impero, e nelle circostanze e negli avvenimenti de’ loro scontri co’ Turchi, si rassomigliano. Un compendioso paralello eviterà le repliche di un monotono e molesto racconto. Comunque l’immaginazione possa trovarsi allettata dall’idea di una Storia seguìta delle Crociate, questa però non offre continuamente, se non se le stesse cagioni e gli stessi effetti; e i moltiplici sforzi adoperati, ora a difendere, ora a conquistar Terra Santa, ad altrettante copie imperfette di un medesimo originale, molto avvicinansi.

I. Le numerose bande che seguirono sì da vicino le orme de’ Pellegrini erano condotte da Capi eguali [p. 387 modifica]per grado a Goffredo e ai compagni del medesimo, benchè ad essi inferiori di fama e di merito. A capo delle lor bandiere vedevansi i Duchi di Borgogna, di Baviera e d’Aquitania; il primo, discendente da Ugo Capeto; ceppo della casa di Brunswik, il secondo. L’Arcivescovo di Milano, Principe temporale, si trasportò seco le ricchezze del suo palagio e della sua Chiesa, delle quali infine profittarono i Turchi; gli antichi Crociati, Ugo il Grande e Stefano di Chartres, tornarono in Asia per compire il voto che non aveano per anco soddisfatto. L’immensa moltitudine che disordinatamente seguivali, si avanzava in due bande, la prima composta di dugento sessantamila Pellegrini, la seconda di circa sessantamila uomini a cavallo e centomila fanti11. Gli eserciti della seconda Crociata, avrebbero potuto aspirare alla intiera conquista dell’Asia; poichè e la Nobiltà della Francia e dell’Alemagna, vedeasi animata dalla presenza dei suoi Sovrani, e il merito di Corrado e di Luigi contribuiva, non meno del loro grado, a rendere luminosa una tale spedizione, e ad infondere nelle soldatesche, una disciplina che da’ Duci subordinati avrebbe potuto difficilmente aspettarsi. L’Imperatore e il Re di Francia, conduceano ciascuno, un corpo di cavalleria formidabile, composto di settantamila uomini, oltre all’ordinario corteggio di questi Sovrani12; laonde senza tener conto delle [p. 388 modifica]truppe leggiere, de’ contadini, delle donne, de’ fanciulli, de’ preti e de’ monaci, la totale somma de’ Pellegrini a quattrocentomila persone ascendea. Un movimento universale vedeasi nell’Occidente, dagli Stati di Roma alla Brettagna. I Re di Boemia e di Polonia agli ordini di Corrado ubbidirono; dalla testimonianza unanime de’ Greci e de’ Latini, veniamo assicurati che i messi dell’Imperatore di Bisanzo, dopo aver numerati al passaggio di un fiume, o di una gola, novecentomila uomini, si trovarono inabili a proseguir questo calcolo13. Nella terza Crociata, l’esercito di Federico Barbarossa apparve men numeroso, perchè gl’Inglesi, e i Francesi preferirono la navigazione del Mediterraneo. Di quindicimila cavalieri e d’altrettanti scudieri, andava composto il fiore dell’alemanna cavalleria; onde l’Imperatore, sulle ungaresi pianure, passò in rassegna sessantamila uomini a cavallo e centomila fanti, nè noi dopo quanto abbiamo udito raccontarci nelle prime Crociate, ci stupiremo che la credulità abbia fatto ascendere a seicentomila Pellegrini, il numero dei partecipanti a tale ultima migrazione14. Questi [p. 389 modifica]stravaganti calcoli non mostrano che la maraviglia de’ contemporanei: ma la loro maraviglia medesima fa prova evidente d’immenso numero, comunque a definirlo non basti. Poteano i Greci millantare la loro superiorità nell’arte e negli stratagemmi della guerra; ma non però si stavano dal celebrare il poderoso valore della cavalleria francese, e della infanteria degli Alemanni15; stranieri che troviamo dipinti come uomini di ferro, di gigantesca statura, che lanciavano fiamme dagli occhi e versavano sangue a maniera d’acqua. Corrado avea inoltre al suo seguito, una truppa di donne armate ad usanza di cavalieri. Gli stivali e gli speroni dorati, della condottiera di queste amazzoni, le meritarono il soprannome della Donna dai piedi d’oro.

II. Il numero e l’indole de’ Crociati erano agli ammolliti Greci un soggetto di terrore; e quanto è soggetto di terrore agli uomini, della loro avversione il divien facilmente. Ma lo spavento inspirato dalla potenza dei Turchi per qualche tempo questo mal umore assopì: e ad onta delle invettive dai Latini scagliate contro di Alessio, crediamo potere accertare che questo Im[p. 390 modifica]ne dissimulò gli insulti, finse non accorgersi delle ostilità, regolò l’imprudente loro imperizia, aperse al coraggio de’ medesimi la strada del pellegrinaggio e della conquista. Ma appena scacciati da Nicea e dalle marittime coste i sultani, allorchè la vicinanza di questi, ritiratisi in Cogni, non atterriva omai i principi di Bisanzo, i Greci si abbandonarono con minore riguardo all’indignazione prodotta in essi dal frequente e libero passaggio de’ Barbari occidentali, che minacciavano la sicurezza dell’Impero e ne insultavano la maestà. Regnarono Manuele Comneno e Isacco l’Angelo ai tempi della seconda e terza Crociata. Il primo di questi sovrani a passioni, sempre impetuose, i sentimenti d’un cuor malevolo, spesse volte congiunse. Il secondo, esempio di codardia e di perfidia, avea così immeritamente come spietatamente punito il tiranno, in luogo del quale erasi posto. Eravi forse un segreto e tacito patto, fra i dominatori di Costantinopoli e il popolo, di distruggere o certamente sconfortare i pellegrini con ogni genere d’ingiurie ed angherie; e questi, per vero, col mancar di prudenza e di disciplina tutti i momenti, ne somministravano pretesti e occasioni. I Monarchi dell’Occidente aveano stipulato, che le loro soldatesche avrebbero trovato negli Stati del greco Imperator e libero passaggio, e vettovaglie, convenevolmente pagandoli; giuramenti e ostaggi aveano da entrambe le parti guarentiti simili patti, e il più povero tra i soldati di Federico, portava con seco tre marchi d’argento statigli per le spese del cammino assegnati. Ma la ingiustizia e la perfidia violarono ogni convenzione, e i ripetuti torti di cui ebbero a querelarsi i Latini, vengono attestati da uno storico [p. 391 modifica]greco che all’onore de’ suoi compatrioti antepose la verità16. Anzichè ricevere amichevolmente i Crociati, le città greche dell’Europa e dell’Asia chiudevano ad essi le porte, e sol dall’alto delle mura calavano ai medesimi canestri di vettovaglie, sempre al bisogno inferiori. Quand’anche l’esperienza del passato e il timore dell’avvenire, avessero potuto scusare questa timida ritrosia per parte dei Greci, come difendeano l’inumanità di mescolare nel pane somministrato ai Latini e calcina, e droghe mortifere? E se pur fosse lecito assolvere Manuele dal sospetto di aver partecipato colla sua tolleranza a pratiche sì abbominevoli, come lavarlo dalla taccia di aver fatta battere moneta di falsa lega per valersene a trafficare coi Pellegrini? Questi ad ogni passo venivano arrestati o indiritti sulla cattiva strada. Mandavansi segreti ordini a’ governatori perchè affortificassero i passi, i ponti atterrassero. I soldati latini che restavano addietro, venivano spogliati o trucidati barbaramente. Se si addentravano nelle boscaglie, dardi, da invisibili mani lanciati, trapassavano i cavalli ed i cavalieri; trovavansi abbruciati ne’ loro letti gli infermi, e lungo le strade, i Greci appiccavano i cadaveri degli uomini scannati da essi. Tal genere d’ingiurie accese lo sdegno de’ campioni della Croce, che di pazienza evangelica non eran forniti; laonde i Principi greci per evitare le conseguenze di una nimistà che eglino stessi avevano provocata, senza trovarsi in forze [p. 392 modifica]per poterla rintuzzare, la partenza e l’imbarco di questi ospiti formidabili sollecitarono. Giunto presso alla frontiera de’ Turchi, Barbarossa perdonò alla colpevole Filadelfia17, e largo di compensi ai servigi che la città di Laodicea gli aveva prestati, deplorò la fatale necessità che lo costrinse a versare il sangue di alcuni Cristiani. Ne’ parlamenti avutisi dai Principi greci co’ sovrani della Francia e dell’Allemagna, quelli si trovarono esposti a frequenti mortificazioni, e benchè, la prima volta che Luigi comparve dinanzi a Manuele, non gli fosse stato assegnato che un basso sgabello in vicinanza del trono18; appena il re francese ebbe condotto il suo esercito di là dal Bosforo, ricusò venire ad un secondo colloquio a meno che il suo fratello, l’Imperatore, non acconsentisse ad usar seco lui come con un sovrano eguale ad esso, e per mare, e sul continente. Maggiori difficoltà ancor si trovarono nel regolare il cerimoniale tra i Greci principi e gl’Imperatori Corrado e Federico. Pretendeano questi esser eglino, come [p. 393 modifica]Imperatori di Roma, i veri successori di Costantino19, e la purezza de’ lor diritti e della lor dignità sostenevano alteramente. Il primo di questi rappresentanti di Carlomagno, non volle starsi a petto di Manuele che a cavallo, in mezzo ad una pianura; il secondo, coll’attraversare l’Ellesponto anzi che il Bosforo, si sottrasse dal passare per Costantinopoli, e dal vederne il Sovrano. Ad uno di questi Monarchi alemanni, pur coronati imperatori a Roma, il Principe greco nelle lettere che scrivea, non si degnava dare altro titolo fuor quello di Rex, o principe degli Alemanni; e il debole, quanto vanaglorioso, Isacco l’Angelo ostentava d’ignorare il nome del più grand’uomo e del maggiore sovrano del suo secolo. Intantochè gl’Imperatori greci riguardavano con abborrimento i Crociati, e siccome ministri ad essi di angosce, manteneano co’ Saracini e co’ Turchi segreta corrispondenza. Di fatto, Isacco l’Angelo che aveva in Costantinopoli fondata una moschea, ove potesse pubblicamente praticarsi il culto musulmano, doleasi perchè l’amicizia da lui dimostrata al gran Saladino, coi Franchi in mal accordo il poneva20.

III. Le numerose catene di Pellegrini che passarono il Reno dopo la prima Crociata, rimasero distrutte sulle piazze della Natolia dalla peste, dalla fame e [p. 394 modifica]dall’armi de’ Turchi; i soli Capi, accompagnati da poco seguito di cavalleria si sottrassero, e la miseranda loro peregrinazione compirono. Può giudicarsi del senno di costoro, dal divisamento che di sottomettere strada facendo la Persia e il Khorasan avevano concepito, e della loro umanità, dalle carnificine degli abitanti di una città cristiana, che colle palme e colle croci in mano venivano ad incontrarli. La spedizione di Corrado e di Luigi fu meno imprudente e crudele, ma più della precedente Crociata partorì disastro e rovina alla Cristianità; e Manuele viene accusato fino da’ proprj sudditi di avere traditi i Principi latini, e col far consapevole di tutti gli atti loro il Sultano, e col munirli di scorte infedeli. Mentre i Crociati avrebbero dovuto in uno stesso tempo assalire da due diverse bande il Sultano, l’emulazione affrettò la partenza degli Alemanni, il sospetto quella de’ Francesi tardò. Per lo che, Luigi avea terminato di passare il Bosforo colle sue truppe, allor quando si scontrò in Corrado che riconducea gli avanzi di un esercito, del quale avea perduta la maggior parte sulle rive del Meandro, dopo un’azione gloriosa sì, ma sfortunata. Allora, tanto più sollecito fu a ritirarsi l’alemanno Imperatore, che pugnealo il confronto tra il proprio sfregio e la pompa presente del suo rivale. Ridotto, per la diffalta de’ suoi vassalli independenti, alle truppe de’ suoi Stati ereditarj, dovette chiedere ad imprestito alcuni vascelli dai Greci onde compiere per mare il voto fatto di peregrinare alla Palestina. Nè alle lezioni dell’esperienza, nè alla natura di una simile guerra, ponendo mente il re di Francia, s’innoltrò nel paese stesso, ove Corrado ebbe disastro; nè di questo ebbe miglior fortuna. L’antiguardo che [p. 395 modifica]portava la regal bandiera e l’oriflamma di S. Dionigi21 raddoppiò imprudentemente il cammino; onde il retroguardo, in mezzo al quale il sovrano trovavasi, fu costretto ad accampare di notte tempo, senza avere potuto raggiugnere la parte di esercito marciata avanti. Venne circondato e forzato il campo da una moltitudine di Turchi, i quali nell’arte della guerra più abili che non fossero i Cristiani del dodicesimo secolo, col favor delle tenebre, e della confusione degli accampati, questi fugarono o uccisero, del campo s’impadronirono. In mezzo a quel soqquadro de’ suoi, Luigi salì sopra un albero; e fatto salvo dal proprio valore e dall’accecamento de’ nemici, potè, allo schiarire del giorno, sottrarsi ai medesimi, e pressochè solo il suo antiguardo raggiugnere. Non osando più allora continuare la sua peregrinazione per terra, si trovò felice a bastanza nel poter raccogliere in sicuro gli avanzi dell’esercito entro l’amico porto di Satalia, d’onde veleggiò ad Antiochia. Ma sì pochi legni i Greci gli somministrarono, che non gli fu dato il condurre seco se non se i nobili e i cavalieri. La infanteria perì, miseramente abbandonata alle falde de’ monti della Panfilia. L’imperatore ed il re si abbracciarono a Gerusalemme, e piansero congiuntamente; poi unite le forze che lor rimaneano a quelle de’ Cristiani della Sorìa, gli ultimi tentativi della seconda Crociata eb[p. 396 modifica]sotto le mura di Damasco infausto successo. Corrado e Luigi s’imbarcarono per l’Europa, dopo essersi acquistata grande fama di coraggio e pietà. Ma intanto gli Orientali aveano imparato a disfidare la possanza di due monarchi, il cui nome e le forze militari da lungo tempo li minacciavano22. Forse avrebbero dovuto paventare assai più Federico I, e l’esperienza che sotto il suo zio Corrado questo principe aveva acquistata nell’Asia. Oltrechè, quaranta stagioni campali nell’Alemagna e nell’Italia, lo aveano istruito nell’arte di comandare; e veramente sotto il regno di lui, i suoi sudditi, e persino i principi dell’Impero, avvezzati eransi ad obbedire. Perdute di vista Filadelfia e Laodicea, ultime città dell’Impero greco, Federico Barbarossa s’innoltrò per mezzo ad un paese deserto, sterile, impregnato di sali, terra dice lo Storico23 di tribolazione e d’orrore. Per venti giorni di penoso e sconfortante cammino, dovette ad ogni istante difendersi dagli assalti d’innumerabili bande di Turcomanni24 [p. 397 modifica]che parea continuamente risorgessero, e più furibondi, dalle sofferte sconfitte. Ma non si stancò di combattere e di sofferir l’Alemanno; e tanto era ridotto, quando pervenne sotto le mura d’Iconium, che appena mille de’ suoi cavalieri aveano quanta forza bastasse loro a tenersi in arcione. Pure, mercè un impeto violento, e al quale i Musulmani mai non aspettavansi, li sconfisse, prese la città d’assalto, costrinse il Sultano ad implorare pace e clemenza dal vincitore25, e fatto per tal guisa libero il cammino, Federico portò l’armi sue trionfanti nella Cilicia, fatal limite delle sue vittorie, perchè ivi travolto da un torrente annegò26. Le infermità e le diserzioni, il rimanente degli Alemanni distrussero, o spersero, e lo stesso figlio dell’Imperatore morì all’assedio di Acri, avendo egual sorte la maggior parte degli Svevi suoi vassalli che colà il seguitarono. Fra tutti gli eroi latini, Goffredo di Buglione e Federico Barbarossa sono i soli che pervennero ad attraversare l’Asia Minore. Ma il loro ardimento, e per fino i [p. 398 modifica]buoni successi ottenuti dai medesimi, servirono di lezione e cautela, a quelli che vennero dopo; onde ne’ secoli più illuminati dalle successive Crociate, tutte le nazioni alle molestie e ai pericoli della via di terra quelli del mare anteposero27.

