Sigilli pratesi/Parte seconda

Sigilli inediti

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Parte prima Tavole
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PARTE SECONDA.


sigilli inediti.

1.

SIGILLO DELL’ARTE DE’ BECCAI.

🕂 sigillvm ¤ beccariorv ¤ de tra ¤ prati

Fra le Arti della terra di Prato registrate negli Statuti municipali del secolo XIII, di cui non rimangono che frammenti, si trova ricordata nel sesto luogo quella dei Beccai, che aveva un console; laddove altre ne avevano due, e quattro la principalissima della Lana. Il segno antico dei beccai era l’irco o becco; e con esso marcavano le bestie da macellare: ma quando il macello fu dato in appalto, s’usò marcarle col nome e cognome di chi n’aveva comprata la gabella. Per illustrazione del nostro Sigillo, il cui bronzo andò a far parte della raccolta Strozziana1 ed ora si conserva nel Museo Nazionale, ho pensato che meglio giovasse pubblicare lo Statuto o Breve che i beccai si dettero tra il secolo XIV e il XV. Non porta data; ma notaro degli Approvatori per il Comune di Prato è un ser Ubaldo, che io crederei figliuolo di Vestro di Nuccio da Prato, e si trova avere rogato dal 1363 al 14202. [p. 18 modifica] Come scrittura volgare, può andare a genio anche a quelli che amano i monumenti della lingua: e così mi verrà fatto di pigliare (se mi è lecito dirlo con un nostro proverbio) più piccioni a una fava. Il codicetto donde ho tratto questo Breve è nell’Archivio centrale di Stato.


Al nome dello omnipotente Iddio et della sua gloriosa Madre Madonna Santa Maria et del glorioso primo martire messere Sancto Stephano, et di tutta la Sancta Corte del Paradiso; ad honore et a reverenza della Sacra Santa Romana Ecclexia et di messere lo Papa et de’ suoi frati Cardinali; a honore et buono et pacifico stato del Comune et popolo della ciptà di Firenze et della terra di Prato.

Qui cominciano gl’infrascripti Ordinamenti.

Questo è il Brieve, ciò sono certi Capitoli, ordinamenti o vero statuti, ordinati, fatti, approvati per gli uomini et università dell’arte de’ Bechai della terra di Prato, acciò che la detta arte si mantenga ordinatamente, secondo buona usanza et l’ordine della ragione.

1. Degli ufficiali dell’arte, cioè Rettori Consiglieri Camarlingo, et della loro elettione.

Debbia avere questa arte dua Consoli o vero Rettori, li quali abbino a fare observare agli uomini della arte gl’infrascripti ordinamenti, et anchora debono difendere l’arte secondo la loro possibilità, quando alcuno impaccio fussi loro dato; alle spese dell’arte. Anchora debbiano avere i detti Rettori due Consiglieri, di quegli dell’arte nostra e a nostro Brieve, li quali abbino a consigliare i detti Rettori di fare quelle cose che s’apartengono a buono stato, et a honore dell’arte: e questi Consiglieri si chiamino da’ Rettori vechi et nuovi, infra tre dì della chiama de’ nuovi Rettori; altrimenti i detti Consiglieri non s’intendano electi. E li detti chiamatori, che contro a ciò faranno, paghi ciaschuno di loro per pena al Camarlingo dell’arte nostra soldi cinque di danari; li quali tutti denari di condannagioni et d’altre entrate si convertano in salute della nostra arte. Et debano i detti Rettori avere per loro salario, di danari dell’arte, soldi quaranta. [p. 19 modifica]

2. Dell’uficio del Camarlingo.

Anchora ordiniamo et fermiamo, che la nostra arte abbia un buono et leale huomo, lo quale sia nostro Camarlingo; al quale debia pervenire alle mani tutta la pecunia et ragioni et scripture che s’apartengono alla nostra arte; lo quale Camarlingo debbia scrivere tutta l’entrata che li perverrà alle mani, et simigliante tutta l’uscita, cioè spese ch’elli farà in servigio dell’arte. Et sia tenuto il detto Camarlingo di rendere ragione del suo uficio tutte le volte che piacerà a’ nostri Rettori e Consiglieri dell’arte: et si debia eleggere il detto Camarlingo per gli uomini dell’arte, per quello tempo et con quello salario che parrà loro che si convenga, o vero soldi dieci.

3. Come veruno non faccia la detta arte, se prima non giura a questo Brieve.

Anchora, perchè nell’arte nostra sia unità et concordia, ordiniamo et fermiamo che veruna persona ardischa in veruno modo fare questa arte, se prima non ha giurato a questo Brieve come gli altri bechai. Chi contro a ciò facessi, paghi per pena al Camarlingo nostro soldi quaranta di danari.

4. Di quello che paghi all’arte qualunque giurerà a questo Brieve.

Anchora abiàno ordinato et fermato, che qualunque persona vorrà fare questa arte, debbia giurare a questo Brieve come gli altri bechai, et dare et pagare al Camarlingo dell’arte, per entrata, lire cinque di danari.

5. Come ciaschuno sia tenuto d’ubidire i Rettori.

Ordiniamo et fermiamo, che qualunque dell’arte non observerà et ubidirà i comandamenti de’ nostri Rettori, o vero d’alcuno di loro, o vero che gli fussi comandato per messo da loro parte, sia messo d’arte come altro messo3; per ciaschuna volta che non ubidisse, paghi per pena al Camarlingo nostro soldi cinque di danari.

6. Chi non volessi acceptare l’uficio d’essere Rettore.

Se alcuno dell’arte fussi chiamato nostro Rettore, et egli quello uficio non volessi acceptare nè fare, sia constretto di ricevere il [p. 20 modifica]detto uficio et paghi al Camarlingo nostro, per pena, in tutto soldi dieci di danari.

7. Se alcuno arà figliuolo che facci arte, si deba fare giurare al nostro Brieve.

Anchora, se veruno di questa arte arà figliuolo che facci arte di becheria, d’età di quindici anni, faccialo giurare all’arte fra otto dì che a lui fia comandato per li Rettori. Il quale se non giurasse, il padre sia tenuto divietarlo dall’arte; et se ciò non facessi, paghi per ciaschuna volta soldi venti di danari.

8. Come veruno non faccia arte con persona che non abia giurato.

Se alcuna persona di questa arte farà questa arte con persona che non abia giurato a questo Brieve, paghi per ciascuna volta, chi contro a ciò facessi, soldi venti di danari.

9. Come i vechi Uficiali debano assegnare a’ nuovi il bene dell’arte.

Sieno tenuti i rettori vechi, Consiglieri, Camarlingo et Notaio, tre dì inanzi alla fine del loro uficio, di rassegniare a’ nuovi Uficiali tutte quelle cose che avessono de’ beni dell’arte, et di rendere piena ragione delle cose che hanno aute a fare: et di questo apparischa scriptura per lo nostro Notaio; alla pena di soldi venti pagare al Camarlingo della detta arte.

10. Come i Rettori siano tenuti di terminare tutte le quistioni degli uomini dell’arte.

Sieno tenuti i Rettori di terminare tutte le quistioni de’ pegni infra quindici dì poi che ’l termine de’ comandamenti fia passato; et se ciò non facessino, siano tenuti di pagare quella quantità che colui ad chui fussi comandato doveva pagare. Anchora, niuno debia appellare da’ comandamenti o da le sententie date da’ nostri Rettori; et chi contro a ciò facessi, paghi per pena il doppio della quantità di quello ch’è la quistione; et chi appellasse et perdessi il piato, o vero la quistione, paghi la detta quistione e le spese fatte dall’arte: et stiesi, della quantità delle spese, alla parola del Rettore solamente. [p. 21 modifica]

11. Che veruno venda carne morticina4 nè tenga lume.

Anchora, che veruno bechaio, o altra persona per lui, rechi o faccia recare alla taverna carne furtiva o morticina o inferma d’alcuna infermitade. Chi contro a ciò facessi, paghi per ciaschuna volta, per nome di pena, soldi venti di danari. Anchora, che veruno bechaio non possa nè debia tenere alla taverna da sera, per vendere carne, lume niuno. Chi farà contro a ciò, paghi per ogni volta soldi dieci di danari.

12. Che niuno sia impedito quando compra alcuna cosa.

Et se alcuno di questa arte fussi per comperare alcuna cosa che s’apartenessi alla detta arte, non sia veruno che lo impedischa, et quella non debbia adomandare infino a tanto che l’altro non è partito da merchato; a pena per ciaschuna volta, chi contraffarà, di soldi xx.

13. Che veruno non faccia mala compagnia a veruno.

Anchora, chi farà mala compagnia o rea ideranza5, paghi per ciaschuna volta al nostro Camarlingo soldi venti di danari. Anchora, qualunque persona di questa arte non observassi gli Statuti et gli ordinamenti di questa arte, che sono scripti nel Brieve, paghi per ciaschuna volta soldi cinque.

14. Come i Rettori sieno tenuti risquotere tutte le scripture che all’arte s’apartengono, et dielle al Camarlingo.

Se advenisse che i Rettori, tutti acti et carte che all’arte s’apartengono, sì fatti come quelli che si faranno, non faranno venire alle mani del Camarlingo dell’arte infra un mese di poi l’entrata del loro uficio, e spetialmente le carte de’ discepoli dell’arte; paghi ciaschuno Rettore, per pena, soldi dieci: et se coloro che tengono i detti discepoli non ubidissono in questa parte i nostri Rettori, cioè di quello che imporranno loro, paghi ciascuno soldi dieci. [p. 22 modifica]

15. Di quelli che comperassino porcho guasto o vero pidochioso.

Et se advenisse che a veruno dell’arte intervenisse di comperare alcuno porcho guasto, cioè pidochioso, et egli non lo rivenderà o vero renderà a cholui da chui l’arà comprato, giusta la sua possa; paghi per ogni volta, per pena, soldi venti: et se di così fatta compra avessi quistione col venditore, sia questo bechaio difeso quanto meglio si puote, alle spese dell’arte.

16. Se alcuno avessi a sospetto i Rettori.

Se advenisse che niuno di questa arte volessi proporre ch’e Rettori fussino a lui sospetti, possa questo dell’uno, ma non d’amendue; et quello che non fia sospetto, ubidire; alla pena, per quante volte non ubidisse, di soldi venti.

17. Se alcuno fia domandato da’ Rettori.

Anchora ordiniamo et vogliamo, che quale dell’arte domandato fussi da’ nostri Rettori, di quello che fossi richiesto debia rispondere la verità prestamente, et dire o sì o no; alla pena per ogni volta di soldi cinque: et se negasse, et poi fussi convinto, paghi all’arte per ogni volta soldi venti.

18. Chi non pruoverrà l’achusa.

Se niuno achuserà o dinuntierà alcuno di questa arte, et l’achusa o vero dinuntia non fia provata, paghi l’achusatore o vero dinuntiatore per pena, per ciaschuna persona, soldi dieci.

19. Niuno venda fuori.

Anchora, che veruno vada a vendere carne fuori delle cerchie di Prato per alcuna festa. Chi contro a ciò farà, paghi per pena per ogni volta soldi venti.

20. Che niuno tenga altro minciabio6 alla carne.

Niuno possa nè debbia tenere ad alcuna carne minciabio d’alcuna altra bestia; et che niuno venda alcuna carne per una altra: et che [p. 23 modifica]uno daschici ciò fussi domandato, dica la verità. Chi contro a ciò facessi, paghi per ciascuna volta soldi dieci di danari.

21. Che veruno non tolga il giovedì lardaiuolo7 veruno fanciullo.

Anchora, che veruno di questa arte in veruno modo tolga in pegnio il giovedì lardaiuolo veruno fanciullo o fanciulla d’alcuno della terra di Prato nè del distretto8. Chi contro farà, paghi soldi cinque.

22. Come veruno non dia peso falso.

Anchora vogliamo, che qualunque della detta arte venderà a peso, et dessi falso peso, paghi per ciaschuna oncia che dessi di mancho, danari xii: et ad cui fossi trovato falso peso, sia condannato per li Rettori in soldi dieci.

23. Niuno venda ventri o minugia a chi non soda.

Qualunque persona vendessi ventri o minugie di sua bestia ad alcuna ventraiuola che non avessi dati all’arte dua mallevadori in quantità di lire ciento, ricevente per l’arte9, paghi per ciascuna volta soldi venti.

24. Due fratelli non possano avere uficio insieme.

Anchora abiamo ordinato, che due fratelli carnali non possano insieme a una volta avere uficio nella arte, onde se ne debba ricevere salario dall’arte: et chi cotale uficio ricevessi, paghi per ciascuna volta soldi cinque. Et chi chiamassi così fatti uficiali, per ciachuna volta paghi soldi cinque, et perda la licentia.

25. Come veruno non venda carne ad altra pancha che alla sua.

Anchora ordiniamo, che veruno di questa arte vada a vendere o venda sua carne alla pancha d’alcuno altro tavernaio o d’altra persona, se non fossi publico compagnio alla detta carne, o suo figliuolo; a pena per ciaschuna volta, chi contrafacesse, di soldi dieci. [p. 24 modifica]

26. Che veruno non pesi lingua nè budello del porcho quando si compra.

Anchora che veruno tavernaio non pesi la lingua o il budello del porcho quando si compera il porcho a peso, o vero quando si vende a peso; a pena per ciaschuna volta, chi contro farà, soldi cinque.

27. Che veruno non tenga di due fatte carni somiglianti a sua taverna.

Sia tenuto ciaschuno tavernaio, il dì che venderà carne di porcho, non deba avere a sua pancha o vero bottega carne di troia o vero di bima10; et anchora quel dì che venderà carne di castrone, non venda nè tenga a sua pancha o vero bottega carne di pecora: a pena per ogni volta, chi contro farà, soldi venti.

28. Che veruno non venda per alcuno che non sia all’arte.

Se alcuno di questa arte vendesse o facesse carne per alcuna altra interposita persona, et quella cotale persona facesse contro al Brieve di questa arte; che quello sia condapnato nella pena nella quale la persona di questa arte fussi condapnato: et ciascuno ne possa essere achusatore; et basti la pruova di quattro testimonii di publica fama.

29. Se veruno fratello o figliuolo d’alcuno facessi contro a questo Brieve.

Se advenisse che alcuno di questa arte avessi un figliuolo o più, o un fratello o più, che non fussono tenuti ad questo Brieve, et dicessono o facessono contra a questo Brieve, che cotale padre o vero fratello, ch’è di questa arte, sia tenuto di pagare quella pena come s’egli medesimo l’avessi commesso.

30. Come veruno non dica villania l’uno all’altro.

Anchora ordiniamo, che veruno di questa arte dica a niuno di questa arte, nè contro a lui, alcuna villania o vero alcuna parola ontosa11; a pena, per ogni volta che la dicesse, di soldi cinque. [p. 25 modifica]

31. Di quelle carni che si possono tenere a un’ora alla pancha.

Anchora vogliamo che veruno bechaio tenga a sua taverna se non solamente d’una fatta carni, se non solamente carni di cavretto maschi et femmine, et agnegli maschi et femmine, et vitelli maschi et femmine; et chi farà contro a ciò, paghi per lo bue et per lo porcho soldi venti, et per ciaschuna bestia minuta soldi dieci, et per l’agnello o becherello soldi cinque: et che veruno non tagli a schachi carne di pecora, o vero che quella carne così tagliata tenga a sua pancha; a pena, per ciaschuna bestia, soldi cinque.

32. Come veruno non rechi a sua pancha carne inferma.

Non sia veruno bechaio che rechi o faccia recare a sua pancha o vero venda o faccia vendere alcuna bestia inferma di villana infermità, quando s’uccide; a pena per ogni volta, chi contro farà, di soldi venti.

33. Come veruno non tenga bestie dì forestieri.

Anchora non sia veruno di questa arte, che tenga bestie d’alcuno forestieri, oltre che otto dì per volta; a pena, per quante volte le tenesse, di soldi cento.

34. Di coloro che troverranno altrui bestie.

Anchora vogliamo, che qualunque troverrà tra le sue bestie alcuna bestia non sua, debia quella rapresentare ai Rettori infra il terzo dì; a pena, per ciascuna volta, di soldi venti.

35. Come veruno non porti carne a chasa altrui.

Anchora, non sia veruno di questa arte il quale ardischa in veruno modo di portare carne a chasa d’alcuna persona a cui l’arà venduta; alla pena, per ciascuna volta, di soldi cinque.

36. Che veruno non adomandi debito pagato, et che vereuno non nieghi.

Qualunche bechaio domanderà debito pagato a veruno di questa arte, sia punito per li Rettori che gli faccino pagare all’arte quella [p. 26 modifica]quantità della moneta ch’egli adomandava indebitamente. Et se alcuno negasse il debito che dovesse dare, et poscia fussi provato quello cotale che negasse, sia costretto a pagare al creditore quello che fussi provato; e gli Rettori il condannino che paghi all’arte altrettanta moneta.

37. Che veruno non comperi bestia segniata d’altrui segnio.

Anchora vogliamo, che veruno di questa arte non comperi veruna bestia segniata d’altrui segnale; alla pena, per ciascuna bestia, di soldi dieci: et che veruno non tenga o vero riceva alcuno fante che stia con altrui, se non ha compiuto il termine con colui con chui egli era prima posto: a pena per ciaschuna volta, chi contraffarà, di soldi venti.

38. Come veruno non venda carne se non ne’ luoghi usati.

Anchora non possa nè debia veruno bechaio vendere carne se non ne’ luoghi usati o vero in quelli che gli fussono allogati per li Rettori nostri; a pena, per ciaschuna volta, di lire cinque.

39. Come veruno non tenga cavichiato che nôi il compagnio.

Anchora vogliamo, che veruno tavernaio non tenga nè tenere debia veruno cavichiato o vero schavillino12 che impedischa o dia noia al compagno; alla pena per ciaschuna volta, chi contro farà, di soldi quaranta.

40. Che non si tenga giunta a sua pancha.

Anchora vogliamo, che non sia lecito a veruno della nostra arte di tenere alcuna giunta con alcuna pancha; alla pena, per quante volte vi gli fusse trovata, di soldi venti.

41. Che veruno tagli la state le vigilie, sanza la parola de’ Rettori.

Ordiniamo, che veruno tavernaio non possa et non debbia in veruno modo, giugno o luglio o agosto, il sabato o vigilie comandate che [p. 27 modifica]vengano, recare carne prima che terza alla becheria, nè quella tagliare sanza parola de’ nostri Rettori. Chi contro acciò facesse, paghi per ciaseuna volta, et per ciascuna bestia, soldi dieci.

42. Quando alcuno bechaio passassi di questa vita.

Quando aleuno della detta arte passassi di questa vita, debiano i nostri Rettori ordinare quegli huomini della nostra arte che lo portino alla sepoltura; et quelli ad chui fia imposto che lo portino, et nollo volessi portare, paghi per ogni volta soldi cinque: et se advenisse che per altrui fussi portato, no l’avendo i suoi congiunti voluto che quegli della arte l’abiano portato; vogliamo che se di lui rimane padre o fratello carnale o figliuolo, che fussino tenuti a questa arte, paghi all’arte per pena di questo, lire cinque; e li rettori siano tenuti di richiederli di questo. Et se i predetti padre figliuoli o fratelli non fussino della nostra arte, et per alcuno tempo volessono venire all’arte, non siano ricevuti al nostro Brieve, se prima non pagano le dette lire cinque.

43. Come i Rettori debano cerchare ogni dì una volta.

Anchora siano tenuti i nostri Rettori di cerchare ogni dì una volta, il meno, di quelle cose che parlano i detti ordini, le quali sono di necessità et di buona usanza d’observare; a pena di soldi cinque. Ancora debiano i Rettori che fieno per lo tempo fare observare agli uomini della nostra arte tutti gli ordinamenti che sono scritti in questo Brieve, alla pena di soldi dieci per ciaschuno Rettore; essere ritenute le dette pene, nelle quali i detti Rettori incorressono, del loro salario, per lo Camarlingo della arte.

44. Che veruno dell’arte tagli carne in dì di festa comandata.

Anchora ordiniamo et vogliamo et fermiamo, che veruno bechaio, o altri per lui, in veruno modo o vero per alcuna cagione, ardischa o vero presumma nè possa et non debia tagliare o fare tagliare carne in dì di festa comandata dalla Santa Chiesa, in piazza o vero fuori di piazza, sanza la licentia de’ nostri Rettori; et massimamente le infrascritte feste. Alla pena che debbia pagare al Camarlingo dell’arte, chi contro facesse, per ogni volta, soldi venti di danari. Le quali feste sono queste. [p. 28 modifica]

45. Quali sono le feste comandate di guardare.

Inprima, la Pasqua di Rexurexo con dua dì che seguita; poi, l’Ascensione; la Pasqua dello Spirito Santo con due dì seguenti; la festa del Corpo di Cristo, et anche tutte le domeniche dell’anno.

Del mese di gennaio, el primo dì, el dì della Epifania et Santo Paulo.

Febraio. Santa Maria Candelaia, et Santo Mathia apostolo.

Marzo. Santa Maria Anuntiata.

Aprile. Santo Marcho vangelista.

Maggio. Santo Iacopo et Santo Philippo apostoli, Santa Croce, San Micheleagniolo.

Giugno. San Bernaba, Santo Giovanni Battista, Santo Piero, Santo Paulo.

Luglio. Santa Maria Magdalena, Santo Iacopo apostolo.

Agosto. Santo Lorenzo, Santa Maria, Santo Bartholomeo, Santo Giovanni dicollato.

Settembre. Santa Maria, Santa Croce, Santo Matheo, Santo Michele.

Ottobre. Santo Luca, Santo Simone, Santo Tadeo apostoli.

Novembre. La Festa di tutti i Santi, Santo Martino et Santo Andrea apostolo.

Dicembre. Santo Tomè apostolo, la Natività di Cristo, Santo Stefano primo martire, Santo Giovanni apostolo e vangelista, Santo Salvestro confexore.

2.

SIGILLO DI CONVENEVOLE DOTTORE.

🕂 s convenevol’ . legv . doctois . d’ pto

§ 1. Conta Prato fra’ suoi uomini illustri un Convenevole, o Convennole, che fu maestro di Francesco Petrarca, insegnò per lunghi anni grammatica in Avignone, scrisse molti versi latini che aspettano ancora un’illustrazione storica, e tornato a finire i suoi giorni in patria dopo il 1340, morì povero e coronato d’alloro sul feretro. [p. 29 modifica]

§ 2. Ma il Convenevole del nostro Sigillo (che si conserva nella collezione del principe Cammillo Massimo di Roma)13 era un dottore di leggi, nè si sa che il Poeta grammatico avesse tal qualità. Dirò anzi che non l’ebbe, se per sessant’anni fece scuola, e i più forse in terra straniera. Di questo abbiamo testimone lo stesso Petrarca; e dato per vero ciò ch’egli narra, Convenevole sarebbe nato circa il 1260, e poco dopo l’ottanta avrebbe incominciato il suo magistero. Ma noi abbiamo circa gli stessi tempi due Convenevoli giudici e notari in Prato; e difficile vorrà essere lo stabilire a chi de’ due appartenesse il Sigillo.

§ 3. D. Convenevole index filins Gualfreduccii iudicis rogava nel 1269, octavo col. decembris, una carta che produrrò illustrando il Sigillo degli Eremitani di Sant’Anna. Del 1279, 10 di giugno, è l’atto col quale Cunizza da Romano, quella stessa che rifulge nel Paradiso di Dante (canto IX), col consenso d’Ivano di Parente da Prato, da lei richiesto in suo mundualdo a Convenevole di Gualfreduccio di Boce da Prato giudice, fa una donazione al conte Alessandro de’ Conti Alberti di Mangona; mentre si trovava nel castello di Cerbaia, del quale oggi non rimane che qualche rudere nella nostra Val di Bisenzio. Questo istrumento, che si conserva nell’Archivio di Stato in Siena, proveniente da quello dei Contratti, fu pubblicato dal professore Carlo Milanesi nel Giornale storico degli Archivi Toscani (II, 290-94), col facsimile della soscrizione autografa del giudice Convenevole. Il quale con più onorevole ufficio apparisce nelle storie del suo municipio, alcuni anni appresso. E primieramente lo troviamo uno degli otto Sapientes pro Comuni et Populo terre Prati positi ad Statutum Populi et Capitanei [p. 30 modifica] emendandum corigendum et addendum; quando i Pratesi nel marzo del 1284 riformavano il loro Constituto, a onore del serenissimo re Carlo I e di Parte Guelfa14. Quando poi il Vicario imperiale (e dovett’essere quel Prinzivalle dal Fiesco, di cui parla il Villani al cap. 115 del libro VII) venne in Toscana per chiedere il giuramento di fedeltà a Rodolfo re de’ Romani, Prato gli mandò due ambasciatori, che furono messer Convenevole giudice e messer Guido de’ Migliorati15; i quali, non che confessare il vassallaggio, dichiararono: Comune Prati non erat eius conditionis, cuius sunt alia Comunia Thusciae; quia Comune et terra Prati fuit emptum tamquam emitur equus et campus. Ma chi crederebbe che un erudito Colombario volesse trovare in questa risposta la spiegazione del Sigillo16? E, quando mai, dov’è nel Sigillo l’equus? A me pare o un asino o un bel mulo. Un’altra carta si conserva nel Diplomatico Fiorentino (proveniente dall’Arte de’ Mercatanti), ed è de’ 24 novembre 1282; nella quale Convenevole da Prato, giudice delle appellagioni, sentenzia in favore di Primerano del fu Cuccio del popolo di Santa Maria sopra Porta.

§ 4. Un Convenevole giudice e figliuolo di messer Acconcio rogava nel 1302; e una sua carta pubblicherò parimente illustrando il Sigillo di Sant’Anna. A questo Convenevole si fermò il Mehus17 parlando del Grammatico, e ne fece tutt’uno: ma il Mehus sbagliò. Così non credo che sia il Grammatico quel ser Convenevole, che si trova registrato fra i primi fratelli della Compagnia [p. 31 modifica] del Ceppo di Prato, eletti in aprile del 129518; nè qui vale il dire, che il titolo di sere si dava anche agli uomini di chiesa. Nessuno ci ha mai detto, che prete fosse il maestro di Francesco Petrarca. Uno dei due notari ricordati è il fratello del Ceppo, e a uno di loro appartenne il Sigillo: ma se Convenevole di Gualfreduccio o Convenevole di Acconcio, sarà difficile chiarirlo. In quanto al Sigillo (che è la cosa che importa a noi), direi il secondo, perchè dev’essere vissuto più avanti nel secolo XIV: e il Sigillo si farebbe più di questo secolo che del precedente. Ma non può essere stato d’un altro Convenevole? Io dico di no perchè non ho memoria di altri; ma è ben vero che il Mehus ci ammonisce: Convenevoli vel Convenevolis nomine saepissime utebantur ea aetate Etrusci, repertumque saepenumero a me est in illius nevi chartis19.

§ 5. L’arme dei Convenevoli fu un Sole di fuoco in campo d’oro. Fatti cittadini fiorentini nel 1426, si veggono squittinati nel 1482 per la maggiore nel quartiere di Santa Maria Novella, gonfalone Lion Bianco20. In Prato la famiglia de’ Convenevoli s’è spenta in questo secolo.

3.

SIGILLO DI TIERI DE’ CIANFANELLI GIUDICE.

🕂 s’ terii . de ciamfanell’ . d’ pto . ivd’

§ 1. Fa parte della raccolta Strozziana, col num. 223; ora nel Museo Nazionale. Ha in un compasso lo scudo [p. 32 modifica] con l’arme de’ Cianfanelli, che fa tre spade a traverso da sinistra a destra: e il nome di Teri ci reca a pensare come una spada che s’incrocia con una chiave ricorra nello stemma de’ Tieri, famiglia sorta più tardi, ma fortunata d’avere accompagnato il proprio nome col più grazioso dipinto che di Filippino rimanga in Prato21. Se da un Teri de’ Cianfanelli venissero i Tieri, non ho cercato: voleva trovare qualche carta di questo Giudice per fissare il tempo del Sigillo, ma il nostro Archivio diplomatico non pare che n’abbia.

§ 2. Ha peraltro vari instrumenti copiati da ser Cianfanello sulle imbreviature del padre suo Benricevuto; il quale già rogata nel 1291, ed era nato di un ser Pericetto di Benintendi, morto già nel 1291 ma vivo nell’80. Del quale ser Pericetto è pure figliuolo un ser Ciuto, che nel 20 gennaio 1332 si rogava del testamento di Fra Caroccio di Rodolfino rettore della Casa o Spedale dei poveri della Misericordia22: ma Ciuto non è altro che un scorciatoio di Benricevuto. Le quali memorie ci danno questa discendenza.

Benintendi

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Ser Pericetto

morto avanti il 1291

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Ser Benricevuto o Ciuto

roga dal 1291 al 1332

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Ser Cianfanello

§ 3. Di ser Cianfanello è fatta onorata ricordanza nei Diurni del Comune cominciando dal 1331: nel quale anno si trova gonfaloniere ne’ mesi di novembre e dicembre per il quartiere San Giovanni e Porta Travaglio. A’ 31 di giugno 1332 fu eletto de’ due ambasciatori mandati alla [p. 33 modifica] Maestà di Roberto di Napoli per recargli alcuni Capitoli fatti dal Consiglio pratese intorno al Regio Vicario, e pregarlo di scrivere ai Comuni di Firenze, Siena e Pisa, che permettessero di trarre vettovaglie e mercanzie dai loro terreni. Fu poi (30 maggio 1335) de’ quattro uomini eletti a determinare i confini del Comune di Prato coi limitrofi di Firenze, Montemurlo e Carmignano23. Ma noi cerchiamo un ser Teri.

§ 4. Dominus Terius iudex, olim domini Contis, confitetur dotem in summam librarum 125 dominae Lapae Philipponis olim Guillelmi de Vinaccensibus. E il conte Giuseppe Casotti, genealogista accuratissimo, ci dice che fu de’ Cianfanelli, e assegna a questa confessione di dote l’anno 133924. Che sia questo il Teri del Sigillo, mi sembra fuori di dubbio: come si possa innestare all’alberetto de’ Cianfanelli, non veggo. Bisognerebbe che messer Conte, padre di messer Teri, fosse nato di ser Ciuto, e invece par nato da un altro Teri; nè so che questo Teri nascesse di ser Pericetto. Quanto al Teri di messer Conte, trovo ch’ebbe un ser Alberto, il quale rogava dal 1321 al 1347. E un ser Gherardo di ser Alberto de’ Cianfanelli fu notaro e sottocancelliere del nostro Comune nel 1432, gonfaloniere poi l’anno appresso. Una carta, da lui copiata il 3 di settembre 1427, sta nel Diplomatico fiorentino, proveniente dalla Camera Fiscale. [p. 34 modifica]

4.

SIGILLO DI ACCURSINO

priore della chiesa di s. maria in castello.

🕂 s’ a prioris . sce . mev . in castell’

§ 1. Una carta del 1107 ci attesta l’antichità della chiesa di Santa Maria in Castello, e prova come in principio fosse meno dipendente dalla Pieve di Santo Stefano. Bonus presbiter et rector ecclesie et capelle Sancte Marie de Castello de Prato, de pertinentia iam dicte ecclesie Sancte Marie, quas ipse Bonus presbiter olin adquisivit, dedit et concessit per investitionem in tenimento in ecclesia et plebe Sancti Stefani, que est constructa et edificata infra comitatum Pistoriensem in Burgo de Prato, in manu domini Gerardi eiusdem ecclesie et plebis prepositi et plebanis25; videlicet, molendinos duos cum omnibus illis terris et rebus ad eosdem molendinos pertinentes; insimul cum duabus aliis petiis de terra. E questi beni dona in perpetuo, con che il Proposto e’ suoi successori pensionem exinde reddere debeant per se vel per eorum nunsum iti suprascripta ecclesia et capella Sancte Marie et suis rectoribus, per singulum annum in mense decembris denarios duodecim et non amplius. Par manifesto che l’atto si celebri fra due rettori di pari autorità (non vi essendo parola di dependenza dell’una chiesa dall’altra), alla presenza del Vescovo, che si sottoscrive: 🕂 Ego Ildibrandus pistoriensis humilis episcopus; l’antecessore di sant’Atto. Rogò la carta Gerardo notaro in Pistoia26. [p. 35 modifica]

§ 2. Assuefatti a leggere nelle memorie pratesi, che un castello o fortezza fu edificata in questa terra ai tempi di Federigo II, si è facilmente creduto che da quello prendesse il nome la prossima chiesa di Santa Maria. Ma quando non si trovasse ricordata Santa Maria de Castello nella carta del 1107, ne avremmo una del marzo 1075, fatta loco Castello de Prato, e rogata da Lamberto notaro27; la quale ci conferma come Prato avesse mura fino dal secolo XI, che alla fine del XII si trovano appellate vecchie28. E io credo che la chiesa di Santa Maria, compresa nell’antico cerchio, fosse detta de Castello per distinguerla da un’altra chiesa del contado dedicata parimente alla Vergine. Che se ad altri piaccia intendere per loco Castello de Prato non l’intiera terra murata, ma una vera e propria rocca29; io non m’ oppongo. È facile pensare che chiesa e rocca sorgessero là dove una gente cominciava a raccogliersi: e la chiesa fu parlamento; chè sentivano quei forti uomini come dall’alto venisse la sanzione delle umane leggi. Dagli antichi Diurni del Comune è provato, che nel 1272 si adunava il Consiglio generale dei Pratesi nella chiesa di Santa Maria. Convocato generali Consilio etc. in ecclesia Sanate Marie de Castello30. E fino a tanto che quelle mura stettero, la mattina dei 15 di agosto andava il Gonfaloniere co’ Priori a farvi l’offerta. Ma che la chiesa prendesse il nome de Castello dalla prossimità d’una fortezza, e non dall’essere dentro le mura castellane, mi sembra meno credibile da poi che il popolo la disse sempre volgarmente in Castello. [p. 36 modifica]

§ 3. La chiesa di Santa Maria in Castello aveva, come la pieve di Santo Stefano, alcuni canonici. Frammento di carta del 7 giugno 1231. Presbiter Gherardus rector et custos atque cap[ellanus ecclesie] Sancte Marie de Castello, cum consensu et verbo presbiteri Rustici [....] canonici dicte ecclesie Sancte Marie de Castello, et ipse presbiter Ru[sticus....], comuni concordia, instituerunt, ordinaverunt, fecerunt atque constituerunt [....in] solidum, presbiterum Benvenutum canonicum dicte ecclesie etc. eorum procuratorem ad eligendum unum canonicum in ecclesia Sancte Marie de Castello, quem dominus Zonghellus pratensis prepositus et eius capitulum plebis Sancti Stefani concordaverit; quia talis est consuetudo dicte ecclesie Sancte Marie eligendi, ut ipsi dixerunt et asseruerunt. E segue la elezione, fatta in Pieve, de magistro Iohanne gramatice, Celanensi, in canonicum dicte ecclesie Sancte Marie de Castello; con l’accettazione e la tenuta: atti rogati da Melanese giudice31.

§ 4. E dopo la elezione di un canonico, vediamo quella d’un rettore della nostra Santa Maria; giacchè rimane una carta che ce ne offre il curioso documento, e mostra quale dependenza avesse allora questa chiesa dalla maggiore di Santo Stefano. In Dei nomine, amen. Ex hac quidem publica litterarum scriptura omnibus evidenter sit manifestum, quod cum dominus Zonchellus esset in Capitulo ecclesie Sancte Marie de Castello, et vellet celebrare scrutineari de electione facienda in dicta ecclesia ad eligendum rectorem et pastorem, convocavit canonicos dicte ecclesie, silicet presbiterum Rusticum et presbiterum Benvenutum et magistrum Iohannem; et segregatim inquisiva primo dictum presbiterum Rusticum, quem vellet in rectorem et pastorem dicte ecclesie: et ipse respondit et dixit, quod volebat dictum [p. 37 modifica] magistrum Iohannem, eo quod sibi videbatur melius pro dicta ecclesia. Item, interrogavit dictum presbiterum Benvenutum, quem vellet in rectorem et pastorem dicte ecclesie: et ipse respondit idem in omnibus quod presbiter Rusticus predictus. Item, postea interrogava dictum magistrum Iohannem, quem vellet in rectorem et pastorem dicte ecclesie: et ipse respondit, quod volebat presbiterum Benvenutum. Et in continenti dictus Prepositus convocava predictos Canonicos omnes, et dixit: Ego inquisivi voluntatem vestram, et ego debeo esse vobiscum pro electione facienda: unde mea voluntas est, quod sit Magister sicud dicti presbiteri volunt, et mando dicto presbitero Rustico ut in dictam ecclesiam debeat eum eligere in pastorem et rectorem dicte ecclesie. Et in continenti in dicta ecclesia, coram domino dicto Proposito et Iandonato canonico Plebis, et coram Populo dicte ecclesie, et etiam coram Pratese et Bartholo medicis, et Ciuto Maquantite, et pluribus aliis, idem presbiter Rusticus, de voluntate suorum sociorum et dicti domini Prepositi, ad honorem Bei et Beate Marie Virginis et Beati Stephani, et domini Prepositi, et totius Populi dicte ecclesie, elegit dictum magistrum Iohannem in rectorem et pastorem dicte ecclesie. Hec omnia acta sunt Prati, in Capitulo et Coro dicte ecclesie, Millesimo cc xxxij, iii kalendas ianuarii, ind. vi. (L. S.) Ego Ubaldinus imperiali auctoritate iudex atque notarius predictis omnibus interfui, eaque omnia de mandato et voluntate dictorum Canonicorum et dicti domini Prepositi in publicam formam redegi [ideoque] subscripsi32.

§ 5. Che poi la chiesa di Santa Maria fosse per antichità e dignità la prima dopo quella matrice intitolata al Protomartire, si rileva da questo documento, a cui vuolsi attribuire la data del 124733. [p. 38 modifica]

Hec est Collecta imposita ecclesiis pratensibus intus et de foris, tempore domini Berlingerii de Stagia34 rectoris Prati; et est summa ccc libr.