L’entusiasmo che animò la prima Crociata, è avvenimento semplice e naturale. Recentissima la speranza concetta, ignoti i rischi, conformità dell’impresa col genio dominante del secolo; ma ben sono giusto argomento di sorpresa e di commiserazione ad un tempo, e la ostinata perseveranza dell’Europa, a vincere la quale fu senza frutto l’esperienza delle sciagure de’ predecessori; e il reiterarsi di queste sciagure, fattosi quasi fomite alla fiducia di chi le affrontava di nuovo; e sei successive generazioni che a capo chino si precipitavano nell’abisso innanzi ad esse dischiuso; e gli uomini d’ogni stato e condizione, che rischiavano esistenza e averi, coll’unico fine di acquistare o conservare un sepolcro di pietra28, posto [p. 399 modifica]duemila miglia lontano dalla lor patria. Per un volgere di due secoli, dopo il Concilio di Clermont, ciascuna primavera, ciascuna state partoriva una nuova migrazione di Pellegrini, armati per la difesa di Terra Santa; ma i sette grandi armamenti, ossia le sette Crociate, ebbero per motivo o una recente calamità, o un incalzante pericolo; e a queste spedizioni trascinati vennero i popoli e dall’autorità de’ Pontefici, e dall’esempio dei Re. Alla voce dei Santi Oratori, il comune zelo infiammavasi, la nazione ammutiva, e fra questi Oratori la prima sede vuol essere assegnata al monaco Bernardo [A. D. 1091-1153] , collocato indi fra i Santi della Chiesa romana29. Nato di una famiglia nobile della Borgogna, otto anni all’incirca dopo la prima conquista di Gerusalemme, avea [p. 400 modifica]ventitre anni, quando andò a segregarsi dai profani, nel monastero di Citaux di recente instituito, e che col vigore delle nuove fondazioni fioriva. Dopo due anni, come Capo della terza colonia del ridetto Ordine, si trasferì a Chiaravalle nella Sciampagna30, contentatosi poi, finchè visse, dell’umile titolo di Abate di questa Comunità. I filosofi del nostro secolo, senza curarsi assai di distinguere, hanno versato su tali eroi spirituali, la derisione e il disprezzo. Diversi anche de’ men rinomati fra essi, per una certa forza d’animo si segnalarono; e maggiori almeno de’ lor seguaci e discepoli, in quella età di superstizione, ad una meta aggiugneano che molta mano di emoli lor contendea. La solerzia, l’eloquenza, l’ingegno di scrivere, grande preminenza sopra i rivali, e sopra i contemporanei, a S. Bernardo acquistarono; e veramente le Opere di lui nè di arguzia, nè di calore vanno sfornite; e mostrano aver egli prese a norma la ragione e l’umanità fin quanto il suo carattere di Santo gliel permetteva31. Se fosse [p. 401 modifica]rimasto al secolo, avrebbe posseduta la settima parte di un mediocre retaggio; coi pronunziati voti di penitenza e di povertà32, col rifiuto di ogni dignità ecclesiastica, coll’assoluta non curanza delle vanità mondane, l’Abate di Chiaravalle divenne l’oracolo dell’Europa e il fondatore di centosessanta monasterj. La libertà delle appostoliche censure ch’ei profferiva, facea tremare i Papi e i Sovrani. In uno scisma della Chiesa, la Francia, l’Inghilterra, Milano lo consultarono, e stettero al giudizio ch’ei pronunciò, Innocenzo II, non dimenticò di aver dovuta all’Abate di Chiaravalle la tiara; e di questo Abate era stato amico e discepolo Eugenio III, successor d’Innocenzo. Ma la pubblicazione della seconda Crociata, fu per S. Bernardo l’istante di splendere qual missionario profeta, chiamando le nazioni alla difesa [p. 402 modifica]del Santo Sepolcro33. Nel parlamento di Vezelai aringò il Re; e Luigi VII, e i vassalli di questo Sovrano ricevettero dalle mani di S. Bernardo la Croce. L’Abate di Chiaravalle si prese indi il meno facile assunto di trarre al proprio partito l’Imperatore Corrado, e colla forza de’ gesti, della voce della sua patetica veemenza, giunse ad infiammare gli animi di un popolo melenso e ignorante, e che inoltre la lingua dell’Oratore non intendea. Tutta la strada che ei trascorse da Costanza a Colonia, il trionfo del suo zelo e della sua eloquenza contrassegnò. S. Bernardo si congratula con sè medesimo di essere pervenuto a spopolare l’Europa, affermando che le città e le castella, prive trovavansi d’abitanti, e facendo il conto che vi rimaneva appena un uomo, per consolar sette vedove34. Gli accecati fanatici, vinti dalla possanza del suo dire voleano sceglierlo per generale; ma S. Bernardo, che avea dinanzi agli occhi l’esempio di Piero l’Eremita, si contentò di assicurare il celeste favore ai Crociati, ed ebbe l’accorgimento di ricusare il comando di una militare impresa, della quale e i disastri, e i buoni successi del pari la rinomanza delle virtù evangeliche del Santo poteano offuscare35. Non quindi evitò dopo [p. 403 modifica]il cattivo esito della Crociata le imputazioni di falso Profeta e di autore delle pubbliche calamità. I nemici di lui trionfarono, confusi rimasero i suoi partigiani, e tardi solamente, offerse al Pubblico una apologia della propria condotta, apologia a dir vero, poco soddisfacente. Cita in essa l’obbedienza che ai comandi del Papa ei doveva, si diffonde sulle vie misteriose della Providenza accagiona de’ mali dei Cristiani le colpe degli stessi Cristiani, e lascia modestamente trapelare che la sua missione era stata da visioni e miracoli confermata36; argomento cui non v’era replica, se fosse stata certa la cosa. Ma di venti, o trenta prodigi che i discepoli di S. Bernardo affermano operati da lui, in un sol giorno, nel mezzo delle pubbliche assemblee della Francia e dell’Inghilterra, ch’essi chiamano in testimonianza37, non ve n’è forse un solo, il quale fuor del ricinto di Chiaravalle, ai nostri dì sia creduto; oltre di che, in tutto quanto riguarda le guarigioni soprannaturali di infermi, di storpj, di ciechi che vennero condotti al cospetto dell’uomo di Dio, non è più possibile in [p. 404 modifica]oggi il discernere qual parte debba attribuirsi al caso, quale alla immaginazione degli uomini, quale alla impostura e alle finzioni dell’operator del miracolo3839.

La stessa divina onnipotenza diviene scopo alle querele de’ mortali, fra loro opposti ne’ desiderj. La liberazione di Gerusalemme, considerata in Europa come una beneficenza del cielo, fu deplorata, e forse anche, qual calamità pubblica, riguardata nell’Asia. Dopo la presa di questa città, i fuggiaschi della Sorìa portarono fino ai remoti paesi la costernazione che gl’invase. I cittadini di Bagdad piansero prostrati nella polvere; Zeineddino, cadì di Damasco, si strappò alla presenza del Califfo la barba; tutto il Divano versò [p. 405 modifica]calde lagrime su la dolente avventura40. Ma non altro che lagrime potevano offerire i Comandanti de’ Credenti, schiavi eglino stessi fra le mani de’ Turchi; e benchè, nell’ultimo secolo degli Abbassidi, la possanza temporale de’ Califfi si fosse alcun poco rimessa, questa però alla città di Bagdad e alle province de’ dintorni si limitava. I tiranni de’ Califfi, i discendenti di Selgiuk, al pari dell’altre asiatiche dinastie, le vicissitudini del valore, della possanza, della discordia, dell’invilimento, della caduta aveano sopportate; nè le forze loro, o il loro coraggio bastavano alla difesa della religione. Sangiar, ultimo eroe di loro stirpe, ritirato agli estremi confini della Persia non era conosciuto, nemmen di nome, ai Cristiani dell’Oriente41. Intanto che i deboli Sultani languivano nei lor serragli, da catene seriche avvinti42 il pio as[p. 406 modifica]sunto di salvare l’Islamismo si presero i loro schiavi, gli Atabek43, il nome turco de’ quali come quello dei patrizj di Bisanzo ammette essere tradotto colla espressione padri del principe. Il valoroso Turco, Ascanzar, già favorito di Malek-Sà, dal quale aveva ottenuto il privilegio di starsi alla destra del trono, nelle guerre civili che alla morte dello stesso principe succedettero, perdè il suo governo di Aleppo e la vita. I fedeli Emiri che gli erano stati soggetti, persistettero nel portare amore al figlio di Ascanzar, Zenghi, segnalatosi guerreggiando i Franchi, nella giornata di Antiochia funesta ai Musulmani. Trenta stagioni campali che, servendo il Califfo e i Sultani, contava Zenghi, la fama militare di cui godeva, gli assicuravano, e ottenne il comando di Mosul, siccome il solo campione che potesse vendicare e difendere la causa del Profeta. Nè Zenghi la speranza di sua nazione deluse; perchè, dopo un assedio di venticinque giorni, e prese Edessa d’assalto, e i Franchi da tutte le [p. 407 modifica]terre vinte oltre l’Eufrate scacciò44. Questo independente sovrano di Mosul e di Aleppo, le guerriere tribù del Curdistan sottomise, e i soldati di lui s’avvezzarono a riguardare il campo come lor patria, lasciando alla liberalità del principe il pensiere di compensare le fatiche de’ suoi difensori, e di proteggerne le famiglie ch’eglino abbandonavan per lui.  [A. D. 1145-1174] Condottiero di tai veterani, Noraddino, figliuolo di Zenghi, riunì a poco a poco sotto di sè i possedimenti maomettani; il regno di Damasco a quel di Aleppo congiunse; e fece con buon successo una lunga guerra ai Cristiani della Sorìa. Dilatato il suo vasto Impero dalle sponde del Tigri a quelle del Nilo, gli Abbassidi ogni titolo e prerogativa regale al loro servo fedel concedettero. I Latini medesimi si videro costretti ad ammirare la saggezza, il valore, e persino la giustizia e la pietà di questo implacabile loro nemico45. Negli atti e della vita privata, e del suo governo, il [p. 408 modifica]pio guerriero rianimò lo zelo, e ricondusse la semplicità de’ primi Califfi; sbanditi l’oro e la seta dal suo palagio, proibito negli Stati di lui l’uso del vino, scrupolosamente le rendite pubbliche al servigio dei popoli adoperò, nè mai alle frugali spese della sua casa si prevalse d’altre ricchezze fuor delle rendite de’ fondi da lui comprati, colla parte legittima che gli spettava sulle prede fatte ai nemici.  [A. D. 1163-1169] La sultana favorita avendogli mostrato ardente desiderio di possedere certa ricca suppellettile di femminile lusso, ei le rispose. „Come volete ch’io faccia! Temo Dio, e non sono che il cassiere de’ Musulmani: le loro ricchezze non mi appartengono. Però possedo tuttavia tre botteghe nella città di Hems, servitevene, ma non ho altra cosa da poter dare„. La Corte di giustizia di Noraddino era il terror de’ Grandi, l’asilo de’ poveri. Alcuni anni dopo la morte di questo sultano un cittadino che lagnavasi di oppressione per parte del successore corse per la strada esclamando, „o Noraddino! Noraddino! che cosa sei tu divenuto? abbi pietà del tuo popolo e vieni a soccorrerlo„. Si paventò di un tumulto, e il tiranno seduto sul proprio trono, arrossì e tremò, al nome di un monarca che più non era.

Per l’armi de’ Franchi e de’ Turchi, i Fatimiti aveano perduto l’intera Sorìa, e benchè si mantenessero nell’Egitto, l’invilimento cui declinò la loro possanza, portò conseguenze ancor più disastrose a questi discendenti o successori di Maometto. Nondimeno, rispettati fino allora, siccome tali, viveano rinchiusi nel proprio palagio del Cairo, e sacre le lor persone, di rado al profano sguardo o de’ sudditi, o degli stranieri si offersero. Gli ambasciatori latini46 [p. 409 modifica]hanno descritto il cerimoniale della loro ammissione dinanzi al Califfo, e come introdotti venissero attraversando una sequela di anditi oscuri e di portici illuminati. Ravvivavano una tale scena il mormorare degli augelli e il susurrare delle fontane: non vedeano d’ogni banda che animali di specie rara, e preziose suppellettili. Fu anche mostrata ad essi una porzione del tesoro: la rimanente parte supposero. Dopo avere oltrepassato un gran numero di porte custodite da Negri e da eunuchi, pervennero al Santuario, ossia alla stanza entro cui stavasi il Sovrano dietro una cortina velato. Il Visir che conduceva gli ambasciatori, deposta la scimitarra, per tre volte sul pavimento prostrossi. Sollevata venne alfin la cortina, e poterono contemplare il Comandante de’ credenti, che dava ordini al suo primo schiavo, in sostanza padrone: i Visir, o i Sultani usurpata aveano la suprema amministrazion dell’Egitto; e decidendosi coll’armi le gare degli aspiranti a tal carica, il nome del più meritevole, ossia del più forte nella patente reale del comando veniva registrato. Le fazioni di Dargam e di Saver si scacciavano a vicenda dalla capitale e dal regno, e quella di esse che soggiaceva, implorava la pericolosa protezione del Sultano di Damasco, o del re di Gerusalemme, mortali nemici della setta, e della Monarchia de’ Fatimiti. Più [p. 410 modifica]midabili, per potere e professata religione, erano i Turchi: ma i Franchi aveano sopra Noraddino il vantaggio di non trovare ostacoli nel trasferirsi per linea retta da Gaza al fiume Nilo. Per la situazione degli Stati di Noraddino, le truppe di lui vedeansi costrette ad un giro molesto e pien di pericoli intorno all’Arabia, onde si trovavano esposte alla sete, ai disagi e al malefico influsso de’ venti infocati del Deserto. Zelo unito ad ambizione, facea bramoso il Principe turco di regnare sotto il nome degli Abbassidi in Egitto: l’impresa di restituire la perduta dignità a Saver che aveva implorata la protezione di Noraddino, gli offerse un motivo specioso alla prima spedizione, che egli confidò all’Emiro Siracù, generale rinomato per sua esperienza e valore. Dargam perdè la battaglia e la vita; ma il felice rivale di questo Visir, parte per ingratitudine, parte per timori e sospetti non privi di fondamento, sollecitò i soccorsi di Gerusalemme onde liberare l’Egitto dalla prevalenza de’ suoi superbi benefattori. Trovatosi il generale di Noraddino nell’impossibilità di resistere alle forze congiunte de’ due nemici, abbandonò le recenti conquiste, e fe’ sgombra Belbeis, o Peluso, a patto di ottenere una libera ritirata; nel tempo della quale, mentre i Turchi marciavano alla sfilata dinanzi al nemico, e chiudea l’ordine della battaglia il lor generale armato della sua azza da guerra, attento a tutto ciò che accadea, un Franco osò domandargli, se non temeva di essere assalito. „Certamente non appartiene che a voi, rispose l’intrepido Emiro, il cominciare l’assalto, ma abbiatevi per sicurissima cosa, che un solo de’ miei soldati non andrà in paradiso, senza avere mandato prima [p. 411 modifica]un infedele all’inferno„. Ricomparso il generale alla presenza del suo Sovrano, le ricchezze del paese, la mollezza degli abitanti, le discordie lor gli narrò, le quali cose la speranza riaccesero in Noraddino. Ai pietosi divisamenti di questo, il Califfo di Bagdad fece plauso, e Siracù condottiero di dodicimila Turchi e di undicimila Arabi, si mostrò per la seconda volta in Egitto. Nondimeno, queste forze erano ben inferiori alle forze degli eserciti confederati de’ Franchi e de’ Saracini; onde a me sembra che il passaggio del Nilo operato dal generale di Noraddino, la ritirata nella Tebaide, le fazioni della giornata di Babain, la sorpresa di Alessandria, le spedizioni e le controspedizioni, nelle pianure e nelle valli di Egitto, dal Tropico al mare, palesino, nell’uomo che divisò tali imprese, un nuovo e straordinario grado d’intelligenza militare. L’abilità di lui secondarono le valorose sue soldatesche, e un Mammalucco, il giorno prima di un’azione campale esclamava47: „Se non possiamo liberare l’Egitto da questi cani di Cristiani, perchè non rinunciamo agli onori e ai premj che ne ha promessi il Sultano? Perchè non andiamo coi villani a coltivare la terra? o colle donne a filare entro un harem?„ Cionnullameno, a malgrado di tanti sforzi48, e comunque l’eloquen[p. 412 modifica]za di Saladino nobilmente si adoperasse in Alessandria49 per difendere la condotta militare tenuta dal suo zio Siracù, questi terminò la seconda sua spedizione con una ritirata preceduta da un’onorevole capitolazione; e Noraddino aspettò con impazienza l’occasione di tentare con miglior successo una terza impresa; occasione ben tosto offertagli da Amalrico, o Amauri, Re di Gerusalemme, imbevutosi della perniciosa massima, che non dee serbarsi fede agl’inimici di Dio. Un guerriero religioso, il gran Mastro dell’Ordine degli Ospitalieri, lo incoraggiò ne’ disegni concetti; l’Imperatore di Costantinopoli diede, o promise una flotta per secondare gli eserciti della Sorìa; e il perfido Cristiano, non sazio del fatto bottino, e de’ sussidj che gli venivano dall’Egitto, a conquistare questo paese si accinse. In tale estremità, i Musulmani al Sultano di Damasco volser gli sguardi; e il Visir Saver, che d’ogni banda attorniavan pericoli, cedè ai desiderj unanimi della nazione. Noraddino parve contento di un’offertagli terza parte sulle rendite dell’Egitto. Già i Franchi erano alle porte del Cairo; ma al loro avvicinarsi, fu appiccato il fuoco ai sobborghi della vecchia città; un negoziato insidioso li trasse in [p. 413 modifica]inganno; i lor vascelli non poterono entrare nel Nilo. Schivata prudentemente una battaglia co’ Turchi, in mezzo ad un paese nemico, Amauri tornò nella Palestina, carico della vergogna e del rimprovero, compagni sempre dell’ingiustizia dal buon successo non coronata. Partiti i Franchi, Siracù, qual liberatore dell’Egitto, di una veste d’onore fu ornato; ma la contaminò ben tosto coll’ordinare la morte dell’infelice Saver. La carica di Visir per qualche tempo gli Emiri turchi si degnarono assumere: ma la conquista degli stranieri, affrettò la caduta de’ Fatimiti; grande cambiamento politico, eseguitosi tranquillamente e per l’effetto d’un ordine e d’una parola. Già i Califfi, e per la propria debolezza, e per la tirannide de’ Visiri, si erano nell’opinione pubblica disonorati. Fremuto aveano i loro sudditi in veggendo il discendente e il successore del Profeta, porgere la sua mano ignuda ad essere toccata dalla callosa mano di un ambasciatore latino; e piansero allora quando il Califfo d’Egitto, i capelli delle proprie donne, come segnale di ultimo stremo e cordoglio, al Sultano di Damasco inviò. [A. D. 1171] Per ordine di Noraddino, e per sentenza de’ Dottori, vennero solennemente ribenedetti i nomi sacri di Abubeker, di Omar e di Otmano; Mostadi, Califfo di Bagdad, nelle pubbliche preghiere venne solennemente riconosciuto siccome il vero Comandante de’ Credenti; alla divisa nera degli Abbassidi fece luogo la verde de’ figli di Alì; l’ultimo di questa schiatta, il Califfo Aded, dieci giorni dopo, morì, nella felice ignoranza del proprio destino. Le ricchezze di lui assicurarono l’obbedienza de’ soldati, e il tumultuar de’ Settarj sedarono; nè accadde in appresso, per qualsivo[p. 414 modifica]glia cambiamento politico50, che dalla tradizione ortodossa de’ Musulmani i popoli dell’Egitto si allontanassero.