Plebes Sancti Stephani xx ll.
Ecclesia Sancte Marie de Castello iij ll. et ij s.
Ecclesia Sancti Marci iij ll. et ij s.
Ecclesia Sancti Salvatoris et possessiones eius iij ll. et xviij s.
Ecclesia Sancti Georgii xxv s.
Ecclesia de Cannuccia xxxij s.
Ecclesia Sancte Trinitatis xxxiiij s.
Ecclesia Sancti Donali vj ll. et...
Ecclesia Sancti Iacobi viiij s.
Ecclesia Sancti Petri Furelli viiij s.
Ecclesia de Ribalda xxxv s.
Ecclesia de Paparino xliiij s.
Monasterìum Sancti Martini iij ll. xiij s.
Ecclesia Sancti Bartholomei de Coiano xl s.
Ecclesia Sancte Lucie xxv s.
Ecclesia de Feghine xxxviiij s.
Ecclesia de Cerreto xxxv s.
Abbattia Sancti Fabiani xliiij ll. et xiiij s.
Abbatia de Gherignano xliiij ll. et xiiij s.
Plebes Sancti Iusti xvij ll. et x s.
Ecclesia de Gello xxxv s.
Ecclesia Sancti Petri de Cortevecchia xxxj s.
Ecclesia de Lecore xliiij s.
Ecclesia de Castronovo xvij s.
Plebes Sancti Ypoliti xiij ll.et x s.
Ecclesia de Galciana lvj s.
Ecclesia de Narnari xxxv s.
Plebes de Aiuolo xij ll.
Ecclesia de Casale l s.
Ecclesia de Sorniana xxvij s.
Ecclesia de Tobbiana lj s.
Ecclesia Sancti Andree de Aiuolo iij ll. et iij s.
Plebes de Colonica xij ll.
Ecclesia de Tontole xxiiij s.
Ecclesia Sancti Petri de Mezana xlviij s.
Ecclesia Sancti Georgii de Colonica xviij s.
Plebes de Sufignano xvij ll.
Ecclesia de Fabbio35 et de Mallio xxxviij s.
Ecclesia de Parmigno xxxvj s.
Ecclesia de Savignano lvij s.
Ecclesia de Bibbiano et de Sancto Gaudentio xxxiiij s.
Ecclesia de Fallugnano iij ll.
Ecclesia de Ugnano xxv s.
Plebes de Filettole xiij ll.
Ecclesia de Canneto xxxvij s.
Ecclesia de Pimonte xlvij s.
Ecclesia de Gonfienti lv s.
Ecclesia de Cavalliano xviij s.
Plebes Sancti Pauli viiij ll. et xij s.
Ecclesia de Pinzodimonte iiij ll.
Ecclesia de Isola iij ll et ij s.
Ecclesia de Casi lij s.
Ecclesia de Schignano iij ll. et iij s.
Ecclesia de Capraia xxxiij s.
Ecclesia de Monterebbioro xlviij s.
Ecclesia Sancte Cristine in Pilis. xij s.

Questa colletta non fu riscossa, come si rileva da una carta del marzo 124736.

§ 6. Per la serie dei rettori di questa chiesa giova citare una carta degli 8 di agosto 1275, nella quale Strinna del fu Guido, giacente infermo, promette la restituzione dell’usure a Iacopino priore della chiesa di Santa Maria in Castello37; ma più c’importa un documento che ha il nome del Priore a cui probabilmente appartenne il nostro Sigillo. È una bolla del pontefice Giovanni XXII, data in Avignone il primo di ottobre dell’anno quinto; o, per dir meglio, la presentazione che di essa bolla fecero i banchieri Bardi e Peruzzi a Antonio d’Orso vescovo di Firenze e ad Accorsino priore della chiesa di Santa Maria in Castello di Prato, i quali dovevano dare esecuzione, [p. 41 modifica] col pievano di Santa Maria di Colonica, a una decima sugli ecclesiastici per sei anni in Terre Sancte subsidium38. Trovato pertanto, che nell’anno 1320 governava la nostra chiesa un Accursino, non v’è difficoltà per attribuirgli il Sigillo che porta un A, e che ha tutti i caratteri di quel tempo. Sapere chi egli fosse, e se qualcosa facesse degna di memoria, ci piacerebbe; ma i non pochi documenti che ho veduto, tacciono di lui. Compenserò questo silenzio con qualche notizia della chiesa, che si ricollega alla storia delle arti e della beneficenza in Prato.

§ 7. Nel 1550, a’ 27 di settembre, conferendo il proposto Pier Francesco Riccio a Taddeo d’Antonio di Matteo da Barberino una cappellania posta nella chiesa di Santa Maria in Castello, la qualifica ad altare Sancti Antonii sive Ansarti sita39; e dev’essere quel benefizio che Giuseppe Casotti dice fondato da Antonio di Martino di Feo de’ Nerli; da Prato, per rogo di ser Antonio Migliorati, l’anno 148640. Amaddio Baldanzi soggiunge, che a quell’altare stava una tavola con questa iscrizione41:

questa tavola a fatta fare antonio di

martino di peo e mona domenica

sua donna . a . m° . cccc° . lxxvi°

die xviii di gunio.

[p. 42 modifica]

Quando il proposto Carlo de’ Medici nel 1645 visitava la chiesa di Santa Maria di Castello, il cui patronato era venuto nel Capitolo della propositura, vi stavano tre altari: quello di Sant’Ansano, a mezza chiesa; e dirimpetto, altare cum imagine Salvatoris et cum imagine Sanctae Barbaræ. Sopra l’altar maggiore, adest (dicono gli Atti della visita)42 tabula celeberrimi pictoris Fratris Bartholomei ordinis Prædicatorum. Dopo quello che ha scritto di questa tavola il mio carissimo Padre Vincenzio Marchese nelle sue Memorie degli Artefici Domenicani43, io non avrei che aggiungere; e il ripetere sarebbe opera vana: ma sarà sempre lamentabile, che Prato perdesse tutti i dipinti che possedeva di mano di Fra Bartolommeo della Porta, che per esser nativo (o, come altri pensa, oriundo) di Savignano, è riguardato dai Pratesi a buon diritto come loro concittadino. E con un insigne monumento dell’arti belle mancò nella soppressione di questa chiesa anche la memoria di un Cittadino benefico. Resti almeno in queste pagine l’epigrafe che si leggeva sul suo sepolcro.

hic iacet andreas desii francisci filivs

qvi obiit v. kal. febrvarii anno mdccxii

aetatis svæ lxxvii. congregationis pavpervm

primvs institvtor in hac ecclesia erectæ

Il nome di Andrea Desii ricorda ai Pratesi l’istituzione del Conservatorio per le fanciulle pericolanti44. Questo rimane, e fiorisce sotto la direzione delle Suore di Carità: ma la Congregazione de’ poveri finì quando la chiesa venne [p. 43 modifica] profanata, e il piccolo patrimonio fu riunito ai Ceppi. La profanazione di Santa Maria in Castello fu consigliata dal vescovo Scipione de’ Ricci e ordinata da Pietro Leopoldo; e sull’area ch’ella occupava sorsero due case, nelle quali rimane alcuna traccia d’antico: nella casa che guarda la piazzetta che serba il nome della chiesa, ed è posseduta da Angiolo Tonini, sacerdote e buon cultore delle lettere latine, si veggono tre Santi dipinti a fresco, che sembrano del secolo XIV.

§ 8. Tornando finalmente al Sigillo, è da osservare che porta l’agnello colla banderuola, stemma dell’Arte della Lana. Si crederebbe che quest’Arte, così fiorente anche nella terra di Prato, avesse diritto di patronato sulla chiesa di Santa Maria in Castello: ma nessun documento lo attesta. Può essere che il tempo ci scopra ciò che oggi ignoriamo. Il bronzo, ottimamente conservato, è da molti anni presso di me: ma dacchè in questi giorni si sta riordinando la ricca collezione de’ Sigilli nel Museo Nazionale, m’è piaciuto fargliene un dono.

5.

SIGILLO DELLE VILLE DEL CONTADO.

🕂 s dlla villa dl cotada di prato

§ 1. Quanto la leggenda è spropositata, tanto è grazioso il Sigillo, che dentro a un compasso in campo sparso di fiori ha sei monti disposti a piramide, da cui spunta il giglio Pratese. L’originale si conserva nel Museo della Confraternita d’Arezzo.

§ 2. La condizione in cui si trovavano i contadini del distretto di Prato fino a tutto il secolo XIV, che fra le guerre esterne e le interne discordie era scorso [p. 44 modifica] agitatissimo, si vede dalla petizione che nel 1419 presentarono i sindaci di tutte le Ville ai cittadini deputati dal Comune di Firenze a ricercare le gravezze dei sudditi.

«Dinanzi a voi, nobili e prudentissimi cittadini, ufficiali per lo magnifico Popolo e Comune di Firenze eletti ordinati chiamati e deputati a rivedere examinare provedere risechare e amittere, fra le molte altre cose, massimamente tutte le spese de’ sottoposti al detto Comune di Firenze ec., humilemente spongono e dimandano i vostri devoti e fedelissimi servidori Giovanni di Nicholò del popolo di Sancto Lorenzo da Pinzi di Monte e Andrea di Matteo del popolo di Sancto Martino a Paperino, distretto di Prato, contado di Firenze, sindichi procuratori e mandatari di tutti e ciascheduni popoli luoghi et ville del contado e distretto della terra di Prato, e così del piano come del monte e pendici ec., provediate alle infrascritte trascorse e disordinate cose, le quali per una mala dampnosa e improvida consuetudine sono state cagione, e anche sono, d’incomportabili pesi fatiche e spese a detti popoli e Ville ec.; si supplica reverentemente, per voi signori ufficiali predetti doversi ricevere amettere e aprovare e in tutto e per tutto ordinare statuire riformare e fermare, come si contiene in essi infrascritti Capitoli, che sono questi, ciò è:

«Che tutte le Ville e popoli della Corte di Prato si riducano e uniscano in sei pivieri. Rubrica I.»

E i sei Pivieri avevano sotto di sè le Ville e popoli come appresso:

Piviere di Filettole. Ville di Pinzi di Monte, Gonfienti, Pimonte, Cavagliano, Filettole, Carteano, Canneto, San Leonardo.

Piviere di Feghine. Ville di Feghine, Coiano, Santa Lucia, Capraia, Cerreto, Pupigliano, Grisciavole, Schignano, Casi, Vaiano.

Piviere di Sufignano. Ville di Sufignano, Savignano, [p. 45 modifica] San Godenzo, Fabio, Maglio, Parmigno, Faltugnano, Meretto.

Piviere di Colonica. Ville di Colonica, Mezzana, Paperino, Tavola, Castello Nuovo, Monterobbione.

Piviere di San Giusto. Ville di San Giusto, Cafaggio, Grignano, Armignano, Capezzano.

Piviere d’Aiuolo. Ville di Aiuolo, Gasale, Tobbiana, Galciana, Sorniana.

La rubrica IV concerne alla elezione e all’ufficio del Notaio de’ sei Pivieri; la VI, al Camarlingo; la IX, ai Viandoli, i quali erano «due intendenti huomeni, ciò è uno per lo Monte e uno per lo Piano, che sappino scrivere...; e quali sieno tenuti e debino, ogni anno del mese di magio, andare cercando tutte strade vie e luoghi de’ detti Pivieri, e fare comandamento a qualunque persona trovassono apartenersi e tochare di raconciare fonti vie fosse o ponti, che per tutto il mese di settembre allora proximo futuro debano averle aconcie rimonde rimesse ec.».

Dall’approvazione fatta da’ quattro cittadini fiorentini, il 28 di febbraio 1419 ab incarnatione, si rileva che questi ordinamenti de Villis Prati erano stati compilati il 3 di novembre. E gli approvatori vi fecero quattro limitazioni ossia varianti.

§ 3. Abbiamo poi nell’Archivio delle Riformagioni gli ordinamenti del Contado riformati nel 1424 e nel 1434. Del 1463 è una Riforma della città e del contado, compilata da quattro commissari dell’una e da cinque dell’altro, e a’ 30 di luglio rogata da ser Giovanni del fu Mariotto Passerini da Cortona cancelliere del Comune di Prato, e da ser Michele del fu Andrea (Modesti) da Carmignano cancelliere del Contado; la quale doveva durare dodici anni. Ma fino al 77 non si ha nuova riforma. Alla quale succedono quella del 1483 fatta «per l’ uficio de’ sei Sindaci del Contado», e l’altra approvata il primo [p. 46 modifica] dicembre del 1487: finchè troviamo nel 92 i nuovi Capitoli delle Ville, «facti pe’ prudenti huomini Sancti di Michele di Sancti da Tobiana, e Filippo di Nanni di Piero da Fighine, tutti a due del contado di Prato, per vigore di auctorità a loro concessa per l’uficio di sei Sindichi di decto Contado di Prato, sotto dì 28 del presente mese di dicembre 1492, di licentia (come dissono) dello spectabile uficio de’ Signori Cinque della città contado et distrecto di Firenze, sopra et circa la nuova riforma del decto Contado di Prato et degli ufici di decto Contado». Dal quale Proemio si rileva, che i Sei del contado avevano una propria residenza e un proprio Notaro. Si ha nel 1503 una Riforma, dalla quale vediamo che il Contado pagava: all’ufficio de’ Signori Cinque del Contado in Firenze, lire 90 per tassa; al Comune di Prato, lire 690; alla Cappella della Cintola in Pieve, lire 40; alle monache di San Giorgio, «per lemosina perchè in casa loro sta la cassa delle borse de ’loro uficii», staia tre di grano. I sei Sindachi del Contado ricevevano lire 48 all’anno, in tutti; e i dodici Consiglieri, lire 24. Il Notaro e Cancelliere riscoteva il salario di 24 lire, più lire 8 per fogli e cera. Questi medesimi Capitoli sono confermati nella Riforma del 25 novembre 1508. Si rinnovano due Capitoli nel 1512 (29 di febbraio 1511 ab incarnatione), «atteso che questo presente anno el contado di Prato si trova in uno grande sterminio e chalamità che mai si trovasse, maxime pel danno ricevuto della perdita delle vite per la maggior parte, et intera del vino dell’anno passato». Ed è a notarsi, che le Ville erano ridotte a 42; e che «nelle dete Ville pochi se ne truova atti» agli uffici «per non sapere leggere nè scrivere». E per suggello a tanti mali, nell’estate di quello stesso anno 1512 avveniva il Sacco della terra di Prato, celebre nelle istorie nostre; ond’è a pensare quello che il Contado ne patisse dalla ferocia e avarizia delle masnade Spagnole. [p. 47 modifica]

§ 4. In quanto al numero delle Ville che formavano il Contado pratese, in antico si trova che erano quarantotto: ai primi del secolo XV s’erano ridotte a quarantadue; e col tempo scemarono ancora, quantunque d’alcune sia rimasto il nome e qualche avanzo ne’ luoghi dove già sorgeva una chiesa e un casolare. Per modo d’esempio, nello Statuto del 1505 (Parte IV, rubrica 14) è ordinato: quod villa Narnali sit villa et non subburgus; et villa Sancti Pauli et Armignani sit una villa; et villa Sancti Martini et Choiani sit una villa; et villa Ponzani et Mezane sit una villa. Ma quanto al territorio, si può dire che rimanesse press’a poco lo stesso. Al qual proposito giova produrre un documento de’ 22 di marzo 1287, tratto dai Consigli del Comune di Prato, de’ quali restano tuttavia frammenti del sec. XIII nell’Archivio municipale.

Convocatis etc. ad tractandum de inveniendo confines inter portas terre Prati et villas eiusdem, et inter villas et villas, et inter Comune Prati et eius vicinos etc. — Ser Torellus ser Guillielmi consuluit: quod fiat unus liber confinium inter Comune Prati et suas vicinias hoc modo; quod confines Comunis Prati versus Carmignanum sit flumen Umbronis, salvo quod ultra Umbronem extendatur et ponatur villa Montis Robiori cum suo territorio; et ad sciendum et inveniendum dictum territorium et confines dicte ville requirantur rectores et aliqui antiquiores dicte ville etc. Versus vero Pistorium sit flumen Calicis. A partibus vero superioribus requiratur veritas confinium ab hominibus villarum que sunt prope confines Prati. Et id fiat versus territorium Dominorum Comitum de Mangone. Versus vero partem Comunis Florentie fiat idem. Salvo tamen semper quod DD. Capitaneus et Octo possint addere et diminuere etc. Demum procuret dictus dominus Capitaneus et Octo ab hominibus nostrarum villarum habere in scriptis omnes terras et possessiones que sunt et fuerint infra dictos confines quorunlibet [p. 48 modifica] forensium, et nomina illorum quorum sunt. Et hoc facto, faciant ipsas possessiones in quodam Libro distincte et confinate scribere et allibrari sicut placuerit eis, ut Comune Prati stet in possessione sue iurisdictionis: et faciant denuntiari illis forensibus ut solvant datia ex ipsis possessionibus in Comuni Prati, et tractabuntur ut Pratenses; alias non fiet eis ius aliquod in terra Prati. Confines vero inter portas Prati et villas ipsius, et inter ipsas villas, stent sicut hactenus.

6.

SIGILLO DEL CONTADO.

. s . comitatvs . prati .

Nella raccolta de’ Sigilli posseduta dal cavaliere Amerigo Antinori si conserva questo Sigillo, che appartenne al notaro o cancelliere del Contado di Prato, dopo la riforma Medicea, che separò dalla terra murata le ville o parrocchie rurali.

«Avvertendo (dice una Provvisione de’ 13 luglio 1543) l’Eccellenza dell’illustrissimo signor Duca di Firenze e li suoi Magnifici Consiglieri, qualmente l’esenzione concessa alla terra di Prato e suoi Sobborghi e Contado l’anno 1512, e più volte prorogata, finì il dì 24 di gennaio passato; e che per tal conto le sono ritornate a Sua Eccellenza le infrascritte entrate, cioè la decima de’ lor beni, la gabella delli contratti, del vino, macello e quoia, la tassa delle mulina e gualchiere, la tassa solita pagarsi al Magistrato dei Cinque, e la gravezza ordinaria delle teste: e intendendo dai loro ambasciatori, che se bene per i tempi passati la terra e contado predetti hanno partecipato insieme nei pagamenti delle sopra[p. 49 modifica]scritte et altre gravezze ordinarie e straordinarie, non dimeno il bisogno e desiderio universale sarebbe di stare per l’avvenire separati, e riconoscere ciascuno la sua gravezza da sè, e non avere a concorrere insieme, ec.; per ciò resta proveduto: Che per virtù della presente provvisione, la terra e contado di Prato non concorrino per l’avvenire nelle gravezze insieme, ma siano separati, e ciascuno paghi la sua, e ne siano composti e tassati, con la ricompensa, e nel modo che appresso, ec.». In forza di questo decreto (che s’accorda all’assioma Cosimesco del Divide et impera) il Comune fu diviso. Alla Comunità di Prato si assegnarono la città e i sobborghi; a quella del Contado, quarantacinque ville o parrocchie45. La divisione cessò quando Pietro Leopoldo pubblicava il Regolamento delle Comunità, nel 29 di settembre 1774; e fu allora riguardato come uno scambievole benefizio. Eppure nel 1867 si vagheggiò la separazione! E perchè non è impossibile che la voglia, prima o poi, venga sodisfatta, può anch’essere che questo Sigillo si rivegga su’ dispacci d’un sindaco del Contado pratese.

7.

SIGILLO DE’ CORRETTORI

della compagnia di san domenico.