[A. D. 1171-1195] Le colline di là dal Tigri abitate sono dai Curdi, tribù di ardimentosi pastori51, vigorosi, selvaggi, indocili, dediti al ladroneccio, e ostinatamente affezionati al governo di Capi che hanno comune con essi la patria e l’origine. La somiglianza di nome, di situazione e di costumanze, ne danno fondamenti a crederli i Carduchiani de’ Greci52; e difendono tuttavia contro i tentativi della Porta ottomana quell’antica libertà che, a malgrado de’ successori di Ciro, mantennero. L’indigenza e l’ambizione li trassero ad abbracciare il mestiere di soldati mercenarj. Fecero strada al regno del gran Saladino i servigi [p. 415 modifica]del padre di lui, e dello zio53; e il figlio di Giob, o Aìub, semplice Curdo, era a bastanza grande di per sè stesso per ridersi dell’adulazione di chi ne volea derivata sin dai Califfi arabi la genealogia54. Noraddino prevedea sì poco la rovina prossima ed imminente alla propria famiglia, che costrinse Saladino a seguire in Egitto il suo zio Siracù. Questo giovine assicurò la sua rinomanza militare nella difesa di Alessandria, e se potessimo prestar fede ai Latini, sollecitò ed ottenne dal generale cristiano gli onori profani della cavalleria55. Morto Siracù, Saladino, il più giovine e il meno possente fra gli Emiri, per questa considerazione appunto ottenne la carica, divenuta, come dicemmo, men rilevante di gran Visir; ma giovatosi de’ consigli del padre, la cui venuta al Cairo egli aveva affrettata, bentosto per suo ingegno acquistò preminenza sopra gli eguali, e seppe rendere affezionato a sè e ai proprj interessi [p. 416 modifica]l’esercito. Sin tanto che Noraddino visse, questi ambiziosi Curdi, i più sommessi fra gli schiavi del medesimo si dimostrarono; e il sagace Aiub impose silenzio alle querele dell’irrequieto Divano, protestando che, se tal fosse la volontà del padrone, egli medesimo avrebbe condotto a pie’ del trono il figlio carico di catene. „Mi è convenuto, ei dicea, in particolare a Saladino usare siffatto linguaggio in una assemblea composta di vostri rivali: ma sappiatelo; oggidì ci troviamo in tale stato da non dovere nè paventare, nè obbedire; e tutte le minacce di Noraddino non otteranno da noi il tributo di una canna di zucchero„. La morte del Sultano giunse in tempo di salvar padre e figlio dai pericoli, e dai rimproveri che a tal pensamento andavan congiunti. Il figlio del morto Sultano d’anni undici, rimase per qualche tempo fra le mani degli Emiri di Damasco, intanto che il nuovo Signore dell’Egitto veniva insignito dal Califfo di tutti que’ titoli56, che giustificar ne poteano agli occhi del popolo la usurpazione; ma non andò guari che sembrando a Saladino non bastante possedimento l’Egitto, da Gerusalemme i Cristiani, da Damasco, da Aleppo, dal Diarbekir gli Atabek discacciò. Avendolo riconosciuto per protettor temporale la Mecca e Medina, il fratello di lui conquistò l’Yemen ossia l’Arabia Felice; e crebbe [p. 417 modifica]tanto in dominazione che questa, negli ultimi giorni di Saladino, da Tripoli d’Affrica sino al Tigri, dall’Oceano Indiano fino alle montagne dell’Armenia estendevasi. Giusta le massime di buon ordine e di fedeltà di suddito diffuse fra noi, difficilmente può sembrarne immune da rimprovero di ingratitudine e di perfidia, il contegno tenutosi da Saladino; ma l’ambizione di lui può trovar qualche scusa nelle rivoluzioni dell’Asia57, ove persin l’idea di successione legittima era perduta, nel recente esempio che gli stessi Atabek aveano dato, ne’ riguardi che Saladino usò mai sempre al figlio del suo benefattore, nella condotta generosa ed umana che verso i rami collaterali della caduta dinastia conservò, nel proprio merito e nella loro inettezza, nell’approvazione del Califfo, fonte unica della legitima autorità, per ultimo nel voto e negl’interessi de’ popoli, alla felicità de’ quali sono per prima cosa instituiti i governi. Fu ammirato in Saladino, come nel suo predecessore, il felice, quanto raro, accoppiamento delle virtù di un santo e delle virtù di un eroe; poichè Saladino e Noraddino nel novero de’ Santi Maomettani l’uno e l’altro son collocati. Costantemente avvezzatisi a meditar guerre sante, parve, che insieme a tal consuetudine, acquistassero quell’indole prudente e moderata, della quale in tutti gli atti di loro vita scorgiamo le tracce. Saladino, in sua gioventù, era [p. 418 modifica]stato dedito al vino e alle donne58; ma l’ambizione fece ben presto, che rinunziando ai diletti de’ sensi, le più dignitose follìe del potere, e dell’amore della rinomanza, a questi sostituisse. Vestiva un rozzo abito di lana; bevea solamente acqua; mostratosi non men sobrio, e di gran lunga più casto del Profeta degli Arabi, e nella sua fede e in tutte le sue azioni diede continuamente a divedere il rigido Musulmano. Finchè visse, manifestò il suo rincrescimento che le cure necessarie alla difesa della religione, non gli permettessero adempire il dovere del pellegrinaggio alla Mecca; ma alle ore prefisse, e cinque volte al giorno, orava in compagnia de’ fratelli; e accadendogli di avere involontariamente tralasciato alcuno de’ digiuni dal Profeta prescritti, col massimo scrupolo l’omissione sua riparava. Può essere citata siccome prova (che per vero dire di ostentazione sentiva) del coraggio e della divozione di Saladino, il costume che egli avea, di leggere prima di dar battaglia il Corano standosi a cavallo, camminando a capo delle sue soldatesche, e posto in mezzo ai due eserciti che in procinto erano di assalirsi59. Schifo d’ogni studio che alla dottrina superstiziosa della Setta di Safei non si riferisse, tutti gli altri depresse: ebbe a vile i poeti, e questa circostanza fece la lor sicurezza; perchè tanto abborriva tutte le scienze profane, che un filosofo, il quale avea diffuse alcune [p. 419 modifica]sue scoperte speculative, venne preso, e, per ordine del pietoso Sultano, strozzato. Il più oscuro fra’ sudditi poteva implorare la giustizia del Divano contra il Principe, o contra il ministro del Principe; e solamente, allor che un regno era prezzo dell’ingiustizia, Saladino non sentiva ritrosìa nel commetterla. Mentre i discendenti di Selgiuk e di Zenghi gli teneano la staffa, e davano ordine ai suoi vestimenti, gl’infimi servi della sua casa riceveano prove della dolcezza e dell’affabilità del loro Signore; si contraddistinse per eccesso di liberalità all’assedio di Acri colla distribuzione gratuita di dodicimila cavalli, e quando morì non furono trovate nel suo erario che quarantasette dramme d’argento, e una sola piastra d’oro. Durante un regno, quasi tutto speso nelle guerre, i tributi diminuì, e i cittadini godettero pacificamente de’ frutti di loro industria. Nell’Egitto, nella Sorìa e nell’Arabia, moschee, collegi, ospitali e una ben munita Fortezza nel Cairo edificò: ma tutte le fondazioni di Saladino avendo per mira il ben pubblico60, fra queste non ebbevi un palagio, un giardino al lusso personale del Sultano serbati. In un secolo di fanatismo le naturali virtù di un fanatico eroe gli stessi Cristiani a stima e ad ammirazione costrinsero: dell’amicizia di Saladino l’Imperatore di Alemagna gloriavasi61; quel di Bisanzo, suo confederato, il chiedeva62. La conquista di [p. 420 modifica]Gerusalemme per tutto Oriente ed Occidente diffuse, e, fors’anche oltre al vero, ampliò la rinomanza di questo Sultano.

Il regno di Gerusalemme fu di breve durata, e se più presto anche non cadde63, alle discordie de’ Turchi e de’ Saracini il dovette. I Califfi Fatimiti, e i Sultani di Damasco, abbagliati da alcuni vantaggi presenti e personali, sagrificarono la causa generale della loro religione. Ma poichè le forze dell’Egitto, della Sorìa, e dell’Arabia, riunite furono sotto l’Impero di un eroe, che natura e fortuna sembravano avere armato contra i Cristiani, tutte le cose all’interno di Gerusalemme presero minaccevole aspetto, e tutt’altro che apparenze lusinghiere, lo stato interno di esse offeriva. Dopo la morte de’ due Baldovini, uno fratello, l’altro cugino di Goffredo di Buglione, lo scettro passò nelle mani di Melisenda, figlia del secondo Baldovino, e nel marito della medesima, Folco, Conte di Angiò, stato per un precedente maritaggio il ceppo de’ nostri Plantageneti dell’Inghilterra. I due figli di Melisenda e di Folco, Baldovino III ed Amauri sostennero con qualche buon successo una guerra vivissima contro gl’Infedeli. Ma la lebbra, frutto delle Crociate, privò Baldovino IV, figlio di Amauri, delle facoltà del corpo e della mente. E ne era la naturale erede Sibilla sorella del defunto e madre di Baldovino V, la quale, dopo la morte, non assai provata naturale, del proprio figlio, coronò un secondo [p. 421 modifica]marito, Guido di Lusignano, principe di bell’aspetto, ma sì poco meritevole di rinomanza che lo stesso Goffredo, fratello del medesimo, fu udito esclamare: „Se hanno fatto di lui un Re perchè non far di me un Dio?„ in somma una tale scelta il biasimo generale incontrò. Raimondo, Conte di Tripoli, il più potente fra i vassalli che dalla successione e dalla reggenza trovavansi esclusi, concepì odio sì invelenito contra il nuovo Sovrano, che per disbramarlo vendè il proprio onore e la propria coscienza al Sultano. Tali furono, a mano, a mano, i guardiani della Santa Città, un lebbroso, un fanciullo, una donna, un codardo e un traditore. Pur ne fu tardata, per altri dodici anni, la caduta mercè alcuni soccorsi giunti d’Europa, e pel valore de’ monaci guerrieri, e per le brighe che al potentissimo avversario de’ Cristiani occorsero, or nelle parti interne del suo vasto impero, or a’ confini remotissimi da Gerusalemme. Finalmente, questo Stato, giunto al pendìo di sua rovina, vedeasi circondato e stretto da nemici per ogni banda, allorchè i Franchi sconsigliatamente violarono la tregua che la precaria esistenza loro protraeva. Rinaldo di Castiglione, soldato di ventura, avendo sorpreso una Fortezza in vicinanza del Deserto, da questo campo spogliava le carovane, insultava la religion del Profeta, alle città di Medina e della Mecca le sue minacce estendea. Saladino si degnò querelarsene, e chiedere una soddisfazione cui desiderava di non ottenere; negatagli questa, immediatamente, condottiero di un esercito di ottantamila uomini, la Terra Santa assalì: e fu prima impresa di lui l’assedio di Tiberiade, suggeritogli dal Conte di Tripoli al quale la stessa città appartenea. Il Re di Gerusalemme cadde nella rete di estenuare le guernigioni delle proprie Fortezze, e di mettere in armi [p. 422 modifica]il suo popolo per munire di soccorsi un Forte rilevante qual Tiberiade si era64. Il traditor Raimondo, dopo avere additato ai nemici il modo di sorprendere i Cristiani in un campo mancante d’acqua, all’istante della battaglia, si diede alla fuga, da suoi e dai nemici egualmente esecrato65. Sconfitto e preso Lusignano in un combattimento, che gli costò la perdita di trentamila uomini, la vera Croce, il che fu massimo avvilimento per li Cristiani, cadde nelle mani degl’Infedeli. Venne condotto nella tenda di Saladino il Re prigioniero, quasi moriente di sete e paura. Il vincitor generoso lo presentò di una tazza di sorbetto; ma non permise a Rinaldo di Castiglione il partecipare di tale atto di clemenza e di ospitalità. „La persona e la dignità di un Re, dicea Saladino a Lusignano, son sacre; ma quest’empio masnadiero renderà tosto omaggio al Profeta ch’egli ha bestemmiato, o perirà della morte che per tante riprese ha meritata„. Fosse orgoglio, o comando della sua coscienza, il guerriero cristiano ricusò il primo patto, e, percosso sul capo dalla scimitarra del Sultano, le guardie del medesimo terminarono di dargli morte66. [p. 423 modifica]Venne condotto a Damasco, e rinchiuso entro onorevole prigione il tremante Sultano di Gerusalemme, al quale un pronto riscatto dovea fra breve restituire la libertà. Ma la vittoria di Saladino fu macchiata dalla sentenza di morte eseguita sopra dugentotrenta Ospitalieri, intrepidi campioni e martiri della lor fede. Il Regno rimase privo di Capo, e de’ gran mastri de’ due Ordini militari, un di loro ucciso, l’altro condotto prigioniere. Convenute erano a questa fatale battaglia le guernigioni della capitale e di tutte le città della costa marittima, e dell’interno del paese. Tiro e Tripoli le sole furono che alla rapida invasione di Saladino resistessero, onde, tre mesi dopo la giornata di Tiberiade, il Sultano con numerosa oste si mostrò alle porte di Gerusalemme67.

[A. D. 1187] Potea Saladino temere che l’assedio di una città, il cui destino tenea l’Europa e l’Asia perplesse, ridestasse le ultime scintille dell’entusiasmo ne’ Cristiani, e che fra i sessantamila di essi, i quali tuttavia rimanevano in Gerusalemme, ciascuno sarebbe stato soldato, e ciascun soldato un eroe avido del [p. 424 modifica]martirio. Ma la regina Sibilla per sè medesima e pel marito prigioniero tremava; quelli fra i baroni e cavalieri che aveano potuto sottrarsi alla morte e alle catene, conservavano, in quegli estremi, lo stesso spirito di fazione, le medesime passioni di personale interesse. Composta di Cristiani orientali la massima parte degli abitanti di Gerusalemme, gli avea l’esperienza ammaestrati a preferire al governo de’ Latini il giogo maomettano68; nè il Santo Sepolcro conducea a quelle regioni se non se ciurme di miserabili prive d’armi, come di valore, che colle carità de’ pellegrini guerrieri vivevano. Ciò nullameno vennero affrettatamente fatti alcuni apparecchi di difesa; ma l’esercito vittorioso rispinse le sortite degli assediati, e collocate le sue macchine con buon successo, e aperta una larga breccia, nel giorno decimoquarto, dodici stendardi di Maometto e del Sultano sulle mura di Gerusalemme fè sventolare. Invano la Regina, le donne69 e i frati co’ piè scalzi e processionalmente, si portarono a supplicare il figliuol di Dio, perchè volesse salvar la sua tomba dalle mani sacrileghe degl’Infedeli. Fece mestieri il ricorrere alla clemenza del vincitore, che la prima deputazione severamente ricusò, facendo noto il suo giuramento di vendicare le lunghe angosce con tanta pazienza sofferte dai Musulmani; essere trascorsa l’ora del perdono, giunto il momento di espiare il sangue innocente versato per opera di Gof[p. 425 modifica]fredo e de’ Crociati. Ma spinti a tal disperazione i Cristiani, con un coraggioso sforzo fecero comprendere al Sultano, ch’ei non era per anche sicuro affatto della vittoria, e la loro appellazione al padrone comune di tutti gli uomini, fu ascoltata con rispetto dall’Aiubita. Un sentimento di umanità ammollì il rigore del fanatismo e della conquista; accettata la sommessione della città, condiscese Saladino a risparmiare il sangue degli abitanti; i Cristiani greci e orientali ottennero permissione di vivere sotto il governo del vincitore; non così i Franchi e Latini, pei quali fu decretato, che entro quaranta giorni sgombrassero Gerusalemme, con promessa di essere condotti sani e salvi ne’ porti dell’Egitto e della Sorìa. I riscatti vennero poi così regolati; dieci piastre d’oro per ogni uomo, cinque per ogni donna, una per ciascun fanciullo; chi non aveva modo di pagare un tale riscatto in perpetua cattività rimanea. Alcuni Storici, con malignità, anzichè no, sonosi compiaciuti nel raffrontare la clemenza di Saladino e la strage della prima Crociata: differenza che sarebbe da attribuirsi unicamente al carattere personale del conquistatore: nè per altra parte dobbiamo dimenticarci l’offerta di capitolare fatta dai Cristiani, l’ostinatezza de’ Maomettani nel sostenere l’assedio insino all’ultimo, la presa della città seguìta per assalto. Fa d’uopo, per vero dire, dar merito all’esattezza onde il Sultano le condizioni del Trattato adempì, e al guardo di compassione ch’ei volse sulla sventura de’ vinti. In vece di pretendere a tutto rigore il pagamento del riscatto, liberò settemila indigenti, contentandosi della somma di trentamila bisantini, e altri due o tremila, immuni da qualunque [p. 426 modifica]sborso. Il numero degli schiavi rimasti, si ridusse ad undici o al più quattordicimila persone. Nell’abboccamento che ebbe colla Regina, Saladino cercò raddolcirne l’afflizione co’ discorsi e persin colle lagrime. Distribuì con larga mano elemosine alle vedove e agli orfani che a tale stato avea ridotti la guerra, e mentre gli Ospitalieri combatteano tuttavia contro di lui, l’umano vincitore permetteva ad alcuni loro fratelli, che mossi da più vorace pietà al servigio degl’infermi adoperavano le proprie cure, il continuare un intero anno in sì caritatevole ufizio. Cotali atti di clemenza e di virtù, l’amore e l’ammirazione degli uomini gli han meritati. Nè vi era cosa che costringesse a fingere Saladino; poichè anzi, il fanatismo in lui eccessivo, dovea indurlo piuttosto a dissimulare che ostentare verso i nemici del Corano una colpevole compassione. Quando Gerusalemme fu libera dalla presenza degli stranieri, il Sultano al suono di una musica guerriera, e cogli stendardi spiegati dinanzi a sè, vi fece il suo ingresso trionfale. La grande moschea di Omar, che in una chiesa aveano convertita i Cristiani, fu di nuovo consacrata a un solo Dio, e al Profeta di lui Maometto. Con acqua di rosa ne vennero purificati i pavimenti e le mura, e collocata nel Santuario una cattedra fatta dalle stesse mani di Noraddino. Ma allorchè fu veduta atterrata e trascinata per le strade la Croce d’oro che splendea sulla cupola, i Cristiani di tutte Sette misero un lamentevole gemito, cui risposero le acclamazioni di giubilo de’ Musulmani. Il Patriarca aveva in quattro cofani d’avorio raccolto le Croci; le immagini, i vasellami, e le reliquie della Santa Città. Di questi s’impadronì il Sultano che avea di[p. 427 modifica]visato, siccome trofei della cristiana idolatria70, portarli in dono al Califfo. Ma poi si piegò a confidarli nelle mani del Patriarca e del Principe d’Antiochia, sacrati pegni, che di poi a prezzo di cinquantaduemila bisantini d’oro Riccardo d’Inghilterra ricuperò71.

[A. D. 1188] Eravi luogo a temere, o sperare, giusta gl’interessi diversi delle nazioni che, fra brevissimo tempo, i Cristiani da tutta quanta la Sorìa verrebber cacciati. La cosa nondimeno non si avverò, che un secolo dopo la morte di Saladino72; la resistenza opposta dalla città di Tiro, in mezzo al corso delle vittorie, il fermò. Erano state imprudentemente condotte in questo porto tutte le truppe delle guernigioni che aveano capitolato, le quali trovandosi in numero forte a bastanza per difendere quella piazza, riacquistarono fiducia e coraggio per l’arrivo di Corrado di Monferrato, che fra quelle mal disciplinate torme l’ordine restituì. Il padre del ridetto Corrado, venerabile pellegrino, era caduto, nella battaglia di Tiberiade, prigioniero: ma il disastro di tale gior[p. 428 modifica]nata tuttavia in Grecia e in Italia ignoravasi, allorchè l’ambizione e la pietà condussero questo nuovo Crociato a visitare gli Stati del proprio nipote, il giovine Baldovino. La vista degli stendardi di Maometto avendolo avvertito di evitare le coste di Giaffa, venne unanimamente accolto, qual Principe e difensore di Tiro che già Saladino assediava. Fermezza di zelo, e forse fiducia nella generosità del nemico, gl’inspiravano l’ardimento di affrontarne le minacce, e di protestare che, quand’anche avesse veduto il vecchio padre suo in pericolo sulla breccia, avrebbe egli lanciato il primo dardo, e procacciata a sè medesimo la gloria d’essere figlio di un martire73. Apertosi il porto di Tiro alla flotta degli Egiziani, fu d’improvviso tesa di nuovo la catena che lo chiudeva, onde cinque galee maomettane rimasero prese, o mandate a fondo; in una sortita di Cristiani perirono mille Turchi; e tal si fu la difesa, che Saladino, dopo avere arse le sue macchine, tornò a Damasco, compiendo con una vergognosa ritirata una serie di azioni campali che gli partorirono tanta gloria. Nè andò guari ch’ei dovette sostenere una più formidabil procella. Narrazioni patetiche, ed anche tele effigiate, che in commovente modo offrivano allo sguardo la schiavitù di Gerusalemme e la profanazione del tempio, ridestarono lo assopito zelo dell’Europa; l’Imperatore Federico Barbarossa e i Re di Francia e d’Inghilterra preser la Croce; ma la lentezza degl’immensi apparecchi di [p. 429 modifica]queste grandi Potenze i deboli Stati marittimi e dell’Oceano e del Mediterraneo provennero. Gl’Italiani più abili ed antiveggenti, sopra legni pisani, genovesi, veneti, primi di tutti veleggiarono a Tiro: li seguirono indi i pellegrini più zelanti della Francia, della Normandia e delle isole dell’Occidente. Un navilio circa di cento legni portò a quelle spiagge i poderosi soccorsi mandati dalla Fiandra, dalla Frisia e dalla Danimarca; e i nortici guerrieri si faceano in mezzo agli spianati discernere, per l’alta statura, e per le pesanti loro azze da guerra74; nè la voce stessa di Corrado tener lontana, nè poterono le mura di Tiro capire più a lungo tanta moltitudine di guerrieri ogni giorno crescente. Deploravano la sventura, e riverivano le dignità di Lusignano che i Turchi aveano lasciato in libertà, forse mossi dalla speranza di mettere fra gli eserciti latini discordia. Avendo questi proposto l’assedio di Tolomaide, ossia Acri, che situata ad ostro di Tiro, trenta miglia ne era distante, videsi immantinente circondata la piazza da trentamila fanti, e da duemila uomini a cavallo, de’ quali venne a quanto sembra, affidato allo stesso Lusignano il comando.  [A. D. 1189-1191] Non mi diffonderò intorno alla storia di questo memorabile assedio che, durato circa due anni, entro angusto spazio di terreno, tante forze di Europa e di Asia stremò. Non mai il fuoco dell’entusiasmo erasi manifestato con [p. 430 modifica]impeto più violento e struggitore; e i Fedeli (entrambe le parti di questo nome gloriavansi) nell’onorare i lor martiri, non poteano negare un tributo di lodi allo sfrenato zelo e al valore de’ loro avversarj. Al primo squillare della sacra tromba, i Musulmani dell’Egitto, dell’Arabia, della Sorìa, e di tutte le province dell’Oriente sotto le bandiere del servo di Maometto si raunarono75. Il campo di lui, o avanzasse, o indietreggiasse, poche miglia sempre si discostava da Acri, tanto il pungea notte e giorno la brama di liberare i proprj fratelli, e di portare ultimo sterminio ai Cristiani. Nove battaglie, che ben tutte di battaglie meritavano il nome, si diedero nelle vicinanze del monte Carmelo; e tai furono le vicissitudini della fortuna, che il Sultano si aperse una volta la via persino alla città; altra volta i Cristiani si spinsero entro la tenda di Saladino. Col ministero di palombai e di colombi, il Sultano teneasi in continua corrispondenza cogli assediati, e profittava d’ogni istante in cui fosse libero il mare, per dar rinforzo di nuovi soldati a quell’estenuato presidio. Intanto la fame, le pugne, i mali influssi di un clima straniero, ogni dì il latino esercito diminuivano; ma ogni dì le tende de’ morti bastavano appena agli uomini sopraggiunti, che esageravano il numero e la sollecitudine degli ausiliari postisi sulle lor tracce. Il volgo stupefatto giunse perfino a credere che il Pontefice, Ca[p. 431 modifica]po di un esercito numeroso, fosse nelle vicinanze di Costantinopoli pervenuto. Più giusti soggetti di ansietà all’Oriente la venuta dell’alemanno Imperatore somministrava; e la politica di Saladino nel moltiplicargli ostacoli nell’Asia, e probabilmente ancor nella Grecia, soprattutto si contraddistinguea; laonde la gioia inspiratagli dalla notizia della morte di Barbarossa, pareggiò la stima che il Musulmano avea concepita di un tanto guerriero. Più sconforto che fiducia trassero i Cristiani dall’arrivo del Duca di Svevia, e di cinquemila Alemanni, avanzo dell’esercito imperiale, ridotto a stremo dal lungo cammino. Finalmente nella primavera del successivo anno, le flotte di Francia e d’Inghilterra gettarono l’ancora nella baia di Tolomaide; e l’emulazione de’ due giovani re Filippo Augusto e Riccardo Plantageneto, le fazioni dell’assedio rinvigorì. Dopo avere tentata indarno ogni via di salvezza, e privi già d’ogni speranza, i difensori di Acri, sottomettendosi per ultimo al proprio destino, una capitolazione, ma a patti durissimi, ottennero76. Dugentomila piastre d’oro furono il prezzo posto alla loro vita e alla lor libertà; e dovettero promettere di far liberi cento prigionieri della classe nobile e millecinquecento d’ordine inferiore, e di restituire il legno della vera Croce. Al[p. 432 modifica]cuni dubbj in ordine alla convenzione, alcuni indugi nell’adempirla, avendo ridestata la furibonda rabbia de’ Franchi, il truce Riccardo fe’ decollare quasi a veggente del Sultano tremila Musulmani. Certamente la conquista di Acri mise in poter de’ Latini una ragguardevole Fortezza e un ottimo porto; ma a caro prezzo un tal vantaggio scontarono. Lo Storico, ministro di Saladino, fondandosi sulle asserzioni stesse degli avversarj, calcola a cinque, o seicentomila uomini il numero de’ Cristiani successivamente approdati, e a centomila quello de’ morti coll’armi alla mano. Molto maggior numero ne tolser di vita i naufragi e le infermità; e d’un esercito sì sterminato, una piccolissima parte potè, immune da disastri, rivedere la patria77.

[A. D. 1191-1192] Filippo Augusto e Riccardo I, sono i due soli Re di Francia e d’Inghilterra, che abbiano sotto le stesse bandiere militato; ma scambievole gelosia di nazione pregiudicava alla santa guerra che avevano intrapresa; e le due fazioni, ciascuna delle quali riconosceva per suo proteggitore nella Palestina uno di questi Principi, più accanite al reciproco danno, che a quello del comune inimico, mostravansi. Gli Orientali riguardavano il Re di Francia come superiore in dignità e possanza all’Inglese, e in mancanza dell’Imperatore, i Latini, siccome lor Capo lo [p. 433 modifica]riverivano78. Molto minori della sua fama le imprese ne furono; perchè comunque di valor non mancasse, le qualità d’uom di Stato nell’indole del medesimo prevalevano. Stancatosi tostamente di sagrificare la salute e i proprj interessi sopra una sterile spiaggia, la presa d’Acri fu per lui segnale di ritirata. Ben lasciò per la difesa di Terra Santa, diecimila fanti e cinquecento uomini a cavallo, sotto il comando del Duca di Borgogna: ma non quindi il disonore di tal partenza perdonato gli venne. Il Re d’Inghilterra, benchè inferiore per dignità, superava in ricchezze e militar rinomanza il rivale79; e se un brutale e feroce valore bastasse all’essenza dell’eroismo, Riccardo Plantageneto avrebbe diritto a comparire fra i primarj eroi del suo secolo. Per lungo tempo, cara e gloriosa agl’Inglesi fu la ricordanza di Cuor-di-Leone; e sessant’anni dopo la sua morte, i pronipoti de’ Turchi e de’ Saracini da lui soggiogati, fin ne’ proverbj loro lo rammentarono con onore. Le madri della Sorìa si giovavano di un tal nome per fare star zitti i loro fanciulli; se un cavallo aombravasi, il cavaliere soleva, rampognando [p. 434 modifica]l’animale esclamare: „Credi forse che il re Riccardo80 si aggiri per queste boscaglie?„ La crudeltà ch’ei verso i Musulmani adoprò, era effetto di zelo e di violenza della sua indole; ma penoso mi è il persuadermi che un guerriero sì abile e prode nel giovarsi della sua lancia, siasi avvilito a ricorrere al ministero del pugnale contra il proprio collega, il valoroso Corrado di Monferrato, morto ad Acri per tradimento d’ignota mano81. Dopo la presa d’Acri e la partenza di Filippo, Riccardo, fattosi condottiero de’ Crociati alla conquista della costa marittima, le città di Giaffa e di Cesarea aggiunse agli avanzi del regno di Lusignano; e un cammino di cento miglia che Ascalon da Acri divide, fu per undici giorni l’aringo di un grande e continuo combattimento; e fuvvi un punto che scoraggiate le truppe turche, Saladino si trovò sul campo di battaglia da sole diciassette delle sue guardie accompagnato; pur vi rimase senza calar le bandiere, nè permettere che sol per poco cessasse lo squillo delle sue trombe. Ben pervenne a riordinare i soldati, e a ricondurli contro il nemico: ben i suoi predicanti e i suoi [p. 435 modifica]araldi esortarono con incalzante tuono gli unitarj a oppor fermo petto agl’idolatri cristiani; ma all’impeto di questi idolatri non poteva allora resistere, e sol collo spianare le mura e le fortificazioni di Ascalon, giunse ad impedire ai Cristiani l’occupazione di così munita Fortezza, situata ai confini dell’Egitto. Durante un rigido verno, inoperose stettero l’armi; ma al ricomparire della primavera, i Franchi, sempre guidati dal medesimo condottiero, s’innoltrarono tanto che d’una sola giornata da Gerusalemme distavano. Ivi il solerte re Riccardo impadronitosi d’una carovana di settemila cammelli, costrinse Saladino82 a rinchiudersi nella Città Santa, divenuta per maggior disastro del Principe musulmano, soggiorno di costernazione e discordie. Questi orò, fece digiuni e prediche, offerse di partecipare egli medesimo ai pericoli dell’assedio; ma fosse principio d’affetto, e di animo alle sedizioni propenso, i suoi Mammalucchi, ingombra ancora la fantasia del disastro sofferto in Acri dai lor compagni, con preghiere che di clamori sentivano, supplicarono il Sultano volesse conservare la propria persona e il valore de’ suoi soldati a miglior uopo, per la difesa del culto del Profeta e dell’Impero83. [p. 436 modifica]La ritirata de’ Cristiani tanto improvvisa, che miracolo la credettero gli assediati, a tali angustie sottrasseli84. Riccardo vide i proprj allori appassire o per la prudenza, o per l’invidia de’ suoi compagni. Sopra un monte, d’onde Gerusalemme scoprivasi, l’eroe il volto velossi con voce d’indignazione esclamando. „Coloro che rifiutano liberare il Santo Sepolcro di Gesù Cristo, sono immeritevoli di contemplarlo„. Appena giunto ad Acri gli fu nunziato che il Sultano avea stretta d’assedio la città di Giaffa. Pronto Riccardo nell’imbarcare sè e le sue truppe sopra alcuni legni mercantili in quel porto ancorati, e primo a lanciarsi sulla riva, rianimò lo spento coraggio de’ difensori della rocca; onde sessantamila Turchi, o Saracini, al solo avviso dell’arrivo di Cuor-di-Leone si diedero a fuga. Saputa indi la debolezza del drappello che l’Inglese avea guidato con sè, ricomparvero alla domane, e il trovarono, come se non vi fosse stato alcun pericolo da temere, accampato dinanzi alla porta di Giaffa colla sola scorta di diciassette uomini a cavallo e di trecento arcieri. Non prendendosi pensiero del numero degli assalitori, la presenza loro sostenne con tanta intrepidezza, che, a confessione degli stessi nemici, colla lancia in resta trascorse galoppando da [p. 437 modifica]destra a sinistra, dinanzi a tutto il fronte de’ Saracini, nè vi fu fra questi un solo che ardisse fermarlo85. Si narrano forse in questo luogo le storie di Amadigi o di Orlando?

Nel durare delle ostilità i Franchi e i Musulmani incominciarono, interruppero, riassunsero per più riprese, lente e languide negoziazioni86. Alcuni atti di scambievole cortesia fra i due Re, qualche donativo di frutta e di neve, diversi cambj di falchi di Norvegia con cavalli arabi, l’acerbità di una guerra di religione addolcirono. Forse le alternative de’ successi indussero i due monarchi a sospettare che il cielo non si prendesse poi tanto pensiero dei loro litigi, e troppo ben si conosceano l’un l’altro gagliardi, perchè niun d’essi una concludente vittoria sperasse87. Intanto declinavano la salute di Riccar[p. 438 modifica]e di Saladino: pativano entrambi tutti i mali alle discordie civili e alle lontane guerre congiunti. Plantageneto ardea della brama di punire un perfido rivale che profittando della lontananza di lui aveva invasa la Normandia, intanto che l’instancabile Sultano resisteva a fatica ai clamori de’ soldati, strumenti del suo zelo guerriero, e a quelli del popolo che ne era la vittima. Il Re d’Inghilterra chiese primieramente la restituzione di Gerusalemme, della Palestina, e della vera Croce, protestando con fermezza che egli e i pellegrini tutta la loro vita alla santa impresa sagrificherebbero, anzichè rivedere, carichi di rimorsi e di ignominia, l’Europa; ma rifuggiva la coscienza di Saladino ad acconsentire, senza un condegno compenso, che i Cristiani riavessero i loro idoli, o a favoreggiare in alcun modo la loro idolatria88. Con uguale fermezza i suoi diritti temporali e religiosi sulle sovranità della Palestina difese, e riguardando egli pure, siccome santa, Gerusalemme, e il possedimento di essa rilevante cosa pei Maomettani, ricusò calare ad alcun patto di parteggiamento colle nazioni latine. Fra i patti proposti [p. 439 modifica]da Riccardo fuvvi pur quello di concedere la propria sorella in moglie al fratello di Saladino; ma la disparità di religione non permise che un tal parentado si conchiudesse: nè l’inglese Principessa potea concepir senza orrore la sola idea di vedersi fra le braccia di un Turco, nè sì di leggeri Adel, o Safadino (nomi di questo fratello) avrebbe rinunziato alla pluralità delle mogli. Negò il Sultano di venire a parlamento con Riccardo, adducendone a motivo la disparità del linguaggio che avrebbe loro impedito a vicenda l’intendersi. Artifiziosamente tirata in lungo per via di messi e d’interpreti una tale negoziazione, il Trattato definitivo offese lo zelo di entrambe le parti, e il Pontefice di Roma e il Califfo di Bagdad parimente sen dolsero. Venne stipulato col medesimo che Gerusalemme e il Santo Sepolcro rimarrebbero aperti alla divozione de’ Cristiani e de’ pellegrini d’Europa, senza che questi fossero costretti a tributo, o soffrissero vessazioni; che rimanendo nello stato suo di assoluta rovina Ascalon, i Cristiani conserverebbero tutta la costa marittima da Giaffa a Tiro, comprendendo queste due città ne’ loro possedimenti; che al Conte di Tripoli e al Principe di Antiochia si estenderebbe la tregua; che per tre anni e tre mesi, niuna ostilità, nè da una parte, nè dall’altra, sarebbe lecita. I principali Capi de’ due eserciti giurarono di mantenere la convenzione; ma i due Monarchi ebbero per bastanti mallevadori la propria parola e l’atto di porgersi la destra; e la regal maestà venne dispensata dal giuramento, come se questo includesse implicitamente il sospetto della perfidia. Riccardo corse a cercare in Europa lunga cattività, e morte immatura; [p. 440 modifica]trascorsi pochi mesi la gloria e la vita di Saladino videro il termine.  [A. D. 1193] Vien celebrato dagli Orientali il modo edificante cui questo guerriero finì i suoi giorni in Damasco; nè a quanto sembra pervennero ad essi le bizzarre notizie delle elemosine egualmente distribuite ai settarj di tre religioni diverse, nè del panno funebre sostituito allo stendardo di Maometto, per avvertire l’Oriente della instabilità delle umane grandezze89. Colla morte di Saladino l’unità dell’Impero fu sciolta; oppressi i figli di lui dal poderoso braccio del loro zio Safadino, le dissensioni fra i Sultani d’Egitto, di Damasco e di Aleppo si rinovarono90; circostanze tutte per le quali i Franchi poterono respirare in pace nelle Fortezze lor rimaste sulle coste della Sorìa, e alle speranze tuttavia abbandonarsi.