🕂 s • de corregitori c~opangnie • s~ci domici

§ 1. Questo Sigillo, dov’è rappresentato San Domenico che tiene nella destra mano una spada, e un libro nella [p. 50 modifica] sinistra, fu de’ Correttori di una Compagnia devota a quel Santo: ma la leggenda non dice il luogo. Io so peraltro dal Manni46, che nunc asservatur (il Sigillo di cui egli ci serbava l’impronta) in Museo d. Innocentii Bonamici canonici pratensis47; e dico, che se alle mani del Buonamici pratese venne il Sigillo d’una Compagnia di San Domenico, è probabilissimo che quel Sigillo sia appartenuto alla Compagnia che fioriva in Prato «al tempo di messer lo papa Benedecto vigesimo secondo, sopto li anni del nostro Signore Iesu Cristo Mille trecento trentacinque,» e aveva «per suo nome la Compagnia della disciplina [p. 51 modifica] di Sancto Domenicho». I suoi Capitoli si conservano nella biblioteca Roncioniana, cod. 265; e sotto la rubrica quarta è appunto ordinato Come si debbiano eleggere li tre Coreggitori.

§ 2. Non mi è peraltro sfuggita un’altra rubrica, che è la ventesima, Del suggello della Compagnia; dov’è detto: «La nostra Compagnia abbia uno suggello intalliato del segno della Sancta Croce, co’ lettere intalliate intorno, come sia della Compagnia della Disciplina di Sancto Domenico di Prato. Lo quale suggello stia nella cassetta in della Compagnia, della quale thiene l’una chiave il [p. 52 modifica] Priore, e l’altra il Camarlingho maggiore. Col quale suggello si suggellino tucte le lettere che vanno a’ nostri amici da parte della Compagnia; et ancora quando alcuno de’ fratelli andasse in alcuna terra, et domandasse lo decto suggello per andare ad alcuno luogho di disciplina per divotione et per carità. Ma veruna cosa si suggelli sanza volontà del Priore et delli uficiali, cum cinque altri buoni huomini della Compagnia». Ma io noto, che questo suggello si ordinava nel 1335 per tutto il corpo della Compagnia; e se non allora, in appresso potè averne uno particolare il collegio dei Correggitori, la cui [p. 53 modifica] autorità era su fratelli tanta, come dice il loro nome, che dovevano «correggere i difetti che si commettessono nella Compagnia» (Rubrica 2).

§ 3. Ma tutta la rubrica IV parla dei Correggitori, ed è pregio dell’opera il riferirla testualmente:

Come si debbiano eleggere li tre Coreggitori.

Debbiansi eleggere nella nostra Compagnia tre buoni huomini, savi, discreti, di coscienza, amatori della nostra Fraternita, li quali si chiamino Correggitori. Et la loro lectione si faccia in questo modo: Che lo Priore che entra del mese di novenbre, quando nel suo uficio li pare più convenevole, debbia avere lo nostro Confessoro, o vero altro Frate di Sancto Domenico, al quale elli dia iscripti tucti li huomini della Compagnia. E poi vadano quelli della Compagnia a uno a uno al detto Frate; e ciascheuno sì eleggha tre huomini di quelli della Compagnia: e lo detto Frate segni ogne volta quelli che sono electi: e poi quelli tre che più voci avranno, lo detto Frate, intra quello tempo che li parrà più convenevole, sì li chiami a sè segretamente, sanza manifestarne nulla a neuna altra persona; e dica loro come e’ sono Correggitori. E questi tre abbiano piena e generale balìa di fare cassare e di fare correggere ogni huomo della Compagnia che fallasse contro a’ nostri ordini, là dove lo Priore [p. 54 modifica]non provedesse; e generalmente ogni cosa fare, che s’apartengha a honestà di vita et a buono stato della Compagnia. E quando i decti tre Correggitori vorranno in sopra ad alcuna cosa provedere, debbiano scrivere la loro intentione, e questa secretamente ordinare che vengha in mano del Priore; e ’l Priore la mecta ad effecto, come decto è.

Questa balìa, e diremo quasi segreta inquisizione, che metteva sopra lo stesso capo della Compagnia l’ufficio dei Correggitori, comecchè il Breve non lo dica, poteva rendere necessario l’uso di un Sigillo particolare.

§ 4. Nè avevano poco da fare i Correggitori per tenere in osservanza i capitoli: per esempio l’XI e il XII, che per la notizia de’ costumi mi piace qui riferire. Nell’undecimo si enumerano le cose vietate, dalle quali i fratelli si dovevano guardare. «Se alcuno de’ fratelli corresse in tanta follìa, che biastemiasse Idio o la Vergine Maria o alcuno Sancto, o battesse padre suo o madre, imantenente sanza neuna amonitione sia raso et cacciato della nostra Compagnia... Al postucto volgliamo che veruno giuochi a veruno gioco di dadi, o a veruno altro gioco dove denari ne vadano. Chi giocasse a zara, vada per ogne volta a disciplina a Sancta Anna scalzo. Chi giocasse a neuno altro gioco dove dadi si tocchino, o denari ne vadano, per ciascuna volta vada a disciplina alla Pieve a Borgo et a Sancto Agostino. Ancora, che neuno ardischa d’andare in veruno luogo disonesto di femmine». L’andare a taverna era pure vietato, e fino il bere innanzi terza nei giorni di disciplina. E a questo proposito soggiunge: «Ancora, chi facesse tanta follìa che innebbriasse, vada disciplinandosi al Carmino, et dire all’altare cinque paternostri cum avemarie». Il che mostra, che le penitenze pubbliche duravano anche quando i canoni penitenziali erano dimenticati; massime ove pubblica fosse la colpa, come la bestemmia, il giuoco, l’ubriachezza: per i quali ed altri peccati il Muratori ebbe a desiderare che «si risvegliasse, [p. 55 modifica] in qualche forma, alquanto del rigore antico»48. Parla il duodecimo capitolo di coloro che non potevano essere ricevuti come fratelli; ed ecco quali. «In questa Compagnia non sia ricevuto veruno heretico o sospecto di fede, o infamato di rexia; nè veruno usuraio, o che faccia illicito guadagno, per sè o per altri, o che abbia facto, se imprima no ristituisce interamente; nè veruno giocatore; nè veruno che usi in taverna disordinatamente, o in disonesti luoghi; nè veruno giullare; nè veruno apostata; nè veruno scomunicato; nè veruno che porti arme continuamente, se non avesse legittima cagione e che per sua volontà nolla porterebbe; nè veruno che tengha odio o nimistà; nè veruno che abbia meno di xxi anno; nè veruno che sia d’alcuna Compagnia simigliante alla nostra; nè veruno messo di Comune».

§ 5. Di trentadue rubriche si compongono questi Capitoli, scritti d’una mano fino al XXIII inclusive; nè parrà inutile agli studiosi di questi monumenti della storia e della lingua che io ne dia i titoli.

1. Come veruno sia tenuto a colpa d’anima.

2. Che uficiali debbia avere la Compagnia.

3. In che modo s’elleggha lo Priore elli altri uficiali della Compagnia.

4. Come si debbiano eleggere li tre Coreggitori.

5. Della sollecitudine et dell’uficio del Priore.

6. Dello uficio del Sopriore o vero Proveditore, et dell’infermi della Compagnia.

7. Dell’uficio del Camarlingho maggiore.

8. De’ due Camarlinghi o vero Sagrestani.

9. Della raunanza della Compagnia, et del modo da venire in Capitolo per le feste.

10. Della confessione, della comunione, del digiuno, dell’orationi che sono tenuti. [p. 56 modifica]

11. Delle vietate cose, dalle quali tuct’i fratelli si guardino.

12. Di coloro che non sieno ricevuti alla Compagnia.

13. Come si propongano in Capitolo quelli che volliono essere della Compagnia.

14. In che modo si ricevano i novizi alla Compagnia.

15. Come si faccia processione, et della festa principale della Compagnia.

16. Comesi faccia quando alcuno de’ fratelli passasse di questa vita.

17. Dell’uficio et dell’orationi dopo la morte de’ fratelli, et dell’anuale pe’ morti.

18. Delle messe, dell’orationi per lo buono stato della Compagnia, et per l’anime de nostri fratelli passati et de’ nostri benefattori.

19. Della podestà de’ Priore, et come sieno tractati quelli che fierono cacciati.

20. Del suggello della Compagnia.

21. Di quello che si dee fare del provedimento de’ Frati per le feste principali et per l’annuale de’ morti.

22. Di quelli che non vengono alla Compagnia i dì ordinati.

23. Di coloro che non pagano i denari de’ mesi et dell’altre spese ordinate.

24. Dell’altorità degli uficiali.

25. Dell’obrigo del Priore e Sopriore e tutti sua uficiali.

26. Del modo di fare il Chamarlingho e suo uficio.

27. Dello uficio del Proveditore.

28. De’ divieti degli uficiali.

29. De’ festaiuoli.

30. Del non chassare per debito alchuno.

31. Del beneficio degli uficiali.

32. Chome si dia el pane benedetto.


De’ quali Capitoli piacemi recare il XIV, e con questo finire la illustrazione del presente Sigillo.


Ordiniamo che ’l die che è ordinato di ricevere alcuno fratello, tucti quelli della Compagnia, per la verace obidienza, di venire a’ luogo nostro. E quando li fratelli fierono raunati, allora lo Priore faccia lo cenno, al quale tucti si parino a disciplina. Et quando firono aconci, tucti stieno nelle loro luogora ginocchioni colla faccia turata. Poi ordini lo Priore chi riceva lo novitio, et chi dica l’uficio.

Allora si chiami lo novitio: lo quale venga in Capitolo col cero acceso nella mano dricta, et colla cappa nella sinistra. Et lo Priore [p. 57 modifica]li dia della benedecta49. Allora il novitio vada, et inginocchisi all’altare, et dica uno paternostro et una avemaria. E poi dica: Laldato sia lo nostro Signore Iesu Cristo. Et tucti rispondano: Sempre sia laldato et ringratiato. Allora offerì all’altare la cappa e ’l cero. E immantenente quello che lo riceve sì lo faccia spolliare, e vestali la cappa, et dica queste parole: Ille qui incipit in te opus bonum, perficiat usque in finem. Tuct’i Fratelli r) Amen. Colui che ’l veste, dica: Induat te Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus es in iustitia et sanctitate veritatis. r) Amen. Allora lo cingha sopra la cappa, e pongali la disciplina in mano, e dica: Ricevi la disciplina in memoria della Passione di Cristo, acciò che l’abbi sempre nel tuo cuore infino alla tua fine. r) Amen. Poi dicha: Veni, Sancte Spiritus; reple tuorum corda fidelium, et tui amoris ignem in eis accende. r) Amen. E poi dica: Emicte Spiritum tuum, et creabuntur. r) Et renovabis faciem terre. Dica: Domine, exaudi orationem meam. r) Et clamor meus ad te veniat. Dica orationem: Deus, qui corda fideli um Sancti Spiritus illustratione docuisti, da huic famulo tuo in eodem Spiritu recta sapere, et de eius semper consolatione gaudere, per Christum Dominum nostrum. r) Amen. E facto questo, si elica l’uficio della Croce, et facciasi disciplina, com’è usato. E ciò facto, allora dicha al novitio questo: Fratello, tu sì hai veduto per te de’ nostri facti. E per ciò vuoi tu stare in questa Compagnia, et observare li nostri Capitoli, et essere ubidiente al nostro Priore? sì ne siamo molto contenti: e se non, sì ti rivestì et va in pace; sempre pregheremo Idio per te. Et se dice di sì, dicha a lui così, cioè: Fratello, rispondi come dirò io. Io imprometto a voi d’essere et di stare in questa Compagnia, et d’oservare i Capitoli, et d’essere ubidiente al Priore tucto ’l tempo della vita mia, in quanto Dio mi dia la gratia. Quando arae promesso, dicha: Vedi, Fratello, che se tu fossi caciato per tuo difetto, o vero che ti partissi, che nè cappa nè veruna altra cosa, che tu dessi alla Compagnia, non ti sarebbe renduta. E poi lo faccia levare. Immantenente vada, e basci l’altare; et poi divotamente dia la pace al Priore et a li Uficiali, et poi a tucti i Fratelli. E poi s’inginocchi in terra. E colui che riceve, dicha: Io, dalla parte di Dio et della Vergine Maria et di questa Compagnia, sì ti fo partefice in vita tua, et dopo la morte tua, di tuct’i beni che si faranno et si diranno in questa sancta Compagnia, et di tuct’i beni che si faranno in tucto l’ordine de’ Frati di Sancto Domenico; se [p. 58 modifica]tu perseverrai insino alla tua fine. E po’ dica a’ Fratelli: Io, dalla parte di Dio, vi prego che divotamente preghiate Idio per questo nostro, che li dia gratia di perseverare in questa Compagnia insino alla sua fine, con salute dell’anima et del corpo. E a ciò che Dio lì dia questa gratia, ciaschuno dica cinque paternostri et avemarie cum disciplina. Quando sono decti, lo Priore faccia lo cenno; al quale tucti si rivestano. Poi dica lo Priore a uno de’nostri Fratelli, che sia suo maestro uno mese; lo quale li debbia insegnare quelle cose che parlano li nostri Capitoli. E ’l Camarlingo debbia scrivere lo nome suo nel libbro et nella tavola. E siali asegnato lo luogo suo, nel quale elli stia et tengha la cappa...».

8.

SIGILLO DEL CONVENTO DEGLI EREMITANI

in sant’anna.

sig • con • sce • anne • prati • cong • iliceti

§ 1. Le vicende del convento degli Eremitani di Sant’Agostino presso Prato, dedicato a Sant’Anna, sono narrate nel primo volume del Calendario Pratese pel 1846, pag. 109-118; ma quando io scrissi, nè aveva notizia di questo Sigillo, nè sapeva che delle carte di quel convento restasse almeno uno spoglio. Debbo la conoscenza dell’uno e dell’altro all’egregio cavalier Passerini, bibliotecario della Nazionale; chè il transunto dei documenti con l’impronta del Sigillo si conserva in quella biblioteca, in una Miscellanea di storia patria di Giovanni Baldovinetti, proveniente dalla Palatina50. Ora io non voglio rifar la storia degli Eremitani di Sant’Anna, tanto più che la riscontro vera, siccome [p. 59 modifica] desunta da memorie fedeli se non autentiche. Ma credo pregio dell’opera dare un cenno delle carte principali, e di alcune il testo per intiero.

§ 2. La prima carta (xiv kal. augusti 1203), fatta foris Pratum, è un atto di vendita, che non si riferisce al convento: ma la seconda ci serba la più antica memoria di quel Benvenuto che edificò la cappella di Santa Maria nel Monte Maggiore. Eccola per disteso.

1222, v nonis octobris, ind. xi. Presbiter Benvenutus, rector administrator constitutor sive hedificator et dominus ecclesie Sancte Marie de Monte Magiore site in loco qui dicitur Pagnanese, presente domino Ioanne Fiorentino episcopo, dedit obtulit et concessit prefatam ecclesiam Sancte Marie, cum terris, casis, vineis, silvis, pascuis et salectis, cum omni iure actione et usu etc., plebano Bonaiuto plebis de Monte Cuccoli, recipienti ad utilitatem dicte plebis, instituendo et ordinando administratores atque rectores in dicta ecclesia, salvo censu vel redditu ac reverentia qui debetur plebi de Calenzano. Dictus vero plebanus pactus est, et convenit et promisit dicto presbitero Benvenuto regi facere et gubernare dictam ecclesiam Sancte Marie per virum religiosum qui castitatem promiserit in religionem, atque ipsam ecclesiam et eius bona nullo titulo alienare pro necessitatibus ipsius plebis, vel alia occasione; sed semper augere et ampliare; salva in hiis omnibus reverentia et obedientia domini Episcopi Fiorentini. Dominus Rubeus canonicus Sancte Marie supra Portam; dopnus Benignus; presbiter Uguiccio cappellanus; d. Ioannes episc. Florent.; testes. Ego Bene de Monte Ficalli iudex subscripsi. Ego Renuccius della Pressa iudex et not. Ego Rainerius filius ser Petri Ambrosii de Maiano iudex ordinarius et notarius. Actum Florentie.

1223, pridie non. septembris, ind. xi. Presbiter Gherardus plebanus plebis Sancti Donati de Calenzano, cum consensu presbiteri Gualterocti, presbiteri Iuncte, et Bencivenni, fratrum canonicorum suorum, concessit et remisit domino Ioanni episcopo Fiorentino omne ius et actionem sibi et plebi sue competentem in bonis et ecclesia de Monte Maiori, de quibus litem habebat cum presbitero Bonaiuto plebano de Monte Cuccoli; salvo tamen et reservato eidem plebano et dicte plebi de Calenzano omni iure quod habent in spiritualibus in ipsa cappella vel ecclesia de Monte Maiore. Actum Florentie, in palatio Episcopi. Ildebrandino Guictonis; Mannello priore S. [p. 60 modifica]Micaelis Bertelde; Ghisello iudice de Calenzano; testibus. Ego Ioannes episcopus Florentinus hoc laudum etc. tuli, prolatum ex libera commissione illorum de Calenzano. Ego Iacobus index et notarius. Ego Rainerius qui supra.

1268, x kal. novembris, ind. xii. Actum extra Pratum apud villani de Filectole in claustro plebis Sancte Marie. Domino Ugone plebano plebis Sancti Laurentii; presbitero Guidone qui fuit rector ecclesie Sancte Marie de Septimello; testibus.

Cum frater Burnettus prior Sancte Marie Montis Maioris de regula Beati Augustini, et frater Orlandinus, et frater Guidone, et trater Salvi velint hedificare et constituere venerabilem locum domum et oratorium ad honorem Dei, Beate Marie Virginis et omnium Sanctorum, et specialiter Beate Anne matris Virginis Marie, in plebeio plebis de Filectole, accesserunt coram domino Gottolo plebano dicte plebis et Capitulo, et petierunt licentiam hedificandi dictam domum et oratorium. Qui dominus Gottolus, de consensu presbiteri Gai et domini Alberti, suorum et dicte plebis canonicorum, et Bonaccursi conversi ipsius plebis, concesserunt plenam licentiam dictis Fratribus hedificandi oratorium ad divina officia celebranda51, et precipue B. Anne matris Virginis Marie, in quodam loco inter villam de Pimonte et villani de Vallecchio districtus Prati, in plebeio dicte plebis, et diocesis Fiorentine: 1, via; 2, rivus Gottoli; 3, Giottinus filius Bonaventure et Bonaccursus q. Aiuti; 4, Filii q. domini Bomparentis et Pratese Rigalteri: sine aliquo censu sive reddito, vel spirituali sive temporali, pro predicta plebe ab ipsis Fratribus prestando. Salvo quod ipse frater Burnettus pro se et successoribus suis promisit dicto Plebano et Capitulo ire stare et morari ad dictam plebem omni anno in die Cineris quadragesime maioris, in die Sancte Marie, in die Sancti Ioannis et in die Olivarum, cum divina officia celebrantur, ipsi vel duo ex eis: quod non recipient aliquem personam de plebeio ad sepeliendum et ad divina officia audienda, sine licentia dicti Plebani et eius Capitali. Quod si aliquo tempore contigerit ut predicti Fratres abitationem et residentiam dicti loci cessarent, dictus locus sub custodia et protectione dicte Plebis et Capituli remaneat, ita ut Plebanus et Capitulum locum libere et expedite cum omnibus suis iuribus et pertinentiis dictis Fratribus vel aliis de dicta regula revertentibus reddere et restituera teneantur sicut [p. 61 modifica]prius habebant. Ego Guido notarius filius q. Bonagiunte. Ego Ugellus Mecti iudex ordinarius notarius scripsi.