[A. D. 1198-1216] La decima, conosciuta sotto il nome di decima di Saladino, tributo a cui il popolo e il Clero della Chiesa latina si erano assoggettati per le spese necessarie a guerreggiar Saladino, è il più splendido monumento della rinomanza di questo guerriero, e del terrore che aveva inspirato. Una tal costumanza portava troppo vantaggio ad alcune persone, perchè cessar dovesse col cessar de’ motivi dai quali ebbe origine. Da questo tributo derivano le ricognizioni [p. 441 modifica]e le decime su i beni della Chiesa, ricognizioni e decime che il Pontefice talora concedeva ai Sovrani, talora per gli usi particolari della Santa Sede si riserbava91; e certamente questo tributo pecuniario92 dovette aumentare il fervore che per la liberazione di Terra Santa dimostravano i Papi. Dopo la morte di Saladino, continuarono essi, e per lettere, e col ministerio di missionari e Legati a predicar le Crociate; e lo zelo e l’ingegno d’Innocenzo III al buon esito della pietosa impresa erano favorevoli augurj93. Per opera di questo giovine ed ambizioso Pontefice, i successori di S. Pietro al massimo grado di lor grandezza pervennero; e durante il suo regno di diciotto anni, dominò con dispotica autorità sugli Imperatori e sui Re, che egli creava, a talento suo rimovea, e sulle nazioni che per le colpe dei loro governanti puniva, privandole, interi mesi ed anni, d’ogni esercizio del religioso lor culto. Fu soprattutto nel Concilio di Laterano che Innocenzo si comportò qual sovrano spirituale, e quasi padrone temporale dell’Oriente e dell’Occidente. Ai pie[p. 442 modifica]di del Legato d’Innocenzo, Giovanni d’Inghilterra rassegnò la propria corona; e questo Pontefice potè vantarsi de’ due più segnalati trionfi che sul buon senso e sull’umanità sieno stati riportati giammai, la Transustanziazione posta in dogma94, e le prime fondamenta della Inquisizione da esso gettate.  [A. D. 1203] Alla voce di lui, due Crociate vennero intraprese, la quarta e la quinta; ma eccetto il re d’Ungheria, queste non ebbero che Principi di secondo ordine per comandanti, e trovatesi le forze inferiori all’ampiezza della impresa, i successi alle speranze del Papa e de’ popoli non corrisposero.  [A. D. 1218] I pellegrini della quarta Crociata dimenticarono la Sorìa per Costantinopoli, la conquista della qual capitale operata per l’armi Latine, ne somministrerà l’argomento del seguente Capitolo. Nella quinta Crociata95, dugentomila Franchi sbarcarono alla foce orientale del Nilo: persuasi con assai di ragione che il miglior modo per liberare la Palestina, fosse vincere il Sultano in Egitto, luogo di sua residenza ed emporio di quella dominazione. E veramente, dopo un assedio di sedici mesi, i Musulmani dovettero deplorare [p. 443 modifica]la perdita di Damieta. Ma l’esercito cristiano andò perduto per l’orgoglio e la tracotanza del Legato Pelagio, che a nome del Pontefice, impadronito erasi del comando. I Franchi, estenuati dai morbi epidemici, rinserrati fra l’acque del Nilo e tutte le forze d’Oriente armatesi contro di loro, abbandonarono Damieta, per ottenere la franchigia della ritirata, alcuni concedimenti a favore de’ pellegrini, e la tarda restituzione del legno della vera Croce, monumento, che molta parte di sua autenticità avea perduta. L’infausto esito delle Crociate vuole in parte essere attribuito alla moltiplicità e all’abuso di queste pie spedizioni, che nel tempo medesimo e contra i Pagani della Livonia, e contra i Mori di Spagna e gli Albigesi di Francia, e contra i Re siciliani della famiglia imperiale venivan bandite96. Nelle imprese meritorie del secondo genere poteano gli avventurieri senza uscir dell’Europa ottenere le stesse indulgenze, oltre a ricompense temporali più certe e più ragguardevoli. Laonde i Papi, dal santo loro zelo contro i nemici domestici si lasciarono trasportar sì, che le sciagure de’ Cristiani della Sorìa ponevano in dimenticanza. L’ultimo secolo delle Crociate, mise per un certo tempo all’arbitrio de’ Papi un esercito e una rendita considerabile, onde diversi profondi ragionatori si portarono a sospettare che sin dal tem[p. 444 modifica]po del primo Sinodo di Piacenza, tutte le ridette spedizioni la politica di Roma avesse condotte. Ma nè sulla realtà, nè sulla verisimiglianza, un tal sospetto è fondato. Le apparenze dimostrarono che i successori di S. Pietro secondarono, anzichè regolare l’impulso de’ costumi e delle pregiudicate opinioni di quelle età. Senza aver preveduta la stagione delle messi, senza essersi prese le cure del coltivare, colsero a lor tempo i frutti naturali della superstizione, ricolta che di pericoli e di fatiche per loro fu scevra. Nel Concilio di Laterano, Innocenzo annunziò in termini ambigui il disegno di animare col proprio esempio i Crociati; ma il nocchiero della Santa nave non potea abbandonarne il governale, nè alcun Pontefice romano consacrò colla sua santa presenza le spedizioni della Palestina97.

[A. D. 1228] Assuntisi i Papi la protezione immediata delle persone, delle famiglie, delle sostanze de’ pellegrini, quegli spirituali tutori si arrogarono ben tosto il diritto di regolarne le azioni, e di costringerli a mantenere i carichi che si erano addossati. Federico II98, pronipote di Barbarossa, fu [p. 445 modifica]successivamente il pupillo99, il nemico e la vittima della Chiesa. In età di ventun anni, prese la Croce per non contravvenire ai voleri del suo tutore, Innocenzo III, che alle singole coronazioni, come Re e come Imperatore, lo costrinse a rinovare questa obbligazione; oltrechè il maritaggio da lui contratto colla erede del Re di Gerusalemme, gli imponea per sempre il dovere di assicurar questo regno al proprio figlio Corrado; ma avanzando Federico negli anni, e più ferma vedendo la sua autorità, degli obblighi contratti imprudentemente in giovinezza gli increbbe; e le acquistate cognizioni e l’esperienza instruito aveanlo a disprezzare le illusioni del fanatismo, e le corone dell’Asia. Fattosi minore il rispetto di lui verso i successori d’Innocenzo, il solo disegno di restaurare la Monarchia italiana, dalla Sicilia all’Alpi, l’animo suo ambizioso occupava. Ma il buon successo di tale impresa, ricondotti avrebbe alla semplicità primitiva i Pontefici; i quali tenuti a bada con indugi e scuse per dodici anni, non risparmiarono sollecitazioni e minacce; tanto che indussero il Monarca dell’Alemagna a prefiggere il giorno della sua partenza ai lidi della Palestina. Egli fece allestire ne’ porti della Sicilia e della Puglia una flotta di cento galee e di cento vascelli, costrutti in modo che potessero trasportare e sbarcare facilmente duemila cinquecento cavalieri coi loro cavalli e il loro seguito. Dai vassalli imperiali di Napoli e di Alemagna, levò un poderoso esercito, e la fama portò sino a sessantamila il numero de’ pel[p. 446 modifica]legrini dell’Inghilterra: ma gl’indugi volontarj, o inevitabilmente congiunti a sì immensi apparecchi, estenuarono le vettovaglie e le forze dei più poveri fra i pellegrini; le infermità e le diserzioni l’esercito diradarono, e la state ardente della Calabria anticipò i disastri che a quelle truppe si preparavano nei campi della Sorìa. Finalmente l’Imperatore salpò da Brindisi con una flotta e un esercito di quarantamila uomini. Ma non tenne il mare più di tre giorni, e una precipitosa ritirata, che gli amici di lui a grave infermità attribuirono, venne dai suoi avversarj riguardata, come una volontaria e ostinata inobbedienza ai voleri del Sommo Pontefice. Per avere infranto il suo voto, Federico videsi scomunicato da Gregorio IX, che lo scomunicò una seconda volta nel successivo anno per avere ardito adempire lo stesso voto100; e intanto ch’egli conduceva la Crociata in Palestina, una Crociata bandivasi in Italia contro di lui, e ritornando venne costretto a chieder perdono di ingiurie che unicamente avea ricevute. Gli Ordini militari e il Clero di Palestina, erano stati anticipatamente avvertiti di disobbedirgli, e non farsi lecito il menomo consorzio con un uomo scomunicato. Per ultimo aggravio, l’Imperatore si trovò in mezzo al suo campo, e, ne’ proprj Stati di Palestina, costretto a tollerare che i comandi venissero dati in nome di Dio e della Repubblica cristiana, che del suo nome non fosse fatta menzione. Trionfale fu l’ingresso di Federico in Gerusalemme; e colle proprie mani, perchè niun ecclesiastico a [p. 447 modifica]tale ufizio volle prestarsi, prese la corona posta sull’altare del Santo Sepolcro. Ma il Patriarca lanciò anatema sulla Chiesa, che la presenza di questo Principe avea profanata; e i Templarj e gli Ospitalieri, eglino stessi fecero avvertire il Sultano del momento opportuno a sorprendere ed uccidere Federico in riva al Giordano, ove questi con debole scorta si trasferiva. Circondato in tal guisa da fanatici e da faziosi, non che impossibile cosa l’aspirare a vittorie, gli era persin difficile il provvedere alla propria sicurezza. Ma le discordie de’ Maomettani, e la stima che Federico aveva a questi inspirata, gli fruttarono un Trattato vantaggioso di pace con essi. L’uom percosso dagli anatemi della Chiesa, venne tosto accusato di avere mantenuto coi miscredenti pratiche disdicevoli ad un Cristiano, sprezzata la sterilità del suolo di Palestina, d’essersi lasciati sfuggir dal labbro questi empj detti: „che se Jeova avesse conosciuto il regno di Napoli, non avrebbe scelta la Palestina a retaggio del suo popolo eletto„. Pur questo Federico aveva ottenuta dal Sultano la restituzione di Gerusalemme, di Betlemme, di Nazaret, di Tiro e di Sidone; per esso i Latini divenuti liberi di abitare e fortificare la Città Santa. Fra gli accordi patuiti dal Principe alemanno, eravi una mutua libertà civile e religiosa così pei discepoli di Gesù, come per quelli di Maometto, in conseguenza di che i primi avrebbero ufiziato nella chiesa del Santo Sepolcro; poteano i secondi orare e predicare nella moschea del tempio101, d’onde credevano che [p. 448 modifica]il loro Profeta fosse partito di notte tempo pel viaggio suo verso il Cielo. Contro d’una sì scandalosa tolleranza il Clero si scatenò; i Musulmani, trovandosi ivi i più deboli, vennero in modo quasi insensibile discacciati; e quanto uom ragionevole potea prefiggersi a scopo nelle spedizioni delle Crociate, tutto erasi, senza l’uopo di sparger sangue, ottenuto. Le chiese restaurate, riempiuti di Monaci i conventi; in meno di quindici anni Gerusalemme noverava seimila Latini fra i suoi abitanti. L’invasione de’ selvaggi Carizmj pose fine a questo pacifico e prospero stato102, di cui i Latini non avean saputo nè grado, nè grazia a chi lo avea lor procurato. Abbandonate le rive del mar Caspio, d’onde i Mongui li scacciarono, i pastori Carizmj innondarono la Sorìa, nè la lega de’ Franchi coi Sultani di Aleppo, di Hems e Damasco a rintuzzare l’impeto di costoro bastò. Divenne inutile ogni resistenza, e la morte, o la cattività unicamente ne erano prezzo. Una sola battaglia, pressochè affatto, i militari ordini esterminò. Saccheggiata la città, profanato il Santo Sepolcro, i Franchi dovettero, e confessarlo di propria bocca, augurarsi la disciplina e l’umanità de’ Turchi e dei Saracini. La sesta o settima Crociata imprese vennero da Luigi IX, Re di Francia, che la libertà in Egitto, in Affrica perdè la vita. Ventott’anni dopo la sua morte, Roma lo collocò fra i proprj Santi, e nel medesimo tempo comparvero sessantacinque miracoli, [p. 449 modifica]che solennemente attestati, sembrarono valevole giustificazione agli onori tributati alla memoria di questo Monarca103. Più onorevole testimonianza alle virtù di lui rende lo Storico, presentandoci, in Luigi IX, congiunti i pregi dell’uomo, del Re e dell’eroe; amor di giustizia in esso l’impeto del valor temperò, e mostrossi padre de’ sudditi, amico de’ vicini, terrore degl’Infedeli104. Solo il funesto influsso della superstizione105, talvolta le belle prerogative del suo ingegno e del suo cuore oscurò. Divoto ammiratore de’ frati mendicanti di S. Francesco e di S. Domenico, imitarli non disdegnava; e fattosi con cieco zelo e crudele, persecutore de’ nemici della Fede, il migliore fra i Re, per sostenere la parte di Cavaliere errante, due volte dal proprio trono discese. Se un frate ne avesse scritta la storia, certamente gli avrebbe largheggiato d’encomj per quella parte della sua vita che piuttosto rimproveri meritò; ma il prode e leale Joinville106, che possedè [p. 450 modifica]l’amicizia del suo Monarca, e gli fu nella cattività confratello, ne ha offerta con ingenua imparzialità la pittura così delle virtù, come de’ difetti di questo Principe. Tale storia scritta da un cortigiano, che le segrete mire del proprio Re ben conoscea, ne trae a sospettare che i disegni politici di Luigi IX intendessero ad indebolire la potestà de’ grandi vassalli, disegni politici di cui frequentemente è stata apposta la taccia a tutti i Sovrani, che le Crociate hanno promosse. Luigi IX fu uno tra i Principi del medio evo che con miglior successo si adoperarono a richiamare tutte le sue prerogative alla Corona: ma nel proprio regno, e non nell’Oriente, a sè medesimo e alla sua discendenza siffatti vantaggi cercò. Il voto che lo trasse in pellegrinaggio ebbe origine da una infermità e dal suo entusiasmo. Autore di questa pietosa follìa107 ne fu pur anche la vittima; per correre ad invader l’Egitto, delle sue truppe e dei suoi tesori la Francia stremò; coperse di mille e ottocento vele il mar di Cipro; e i calcoli più [p. 451 modifica]moderati fanno ascendere a cinquantamila uomini il suo esercito. Se noi vogliamo aver fede alla testimonianza medesima di questo Re, testimonianza che la vanità orientale si fece sollecita di divulgare, egli sbarcò novemila cinquecento uomini a cavallo, e centotrentamila fantaccini, che sotto la protezione di esso peregrinarono108.

[A. D. 1249] Luigi, armato di tutto punto e preceduto dall’oriflamma, fu primo a lanciarsi sulla riva, e corso a Damieta, gli atterriti Musulmani, al primo assalto dei Franchi abbandonarono quella città che avea sostenuto un assedio di dodici mesi contra i predecessori di Luigi. Ma fu Damieta la prima, e l’ultima conquista del regal pellegrino; e nella sesta  [A. D. 1249] Crociata, cagioni eguali, e pressochè sul campo medesimo, rinnovellarono le calamità che aveano mandato a vuoto la prima109. Dopo un indugio funesto che introdusse nel campo i germi di un morbo epidemico, i Franchi dalla costa marittima ver la Capitale dell’Egitto innoltratisi, s’accinsero a superare lo straripamento del Nilo che opponevasi ai loro progressi. Innanzi agli occhi dell’intrepido Monarca, que’ baroni e cavalieri diedero alte prove dell’invitto valore che li contraddistingueva, e ad un tempo di quell’indomabile avversione, ad ogni sorta di disciplina, per cui [p. 452 modifica]parimente erano noti. Il conte d’Artois, per un tratto di mal avvisata prodezza, prese d’assalto la città di Massura, e nell’istante medesimo i colombi addestrati all’ufizio di messaggieri, portarono agli abitanti del Cairo l’annunzio che tutto era perduto. Un soldato, fattosi indi usurpatore del trono d’Egitto, i fuggiaschi affrettatamente raccolse e riordinò. Intanto il conte d’Artois, essendosi troppo scostato dal corpo dell’esercito, le sue truppe rimasero sconfitte, privo egli di vita. Mentre i Musulmani non cessavano di rinversare pioggia di fuoco greco sui Franchi, le galee egiziane difendevano il Nilo, gli Arabi tenean la pianura e impedivano ogni arrivo di vettovaglie al nemico: ogni giorno i mali della fame e delle contagioni si rendeano più gravi: finalmente quando inevitabile parve la ritirata, non era più possibile l’eseguirla. Gli Scrittori orientali affermano che S. Luigi avrebbe potuto fuggire, purchè non gli fosse incresciuto di abbandonare i proprj sudditi. Fatto prigioniero, egli e la maggior parte de’ suoi Nobili, tutte le persone inabili a servire, o a procurarsi riscatto, vennero senza pietà trucidate, nel qual momento una fila di teste cristiane il ricinto delle mura del Gran Cairo adornò110.  [A. D. 1250] Lo stesso Re Luigi venne caricato di catene: ma il generoso vincitore, pronipote del fratello di Saladino, inviò all’augusto prigioniero una veste d’onore. Quattrocentomila piastre d’oro e la restituzione di Damieta ottennero la libertà del [p. 453 modifica]Re di Francia e de’ soldati che gli rimanevano111. Gli effeminati discendenti de’ compagni d’armi di Saladino; ammolliti dal lusso e dal clima, non sarebbero già stati di per sè stessi abili a resistere al fiore della cavalleria dell’Europa; e dovettero la vittoria al valore dei loro schiavi o Mammalucchi, robusti figli del Deserto, compri al mercato della Sorìa, e sin dai primi anni allevati in mezzo ai campi e nel palagio del Sultano. Ma non andò guari che l’Egitto offerse un nuovo esempio dei pericoli da temersi da pretoriane coorti, e che la rabbia di queste feroci belve, lanciate dianzi contra i Franchi, si volse allo strazio del proprio loro benefattore. Inorgogliti della vittoria, i Mammalucchi trucidarono Turan-Saw, ultimo rampollo della sua dinastia; indi i più audaci di questi assassini, brandendo la scimitarra, tuttavia grondante del sangue del lor Sultano, nella stanza penetrarono del franco re prigioniero. La fermezza opposta da Luigi costrinse al rispetto costoro112, [p. 454 modifica]e l’avarizia al fanatismo e alla crudeltà impose silenzio. I patti del Trattato vennero adempiuti, e il re di Francia cogli avanzi del proprio esercito, ottenne la libertà di veleggiare ai lidi di Palestina. Quattro anni nella città di Acri ei trascorse, ma senza mai potersi aprire strada per arrivare a Gerusalemme, e sempre ricusando di ritornare privo di gloria alla patria.

[A. D. 1270] Dopo sedici anni di un regno saggio e pacifico, la ricordanza dell’antica sconfitta, eccitò S. Luigi ad imprendere la settima ed ultima Crociata. Tornate in istato fiorente erano le sue rendite; gli Stati suoi aumentati, e risorta in questo intervallo una nuova generazione di guerrieri. Rinnovellatasi parimente in lui la fiducia di migliori successi, posesi in mare, condottiero di seimila uomini a cavallo, e di trentamila fanti. La perdita di Antiochia che fatta aveano i Cristiani, davasi per motivo di una tale spedizione; la bizzarra speranza di amministrare il sacramento del Battesimo al re di Tunisi, indusse il Monarca francese a veleggiare primieramente verso le coste dell’Affrica. La fama sparsa degli immensi tesori che colà racchiudevansi, confortò i Crociati sul ritardo che alla lor peregrinazione opponeasi. Ma in vece di un proselito, il santo esercito trovò in quelle rive un assedio da imprendere. I Francesi nella loro espettazione delusi, in mezzo a quelle arse arene perivano; la morte colpì S. Luigi entro la sua tenda e immediatamente l’erede del trono diede il segno della ritirata113. In cotal guisa, così un ingegnoso scrittore [p. 455 modifica]si esprime, un Re cristiano presso le rovine di Cartagine incontrò la morte facendo guerra ai Musulmani in un paese, ove Didone avea introdotte le divinità della Sorìa114.

[A. D. 1250-1517] Non è lecito l’immaginarsi una costituzione più assurda e tirannica di quella che condanna in perpetuo una nazione a vivere schiava sotto il governo arbitrario di schiavi stranieri. Tale, nondimeno, è stata da oltre cinque secoli la condizione dell’Egitto; in guisa che i più illustri Sultani della dinastia Baarite e Borgite115, derivavano eglino stessi da tartare o circasse tribù, e i ventiquattro Beì, o Capi militari dell’Egitto, hanno sempre avuti per successori, non già i proprj figli, ma i loro servi. Fondano costoro i proprj diritti sul Trattato che Selim I conchiuse con questa repubblica militare, Trattato che riguardano come la Grande Carta di lor libertà116: laonde gl’Imperatori ottomani continuarono d’allora in poi a riscotere unicamente dall’Egitto un lieve tributo, siccome pegno del vassallaggio di questa contrada. La storia delle accennate due dinastie, eccetto brevi intervalli d’ordine e di tranquillità, non presenta che una continua serie di assassinj e mi[p. 456 modifica]sfatti117; ma il trono delle medesime, comunque crollante per sì forti scotimenti, sulla salda base della disciplina e del valor si reggea; laonde governavano e l’Egitto, e l’Arabia, e la Nubia, e la Sorìa; e i Mammalucchi, composti in origine di ottocento uomini di cavalleria moltiplicaronsi fino al numero di venticinquemila: obbedivano in oltre a questi Capi dell’Egitto centosettemila uomini di milizia provinciale, e all’uopo poteano sul soccorso di sessantaseimila Arabi calcolare118. Cosa naturale ella era, che Principi così coraggiosi e di sì considerabili forze invigoriti non avrebbero lungo tempo tollerata tanta prossimità di una nazione independente e nemica, e se l’espulsione assoluta de’ Franchi, di quaranta anni in circa, venne tardata, di questo mezzo secolo d’esistenza ebbero l’obbligazione agl’impacci in cui trovossi la nuova dominazione egiziana ancora mal salda, all’invasione de’ Mongu, ai soccorsi [p. 457 modifica]che da alcuni pellegrini guerrieri agli stessi Crociati venner condotti. Nel novero di tali soccorritori, il leggitore inglese fermerà il guardo sul nome di Eduardo I, che durante la vita del padre suo Enrico, prese la Croce. Capitano di mille soldati, il futuro conquistatore del paese di Galles e della Scozia, costrinse gl’Infedeli a levare l’assedio di Acri, e innoltratosi fino a Nazaret con novemila uomini, emulò la gloria del suo zio Cuor-Di-Leone; con ardite imprese ad una tregua di dieci anni il nemico forzò; e ricco di questi allori, rivide l’Europa a malgrado di un fanatico traditore che pericolosamente il ferì119. Bondocdar, o Bibars, Sultano dell’Egitto e della Sorìa, sorprese e quasi per intero distrusse la città di Antiochia120, trovatasi fino allora, per sua giacitura, meno esposta alle calamità della Santa Guerra. Tal si fu il termine di questo principato; e la prima città conquistata dai Cristiani, videsi spopolata dalla strage di settemila, e dalla cattività di centomila de’ suoi abitanti. Le città marittime di Laodicea, Gabala, Tripoli, Berite, Sidone, Tiro, Giaffa, e le Fortezze degli Ospitalieri e de’ Templarj, si arrendettero successivamente. Il solo possedimento che i Fran[p. 458 modifica]chi serbassero, si stette nella città e colonia di S. Giovanni d’Acri, da alcuni scrittori indicata sotto il nome più classico di Tolomaide.

Dopo la perdita di Gerusalemme, Acri121, lontana circa settanta miglia dalla prima città, divenne la metropoli de’ Latini orientali: di vasti e saldi edifizj la ornarono, di doppio muro la cinsero, un porto artifiziale ivi costrussero. E fuggiaschi, e nuovi pellegrini ne aumentarono la popolazione, mentre il favor della tregua e il sito suo vantaggioso, tutto il commercio dell’Oriente e dell’Occidente vi conduceano. Trovavansi ne’ mercati di Acri le produzioni di ogni clima; gl’interpreti d’ogni lingua vi convenivano; ma un tal miscuglio di tutte le nazioni, tutti i vizj ancora addusse colà, e propagò. Fra quanti eranvi discepoli di Cristo e di Maometto, gli abitatori di Acri d’entrambi i sessi, tutti gli altri in fama di corruttela e dissolutezza passavano, nè le leggi erano a bastanza forti per frenar quivi gli abusi della religione. Parecchi sovrani contava questa città, governo nessuno. I Re di Gerusalemme e di Cipro appartenenti alla Casa di Lusignano, i principi di Antiochia, i conti di Tripoli e di Sidone, i Gran Mastri degli Ordini, ospitaliero, templario e teutonico, le repubbliche di Venezia, di Genova, di Pisa, il Legato del Papa, i Re di Francia e d’Inghilterra, tutti con autorità independente volean dominarvi. Diciassette tribunali giudicavano con diritto di [p. 459 modifica]assolvere e sentenziare a morte; laonde i colpevoli d’un rione si rifuggivano ad un altro, ove non accadea mai che protezione non ottenessero. La gelosia delle diverse nazioni, e violenze, e sanguinosi casi partoria di frequente. Alcuni venturieri disonorando la Croce che difendeano, si trassero per correggere il ritardo de’ loro stipendj a saccheggiare diversi villaggi maomettani. Diciannove mercatanti della Sorìa, che riposandosi nella fede pubblica, faceano tranquillamente il loro traffico, vennero spogliati ed appiccati per opera de’ Cristiani; il Governo de’ quali, negando la giusta soddisfazione chiesta per tale misfatto dal Sultano Kalil, le ostilità di questo principe giustificò. Ei mosse ver la città con sessantamila uomini di cavalleria, e cenquarantamila d’infanteria. Il suo traino di artiglieria, se mi è lecito valermi di questa espressione, era formidabile e numeroso. Vi vollero cento carri per trasportare i pezzi di legno, de’ quali una sola macchina andava composta. Lo storico Abulfeda, che militava nelle truppe di Hamà, fu egli medesimo spettatore di questa santa guerra. Comunque grandi fossero le sregolatezze de’ Franchi, l’entusiasmo e la disperazione animaronli di novello coraggio; ma dilacerati per le discordie de’ diciassette lor Capi, si trovarono da tre bande oppressi dal peso delle forze che conduceva il Sultano.  [A. D. 1291] Dopo un assedio di trentatre giorni, i Musulmani forzarono il doppio muro. Le macchine distrussero la primaria fra le torri d’Acri; e datosi assalto generale dai Mammalucchi, la città venne presa, e sessantamila Cristiani perirono, o divennero schiavi. Il Convento, o a meglio dire la Fortezza dei Templarj, per tre giorni ancor resistè; ma trapassato [p. 460 modifica]da una freccia il Gran Mastro perì, e di cinquecento cavalieri che difendevano quelle mura, soli dieci rimasero in vita; più sfortunati però di coloro che caddero vittime della pugna, poichè il destino più tardi serbavali a patire su feral talamo le conseguenze dell’ingiusto e crudel bando che tutto il loro Ordine fulminava. Il re di Gerusalemme, il Patriarca, e il Gran Mastro dell’Ordine degli Ospitalieri, operarono la loro ritirata verso la riva; ma tempestosa era l’onda, nè il numero delle navi bastante ad accoglierli. Molta mano di fuggitivi annegò prima di aggiugnere l’isola di Cipro, ove Lusignano della perduta Palestina potea consolarsi. Vennero per ordine del Sultano spianate le chiese e le fortificazioni delle latine città; un motivo di timore o di avarizia persuase lasciar libero alla pietà cristiana l’accesso del Santo Sepolcro, libertà di cui alcuni devoti pellegrini d’indi in poi profittarono. Su quel lido, che sì lungo tempo avea rintronato delle querele del Mondo, un lugubre e solitario silenzio regnò122.

fine dell'undecimo volume.

Note

  1. Anna Comnena racconta le conquiste fatte dal padre suo nell’Asia Minore (Alexiad., l. XI, p. 321-325, l. XIV, pag. 419); la guerra di Cilicia contra Tancredi e Boemondo (p. 228-342); la guerra di Epiro con insopportabile ampollosità (l. XII, XIII, pag. 345-406); la morte di Boemondo (l. XIV, p. 419).
  2. Cionnullameno i Re di Gerusalemme ad alcune forme di dependenza si sottomisero; e nelle date delle loro iscrizioni, una delle quali è tuttavia leggibile nella chiesa di Betlem, al proprio nome, quello del regnante Imperatore rispettosamente anteponevano (Dissertat. sur Joinville, XXVII, pag. 319).
  3. Anna Comnena, a compimento della sua favola, aggiunge che venne rinchiuso entro la bara in compagnia del cadavere d’un cuoco, e si degna fare le maraviglie che questo Barbaro abbia potuto sopportare tale imprigionamento e l’odore d’un morto. La ridicola novelletta dai Latini non è conosciuta.
  4. Απο Θυλης, nella geografia bisantina dovrebbe significare Inghilterra. Pure sappiamo, in modo da non dubitarne, che Enrico I non permise a Boemondo il levar truppe dall’Inghilterra (Ducange, Not. ad Alexiad, p. 41).
  5. La copia del Trattato (Alexiad, l. XIII, p. 406-416), è un documento meritevole di curiosità, che per essere inteso bene avrebbe d’uopo della carta del Principato di Alessandria: ma potrebbe anche fornire i dati per disegnarla.
  6. V. nella dotta opera del de Guignes (t. II, part. II) quanto sulla storia de’ Selgiucidi d’Iconium, di Aleppo e di Damasco si è potuto raccogliere dagli autori Greci, Latini, ed Arabi; ma questi ultimi poco istrutti degli affari di Rum si dimostrarono.
  7. Iconium viene citato da Senofonte, come posto fortificato; lo stesso Strabone lo accenna col nome equivoco di Κωμοπολις, Comopoli (Cellarius, t. II, p. 121): nondimeno S. Paolo trova questo sito abitato da una moltitudine πληθος di Ebrei, o Gentili. Abulfeda lo descrive, sotto la corrotta denominazione di Kunigià, come città grande, bagnata da un fiume, ricca di sontuosi giardini, distante tre leghe dalle montagne, e ornata, non so il perchè, dal mausoleo di Platone (Abulfeda, Tabul. XVII, p. 304, vers. Reiske, e l’Index geographicus di Schultens, tolto da Ibn Said).
  8. Come supplimento alla storia della prima Crociata, V. Anna Comnena (Alexiad, l. XI, p. 331 ec.) e il libro ottavo di Alberto d’Aix.
  9. Intorno la seconda Crociata di Corrado III e di Luigi VII, v. Guglielmo di Tiro (l. XVI, c. 18-29), Ottone di Freysingen (l. I, cap. 34-45, 59, 60), Mattia Paris (Hist. Mayor., p 68), Struve (Corpus Hist. Germanicae, p. 372, 373), Scriptores rerum Franc., del Duchesne, t. IV; Niceta, in Vit. Manuel, l. I, c. 4, 5, 6, pag. 41-48; Cinnamo (l. II, p. 41-49).
  10. Intorno alla terza Crociata di Federico Barbarossa V. Niceta in Isacco l’Angelo (l. II, cap. 3-8, pag. 257-266), Struvio (Corpus Hist. Ger. p. 414), e due istorici che probabilmente furono spettatori: Taginone (in Script. Freher., t. I, p, 406-416, ediz. Struvio) e l’Anonimo de Expeditione Asiatica, Fred. 1 (in Canisii antiquit. Lection., t. III, part. II, p. 498-526, ediz. Basnage).
  11. Anna Comnena che pone di quarantamila uomini a cavallo e di centomila fanti il numero di questi migrati, li chiama Normanni, e assegna loro per condottieri i due fratelli di Fiandra. I Greci erano in singolarissima guisa ignoranti sui nomi delle famiglie e de’ possedimenti de’ Principi latini.
  12. Guglielmo di Tiro e Mattia Paris contano in ciascun esercito settantamila loricati.
  13. Il Cinnamo cita questo conto imperfetto (εννενηκοντα μυριαδες, novecentomila), che Odone di Diogile presso il Ducange (ad Cinnamum) riduce alla esattezza col profferire un numero di novecentomila cinquecentocinquantasei individui. Perchè dunque la traduzione e il comentario si stanno al calcolo non compiuto di novecentomila? Goffredo di Viterbo esclama (Pantheon, p. 19 Muratori, t. VII, p. 462).

    – Numerum si poscere quaeras,
    Millia millena milites agmen erat?