§ 3. Il terreno dove Frate Brunetto52 intendeva di edificare il luogo degli Eremitani, era stato da lui comprato per sè e suoi frati da Cambio e Guidetto del fu Bartolo e dalle loro mogli. Ciò si rileva da un’altra carta, data nella stessa pieve di Filettole, 15 kal. decembris 1269, ind. 13, e rogata dallo stesso ser Guido; colla quale Frate Brunetto acquista da Ivano e messer Giovanni e Romeo, figliuoli del fu Bomparente, un pezzo di terra e vigna posta ultra Bisenzo. Assai importante è poi la carta che segue.

1269, viii kal. decembris, ind. xiii. Actum extra Pratum. Frater Burnettus, hedificator ecclesie Beate Anne et Beati Vincentii, consignavit domino Gottolo plebano et eius Capitulo litteras scriptascum sigillo cere viridis. Imago eius erat homo cum quadam bestia sub pedibus; suprascriptio vero erat: 🕂 Sigillvm Iohannis Episc. Florent. Quarum tenor talis erat. — Ioannes sola gratia et miseratione divina Florent. Episc. Plebano de Filectole salutem et benedictionem. Devoctioni tue mandamus, ut cum aliquibus ex tuis clericis accedas ad locum Fratris Burnetti personaliter fundare nostra auctoritate lapidem quem commitimus benedictum in fundamentum ecclesie et oratorii ad honorem Dei et Beate Anne hedificande. — Qui D. Gottolus plebanus cum suis Canonicis et Capitulo accesserunt ad dictum locum, ad honorem Dei Omnipotentis et Beate Virginis Marie, omnium Sanctorum Dei, et Beate Anne, et ad honorem et laudem dicti domini Ioannis episcopi Fiorentini, adimplentes omnia et singula que in forma litterarum latarum continebantur. Magister Bonacursus q. Bentivegne, Iacobus Castaldi, Davizo olim domini Guezonis, dominus Bartolomeus olim domini Aghostini, Bonsegnore olim Pratolini, Infaldo not. Acconci not., dominus Pandolfinus iudex, Leonardus not. olim Raineri, dominus Convenevole iudex filius Gualfreducci iudicis et not. Ego Guido not. filius olim Bonagiunte scripsi.

§ 4. Essendo insorta questione tra Frate Pace sindaco del Priore e Frati di Sant’Anna e prete Michele vicario [p. 62 modifica] e sindaco di Guidone pievano di San Donato a Cadenzano; Matteo da Ravenna, canonico di Forlimpopoli e vicario di Lottieri vescovo fiorentino, sotto dì 8 marzo 1302, loda fra le parti, confermando l’instrumento del vescovo fiorentino Francesco. Se ne roga Convenevole notaro del fu messer Acconcio notaro, giudice ordinario. Nel seguente si ha la elezione del priore, che durava in ufficio un anno soltanto; e si hanno i nomi dei frati che abitavano in Sant’Anna a’ primi del secolo XIV.

1305, i die scilicet kalend. augusti, ind. iii. Congregatis ad Capitulum Fratribus Eremitarum conventus Sancte Anne de Prato Fior. diec. per vicarium ipsorum ad faciendam novi Prioris pro futuro anno electionem, facto diligenti scrutinio per fratrem Pacem sindacum de dicto Ordine, consenserunt in fratrem Lapum filium Mannucci in eorum priorem, incipiendo a calendi presentis augusti usque ad unum annum. Nomina fratrum: Frater Donatus. Frater Laurentius. Frater Ioannes. Frater Petrus. Frater Andreas. Guiduccio olim Melliorati; Upizino voc. Cino olim Boncristiani converso dicti loci; testibus. Ego Convenevole not. de Prato iudex ordinarius.

§ 5. Sotto l’anno 1313 a’ 19 d’aprile è citato un instrumento col quale Bartolommeo proposto di Prato fa compromesso negli arbitri ser Lapo di ser Migliorato e Zuccaro Bonaiuti; ma non riguarda il nostro convento. Al quale ci riconduce una carta rogata nei giorni che più infieriva la peste descritta da Giovanni Boccaccio.

1348, xxviii augusti, ind. i. Actum extra terram Prati Flor. diec. in ecclesia S. Anne. Franciscus olim Bonafedis de Prato obtulit se et omnia bona sua omnipotenti Deo, B. V. M. et B. Anne, coram d. Fratre Stefano Tieri de Prato priore dicte ecclesie, clausis manibus infra manus dicti Prioris, et reservavit sibi usumfructum suorum bonorum toto tempore vite sue. Que omnia promiserunt dicte partes observare sub pena floren. 40 auri. Ego Michael filius olim Mei de Prato iudex ord. not.

§ 6. Viveva in quel tempo nel convento di Sant’Anna, ed era celebre per santità, Elia Migliorati; di cui la [p. 63 modifica] cronaca narra, che a’ 6 di maggio del 1348, per voto fatto e autenticato da un prodigio, s’incamminò pellegrinando ai luoghi di Palestina. Ma egli lasciava il convento diserto dalla peste; e tosto il Cardinale legato di Clemente VI ne conferì il possesso a un cherico degli Altoviti, che appena si vede registrato dal cavalier Passerini nell’Albero di quella famiglia53. Questo è il documento della tenuta.

1349, ix aprilis, ind. ii. Actum in ecclesia Sancte Anne extra Pratum. Ser Bettus olim Iacobi presbiter canonacus plebis Sancti Martini de Brozzi et cappellanus Sancte Reparate maioris ecclesie Florentine, uti commissarius electus a domino Naldo canonico dicte maioris ecclesie Florentine executore litterarum gratie concesse Cingo olim Pieri de Altovitis clerico florentino per dominium Anibaldum episcopum Tuscholanum S. R. E. Cardinalem Apostolice Sedis legatum, de ecclesia sive cura ecclesie Sancte Anne extra Pratum Florentine diecesis, misit in tenutam et possessionem dicte ecclesie Sancte Anne et eius iurium et bonorum Stephanum olim Pieri, fratrem et procuratorem dicti Cinghi, ut patet manu ser Ioannis Bellomi not. de Luca abitatoris Florentie. Pierus Stephani de Altovitis populi Sanctorum Apostolorum de Florentia testis. Ego Paulus Luchi de Leccio Fesul. diec. iudex ordin. civis not. flor.

Ma il popolo ne mormorò; e gli Eremitani riebbero il loro convento, dove nel 1362 il beato Frate Elia chiuse i suoi giorni.

§ 7. Nelle carte posteriori abbiamo l’offerta che fanno de’ propri beni alla chiesa di Sant’Anna Parente del fu Ivano e Fiorina sua donna (11 novembre 1355): la memoria della Libra et Extimo nuovo, che si pagava ai Comuni di Firenze e di Prato, distribuito ne’ quartieri per ciascuna porta della terra, dopo l’anno 1369; e del più recente Estimo fatto l’anno 1373 (30 agosto 1374): il testamento d’Agostino di Piero di Meo da Toscanella, abitante nel suburbio di porta San Giovanni, che si elegge la sepoltura [p. 64 modifica] nella chiesa di Sant’Anna (8 agosto 1400). D’altre carte mi passo. Ma ricordo come i religiosi vi fossero in numero di dodici quando nel dicembre del 1493 ottenevano, per riformagione de’ Consigli di Firenze, la elemosina di quattro staia di sale all’anno, ad pondus librarum lxxii pro quolibet stario; elemosina che Cosimo I confermava a’ 22 d’aprile 1545 per altri cinque anni.

9.

SIGILLO DELLA COMPAGNIA DE’ PINZOCHERI.

🕂 • s • pinzocheri de prato.

§ 1. Il Manni, che ha registrato questa Sigillo sotto il numero 570 nella sua Raccolta manoscritta, scriveva: «Puto Pinzocheri pro Bizochi familia Pratensi». Bizzoco si disse dal colore della veste che il devoto portava; da bizzoco venne pinzochero: e la famiglia prese per avventura il nome da un pinzochero o bizoco; ma nulla ha che fare col presente Sigillo. L’Assetato Colombario (il canonico Niccolò Liborio Verzoni pratese) così lo illustrava negli Annali manoscritti di quella Società54. «Crederei che questo fosse un Sigillo usato nelli antichissimi tempi da una Compagnia chiamata de’ Coniugati. Era questa composta di uomini e di donne, che facevano vita spirituale, chiamati allora Bizzochi e Pinzocheri, che in oggi si direbbe Bacchettoni. Si adunava questa Compagnia, e risedeva, in quel luogo e quartiere di Prato, dove è presentemente la Compagnia detta della [p. 65 modifica] Crocetta, che però si trova ne’ tempi più bassi chiamata Societas S. Crucis del Ceppo; et in alcune stanze contigue alla medesima avevano la loro continua abitazione; le quali accrebbero poi a quella casa grande, dove in oggi è la Certosa55, venduta dalla medesima Compagnia a questi Frati nell’anno 1652 a’ 18 d’aprile. La suddetta Compagnia aveva per suo instituto il sovvenire a i bisogni dei poverelli; et ad effetto di raccogliere limosine, che venivano fatte dalle pie persone, teneva, invece della moderna cassetta, un Ceppo, nelle buche e vuoto del quale venivano poste, come è detto, le limosine dai medesimi fratelli e sorelle, e da altre buone persone, somministrate. Da questo Ceppo, credo io, venne poi l’arme usata dal Ceppo vecchio; che altro non è se non un Ceppo color d’albero con i suoi tronconi bucati, sopravi una croce rossa in campo bianco. Una tale pia opera andò avanti per un pezzo a forza di carità manuali, e solo cominciò a pigliar piede e ad avere qualche sussistenza nell’anno 1282, mercè la pietà del cavalier messer Monte figliuolo del cavaliere messer Turingo della famiglia de’ Pugliesi da Prato, il quale in detto anno donò alla detta Compagnia, alla quale egli pure era aggregato, un mulino con una chiusura, posto in Ponzano, oggi detto Mezzana, dal quale ne ritraeva staia 14 di roba il mese, cioè la metà grano, e l’altra metà biada». Seguita poi a dire, come sull’esempio del Pugliesi molti lasciti fossero fatti al Ceppo, e come gli venissero aggregate dal Comune le sostanze dello Spedale de’ lebbrosi, detto di San Lazzero e Santa Maria Maddalena, ch’era al Ponte Petrino (Domus infectorum de Ponte Petreno), volgarmente de’ Malsani56; e come finalmente, dopo il sacco dato nel 1512 alla terra di [p. 66 modifica] Prato dalle orde Spagnole, il patrimonio del Ceppo vecchio fosse riunito al nuovo Ceppo fondato da Francesco di Marco Datini nel 1410.

§ 2. Il Sigillo che ora si pubblica non appartenne al Ceppo vecchio, ma alla Compagnia della Crocetta o della Santa Croce; i cui Capitoli, compilati il 17 d’aprile 1295, vennero stampati, per mia cura, anni sono57. Veramente i Capitoli non parlano punto del Ceppo; sul quale pose ben presto le mani il Comune, che troviamo sin dal 1297 ingerirsi della elezione de’ Ministri, prima scegliendogli dal numero de’ fratelli, poi a suo beneplacito; finchè la Repubblica Fiorentina, e più tardi Cosimo Medici, non se ne fecero assoluti dispensatori. I Capitoli provvedono alla vita spirituale; e ci mostrano come i fratelli, per meglio attendervi, usassero di fabbricarsi presso la Compagnia una cella, che morendo o partendosi non potevano nè vendere nè dare a veruna persona, ma dovevano rilasciarla a tutta la Confraternita. E questa forma di vita quasi comune, forse ci spiega come nel 1410, a’ 10 di maggio, si ristrignesse a soli diciotto il numero de’ fratelli; nè di sorelle si parla. Anche la forma del vestire aveva del religioso; e alla figura del Sigillo fanno riscontro le parole dei Capitoli: «Che neuno di questa Compagnia debbia portare vestimenti troppo vistosi di colore, nè di vistosi e nuovi e leggiadri tallii, nè con alcuno vano ornamento: e spetialmente non debbia alcuno della Compagnia portare panno rosso o giallo, nè verde nè bianco, nè vergato di troppa vista, nè bottoni se no di panno, nè calzato non debbia ire se no honestamente; e ciascuno debbia portare chuffia58 palesemente».

§ 3. Non ricorre mai nei Capitoli del 1295 la parola [p. 67 modifica] Pinzochero; nè le aggiunte posteriori, che vengono dal 1410 al 1526, ne fanno menzione: ma tali si chiamavano specialmente gli ascritti al terz’ordine di San Francesco59, e tali erano i fratelli che si raunavano al luogo de’ Frati Minori «nella Compagnia presso e allato al Ceppo». E «bizzoco di quegli di San Francesco» si legge nel Decamerone; dove la voce Bizzoco non vale, come vorrebbe il Vocabolario, Bacchettone: benchè sia vero, che a denotar gl’ipocriti si trasse, quando la umile divisa servì a vestire uomini come il buon Conte di Virtù60! Potevano quindi scrivere nel proprio Sigillo que’ devoti fratelli, a meglio denotare la loro qualità di terziari, Pinzocheri di Prato; invece di porvi per leggenda la Compagnia della Santa Croce. La quale, secondo che trovo scritto in certe schede di Amadio Baldanzi, durò fin verso al 1560; e i beni presero allora i Francescani Conventuali.

10.

SIGILLO DI LEUCCIO GUAZZALOTTI.

🕂 s’ levccio levci d’ gvazaloti.

Il Manni ci ha conservata l’impronta di questo Sigillo nella citata Raccolta, sotto il n.° 840; ma non dice da chi l’avesse avuta. E ricordando, com’è fa, il Casotti nel suo Ragionamento istorico intorno alla città di Prato, a pag. 31961, volle darci la spiegazione dell’arme, che qui apparisce di semplici fasce, mentre si trova che alcuni di quella famiglia [p. 68 modifica]

le cambiarono in bande. Sotto le volte del Duomo si vede unita ai gigli del Comune di Prato, e alla croce del Popolo di Firenze. Il che dovette accadere dopo la provvisione del 20 marzo 1340; per la quale nobiles viri homines de domo de Guazzalotis de Prato, Populi Florentini et Partis Guelfae benemeriti, quia in adversitatibus dicti Comunis plura suffragia impenderunt contra Ghibellinos; et terram Prati, quae membrum civitatis Florentiae semper fuit sub regimine Partis Guelfae, defensarunt; creati fuerunt omnes et singuli in cives et populares fiorentini in omnibus et quoad omnia. Ma entrare nelle vicende di questa famiglia, che prima nell’ordine de’ magnati, poi in quello de’ popolani si rese celebre nella storia toscana, non si può in occasione di un Sigillo, che appartenne a Leuccio figliuolo di quell’altro Leuccio che a’ primi del secolo XIV tenne uffici di molta rilevanza, essendo andato più volte oratore del suo Comune, ed avendo militato con Carlo duca di Calabria. Del nostro Leuccio, ch’ebbe per avo messer Ridolfo, da cui vennero vari rami dei Guazzalotti, nacque messer Chiuolo, avo di quel messer Filippo, che fu armato cavaliere da’ Fiorentini sotto Pisa nel 1362, e nel 90 finì, avvelenato a Montepulciano, i suoi giorni, dopo avere valorosamente ma infelicemente difeso Marciano dai soldati di Gian Galeazzo Visconti. E di Filippo discese, dopo tre generazioni, messer Andrea di Domenico d’Antonio, che abitando a Bergamo, volle nel novembre del 1491 visitare la patria de’ suoi, e vi fu ricevuto a grande onore. Venit (dicono i Diurni) cura honorabili comitatu, ut patriam suam et natale solum agnosceret, et gentiles ac consanguineos suos viseret. [p. 69 modifica]

11.

SIGILLO DI SER RATINO DI SER NUTO.

🕂 s ratini . not . filii s’ nuti de pto

Questo Sigillo ci fu serbato dal Manni, in quel suo libro d’impronte che si conserva nella Moreniana, e vi è allogato sotto il n. 922. Nessuna notizia m’è occorso trovare di Ratino e di suo padre Nuto, che furono ambedue notari, e debbono esser vissuti nel secolo XIV; perchè di quel tempo è il Sigillo, dove si vede il Sere che sta «a leggìo a dare consigli», come dice Franco Sacchetti nella Novella62 di messer Dolcibene, che andato da un vecchio usuraio fatto novamente cavaliere, e trovatolo malinconoso, «Non vi date tanta malenconia» gli dice; «chè se voi ci avete a vivere, voi ne vedrete fare dei più cattivi di voi».

12.

SIGILLO DI MESSER TORELLO DE’ TORELLI.

🕂 torelli.

§ 1. Nella famiglia de’ Torelli da Prato, che fu veramente un semenzaio di giureconsulti, troviamo sin dal milledugento ser Guglielmo notaro e messer Bonaccorso giudice63. [p. 70 modifica] Di Guglielmo nacquero Torello e Ansaldo64, ambedue notari; il primo de’ quali fu padre di ser Adatto e di ser Bonaccorso65. Questi ebbe un Giovanni notaro, padre di ser Lodovico66; ed un Torello, pur notaro, che visse nel bel mezzo del secolo XIV. Ecco qui l’alberetto della sua discendenza67.

§ 2. I due fratelli Bonaccorso e Torello di Niccolò abitavano in Porta Santa Trinita di Prato, dov’erano nati tra [p. 71 modifica] il 1363 e il 64; ma nell’Estimo del 1393 si dicono «partiti», e andati a stare a Firenze «già è tre anni passati68». Ed erano in Firenze a studiar legge nel 1386, quando presentavano alla Signoria questa petizione.