  14. Questo stravagante calcolo è di Alberto di Stade (V. Struvio, p. 414). Il mio è tolto da Goffredo di Viterbo, da
  15. Mi è d’uopo notare che nella seconda e nella terza Crociata, i Greci e gli Orientali chiamano i sudditi di Corrado e di Federico Alamanni. I Lechi o Tzechi del Cinnamo sono i Polacchi e i Boemi; questo autore conserva ai Francesi l’antica denominazione di Germani. Cita ancora i Βριταονοο Britanni o Βριττο, Britti.
  16. Niceta, tuttavia fanciullo ne’ giorni della seconda Crociata, durante la terza, difese contro i Franchi la rilevante piazza di Filippopoli. Cinnamo non respira che orgoglio e parzialità di nazione.
  17. Niceta biasima la condotta tenutasi dagli abitanti di Filadelfia, intanto che l’anonimo Alemanno accusa i proprj compatriotti (culpa nostra). Sarebbe da augurarsi che solamente contraddizioni di questo genere la Storia offerisse. Gli è ancora da Niceta che sappiamo il pio dolore, e gli umani sentimenti dimostrati da Federico.
  18. Χθαμαλη εδρα, bassa sedia, vocabolo che il Cinnamo traduce in latino come se fosse un sinonimo di Σεδδιον, sella. Il Ducange si adopera a tutt’uomo per coonestare questa circostanza umiliante pel suo Sovrano e per la sua patria (sur Joinville, Dissert. 27; pag. 317-320). In appresso Luigi insistè per un parlamento, in mari ex aequo, e non ex equo, come fu scioccamente in alcuni manoscritti copiato.
  19. Ego Romanorum imperator sum, ille Romaniorum (Anonimo Canis. pag. 512). Lo stile pubblico e storico dei Greci era Ρεξ Rex o princeps; però il Cinnamo riguarda come sinonimi Ιμπερατορ, Imperatore e Re Βασιλευς.
  20. V. nell’Epistole di Innocenzo III (13, p. 184), e nella Storia di Boadino (pag. 129, 130) quali fossero su di un tal genere di tolleranza le opinioni di un Papa e quelle di un Cadì.
  21. Come conti di Vexin, i re di Francia prestavano omaggio di vassalli al monastero di S. Dionigi, e riceveano dall’Abate la bandiera del Santo, che era di forma quadrata, e di colore rosso fiammeggiante (flamboyant); e dal duodecimo fino al quindicesimo secolo l’oriflamma sempre innanzi ai francesi eserciti sventolò (Ducange sur Joinville, Dissert. 18, p. 244-253).
  22. I materiali delle storie francesi della seconda Crociata si trovano nell’Opera Gesta Ludovici VII, pubblicata nel decimoquarto volume dalla Raccolta del Duchesne. Questo volume medesimo contiene molte lettere originali del Re, del ministro Suger ec., documenti i più autentici fra quanti la Storia ne somministri.
  23. Terram horroris et salsuginis, terram siccam, sterilem, inamaenam (Anonim. Canis., p. 517). Modo di esprimersi enfatico e confacevole all’uom che soffriva.
  24. Gens innumera, sylvestris, indomita, praedones sine ductore; in somma tal genia d’uomini che lo stesso Sultano di Cogni potea sinceramente allegrarsi della lor distruzione (Anon. Canis., p. 517, 518).
  25. V. nello Scrittore anonimo della Raccolta di Canisio, in Taginone e Boadino (vit. Saladin. p. 119 e 120) la condotta ambigua tenutasi da Kilidge Arslan, sultano di Cogni, che detestava e temeva nel modo medesimo Saladino e Barbarossa.
  26. Il vezzo di mettere in paralello due grandi uomini, ha tratti molti scrittori a credere, o almeno a voler sostenere, che Federico annegò nel Cidno, famoso per la morte di Alessandro che imprudentemente vi prese un bagno (Q. Curt., l. III, c. 4, 5). Ma la strada tenuta dall’imperatore Barbarossa, m’induce piuttosto a pensare che il Saleph sia tutto un fiume col Calicadno, riviera men rinomata del Cidno, ma nel suo corso più lunga.
  27. Marino Sanuto mette per principio (A. D. 1321) quod stolus Ecclesiae per terram nullatenus est ducenda; e coll’attribuire a straordinario soccorso celeste il buon esito della prima Crociata, distrugge l’obbiezione, che questa alla massima da esso annunziata opporrebbe (Secreta fidelium crucis, l. II, pars II, c. 11, p. 37).
  28. Ma questo sepolcro era quello di Gesù Cristo, riguardato da’ Crociati, come una cosa preziosissima(*). (N. di N. N.).
    (*): Alla pia osservazione dell’Autore di queste note un’altra ne aggiugneremo, filosofica semplicemente. I Crociati, e massimamente i loro condottieri, non erano dalla sola pietà guidati a queste imprese, ma dal desiderio di conquistare ricchezze e novelli regni, come lo stesso sig. Gibbon ha osservato nel precedente capitolo. L’esperienza poi delle sciagure de’ predecessori non poteva essere di tanto peso, massimamente ne’ secoli della cavalleria, per uomini ardentissimi di gloria militare, avvezzi a non calcolare, può dirsi, nulla la vita sol che vedessero una lontana speranza di superare ostacoli da niuno ancor superati. Forse minori pericoli non disprezzavano, e non disprezzano tuttavia, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, quegli arditi naviganti, che, avidi di trovare nuove terre, nuovi animali, nuove meteore, affrontano incogniti fondi, furor di selvaggi, e mostri, e fame, e mari di diaccio. (Nota dell’Editore).
  29. I più autentici schiarimenti intorno a S. Bernardo si trovano ne’ suoi scritti medesimi pubblicati nella edizione corretta del padre Mabillon, e ristampati a Venezia nell’anno 1750 in sei volumi in-folio. Tutto quanto l’affezione personale ha potuto raccogliere, tutto quanto la superstizione è stata capace di aggiungere, trovasi nelle due vite di questo Santo, composte da’ suoi discepoli, nel sesto volume. Tutto ciò che l’erudizione e la sana critica possono ammettere, leggesi nelle Prefazioni degli Editori benedettini.
  30. Chiaravalle, detta la valle di Assinto, è situata nelle foreste vicino a Bar di Aube, nella Sciampagna. S. Bernardo arrossirebbe oggidì al vedere il lusso della sua Chiesa; cercherebbe la biblioteca, nè rimarrebbe molto edificato trovando un tino di capacità eguale ad ottocento botti, quasi somigliante a quello di Eidelberga. (Mélanges d’une grande Bibliothèque, t. XLVI, p. 15-20).
  31. Secondo l’Autore il carattere di Santo non è interamente combinabile colla ragione e coll’umanità. Ma il vocabolo Santo, altro non vuol dire, che buono, nel suo senso generale, applicabile a qualunque uomo, di qualunque nazione, e religione; e l’uomo buono pensa, ed opera secondo la ragione, e l’umanità; dunque non è vero essere il carattere di Santo in generale, e nel suo vero significato non combinabile colla ragione, e coll’umanità. Riferendo poi l’Autore il vocabolo Santo ai Cristiani, fra’ quali era S. Bernardo, avverta il lettore, che vie più, quando veramente lo meritino, il vocabolo Santo è, loro bene applicato nel suo vero senso, inseparabile dall’uso della ragione, e dai sentimenti di umanità: nè varrebbe l’opporre alcuni fatti di zelo eccessivo e condannevole. (N. di N. N.).
  32. I discepoli del Santo (vit. prima, l. III, c. 2, p. 1232; vit. secunda, c. 16, n. 45, p. 1383) raccontano un esempio sorprendente della pietosa apatia del loro maestro. Juxta lacum etiam Lausannensem totius diei itinere pergens, penitus non attendit, aut se videre non vidit. Cum enim vespere facto, de eodem lacu socii collequerentur, interrogabat eos ubi lacus ille esset; et mirati sunt universi. Per farsi idea del senso che una tal distrazione di S. Bernardo dovea eccitare, vorrei che il leggitore avesse, come io in questo momento, dinanzi alle finestre della sua Biblioteca, la deliziosa prospettiva di un sì ammirabil paese.
  33. Ottone di Freysingen, l. I, c. 4; S. Bernardo, epist. 363, ad Francos orientales, Opp., t. I, pag. 328; vit. prima, l. III, c. 4, t. VI, p. 1235.
  34. Mandastis et obedivi .... multiplicati sunt super numerum; vacuantur urbes et castella; et pene jam non inveniunt quem apprehendant septem mulieres unum virum; adeo ubique viduae vivis remanent viris (S. Bern. epist. pag. 247).
  35. Quis ego sum ut disponam acies; ut egrediar ante facies armatorum, aut quid tam remotum a professione mea, si vires, si peritia, ec. (Epist. 256, t. I, pag. 259). Parla con disprezzo di Piero l’Eremita, vir quidam (ep. 363).
  36. Sic dicunt forsitan isti, unde scimus quod a Domino sermo egressus sit? Quae signa tu facis ut credamus tibi? non est quod ad ista ipse respondeam; parcendum verecundiae meae, responde tu pro me, et pro te ipso, secundum quae vidisti et audisti, et secundum quod te inspiraverit Deus. (Consolat., lib. II, cap. 1, Opp., tom. II, p. 421-423).
  37. V. le testimonianze, in vit. prima, l. IV, c. 5, 6, Opp., l. VI, p. 1258-1261, l. VI, c. 1-17, p. 1286-1314.
  38. Filippo, arcidiacono di Liegi, che accompagnava S. Bernardo ha composta una narrazione de’ miracoli che attribuivansi a questo Santo, e che, stando al detto del narratore, non erano meno di trentasei al giorno (Fleury, Hist. eccles. l. LXIX, n. 16). (Nota dell’Editore).
  39. I Miracoli di S. Bernardo, senza entrare nell’esame delle particolarità del loro numero, della loro qualità, e delle loro circostanze, furono creduti; ma oggidì pei progressi delle cognizioni si distinguono gli effetti delle cause naturali, da quelli di una soprannaturale; e la filosofia mostra come sieno da separarsi le illusioni della calda immaginazione e della prevenzione, dalla realità, o l’imposture dalle verità. Molti luoghi poi di S. Bernardo, e specialmente quello sic dicunt farsitanae mostrano la sua abilità nell’arte rettorica. La grandissima prevenzione del popolo a di lui favore, doveva rendere sempre vittoriosa la di lui facondia, che tutti i popoli spingeva alla crociata in Palestina, onde ne venivano disertate le province. Oggidì la facondia di S. Bernardo non produrrebbe alcun effetto. (Nota di N. N.).
  40. Abul-Mahazen, presso il De Guignes, Histoire des Huns, t. II, part. II, p. 99.
  41. V. l’articolo Sangiar nella Biblioteca orientale del d’Herbelot, e il de-Guignes (t. II, part. 1, pag. 230-261). Per suo splendente valore, fu soprannomato dagli Orientali il secondo Alessandro, e tanto fu l’eccesso dell’affetto de’ sudditi verso di lui, che per un anno intiero dopo la sua morte, continuarono pel Sultano le lor preghiere. Però Sangiar potrebbe essere caduto prigioniero così de’ Cristiani, come degli Uzj. Regnò cinquant’anni all’incirca (A. D. 1103-1152), e si mostrò proteggitor generoso ai poeti della Persia.
  42. L’Autore della Zaira avea del certo presente all’animo questo stato politico dell’Oriente in que’ giorni, quando facea dire ad Orosmano:

    „Mais la mollesse est douce, et sa suite est cruelle.
    Je vois autour de moi cent rois vaincus par elle,
    Je vois de Mahomet ces lâches successeurs,
    Ces califes tremblans dans leur triste grandeur,

    Couchés sur les debris de l’autel et du trone,
    Sous un nom sans pouvoir languir dans Babylone;
    Eux qui seraient encore, ainsi que leurs ayeux,
    Maîtres du monde entier, s’ils l’avoient été d’eux.
    Bouillon leur arracha Solyme et la Syrie;
    Mais bientôt, pour punir une secte ennemie,
    Dieu suscita le bras du puissant Saladin ec.„

    (Nota dell’Editore).