[p. 72 modifica]

Exponitur reverenter vobis magnificis Dominis, dominis Prioribus Artium et Vexillifero iustitie Populi et Comunis Florentie, pro parte Bonaccursi et Torelli fratrum filiorum domini Niccolai Torelli de Prato, comitatus Florentini, studentium Florentie in iure civili, Quod die quinto decimo presentis mensis februarii, dum ipsi equester Pratum irent pro certis eorum negotiis, et maxime ut tempore carnisprivii se cum eorum matre et aliis suis fratribus reperirent, et dum sic euntes, essent in Burgo Omnium Sanctorum civitatis Florentie, familia presentis domini Capitanei civitatis predicte, ipsos sic equitantes cepit et reperiit cuilibet ipsorum unum stoccum, prout plurium moris est dum rus vadunt aut exeunt civitatem; et tamquam huiusmodi arma ferrent contra Ordinamenta dicti Comunis, ipsos scripsit, et ad Cameram dicti Comunis scripturam misit sub tali descriptione, videlicet: «Bonaccursus et Tommeus filii domini Simonis de Prato»; et quod quia ipsi non sunt consueti morari in civitate Florentie sed Bononie studere solent, set creato noviter Studio Florentino, cohacti fuerunt in civitate Florentie studere, ut plures alii subiecti Comunis Florentie, nesciebant consuetudinem et Statuta, sed putabant dum equitarent extra civitatem posse talia arma portare, et saltem honeste prout faciebant, et sic potius simplici errore quam alia culpa ducti, in tale inconveniens incurrerunt, et sic discretioni dicti domini Capitanei etiam visum fuit; ideo, cum spe a Vestra Clementia iustam gratiam obtinendi, supplicant humiliter et devote, quatenus, consideratis predictis, vobis placeat et velitis opportune providere et tacere solemniter reformari, Quod etiam non aliter facta aut requisita fide de aliquo predictorum, et non obstante dicta varietate nominum, ipsi Bonaccursus et Torellus intelligantur esse et sint, virtute presentis legis, absoluti et pienissime liberati a delatione inventione et eaptura dictorum armorum et ab omni pena predictorum occasione commissa, et propterea ad aliquid solvendum dicto Comuni aut aliis pro ipso Comuni recipientibus, gravari seu cogi non possint nec debeant ullo modo; et quod scribani Camere dicti Comunis et seu aliquis ex eis possint et debeant, visa dumtaxat presenti reformatione, cancellare omnem et quamlibet scripturam pro predictis in dicta Camera factam, que etiam ex nunc habeatur et censeatur pro cassa et realiter cancellata69. [p. 73 modifica]

§ 3. Lo Statuto dell’Università fiorentina, o (come lo dicevano) degli scolari dell’inclito Studio fiorentino, ebbe fra’ suoi compilatori anche Torello da Prato. Adunati maestri e discepoli nella chiesa di Santa Maria della Badia fiorentina il 14 febbraio 1387, diedero facoltà al rettore dell’Università o Studio fiorentino, ch’era Napoleone de’ Parisani d’Ascoli, di nominare tre dottori, uno per ciascuna facoltà, e sei scolari, due per facoltà, i quali con esso rettore ne facessero e correggessero gli Statuti; e il giorno appresso, il rettore deputò ed elesse egregium decretorum doctorem dominum Iacobum de Fulchis de Florentia, dominum Iohannem filium comitis Karoli de Puppio et dominum Vannem de Recaneto scolares, pro membro Iuris canonici; excellentissimum iuris civilis doctorem dominum Angelum de Perusio, dominum Torellum domini Niccolai de Prato et dominum Petrum de Cathalonia scolares, pro membro Iuris civilis; celebrem artium et medicine doctorem magistrum Christoforum de Honestis de Bononia, magistrum Alexandrum de Sancto Lupidio et magistrum Mìcchaelem de Brissia scolares, de membro Medicine, con la detta autorità. Il Codice di questa compilazione si conserva nell’Archivio centrale di Stato.

§ 4. Illustrando il Sigillo di messer Bonaccorso, tacque il Manni70 com’egli fosse squittinato all’ ufficio di Priore nel 1411, e avesse in moglie Diana di Niccolò di Rosso Bagnesi; nè di certi suoi Consigli fece parola, che pur si trovano nell’Archivio delle Riformagioni, mentre ne cita alcuni del fratello. Di questo io debbo ora occuparmi, pubblicandone il Sigillo, che ho levato dall’impronta rimasta intatta in alcuni de’ suoi Consigli; dove talora fu solito apporre, come usavano anche gli altri dottori, un sigillo più piccolo, che porta una testina, incisa probabilmente in antica corniola.

§ 5. Un Consiglio del nostro messer Torello fu [p. 74 modifica] pubblicato dal Manni71 (che ne potè acquistare diversi); ed ha rapporto colla famiglia del celebre Giovanni Aguto, capitano della Compagnia degl’Inghilesi, morto al servizio della Repubblica di Firenze, che troppo l’onorò col dargli sepoltura in Santa Maria del Fiore. Degli altri non ci dà notizia, nè oggi saprei dove cercarne. Un Consiglio, originale, si trova nel Diplomatico fiorentino (documenti cartacei, provenienti dal convento di Santa Maria Novella), e concerne la interpretazione del testamento di Chirico del fu Lodovico da Firenze, fatto in Tolentino a’ 12 di novembre 1414. Ma ve no sono di data anteriore nell’Archivio delle Riformagioni; dove il Torelli si sottoscrive ora solo, ed ora con altri dottori. Fra’ quali Consigli piacemi ricordare quello ch’ei rese, con Filippo di messer Tommaso Corsini, in favore di Guasparre di Sandro Macci, maestro, abitante nel popolo di Santa Lucia di Firenze; a cui i ragionieri straordinari del Comune volevano far pagare mille cinquecento lire, per non aver adempiuto il suo debito nei lavori allogatigli alla Porta di San Niccolò. Ecco un brano della petizione presentata dal Maestro a’ Signori e Collegi nel febbraio del 1399 ab Incarnatione.

La cagione della decta dichiaragione e condannagione disseno i detti Ragionieri essere, perchè al detto Guasparre fu allogato per gli ufficiali della Torre a murare e a fare murare tutto il concio che sare’ di bisogno in sulla porta a San Nicholò, cominciando sopra quello il quale fu allogato a Sandro Macci e Lapo Martini e a Giuliano di Francescho, che finiva la loro allegagione al pari de’ merli delle mura di verso Sancto Miniato a Monte. E perchè il detto Guasparre dissono ch’à preso quantità di danari dalla Gabella delle porti per lo detto lavorìo, il quale dissono non essere fatto secondo la detta allegagione; e dissono avere avuta informazione da detti Giovanni di Benozo e Cione di Andrea; et non dichiararono i detti ragionieri in che manchò il detto lavorìo, ma dichono che ’l lavorìo non fu facto secondo la detta allogagione, [p. 75 modifica]come queste cose nel detto efecto contiene la detta chiarigione e condannagione. Dalla quale dichiaragione e condannagione il detto Guasparre si sente e dice essere gravato inormamente, contro a ogni debito di ragione e di verità: però che la verità fu ed è, che il detto Guasparre bene e fedelmente fece il detto lavorìo, secondo che dovea. E i maestri delle porti sempre gli furono sopr’a capo a vedere e fare vedere; e pagarono il detto Guasparre come per parte loro si convenisse; e non à preso Guasparre più che dovesse; a’ quali maestri delle porti fu comesso il detto lavorìo. E i’ lavorìo è in piede, e puossi vedere e misurare, e vedere i danari à avuti Guasparre: e di leggieri si troverrà la verità: e la verità è, che i detti ragionieri per mala informazione e sanza ragione legittima feciono la detta chiarigione e condannagione; la quale fu ed è ingiusta, e facta contro a ogni dovere... E pella detta cagione ricorre a voi e allo uficio e signoria di voi magnifici signori Priori e Gonfalonieri di giustitia del Populo e del Comune di Firenze, e domanda che, raghunati l’uficio de’ Ghonfalonieri delle compagnie del Popolo e’ dodici Buoni huomini del Comune di Firenze, voi propognate el detto ricorso, e tucte le predette cose, e in presenza de’ detti Ufici udiate il detto Guasparre; e, ogni solepnità e dovere oservati che si richiede secondo gli ordini del decto Comune, voi e’ detti Ufici de’ detti Gonfalonieri delle compagnie e dodici Buoni huomini diliberiate e provegiate e ordiniate, il detto Guasparre avere bene ricorso, e male essere istato dichiarato e condannato pe’ detti ragionieri ec.


I Signori e Collegi fecero ragione al Maestro. Se non che i Priori, de per se, sine dictis eorum Collegis, fecero una nuova deliberazione che cancellò la prima, appoggiandosi alla provvisione del gennaio 1398, che dava balìa ai ragionieri di dichiarare i debitori del Comune, e poneva un termine ai ricorsi. Per lo che fu domandato ai due savi messer Filippo Corsini e messer Torello da Prato, se la deliberazione dei soli Priori potesse cassare quella fatta dai Signori e Collegi; e i savi risposero, che la prima deliberazione in favore di Guasparre non veniva annullata dalla susseguente. Ratio est manifesta; quia deliberata acque disposita per dominos Priores et Collegio, in predictis non possimi per solos dominos Priores revocari et [p. 76 modifica] ad irritum deduci. E si sottoscrissero ambedue i dottori il 17 marzo del 1399.

§ 6. Tralascio di parlare degli altri Consulti di messer Torello per dare un cenno delle pubbliche commissioni che gli furono affidate dal Comune di Firenze. Due volte si trova mandato nell’onorevole ufficio di oratore; e la prima nel 1410, con messer Lorenzo Ridolfi, al Papa in Bologna per il motivo espresso nella Nota e informazione72.

Gli direte, che la cagione di vostra andata alla sua Beatitudine si è, che alla nostra Signoria è venuto messer Filippo degli Scolari conte et uno de’ baroni et signori d’Ungheria, nostro cittadino, et ambasciadore del serenissimo principe et signore Re d’Ungheria; et acci sposto, come il prefato Re, per certe ingiurie ricevute d’alcuno sommo Pontefice, esso è stato alquanti anni ne’ quali non à voluto ubbidire a chi à tenuto il papato; allegando che alla Chiesa sempre esso è stato obediente, et a essa portata quella debita reverentia che si richiede di portare per qualunque cristiano o principe; ma a’ pastori d’essa, da’ quali indebitamente è suto ingiuriato, come di sopra si dice, à subtracta l’obedientia: ma che essendo ora, per la gratia divina, la Chiesa di Dio ridocta avere unità, et sperandosi per lui, che da quinci innanzi da chi è et sarà per e tempi Vicario di Iesu Cristo non essere ingiuriato, ma tractato come vero figliuolo di sancta Chiesa, et come cristianissimo principe et pugile della fede catholica; esso à diliberato di volere prestare vera obbedientia alla sua Sanctità et a’ suoi successori; et che questa reconciliatione esso intende fare per mezo della nostra Communità, et sì perchè sa quanto noi siamo devotissimi figliuoli e servidori di sancta Chiesa et della sua Beatitudine, et anchora per rispecto che esso è congiunto colla nostra città con una amicitia singulare. Suggiugnendo che spera, che faccendosi questa concordia per le nostre mani, buoni e laudabili fructi ne conseguiranno allo stato della Chiesa et della sua Sanctità, et ancora al suo...

[p. 77 modifica]

Seguita una Brevis nota eorum que petuntur pro parte domini Regis, che erano sei cose; e riprende poi l’Istruzione con esporre tutto quello che dall’altra parte il Re prometteva al Pontefice.

§ 7. L’altra commissione fu data al Torelli dai Signori il 30 maggio 1414, con Agnolo Pandolfini, dopo che nei Consigli del Comune prevalse l’opinione di venire a un accordo col re Ladislao. Ricevuta l’istruzione, che porta la data del dì primo giugno, gli oratori si portarono al campo del Re, e a’ 26 avevano bell’e spacciata la loro commissione. Messer Torello si sottoscrisse primo, dopo il Re, nell’instrumento della pace e nel rapporto fatto alla Signoria. Il che prova non vero quello che nella Vita del Pandolfini scrive Vespasiano da Bisticci, che cioè il Torelli doveva soltanto rogare l’atto della pace, lasciando ad Agnolo il trattarne col Re. Ma di questo, e della gravità che ebbe allora quel trattato, ho largamente discorso nel primo volume delle Commissioni di Rinaldo degli Attizzi73; dove notai come lo stesso Vespasiano chiamasse il nostro Pratese un «solennissimo dottore».

§ 8. Fu messer Torello squittinato con messer Bonaccorso per l’ufficio del priorato nel 1411, e ascritto parimente col fratello alla matricola dell’Arte della Lana nel 1415. S’ammogliò con Bonda di messer Ruberto di Piero Aldobrandini; la quale dovette essere seconda moglie, se sposata da lui nel 1416; dacchè almeno cinque figliuoli ebbe, e una fanciulla gli era morta fino dal 1400, e di tre maschi parla il testamento ch’egli fece il 30 luglio 1417, cioè il giorno che precedè la sua morte. Due particelle di quest’atto di ultima volontà, che fu rogato da Iacopo di Lando dei Landi da Prato, si trovano in una pergamena del [p. 78 modifica] nostro Archivio Diplomatico, e sono del seguente tenore: Item, pro eius anima leganti et reliquid, super ecclesia Sancti Francisci de Prato ordìnis Minorum Fratrum compleatur et fiat pontispitium ecclesie Sancti Francisci predicte; in quo pontispitio, de hereditate et bonis suis, expendantur et expendi voluit et iussit florenos auri centum, infra terminum quinque annorum, dum tamen non apponantur aliqua arma super ipso et nel in ipso pontispitio. Item, iussit voluit et mandavit, quod pro eius anima fiat omni anno unum anniversarium in ecclesia Sancti Francisci de Prato, et unum aliud in dicta ecclesia Sancte Crucis. E in Santa Croce ebbe la sepoltura, che così viene descritta dal Rosselli. «Lastrone e chiusino di marmo, entrovi scolpito figura di bassorilievo, posto nel mezzo di questo braccio (verso la Sagrestia); confina con il pavimento della cappella de’ Barberini, et è a piè della sepoltura degli Arnolfi. Nel chiusino è l’arme, e sopravi queste parole: De Torellis. L’altre lettere appariscono oggi consumate; ma al Registro del 1596 è notata la seguente iscrizione:

s . dni torelli dni nicolai de prato civis florentini

et svorvm . mccccxvii.

hic ivrisconsvltvs fvit svae aetatis prestantissimvs.

vixit moribvs optimis et fama integra ’ ita cavsas

defensitavit vt serper ivstitiae ivra servaret

omnivm lavdem et beniv olentiam conseqvvtvs74.

§ 9. Terminerò col produrre una lettera che Francesco Guidi da Volterra scrisse al dottore Alessandro Guardini di Prato, dove si parla de’ Consigli del Torelli, e se ne attesta il merito legale. Erra però il Guidi, o meglio il [p. 79 modifica] ricordo ch’egli riporta, dicendo che inesser Torello morì nel 1423. Sotto la particella del testamento che ho riferita più sopra, il notaro scrisse: Decessit dictus dominus Torellus testalor anno et indictione predictis, die XXXI iulii; e il testamento è rogato in MCCCCXVII, ind. X, et die XXX mensis iulii. E aggiungerò che il Comune di Prato, sotto la stessa data, fece una molto onorevole deliberazione de honorando exequias que fieri debeni Florenite corpori laudabilis fame et bone memorie domini Torelli domini Nicholai de Torellis de Prato, legum doctoris excellentissimi et multum benemeriti Comunis Prati; con la stessa deliberazione confermando in protettore del Comune messer Bonaccorso suo fratello75. Ecco la lettera:

Il desiderio grande, che io tengo, di sodisfare all’onesta dimanda fattami da V. S. nella sua amorevole e cortese lettera, aiutata caldamente dall’istanze che più volte ha fatte al R. P. Volterra, da me molto amato e osservato, ha potuto tanto in me, che per dare il ragguaglio a V. S., che ne chiede, sopra i Consigli e qualità di messer Torello suo compatriotta, posposte l’altre occupazioni, mi son messo giù, e trovo quanto V. S. ne intenderà. M. Gio. Guidi, comun padre a messer Iacopo e messer Silvatico et a me, stando l’anno 1512 e 1513 in Firenze ambasciatore della Comunità di Volterra, si messe a ridurre insieme de’ Consigli de’ Dottori nomati, e non dati alla stampa. Così infra 5076 libri ne ridusse molti di messer Torello di messer Niccolò Torelli da Prato avvocato fiorentino; chè così cantano le soscrizioni de’ Consigli di messer Torello. Venne il suddetto messer Torello a essere a tempo di messer Nello di S. Gimignano e di messer Lorenzo Ridolfi; che l’uno ha stampato sopra il trattato de Bannitis, e l’altro sopra il Capitolo Sine exceptione 12. 9. 1. et de Usuris. De’ Consigli di messer Torello ne sono de’ soscritti dagli suddetti messer Nello e messer Lorenzo, e da altri ancora. E de’ Consigli di messer Nello, e di altri ancora, messi insieme da mio Padre, ve ne sono assai de’ soscritti da messer Torello dall’anno 1400 insino a l’anno 1410. Sotto il Consiglio 150 Ut in quaestione, di ser Mariano Sozzino vecchio, [p. 80 modifica]al primo volume, sopra la questione An filiae contro, fratres institutos possint petere supplementum legittimae, et an dos sit usque ad legittimam; dove l’opinione de’ dottori furono varie, e sono nominati in stampa quelli che l’intesero in contrario, et è messo che Torellus de Florentia tenuit contra filias pro fratribus in quodam laudo dato de consilio Pauli Nelli et aliorum; et io penso, che sia il medesimo messer Torello. A me i suoi Consigli paiono dottissimi, e benissimo fondati, e da farne gran conto, e di buono stile. Et in un altro libro di nostro Padre trovo, che egli fa ricordo, che Torello da Prato, doctor egregius, cuius etiam in dicto Libro sunt nonnulla Consilia, mortuus est Florentiae de anno 1423; et quod est sepultus in ecclesia S. Crucis in sepulchro marmoreo in terra jacente; et quod fuit coetaneus Pauli de Castro. V. S. potrà vedere nel volume del Sozzino allegato, e potrà ancora vedere la sepoltura in S. 🕂 in Fiorenza, se di già non l’ha visto. E altro non trovo da dire a V. S. Et essendo io buono in altro per quello, mi sarà piacere che ella si prevalga di me per quanto posso. Così ancora harò caro di intendere che io l’abbia satisfatto in questo. Et a V. S. mi offero, e raccomando; che Dio nostro Signore la contenti. Di Volterra, 17 aprile 1561.

Per servirla

Francesco Guidi.


13.

SIGILLO DI FLAMINIO DELLA VERDE.

cap. flaminio • della • verde

§ 1. Non dubito di accogliere fra i Sigilli pratesi questo di Flaminio della Verde; il quale se fu per nascita perugino, visse molti anni in Prato amatissimo, e vi morì lasciando figliuoli, che fra’ cittadini della nuova patria tennero uffici onorati.

§ 2. Flaminio di Cesare della Verde passò a Roma appena compito il terzo lustro, e vi prese la carriera delle armi. Nel 1571 combattè a Lepanto contro il Turco, stando sulla nave capitana al fianco di Giovanni d’Austria; col [p. 81 modifica] quale andato a Tunisi, si trovò alla presa della Goletta, e in premio del suo valore fu lasciato alla custodia di quella città: e quando essa cadde di nuovo nelle mani del nemico, Flaminio fu fatto prigione e condotto a Costantinopoli. Riscattato, entrò col grado di sergente nella compagnia di Ercole da Pisa, fra le armi che papa Gregorio XIII spediva in soccorso dei cattolici in Irlanda: le quali giunte nel Portogallo, e impedite di dar effetto al primo disegno, si rivolsero ad aiutare il re Sebastiano, ch’era in guerra col re di Marocco. Si trovò Flaminio alla sanguinosa battaglia de’ 4 di agosto, dove tre monarchi rimasero morti; e ne riportò una ferita nella faccia per colpo di moschetto. Appena risanato, andò in Fiandra; e in trentasei fatti d’arme combattendo con valore, passò pe’ gradi di sergente, d’alfiere, di capitano; e in Germania, dal Conte di Mansfelt, fu nominato sergente maggiore. Il granduca Ferdinando I, per mezzo di don Virginio Orsino, lo chiamò al suo servizio, e fattolo sergente maggiore di tutto lo Stato, con autorità di potere come commissario arrolare soldati, lo destinò capitano di Prato e castellano di quella fortezza. Nella spedizione delle galere di Santo Stefano, lo costituì capo in terra con assoluto comando di tutta la milizia: e in tal grado espugnò Flaminio le fortezze di Laiazzo, di Namur e di Finica; comandando sull’armata l’ammiraglio Inghirami77. E fra le ultime sue imprese si novera l’avere, prima vendicato con l’armi le ingiurie fatte da’ Lucchesi a’ sudditi del Granduca, poi con onorate condizioni di pace ricondotta quella Repubblica a ben vicinare con la Toscana78.