  43. V. la Cronologia degli Atabek di Yrak e della Sorìa nel De Guignes, t. I, p. 254, e nello stesso autore (t. II, part. 2, p. 147-221) i regni di Zenghi e di Noraddino, da esso descritti valendosi del testo arabo di Benelatir, Ben-Sciunà e Abulfeda; la Biblioteca orientale, agli articoli, Atabek e Noradinno; e le dinastie di Abulfaragio (p. 250-267, vers. Pocock).
  44. Guglielmo di Tiro (l. XVI, capo 4, 5-7) racconta la presa di Edessa, e la morte di Zenghi. Il nome di Zenghi corrotto e trasformato in Sanguino somministra ai Latini materia di una goffa allusione e all’indole del medesimo, che essi fanno sanguinaria, e al suo misero fine: Fuit sanguine sanguinolentus.
  45. Noradinus (dice Guglielmo di Tiro, lib. XX, 33) maximus nominis et fidei christianae persecutor; princeps tamen justus, vafer, providus, et secundum gentis suae traditiones religiosus. Possiamo aggiungere a questa autorità di un Cattolico, quella d’un primate de’ Giacobiti (Abulfaragio, p. 267). Quo non alter erat inter reges vitae ratione magis laudabili: aut quae pluribus justitiae experimentis abundaret. Fra gli elogi fatti ai Re, i più meritevoli di fede sono quelli che questi ottengono dopo morte, e dal labbro stesso dei loro nemici.
  46. Fondato su i racconti dell’Ambasciatore, Guglielmo di Tiro (l. XIX, cap. 17, 18) descrive il palazzo del Cairo. Vennero trovati nel tesoro del Califfo una perla grossa quanto un uovo di colombo, un rubino che diecisette dramme d’Egitto pesava, uno smeraldo lungo un palmo e mezzo, e grande numero di cristalli e di porcellane della Cina (Renaudot, p. 536).
  47. Mamluc, al plurale Mamalic. Pocock (Proleg. ad Abulfaragio, pag. 7), e d’Herbelot, pag. 545, definiscono il Mamluc, servum emptitium, seu qui pretio numerato in domini possessionem cedit. Vediamo di frequente i Mammalucchi nelle guerre di Saladino (Bohadin, pag. 236). I primi Mammalucchi introdotti dai discendenti di Saladino nell’Egitto, furono i Mammalucchi Bahartie.
  48. Giacomo di Vitry pretende che il re di Gerusalemme non avesse condotto con sè più di trecentosettantaquattro cavalieri. Tanto i Franchi, quanto i Musulmani, attribuiscono la superiorità di numero al nemico: i quali due calcoli si possono conciliare sottraendo in un d’essi i timidi Egiziani, nell’altro sommandoli.
  49. Si parla qui di Alessandria degli Arabi, che, quanto ad estensione e ricchezze, può riguardarsi termine medio fra l’Alessandria de’ Greci e de’ Romani, e l’Alessandria de’ Turchi (Savary, Lettres sur l’Egypte, t. I, p. 25, 26).
  50. Intorno a questa grande rivoluzione dell’Egitto, V. Guglielmo di Tiro (l. XIX, 5, 6, 7-12-31, XX, 5-12), Boadino (in vit. Saladin. pag. 30-39), Abulfeda (in excerpt., Schultens, p. 1-12), d’Herbelot (Bibl. orient. Adhed, Fathema, ma vi è poca esattezza), Renaudot (Hist. patr. Alex., pag. 522-525, 532-537), Vertot (Hist. des chevaliers de Malte, t. I, p. 141-163, in 4) e de Guignes (t. II, part. II, p. 185-215).
  51. Quanto ai Curdi, V. de Guignes (t. I, p. 416, 417), l’Indice geografico di Schultens, e Tavernier (Voyages, part. I, p. 308-309). Gli Aiubiti discendeano dalla tribù dei Ravadici, una fra le più nobili; ma essendo infetti della eresia delle Metempsicosi, i Sultani ortodossi procuravano farli credere non derivati dai Curdi, se non se per parte della madre che avesse sposato uno straniero stanziatosi fra queste genti.
  52. V. il quarto libro dell’Anabasis di Senofonte. I diecimila ebbero più a dolersi delle frecce de’ Carduchiani che di tutto il rimanente dell’esercito del gran Re.
  53. Dobbiamo al professore Schultens i materiali i più autentici e preziosi intorno alla vita di Saladino; e sono: la vita di questo principe, composta dal suo ministro ed amico, il Cadì Boadino; numerose compilazioni della storia composta dal parente di Saladino, principe Abulfeda di Hamà. Aggiugneremo a questi l’articolo Salahaddin della Biblioteca orientale, e quanto è possibile il raccogliere dalle Dinastie di Abulfaragio.
  54. Poichè il medesimo Abulfeda era un Aiubita, gli si dee merito, d’avere, almeno col suo silenzio, professata la modestia del fondatore.
  55. Hist. Hieros., nell’Opera Gesta Dei per Francos, (pag. 1152). Trovasi un esempio di simil fatta nel Joinville (pag. 42, ediz. del Louvre); ma il pietoso S. Luigi ricusò agl’Infedeli l’onore di ammetterli a far parte di un Ordine cristiano (Ducange, Observ. p. 70).
  56. A tutti i titoli degli Arabi fa d’uopo sottintendere sempre l’aggiunto religionis. Noraddino lumen r.; Ezodino, decus r.; Amaduddino, columen r.; il nome proprio del nostro eroe era Giuseppe, e venne soprannomato Salahaddin, Salus r.; Al Malicus, Al-Nasirus, rex defensor r.; Abu-Modafir, pater victoriae r.; (Schultens, prefazion.).
  57. Abulfeda, nipote ex-fratre di Saladino, osserva, citandone molti esempj, che i fondatori delle dinastie assumono sopra sè medesimi il delitto, o il biasimo, e ne lasciano il frutto ai loro innocenti collaterali (Excerpt. p. 10).
  58. V. la vita e il carattere di Saladino nel Renaudot (p. 537-548).
  59. Boadino, testimonio oculare, e divoto di buona fede, esalta nel suo primo capitolo le virtù civili e religiose di Saladino.
  60. L’ignoranza e de’ nativi dell’Egitto, e de’ viaggiatori, al proposito di molte di queste fondazioni, e particolarmente del Castello del Cairo e del pozzo di S. Giuseppe, ha confuse insieme le opere del Sultano e del Patriarca.
  61. Anon. Caris. t. III, parte 2, p. 504.
  62. Boadino, p. 129-130.
  63. Intorno al regno latino di Gerusalemme V. Guglielmo di Tiro, (l. IX-XXII), Giacomo di Vitry (Hist. Hieros., l. I) e Sanuto (Secreta fidelium crucis, lib. III, part. VI, VII, VIII, IX).
  64. Templarii ut apes bombabant, et Hospitalarii ut venti stridebant, et barones se exitio offerebant et Turcopoli (le truppe leggiere de’ Cristiani) semetipsi in ignem injiciebant (Ispahani de expugnatione Kudsitica, p. 18, presso Schultens). Questo saggio di araba eloquenza è diverso alquanto dallo stile di Senofonte.
  65. I Latini affermano che Raimondo avea tradito i Cristiani; gli Arabi lo danno a credere; ma se di questi, egli avesse abbracciata la religione, sarebbe stato posto dai Maomettani nel novero de’ loro Santi ed eroi.
  66. Rinaldo, Reginaldo, o Arnoldo di Castiglione, è celebre fra i Latini così per la sua vita, come la sua morte, le cui circostanze vengono chiaramente raccontate da Boadino e da Abulfeda. Joinville nella storia di san Luigi (p. 70) racconta un’usanza di Saladino, cioè di non commettere mai a morte un prigioniero, al quale avesse offerto pane e sale. Alcuni fra i compagni di Arnoldo caddero trucidati, e può dirsi sagrificati nella valle della Mecca, ubi sacrificia mactantur (Abulfeda pag. 32).
  67. Vertot che ne ha offerto un racconto ben fatto della caduta del regno e della città di Gerusalemme (Histoire des chevaliers de Malte, t. I, l. II, p. 226-278) a tal proposito ha aggiunte due lettere originali di un Templario.
  68. Renaudot, Hist. patr. Alex. p. 345.
  69. Il teologo risponde, che i peccati dei Crociati, già descritti dall’Autore, tolsero loro l’aiuto di Gesù Cristo, e cagionarono la loro intera rovina, estesa sopra alcuni milioni d’uomini, malgrado i meriti dell’impresa. (Nota di N. N.).
  70. Il culto delle Immagini bene considerato non è idolatria. (Nota di N. N.).
  71. In quanto riguarda la conquista di Gerusalemme, Boadino (p. 67-76) e Abulfeda (p. 40-43) sono le nostre autorità maomettane. Fra gli storici Cristiani, Bernardo il Tesoriere (c. 151-157) è il più abbondante di particolarità, ed il più autentico. V. anche Mattia Paris (p. 120-124).
  72. Intorno agli assedj di Acri e di Tiro ampie nozioni possono ottenersi da Bernardo il Tesoriere (De acquisit. Terrae Sanctae, c. 167-179), dall’Autore della Hist. Hieros. (p. 1150-1172), dal Bongars e d’Abulfeda (pag. 43-60), e da Boadino (p. 75-179).
  73. Mi sono tenuto al racconto più saggio e più verisimile di un tal fatto. Il Vertot ammette senza esitare una novella romanzesca, giusta la quale il vecchio Marchese trovasi di fatto esposto ai dardi degli assediati.
  74. Northmanni et Gothi, et coeteri populi insularum, quae inter Occidentem et Septentrionem positae sunt, gentes bellicosae, corporis proceri, mortis intrepidae, bipennibus armatae navibus rotundis quae Ysnachiae dicuntur advectae.
  75. Lo Storico di Gerusalemme (p. 1108) aggiugne le nazioni dell’Oriente dal Tigri all’Indo, e le tribù de’ Mauri e dei Getuli; di modo che l’Asia e l’Affrica combatteano contra l’Europa.
  76. Boadino (pag. 180) e gli storici Cristiani non negano, nè disapprovano questa carnificina. Alacriter jussa complentes (i soldati inglesi), dice Goffredo di Vinisauf (lib. IV, c. 4, p. 346), e calcola di duemilasettecento il numero delle vittime. Roberto Hoveden pretende sieno state cinquemila (p. 697, 698). Fosse umanità, o avarizia, Filippo Augusto si piegò a restituire ai suoi prigionieri la libertà, mediante un riscatto (Giacomo di Vitry, l. I, c. 98, p. 1122).
  77. Boadino, p. 14. Egli cita la sentenza di Baliano e del principe di Sidon, aggiugnendo: ex illo mundo quasi hominum paucissimi redierunt. Fra i nomi de’ Cristiani periti sotto le mura di Acri, trovo quelli degl’Inglesi, Ferrers, conte di Derby (Dugdale, Baronnage, part. I, p. 260), Mowbray (idem., p. 124); Mandevil, Fiennes, S. John, Scrope, Pigot, Talbot ec.
  78. Magnus hic apud eos, interque reges eorum tum virtute, tum majestate eminens.... summus rerum arbiter (Bohadin, p. 159). Non sembra che questo Storico abbia conosciuti i nomi di Filippo o di Riccardo.
  79. Rex Angliae praestrenuus....... rege Gallorum minor apud eos censebatur, ratione regni atque dignitatis; sed tum divitiis florentior, tum bellica virtute multo erat celebrior (Bohadin, p. 161). È lecito ad uno straniero l’ammirare queste ricchezze; ma i nostri Storici avrebbero potuto raccontare a Boadino quali angherie, quali funeste depredazioni erano state usate per ammassarle.
  80. Joinville (p. 17). ,,Guides-tu que ce soit le roi Richard?,,
  81. Egli era nondimeno colpevole di un tal delitto agli occhi de’ Musulmani, i quali attestano che gli assassini confessarono essere stati inviati dal Re d’Inghilterra (Bohadin p. 225); mentre la difesa del re è tutta fondata sopra una supposizione evidentemente assurda (Hist. de l’Acad. des inscript., t. XVI, p. 155-163), sopra una pretesa lettera del Capo degli assassini, lo Sceik, o Vecchio della Montagna, che giustificava Riccardo, assumendo sopra di sè il biasimo, o il merito di un tale assassino.
  82. V. gli estremi a cui Saladino era ridotto, e la pia fermezza dell’animo suo nella descrizione fattane da Boadino (p. 7-9, 235-236), che aringò egli stesso i difensori di Gerusalemme; l’atterrimento loro non era pei nemici un mistero (Giacomo di Vitry, l. I, c. 100, p. 1123, Vinisauf, l. V, c. 50, p. 399).
  83. Pure a meno che il Sultano o un principe Aiubita non fosse rimasto entro Gerusalemme, nec Curdi Turcis, nec Turci Curdis essent obtemperaturi (Boadino p. 237). Qui lo Storico solleva una falda del velo politico.
  84. Boadino (pag. 237) e lo stesso Goffredo di Vinisauf (l. VI, c. 1-8, pag. 403-409) attribuiscono allo stesso Riccardo la ritirata, e Giacomo di Vitry nota che per l’impazienza di partire in alterum virum mutatus est (pag. 1123). Nondimeno Joinville, cavalier francese, ne dà colpa alla gelosia d’Ugo, Duca di Borgogna (p. 116), senza supporre, come Mattia Paris, che questi si fosse lasciato corrompere dall’oro di Saladino.
  85. Boadino (p. 184-249) e Abulfeda (p. 51, 52) raccontano le spedizioni di Giaffa e di Gerusalemme. L’autore dell’Itinerario, ossia il monaco di S. Albano, non può, in ordine alle prodezze di Riccardo, aggiungere alcuna cosa al racconto che di queste ha fatto il Cadì (Vinisauf, l. VI, c. 14-24, p. 412-421); Hist. major., p. 137-143. In tutta questa guerra è singolare un accordo che regna fra i Cristiani ed i Maomettani, quello cioè di esaltarsi per valore scambievolmente.
  86. V. il progresso delle negoziazioni e delle ostilità in Boadino (p. 207, 260), che ebbe parte egli stesso nella conclusione del Trattato. Riccardo manifestò l’animo suo di ritornare con nuovi eserciti a compire la conquista di Terra Santa, alla quale minaccia Saladino con un cortese complimento rispose (Vinisauf, l. VI, c. 28, p. 423).
  87. Fra i racconti che abbiamo di cotesta guerra, il meglio spiegato trovasi nell’Opera originale di Goffredo di Vinisauf, Itinerarium regis Anglorum Richardi et aliorum in terram Hierosolimarum, diviso in sei volumi. Lo stesso racconto trovasi per esteso nel secondo volume di Gale (Scriptores Hist. Anglicanae, p. 247-429). Anche Ruggero Hoveden e Mattia Paris somministrano utili materiali a tale storia: il primo di essi ne dà a conoscere con molta esattezza lo stato di navigazione e la disciplina della flotta inglese in que’ tempi.
  88. Così Saladino denominava il culto de’ Cristiani; nè un Maomettano era obbligato a distinguere dall’Idolatria la venerazione che i Cattolici romani prestano alle Immagini de’ Santi. Non mi fermo su questo argomento per averne già parlato a lungo nelle note precedenti (Nota di N. N.).
  89. Anche il Vertot (t. I, p. 251) ammette in questa ridicola favola della indifferenza religiosa di Saladino; di quel Saladino che fino all’ultimo respiro rigidamente professò l’Islamismo.
  90. V. la genealogia degli Aiubiti in Abulfaragio (Dynast., p. 277 ec.), le Tavole del de Guignes, la Art de vérifier les dates, e la Bibl. orient.
  91. Il Thomassin (Discipline de l’Eglise, t. III, p. 311-374) ha esaminato partitamente l’origine, gli abusi e le restrizioni di queste decime. Venne sostenuta per qualche tempo una opinione che facea le decime di legittimo diritto del Papa, come la decima del decimo de’ Leviti dovuta al gran Sacerdote, o Pontefice (Selden, sulle Decime: V. le sue Opere, vol. III, parte II, p. 1083).
  92. Il principale scopo de’ Papi, come risulta dalle loro lettere, fu il togliere a’ Maomettani Gerusalemme, ed il sepolcro di Gesù Cristo. (Nota di N. N.).
  93. V. Gesta Innocentii III, nel Muratori, Script. rerum ital., t. III, part. I, p. 486-568.
  94. Le massime affatto erronee dell’Autore protestante in ordine a questa materia, sono già state confutate nelle precedenti note (Nota di N. N.).
  95. V. la quinta Crociata e l’assedio di Damieta in Giacomo di Vitry (l. III, p. 1125-1149), in Bongars, testimonio oculare (Gesta Dei), in Bernardo il Tesoriere, contemporaneo (Script. Muratori, t. VII, p. 825-846, c. 190-207), in Sanuto, laborioso compilatore (Secreta fidel. crucis, l. II, parte XI, cap. 4-9); e fra gli Arabi in Abulfaragio (Dinast., p. 294) e nella fine dell’Opera del Joinville, pag 533-537, 540-547, ec.
  96. A coloro che presero la Croce contro Manfredi, il Papa (A. D. 1255) concedè plenissimam peccatorum remissionem. Fideles mirabantur quod tantum eis promitteret pro sanguine Christianorum effundendo, quantum pro cruore infidelium aliquando. (Mattia Paris, pag. 785). Era già un ragionar molto nel secolo decimoterzo.
  97. Questa semplice idea è conforme al retto sentire del Mosheim (Inst. Hist. eccl., p. 332), e alla illuminata filosofia dell’Hume (Storia d’Inghilterra, v. I, p. 330).
  98. Per rinvenire i materiali di cui la storia della Crociata di Federico II è composta, vogliono essere consultati Riccardo di S. Germano nel Muratori (Script. rer. ital. t. VII, p. 1002-1013) e Mattia Paris (p. 286-291, 300-302, 304). I più ragionevoli fra i moderni sono Fleury (Hist. eccles., t. XVI), Vertot (Chev. de Malte, t. I, l. III), Giannone (Ist. Civ. di Napoli, t. II, l. XVI) e Muratori (Annali d’Italia, t. X).
  99. Non della Chiesa, ma della Corte di Roma. (Nota di N. N.).
  100. Il buon Muratori sa ben che pensare, ma non che dire a tale proposito; Chino qui il capo ec. (p. 322).
  101. Il clero confuse ad arte la moschea ossia la chiesa del Tempio col Santo Sepolcro, errore volontario, che ha tratti in inganno il Vertot e il Muratori.
  102. L’Invasione de’ Carizmj, o Corasmini viene narrata da Mattia Paris p. 546, 547, dal Joinville, da Nangis e dagli storici Arabi.
  103. Leggete, se ne avete il coraggio, la vita e i miracoli di S. Luigi, scritti dal confessore della regina Margherita (Joinville, p. 291-523, ediz. del Louvre).
  104. Egli credea tutto quello che la Santa Madre Chiesa insegnava (Joinville p. 10); ma dava per avvertimento a Joinville di non entrare in dispute di religione cogl’Infedeli: „L’homme lay (diceva egli nel suo vecchio linguaggio), quand il ot médire de la loi chrestienne, ne doit pas deffendre la loi chrestienne, ne mais que de l’espée, de quoi il doit donner parmi le ventre dedens, tant camme elle y peut entrer„ (p. 12).
  105. Non è da dirsi superstizione la premura ch’ebbe S. Luigi IX di togliere a’ Maomettani Gerusalemme. (Nota di N. N.)
  106. Possedo due edizioni di Joinville, l’una di Parigi dell’anno 1668, utilissima per le unitevi osservazioni del Ducange, l’altra di Parigi, del Louvre, 1761, preziosa per la purezza e autenticità del testo, il cui manoscritto è stato recentemente scoperto. L’ultimo editore afferma che la storia di S. Luigi fu terminata nell’anno 1309; senza però offerire su di ciò schiarimenti, nè tampoco mostra sorpresa sull’età dell’autore che, in tale supposizione, dovrebbe avere oltrepassati i 90 anni (Pref., p. XI, Obs. Ducange, p. 17).
  107. Bastava dire, che oggidì per prudenza, per amore dell’umanità, per riguardo alla Sovranità del Gran Signore non s’intraprenderebbe la guerra di Palestina; l’entusiasmo non è sì caldo oggidì, e si ragiona alcun poco. (Nota di N. N.)
  108. Joinville, p. 32; Extraits arabes, p. 549.
  109. Gli ultimi editori di Joinville hanno arricchito il loro testo di molte cose meritevoli di erudita curiosità, e tolte dagli Arabi Macrizi; Abulfeda ec. V. anche Abulfaragio (Dyn. p. 322-325) che per barbarismo chiama il Re de’ Francesi Redefrans; Mattia Paris (p. 683, 684) ne ha dipinte le folli gare de’ Francesi e degl’Inglesi che a Massura combattettero e vi trovarono la morte.
  110. Il Savary nelle sue dilettevoli lettere intorno all’Egitto ne ha presentata una descrizione di Damieta (t. I, lettera XXIII p. 274-290), e un racconto della Spedizione di Luigi (XXV, p. 306-350).
  111. Fu chiesto e conceduto pel riscatto di S. Luigi, un milione di bisantini; ma il Sultano lo ridusse a soli ottocentomila, la qual somma Joinville calcola equivalente a quattrocentomila lire francesi de’ suoi tempi, e Mattia Paris a centomila marchi d’argento (Ducange, Dissert. 20 sopra Joinville).
  112. Joinville assicura, con tutta la serietà, il desiderio manifestato dagli Emiri per eleggersi S. Luigi in loro Sultano, la quale idea non trovo tanto assurda quanto al Signor di Voltaire, lo è sembrata (Histoire générale, t. II, p. 386, 387); i Mammalucchi erano eglino stessi stranieri, ribelli, eguali fra loro, conoscevano il valore del re di Francia, speravano forse di convertirlo, e in una tumultuosa assemblea, un tale partito, che non fu poi accettato, poteva anche essere stato proposto da qualcuno di quegli Emiri, segretamente propensi al Cristianesimo.
  113. V. la Storia di questa spedizione negli annali di S. Luigi, scritti da Guglielmo di Nangis (p. 270-287), e nell’Opera Extraits arabes (p. 545-555) ediz. di Joinville, del Louvre).
  114. Voltaire, Hist. génér. t. II, p. 391.
  115. La Cronologia delle due dinastie de’ Mammalucchi, i Baariti Turchi o Tartari di Kipsak, e i Borgiti Circassi, trovasi nel Pocock (Proleg. ad Abulfarage, p. 6-31), e nel De Guignes (t. I, p. 264, 270). Anche la loro Storia si legge nel De Guignes, che, fino col principio del secolo XV, ha seguìti Abulfeda, Macrisi, ec. t. IX, p. 110-328.
  116. Savary, Lettres sur l’Egypte, t. II. lett. XV. p, 189-208. Dubito grandemente sull’autenticità di una tale copia; però è vero che il sultano Selim conchiuse un Trattato coi Circassi o Mammalucchi d’Egitto, lasciando ai medesimi e armi, e ricchezze, e potere, V. Nouvel Abrégé de l’Histoire ottomane, composto in Egitto e tradotto dal Signor Digeon (t. I, p. 55-58, Parigi 1781); monumento di storia nazionale autentico e di vaghezza non privo.
  117. Si totum quo regnum occuparunt tempus respicias, praesertim quod fini propius, reperies illud bellis, pugnis, injuriis ac rapinis refertum (Al-Jannabi, ap. Pocock, p. 31). Il Regno di Moammed (A. D. 1311-1341) offre una felice eccezione alle cose di sopra affermate (De Guignes, tom. IV, p. 208-210).
  118. Or sono ridotti ad ottomila cinquecento; ma il mantenimento di ciascun Mammalucco porta una spesa di circa cento luigi, e l’Egitto geme per l’avarizia e la tracotanza di cotesti stranieri (Voyages de Volney, t. I, p. 89-187).
  119. V. la storia dell’Inghilterra di Carte (v. II, p. 165-175), e gli originali dai quali è desunta, Tommaso Wikes, e Walter Hemingfort, (l. III, c. 34-35), Collezione di Gale (t. II, p. 97, 589-592). Nessuno di questi autori ha inteso far menzione del pio coraggio dimostrato dalla principessa Eleonora, nel succhiare la piaga avvelenata del marito e salvargli la vita, a rischio della propria.
  120. Sanuto (Secret. fidel. crucis, l. III, part. 12, c. 9), e de Guignes (Hist. des Huns, t. IV, p. 143; desunta dagli autori Arabi).
  121. Tutte le Cronache di que’ tempi ne fanno conoscere lo splendore della città di Acri (l. VII, c. 144). La più copiosa e precisa è quella del Villani (l. VII, c. 144). V. anche Muratori (Script. rer. italiae, t. XIII, p. 337, 338).
  122. V. l’espulsione definitiva de’ Franchi in Sanuto (l. III, part. XII, c. 11-22), Abulfeda, Macrizis, De Guignes (t. IV, p. 162-164) e Vertot (t. I, l. III, p. 407-428).