§ 3. La serie di questi fatti è narrata, con la eloquenza propria di quel tempo, da Vincenzio Olivi, che nel 26 di [p. 82 modifica] agosto del 1633 recitò un’orazione delle lodi del Sig. Flamminio della Verde nell’esequie celebrategli in Prato dagli Accademici Allorini79, i quali in versi latini e italiani ricantarono le stesse lodi. E fra gli altri, Cosimo Cicognini riepilogò in questo sonetto le guerresche imprese dell’estinto.

Correr vedesti d’aspro sangue il Tago
        Di tre corone pugnatrici estinte,
        L’armi d’empio Selim sommerse e vinte,
        La fuga d’Occhialì converso in mago.
Tunis battesti; e d’altre imprese vago,
        Sei lustri insegne di ogni onor dipinte
        Fra Belgi, Franchi e Ungari distinte,
        Trattasti, invitta e generosa imago.
Dell’armi Tosche a trionfar chiamato,
        Spargesti anco in Soria trofei maggiori,
        Di Finica e Laiazzo ardor più grato;
Per Mantova e per Lucca aspri sudori:
        Alle guerriere e pie fatiche Prato
        Riposo, e tomba diede all’ossa e odori.

§ 4. In qual anno appunto venisse castellano alla fortezza di Prato Flaminio della Verde non trovo; ma che fosse stato ascritto alla cittadinanza pratese anche prima del 1615, lo prova l’essere in quell’anno riseduto gonfaloniere per i mesi di novembre e dicembre80. E già fino dal 1605, con la moglie Ginevra de’ Pugliesi, si era eletta la sepoltura nel chiostro di San Francesco; come ancora si può vedere dalla iscrizione posta nella parete che guarda a ponente. Ne’ protocolli di ser Bartolommeo Vermigli, [p. 83 modifica] notaro pratese, sotto dì 29 dicembre del 163181, è un instrumento col quale illustris dominus capitaneus Flaminius q. Caesaris della Verde, pratensis, maior moderator mililiae Sue Celsitudinis Serenissimae, elegge suoi procuratori per ricevere cencinquanta scudi a cambio da messer Bartolommeo Capponi e compagni, banchieri in Firenze, i propri figliuoli dominum Amerigum moderatorem mililiae e Bartholomeum; il quale a’ 19 marzo del 1683 si trova tra i riformatori dello Statuto municipale82. E un tenente Antonfrancesco della Verde era nel 1690 dei quattro Buonomini sopra le Stinche83.

§ 5. Il Sigillo di Flaminio della Verde, che si conserva presso di me, reca l’arme composta di uno scaglione accostato da tre palle, e sormontato da elmo con svolazzi, sopravi una palla.

14.

SIGILLO DELL’ACCADEMIA DEGL’INFECONDI.

INFECONDI — frvgifera nvsqvam risi in fervida, plin.

§ 1. Col nome d’Infecondi, con l’impresa di una palma e il motto pliniano Frugifera nusquam nisi in fervida84, sorse a’ primi del secolo XVIII un’Accademia in Prato [p. 84 modifica] dove nel cinquecento erano nati e morti gli Addiacciati sotto gli eleganti auspici di Agnolo Firenzuola, e nel secolo seguente gli Allorini, i Floridi e i Semplici. Ma gli Accademici del secento s’occuparono, più che altro, di «feste e giostre e commedie per spassare onorevolmente le gentildonne pratesi e il popolo con cose virtuose»85; mentre gl’Infecondi si costituirono in vera e propria Accademia letteraria, e come tale venne tosto ricordata dal Quadrio nella Storia e ragione d’ogni poesia86.

§ 2. Ne fu istitutore Giuseppe Bianchini pratese, accademico della Crusca, nel 1715, secondo il Mazzucchelli87; ma il volume degli Atti88, dove sono registrate le primissime patenti, comincia col 7 di gennaio del 1718; e si vede che Consolo n’era Bernardino Piazzini, segretario Niccolò Liborio Verzoni, e cancelliere Giovann’Antonio Franchi. Ma secondo altre memorie, da me vedute, anche gl’Infecondi, in origine, furono mossi «dal desiderio d’istruirsi nell’arte comica, e così divertirsi nel carnovale»; e la loro compagnia ebbe principio il 29 di gennaio del 1712, sotto il consolato del dottor Piazzini. Il quale a’ 5 di marzo ebbe l’incarico di compilarne le Costituzioni con due accademici, che furono Antonio Pacini e Giuseppe Bianchini. Questi, come persona fornita di molte lettere, fece sì che al diletto delle rappresentanze teatrali s’accoppiasse la coltura degli studi; e le Costituzioni del 1712, che oggi non conosciamo, diedero all’Accademia un duplice intendimento. Nel 1718 si aggregarono agl’Infecondi diversi letterati, cittadini ed estranei; come Pierignazio della Torre conte di [p. 85 modifica] Bobio, il cavalier Bernardino Perfetti di Siena, l’abate Salvino Salvini, e (per tacere d’ altri pratesi) i tre fratelli Giovambatista, Giuseppe Maria e Andrea, poi fra’ Domenicani frate Lodovico Agostino, Casotti. È quest’ultimo l’Ardano Ascetti (anagramma d’Andrea Casotti) che scrisse la Celidora, ovvero il governo di Malmantile, poemetto eroicomico che viene annoverato fra i testi della lingua. Porrò qui, per saggio, il diploma che gli fu mandato dagl’Infecondi, e la lettera ch’egli rispose ringraziando.

IL CONSOLO DELL’ACCADEMIA DEGL’INFECONDI

DI PRATO IN TOSCANA

AL MOLTO REVERENDO PADRE LETTORE LODOVICO AGOSTINO CASOTTI.

Se l’Accademia degli Infecondi a due vostri degnissimi Fratelli, elle alla nostra patria di giovamento sono, e di splendore, ha, dato un segno di sua riconoscenza, ogni ragion vuole che non tralasci di praticare un somigliante atto di giustizia verso di voi, che con tanto vostro onore, e frutto delle anime de’ fedeli, avete nelle città più cospicue esercitata la vostra apostolica eloquenza, e dimostrato il vostro sapere, e il vostro zelo: e però Ella ha eletto suo accademico Infecondo V. P. M. R. padre lettore Lodovico Agostino Casotti, per farvi così vedere la stima che ha distintamente per voi. E mentre vi si prega dal cielo l’adempimento di ogni vostro religioso e pio desiderio, gradirete l’espressioni della nostra Adunanza. Dato in Prato, questo di 22 maggio 1718.

Illustrissimi Signori, Signori padroni colendissimi.

L’onore che inaspettatamente ricevo, dall’essere ammesso al ruolo della vostra illustrissima Accademia degl’Infecondi di Prato, sarebbe capace di risvegliare in me lo stimolo di una giusta ambizione per il vantaggio ch’io ne ricevo, quando non le servisse di freno il rossore che mi cagiona. Io conosco me stesso, e mi confondo in considerare, essere la vostra una ragunanza di letterati, che sotto il titolo d’Infecondi, s’affaticano di coltivare una pianta, che con l’abbondanza de’ frutti rende bugiarda anche la significazione del suo medesimo nome. Godo però di riconoscere in me tutto il mancamento del merito, affinchè sia vostra tutta la gloria del benefizio, che mi chiama [p. 86 modifica]a parte delle innumerabili obbligazioni contratte per tal cagione da‘ miei Fratelli, co’ quali, dopo un ossequioso ringraziamento, mi do l’onore di dichiararmi per sempre. Firenze, 5 marzo 1718|19. Umilissimo et obbligatissimo servitore F. Lodovico Agostino Casotti dei Predicatori.

§ 3. Dopo il 1720 pare che adunanze letterarie non avessero più luogo, tacendone gli Atti, i quali ripigliano dopo cinquant’anni così: «Adunatisi la sera del dì 16 febbraio 1771 nelle stanze del loro Casino i signori Accademici Infecondi, fu proposto loro dall’eccellentissimo signor dottor Francesco Torracchi, Console di quel tempo, di riassumere l’antica Accademia letteraria, che fiorì sotto il nome di Accademia degl’Infecondi per vari anni, e specialmente fra il 1710 e il 1720, aggregata all’Accademia del Casino; avendo dall’Accademia del Casino medesimo non solo il nome degl’Infecondi, ma ancora il comodo delle stanze e dei lumi, e di quant’altro potesse occorrere per le adunanze letterarie che gli fosse piaciuto di fare; indipendente in tutto l’una dall’altra, ciascheduna con il suo Consolo e ufiziali separati, i di cui membri o accademici si dovessero scegliere da ogni rango di persone, e ascrivere senz’alcuna tassa o spesa». Il che vuol dire, che il Casino serviva a divertire un «rango» solo; cioè quello de’ Nobili, co’ quali era permesso di far comunella ai Dottori. Fu approvata la proposta con ventisei voti, non ostante tre contrari; e allora si elessero quattro che con il Consolo scegliessero «un numero sufficiente di soggetti, che potessero dar cominciamento e ristaurare l’Accademia letteraria». Quaranta furono gli scelti ed eletti; i quali radunati l’undici d’aprile, nominarono Console Carlantonio della Cima, maestro della scuola maggiore del Pubblico e valentissimo prete. Questi elesse per segretario un altro bravo sacerdote, Anton Giovacchino Tronci; e tutto il Corpo accademico fece Censori o Conservatori Lazzaro Palli canonico e Pietro Torracchi rettore del Seminario. Nella [p. 87 modifica] prima tornata, che fu a’ 7 di giugno, Giovampietro del Muto, il quale solo rimaneva in vita de’ primi istitutori dell’Accademia, lesse questo sonetto.

Ozio, d’onore e di virtù nemico,
        Che lusingando dolcemente uccidi,
        Vattene lungi omai dai nostri lidi,
        Che sconfitte al tuo regno oggi predico.
Tu, sol del vizio e d’ignoranza amico,
        Nei petti giovenili ognor t’annidi,
        E di virtude i più bei fior recidi;
        Chè tal fu sempre il tuo costume antico.
Vanne; ch’altri diletti, altri piaceri
        Saggia turba prepara ai cari pegni,
        De’ tuoi più dolci e più de’ tuoi sinceri.
Vuol che onesti sollievi, e di lor degni,
        S’uniscan con gli studi più severi,
        Non a sopir ma a risvegliar gl’ingegni.

§ 4. Ma dopo il 24 settembre del 1784 l’Accademia tacque. Riprese l’ozio i suoi diritti? Io credo piuttosto che più gravi questioni occupassero gli animi in que’ giorni. La riforma Leopoldina, ch’era entrata per tutto, aveva trovato nel vescovo Ricci un irrequieto campione in quella parte che toccava la disciplina ecclesiastica. Delle vicende a cui andarono soggette le due diocesi da lui governate è piena la storia toscana di quel tempo. Poi le cose di Francia, e la Signoria straniera, e le guerre Napoleoniche, distrassero le menti da studi anche troppo pacifici: e quando nel 1808 si tentò di risvegliare gl’Infecondi, fu vana opera. Risorgevano nel 1816, e con nuove Costituzioni; le quali approvate dal Principe con rescritto del 27 marzo 1818, dividevano l’Accademia in due Sezioni. L’una si disse Ordinaria, e si occupava de’ divertimenti; l’altra Letteraria, con le sue «antiche prerogative, pratiche e discipline». La protezione dell’Accademia fu offerta al Sovrano; e primo Viceprotettore, nominato da lui, fu il marchese Niccolò Viviani, governatore di Pisa. Gli successe Giovacchino Carradori, [p. 88 modifica] medico pratese, e scienziato degno di essere ascritto fra i quaranta della Società Italiana; poi Giovambatista Zannoni, regio antiquario, e finalmente Giovambatista Niccolini.

§ 5. Non dirò dei Consoli, che pe’ tempi la governarono: de’ Segretari rammenterò il primo dopo la ripristinazione del 1816, che fu Giuseppe Silvestri, nome caro agli studi e alla educazione della nostra gioventù; e l’ultimo, Atto Vannucci, eletto a’ 22 dicembre 1838. Lui Segretario, e Console il Silvestri che allora reggeva il Collegio Cicognini, fu dato all’Accademia un indirizzo nuovo e consentaneo a quel tempo, in cui per tutta Italia si risvegliava l’amore degli studi storici e delle memorie municipali. Niccolò Tommaseo, visitando Prato nel gennaio del 1834, e scrivendone poi nel Progresso di Napoli89, aveva detto dell’Accademia: «La pratese Accademia... potrebbe rivolgersi tutta all’illustrazione delle cose patrie, e al miglioramento dei patrii istituti; che ve n’ha di bellissimi. E alcuni giovani già cominciano a trattare con cura simili studi». A’ 22 di marzo del 1840 gl’infecondi deliberarono questo Regolamento per le adunanze straordinarie:

Articolo I. Le materie che si tratteranno in queste adunanze, dovranno raggirarsi esclusivamente in cose riguardanti il nostro Municipio.

Articolo II. Queste materie saranno: commercio, manifatture, agricoltura, scienze naturali, statistica, storia patria, biografia e belle arti.

Articolo III. Queste adunanze saranno tre in ogni anno, cioè nei mesi di aprile, agosto e dicembre: il loro numero però potrà successivamente aumentarsi fino in sei, qualora la moltiplicità dei lavori accademici lo esigesse.

Articolo IV. La durata d’ognuna di queste sedute non potrà oltrepassare le due ore; come pure la durata d’ogni lettura non potrà oltrepassare la mezz’ora.

Articolo V. Al terminare d’ogni seduta, il Console pro tempore dovrà invitare gli Accademici a passare in stanza appartata per dar luogo alle discussioni che fossero credute necessarie. [p. 89 modifica]

Articolo VI. Sarà in facoltà del Console di richiamare agli ordini, e dichiarare inclusive sciolta la seduta, quando le discussioni gli sembrassero oltrepassare i limiti della convenienza e della urbanità.

Articolo VII. Il giorno e l’ora delle tre suddescritte sedute saranno fissati dal Console, e il Segretario ne renderà avvertiti i soci col consueto avviso quindici giorni avanti.

Articolo VIII. L’affissione del consueto cartello alla porta esterna soltanto delle stanze accademiche renderà avvisato il pubblico, due giorni avanti, dell’ora precisa della seduta.

Articolo IX. Nell’ occasione di queste adunanze viene esclusa qualunque pompa e decorazione, come musica ec.

Articolo X. Se taluno non accademico vorrà leggere alcuna cosa, potrà farlo, rendendone però anticipatamente avvertito il Console, ed osservando ciò che in riguardo a censura prescrivono le Costituzioni accademiche.

Poche tornate si fecero in quell’anno 1840; e a’ 20 dicembre fu l’ultima, nella quale io ultimo lessi la biografia di un valente umanista del secolo scorso. L’Accademia poi tacque; ma quel rinnovamento di studi e di pensieri non fu senza frutto, e il ripensarlo m’è caro.

15.

SIGILLO DI LORENZO BARTOLINI

statuario.

§ 1. In Savignano, nella Val di Bisenzio, una delle quarantotto ville ond’era un tempo diviso il territorio di Prato; dove nel 1475 nacque (come narra il Vasari) Bartolommeo dipintore, frate poi in San Marco e volgarmente chiamato Baccio dalla Porta; ai 7 gennaio del 1777 nacque il primo scultore che abbia avuto l’Italia nel nostro secolo. Trovo che alcuni, parlando di Lorenzo Bartolini, pongono erroneamente Savignano nella già contea di Vernio, che fu [p. 90 modifica] de’ Bardi; e l’errore provenne dall’avere scritto egli stesso: «Che storia curiosa sarà la mia; nato in Savignano da un padre Verniotto ec.»! Ma è chiaro ch’egli chiamava, qual era, Verniotto suo padre, umile fabbro; e scherzando poi diceva di se medesimo: «Ti spiacerà la brutale maniera del mio invito; ma da un Verniotto non si può esigere gentilezza»90; come dire, che dal padre trasse quel suo fare ruvido, o meglio natura schiva di quanto avesse del cortigiano. Richiesto dal concittadino e amico suo Antonio Marini dell’umile sua origine, prese il Bartolini una carta, e sotto la data del 28 agosto 1843 scrisse di propria mano questo ricordo: «Son nato a Savignano; mio padre era di Vernio, ed era colà perchè faceva il fabbro da campagna nella fattoria del Contorgani; il fattore era bastardo, e sua figlia fu mia madre». E il buon Marini, fattosi dire la casa appunto ov’e’ nacque, volle porvi una memoria, che è questa:

qui è nato

lorenzo bartolini statuario

cccviii anni91

dopo fra bartolommeo dipintore.

antonio marini p. q. m.

nel mdccclv.

§ 2. A parlare di Lorenzo Bartolini, e delle sue opere, non è questo il luogo: ma a intendere il Sigillo che egli adoperò negli ultimi anni della sua vita, mi è necessario ricordare come, già posposto a Stefano Ricci nel 1825, [p. 91 modifica] soltanto a’ 6 di febbraio del 1839 fosse nominato maestro di scultura nell’Accademia di Firenze. È certo ch’egli dovette quel posto alla sua fama; la quale non vinse mai l’invidia e i pregiudizi della scuola, ma ne impose finalmente a quelli che reggevano il nostro istituto di Belle Arti. Il Bartolini aveva colle sue sculture mostrato, che non si dovevano disprezzare le opere antiche, ma che per raggiungerne la bellezza e la verità bisognava risalire alle fonti donde avevano attinto gli antichi maestri: non imitazione gretta dell’opera umana, ma studio scelto della natura, e intelligenza del vero senza eccedere nella realità. «Questo saggio contegno (dice il Delaborde), tra la servile riproduzione del vero e una interpretazione troppo libera, fu appunto quello cui dettesi la taccia di cieco radicalismo. Si confuse, o si finse di confondere, questi tentativi per rinnovare l’arte italiana, con quelli che altra volta non erano riusciti che a farla tutta materia. Se si ha a credere ai Caracceschi di quel tempo, il Bartolini era un secondo Amerighi; uno di quegli artisti di corta veduta, i quali non domandano alla figura umana di pensare, ma di essere: e tutto nasceva, perchè egli non considerava la natura secondo il metodo prescritto, e ricusava di armarsi ogni poco delle seste per proporzionare le forme de’ suoi modelli a certe forme riputate classiche»92.

§ 3. Il Bartolini entrò dunque da vincitore nel campo accademico, nè fu pietoso co’ vinti. Dopo pochi mesi, e appunto nel 1840, dettava in scuola questa lezione: «Tutta la natura è bella, relativa al soggetto da trattarsi; e chi sa copiare, tutto saprà fare. Bartolini, statuario». E dato per soggetto di composizione Esopo che medita le sue favole, poneva per modello ai suoi scolari un gobbo. «Un gobbo (esclama il Delaborde) dentro quelle mura [p. 92 modifica] avvezze a custodire soltanto i classici tipi del bello, gli scelti esemplari dell’arte antica! l’imitazione della deformità prescritta siccome via di progresso! Quale ingiuria alle vecchie tradizioni, quale audace sfida agli artisti che si affaticarono a custodirle!» La sfida fu accettata; ma piuttosto che vera tenzone, ne seguì un armeggiare in aria. I nuovi naturalisti, senza entrare nel pensiero del Maestro, che voleva protestare contro il bello di convenzione e non altro, presero il gobbo per un’apologià della bruttezza: gl’idealisti, per lo contrario, videro nel gobbo un oltraggio alla maestà dell’arte; senza pensare all’indemoniato della Trasfigurazione, e alle Parche del Buonarroti, e al Tignoso del Morillo. Finalmente nel Diario di Roma si usciva in campo con un articolo contro il «novello Erostrato»: e il Bartolini nel Giornale del Commercio rispondeva all’«anonimissimo scrittore». Qui non è luogo di riferire le sue parole, nè di esporne largamente i concetti. «L’Esopo che medita le sue favole (scrisse il Bartolini) spiegava la verità, di non dare agli scolari un solo e perpetuo modello da studiare, onde poi non sieno costretti di ricorrere a un Giove per farne un Apostolo; e inculcava anche l’altra verità, di fermare costantemente l’attenzione dello scolaro e riprodurre l’originalità della natura». E appresso: «La natura è tutta bella relativamente; e chi saprà copiarla, saprà tutto quello che deve sapere un artista». Concetto che venne ultimamente illustrato da Augusto Conti in quell’opera che espone Il Bello nel Vero con alti pensieri e parola eloquente93.

§ 4. Nel fervore di quelle dispute volle il Bartolini fare una leggiadra vendetta de’ suoi avversari, ponendo il gobbo nel proprio Sigillo; e a Pietro Gavazzi, ch’egli molto stimava fra’ suoi discepoli, quantunque usasse chiamarlo il Magnano [p. 93 modifica] di Pistoia, ne fece fare l’intaglio nell’oro94. Che cosa poi volesse raffigurare nel gobbo galeato che strozza il serpente con la testa d’asino, non è difficile a intendere dopo quello che ho esposto. E nello specchio, che il gobbo presenta al serpe-asino perchè vi si vegga, sta il più amaro della satira.


Note

  1. Segnato di numero 170.
  2. Archivio diplomatico fiorentino, varie provenienze.
  3. Il Cod. direbbe: sia messo d’arte comesso d’arte come altro messo.
  4. Bestia morta di suo male.
  5. Così il manoscritto, che non è troppo corretto. La parola è storpiata, ma il senso pare di concorrenza, come oggi si direbbe.
  6. È già nel Vocabolario con un solo esempio antico. In altri Statuti, menciabbio.
  7. Oggi, giovedì grasso.
  8. Usanza che non trovai ricordata in altri documenti.
  9. Par che manchi la persona ricevente; forse, il Camarlingo.
  10. Porchetta che non ha figliato. Bimo, porcello giovane che non ha l’anno.
  11. Male ha, a parer mio, il Cod. otiosa.
  12. Arnese a modo di capra, sparso di cavicchi, ai quali stava appesa la carne. Francese, cheville.
  13. Un calco se ne vede negli Annali ms. della Società Colombaria, VIII, 476.
  14. Statuta tempore regis Karuli. Frammento dei sei Libri, nell’Archivio del Comune di Prato.
  15. Casotti G. B., Ragionamento istorico dell’origine, de’ progressi e dello stato presente della Città di Prato; in Raccolta Calogeriana, vol. 1, pag. 299: e cita i Diurni dell’Archivio municipale.
  16. Annali ms., vol. IX, 168, 195.
  17. Vita Ambrosii Traversarii, pag. 195 e seg.
  18. Cod. Magliabechiano, segnato 9, 49, fra’ Codici acquistati. Questi Capitoli furono da me pub. nel giornale L’Eccitamento; Bologna, 1858.
  19. Vita Ambrosi Traversarii, pag. 208.
  20. Annali ms. della Società Colombaria, X, 552.
  21. Baldanzi, Una pittura di Filippino Lippi in Prato, ec. Prato, Giachetti, 1840.
  22. Archivio diplomatico fiorentino, provenienza degli Spedali di Prato.
  23. Notizie raccolte dal Palli, Selva ec.; manoscritto nell’Archivio Capitolare.
  24. Spoglio di Famiglie Pratesi, a carte 105-106. Ms. in Roncioniana, cod. 105.
  25. Così legge la carta originale.
  26. Archivio diplomatico fiorentino, provenienza della Prepositura di Prato.
  27. Archivio citato, provenienza citata.
  28. Fontanelli, Lunario Pratese, al 30 di gennaio. Ms. in Roncioniana, codice 77.
  29. Una carta (provenienza degli Spedali) del maggio 1193 è fatta dinanzi al palazzo dell’Imperatore in Prato.
  30. Archivio municipale, frammenti di Diurni.
  31. Archivio dipl. fior., provenienza della Prepositura di Prato.
  32. Archivio citato, provenienza citata.
  33. Archivio citato, provenienza citata.
  34. Forse de’ Soarzi, signori di quel castello.
  35. La carta è bucata tra la prima lettera e le due ultime.
  36. Archivio citato, provenienza citata. — D. Guillelmus, canonico pratese, presenta una lettera che Federigo d’Antiochia, domini Imperatori filius, sacri Imperli in Tuscia ab Amelia usque Cornetum et per totam Maritimam vicarius generali (data apud Tuscanam il 21 di febbraio), dirigeva Berlingerio de Stagia, rettore di Prato; colla quale ordina di non permettere che il Proposto e i Canonici di Prato siano molestati dal Comune per dazi e collette. La presentazione della lettera è fatta in Prato in domo Castellanorum. Segue, sotto dì 4 d’aprile, un precetto di Berlingeri impositoribus del Comune di Prato, che rispettino gli ordini del Vicario imperiale. Rog. Abrincialinus giudice e notaro.
  37. Carta rogata da Filippo di Mezzolombardo. Archivio citato, provenienza citata. Nella stessa provenienza sono altre due carte dei 16 e 21 gennaio 1274 concernenti a Santa Maria di Castello. In un’altra dei 7 settembre 1408 è ricordato Guglielmo priore di questa chiesa.
  38. Archivio citato, provenienza citata.
  39. Archivio citato, provenienza citata.
  40. Lunario Pratese, al dì primo dicembre. Manoscritto in Roncioniana, codice 62. Nello Spoglio delle famiglie; codice Roncioniano, n.° 105, a carte 585 t.; lo stesso Casotti ci dà le armi che erano nella tavola e nel gradino dell’altare di Sant’Ansano.
  41. Notizie istoriche di Prato, volume XVI, Sepolcri. Manoscritto in casa Salvi-Cristiani. — Quanto alla data della tavola, non par probabile che precedesse di dieci anni la fondazione del benefizio; forse è errore nel Casotti, e forse nel Baldanzi.
  42. Da una copia esistente nell’Archivio Capitolare di Prato. Debbo questa con altre notizie all’eruditissimo signor Canonico Martino Benelli, bibliotecario della Roncioniana.
  43. Libro terzo, capitolo settimo; a pag. 157-160 del volume II, terza edizione; Genova, tipografia della Gioventù, 1869.
  44. Calendario Pratese, an. IV, pag. 112 e seguenti.
  45. Ved. Distinzione della terra di Prato coi suoi sobborghi in otto porte, e così in otto sindacati, con loro nomi, vocaboli e confini moderni, e nominazioni di tutte le ville del contado di detta terra, ec. È del 25 febbraio 1555. (V. Calendario pratese, an. I, pag. 66).
  46. Raccolta di impronta dì Sigilli; Ms. nella biblioteca Moreniana ora provinciale di Firenze. Questo Sigillo ha il n.° 18.
  47. Nella Musei Bonamiciani Pratensis Brevis Descriptio, che si vede inserita nelle Symbolae d’Anton Francesco Gori (decade I, vol. II, pag. 211-223), il canonico Innocenzio Buonamici scriveva: Complura etiam antiqua penes me sunt aposphragismata, sire sigilla ex aere litteris insculpta, quibus veteres Romani, eorumque exemplo Itali, et Etrusci maiores nostri supellectilem suam, et alia ad quotidianum usum parata, obsignare consueverunt. Oggi che il Museo Bonamiciano (due volte raccolto, dal cavalier Bonamico nel secolo XVI, dal canonico Innocenzio nel secolo XVIII, e due volte disperso) non esiste più, mi è parso pregio dell’opera a cui attendo, il mettere insieme l’elenco de’ Sigilli che si ritrovavano nel secondo Museo. Ecco pertanto quelli di cui ho trovato notizia nella Raccolta di oltre a 1600 impronte di Sigilli, fatta da Domenico Maria Manni, e ricordata nella precedente nota.
    1.

    L • FOTIDI •

    SVPERI †

    Hoc et sequens apud dom. Canonicum Pratensem Innocentium de Bonamicis, opinantem Sifium, gentemque Sifiam, Sifiniano in valle Bisentii, vulgari nuncupatione Sofiniano, nomen dedisse. Vulgavit haec duo Sigilla v. c. Antonius Franciscus Gorius, par. 2 Inscr. Antiquar., pag. 128.

    2.

    P SIFIVS T

    HEOOOBVS

    3. — ☩ s • pavlvtii iohannis pavlvti

    Repertum prope Pistorium.
    4. — ☩ s • de corregitori c~opangnie • ~sci domici
    5. — ~yhv~xpe • fili • dei • vivi • miserere • michi • ~fri • nicolao • peccatori ☼
    6. — s • ~bofigli • plebani • plebis • ~sci • marcellini • in • chianti
    7. — ~fris • coradi • dei • ~gra~epi • vrbinatis
    Apud Ughellium, tom. 2, pag. vet. edit. 863, legitur: «Fr. Conradus ex ordine Eremitano Sancti Augustini, vir longe doctissimus, a Capituio electus, confirmatur a Clemente Quincto, anno 1309, 8 idus april.».
    8. — s • tribaldi ivris • canonici • professoris • d’ pis .
    9. — s • ~cois montangne florentine
    Montagna Fiorentina est Clusentini provincia.
    10. — ☩ sig • monachi • vice • comes • ~plati
    Repertum prope Pratum.
    11. — s • bartolomei • de • vinea •
    «Vinea cui nomen... venit de rure Capallis». U. Verin., lib. III. In S. Maria Novella ecclesia: «Bartholomaeo Vineae, ol. autem Prospero Antonii filio, Filii patri sibique posterisque suis posuerunt anno sal. 1479».
    12. — s • imperialis • castri • ~sci • miniatis •
    Arma civitatis S. Miniatis: Leo albus coronatus cum pugione in dextra manu, in area rubri coloris. 13. — ☩ s • francischini • d’ alferis •


    Negli Annali della Colombaria sono registrate alcune anticaglie esibite ai soci dall’Assicurato (canonico Innocenzio Buonamici); ma per non uscire della materia de’ Sigilli, prendo soltanto nota di questi, omettendone alcuni già registrati dal Manni.
    14. — s. artivm fabrorvm terre prati
    Ha un martello e un par di tanaglie. Esibito il 22 agosto 1745. Annali, vol. XI. L’impressione è nella Tav. 5, n.° XVII.
    15.— s • pine de qverciola
    Dentrovi una quercia. Ivi.
    16.— s • ranerii africanti
    Un’arme a rombi. Ivi, n.° XVI.
    17. — Scudo con una mezz’aquila e un mezzo giglio, e lettere tedesche. Ivi, n.° XVIII.
    18. — franciscvs ciconninvs • i • v • d • a prato
    Arme de’ Cicognini. Esibito il 25 agosto 1745. Ivi, n.° XIX.
    19. — bonamicvs bonamicvs
    Arme de’ Buonamici. Ivi, n.° XX.


    Nell’Annale della Colombaria V, sotto dì 9 luglio 1739, è registrato un altro Sigillo pratese:

    • s • michele benamati

    esibito da Giuseppe da Verrazzano, e se ne dà l’impressione.


    Il Manni, nella Raccolta di Sigilli sopra ricordata, ne aggiunge uno posseduto dall’altro canonico e letterato pratese conte Giovambatista Casotti, pievano dell’Impruneta; ed è questo.

    • s • berti • bernardi • nota •

    Extat apud d. Comitem Io. Bapt. Casottum, plebanum plebis S. Marice Imprunetæ, in qua ditione inventum est Sigillum. — Bernardus quidam Berti notarius de an. 1331 nominatur a Puccinell. inter Not nob. flor., pag. 136.


    E nell’Annale III della Società Colombaria, sotto dì 11 d’agosto 1737, si legge:
    «L’Adescato (A. F. Gori) ha fatto vedere un collare di bronzo di circuito di once 26 — , e alto circa once 2 — , che è servito per collare d’un mancipio, il quale aveva tentato la fuga; e il padrone, perchè non tentasse altra volta la fuga, gli pose detto collare al collo, e con lettere fatte di punti, che dicono: BVLLA TENE ME NE FAGIA. Detto collare fu donato all’Adescato da monsignor Leone Strozzi, et avendolo egli donato al signor Conte Piovano Casotti, lo riebbe per legato fattoli dal medesimo».

  48. Muratori, Antichità Italiane; Dissertazione LXVIII: Della redenzion de’ peccati, ecc.
  49. Forse manca acqua.
  50. Porta il n.° 4. Sono 13 pagine, e soltanto le ultime tre di mano del Baldovinetti. Ha questo titolo: «Spoglio di alcune scritture in cartapecora, che si ritruovano nel convento di S. Anna fuori della città di Prato, de’ Frati Eremitani di S. Agostino della congregazione di S. Salvadore di Lecceto, fatto nel corrente anno 1743».
  51. Par che manchi ad honorem Dei, B. M. V. et omnium Sanctorum, ecc.
  52. Brunetto de’ Rossi è chiamato in tutte le scritture pratesi; ma Burnettus ne’ documenti. E Burnetto si legge pure ne’ documenti il famoso Maestro di Dante.
  53. Genealogia e storia della famiglia Altoviti descritta da Luigi Passerini. Firenze, 1871. Tav. I.
  54. Sunto di materie proposte nella Società Colombaria, distinte in capi dal Tarpato (cav. Andrea da Verrazzano); tomo IX, 172. Ms. nell’archivio della Colombaria.
  55. Intendi, Ospizio de’ Certosini.
  56. Repetti, Dizionario geografico storico fisico della Toscana, all’art. Petrino (Ponte).
  57. Capitoli della Compagnia della Santa Croce di Prato ec. Bologna, 1858; in 8.° di pag. 16. Estratti dal periodico bolognese L’Eccitamento.
  58. Il cuffione e il cuffiotto erano propri degli uomini, e la scuffia de’ soldati.
  59. Ved. il Vocabolario della Crusca, alle voci Pinzochero e Bizzoco.
  60. Morelli, Cronica, pag. 292.
  61. Nel volume I della Raccolta d’opusculi del Calogerà; Venezia, 1728.
  62. È la CLIII.
  63. Casotti Giuseppe, Alberi di famiglie pratesi tratti dai libri del godimento degli uffici; Ms. nella Roncioniana.
  64. Di Torello di Guglielmo di Adatto son due instrumenti del 12 maggio 1279 e del 7 gennaio 1285 nel Diplomatico Fiorentino, provenienza degli Spedali di Prato.
  65. Di Bonaccorso di Torello di Guglielmo sono nel Diplomatico diverse carte sotto varie provenienze, e cominciando col 1307, vanno per più d’un mezzo secolo.
  66. Casotti Giuseppe, Alberi. citati A Ser Giovanni è dato l’anno 1338, a Ser Lodovico il 1382.
  67. a) Ser Torello, nell’Albero del Casotti, porta l’anno 1334, e nel 1371 era morto.
       b) Questa pia Agnolina, unita a Caterina di messer Tommaso Colombini di Siena e a Niccolosa di Nastagio di Neri da Firenze, fondò nel 1382 il monastero delle Ingesuate, dette le Poverine, in Firenze. Vedi Richa, Notizie delle Chiese Fiorentine, II, 297; Manni, Osservazioni istoriche circa i Sigilli antichi, XXVI, 57 e seg.
       c) Nell’Estimo del 1371 (Archivio centrale di Stato in Firenze), sotto la Porta Santa Trinita di Prato, si trovano descritti: Messer Niccolò Torelli, anni 44: Niccolosa sua donna, 32; Mina sua nipote, 19. Figliuoli: Buonaccorso, 8; Torello, 7; Giovanni, 4; Giovanna, 2; Filippa, 1. — Niccolò Torelli fu governatore di Perugia; e come dottore di leggi è ricordato da Paride dal Pozzo nel trattato de Sindacatu, da Angelo Perugino, e da altri. È una sua carta del 16 luglio 1383 nell’Archivio Diplomatico, provenienza delle Riformagioni. Morì in Prato, e fu sepolto nella chiesa di San Francesco, con un lastrone di marmo, dentrovi la figura del morto, e questa leggenda: hic iacet egregivs legvm doctor d. nicholavs de torelli qvi obit anno domini mccclxxxviii. die xxi mens. avg. L’arme sua consiste in un campo balzano diviso da una fascia color d’argento, entrovi tre piccoli bastoni color d’oro: nella parte superiore dello scudo è un toro passante, situato sopra la detta fascia, da sinistra a destra, di colore azzurro in campo d’oro; e la parte sotto la fascia è tutta azzurra. Diversifica quindi da quella che usò messer Torello; la quale nella sepoltura di Santa Croce si compone d’un campo azzurro diviso da tre fasce d’ oro caricate di un’onda, e nel Sigillo è ripetuta tal quale, come mostra il disegno.
       d) Ser Bonaccorso, nell’Albero citato, porta l’anno 1352.
       e) Nel Libro de’ becchini (Archivio centrale di Stato), sotto di 12 agosto 1400 è registrata, come sepolta in Santa Croce, una fanciulla di Torello da Prato.
       f) Fu matricolato all’Arte della Seta nel 1420, e in quella della Lana nel 1429. Ebbe sepoltura in Santa Croce il 29 settembre 1430, come si rileva dal Libro de’ becchini sopra citato. Il Manni (Sigilli antichi, XXVI, 63) lo chiama «Niccolò il giovane», rispetto all’avo, e lo dice «abitante nel popolo di S. Stefano della Badia Fiorentina».
       g) Di questo Messer Francesco si trova, che fu sepolto in Santa Croce.
       h) Il Manni (Sigilli antichi, XXVI, 63) lo fa erroneamente fratello di messer Torello e di messer Bonaccorso, mentre si trova detto Iacopo di messer Torello; e tale dovè essere veramente, se il Manni stesso lo dice (sulla fede di Piero Monaldi) «cavaliere a spron d’oro, e del supremo fiorentino magistrato de’ Signori nel 1461, descritto prima all’Arte del Cambio nel 1456». Sposò Nanna di Lorenzo Spinelli. Ebbe anch’egli sepoltura in Santa Croce.
       i) Sepolto in Santa Croce il 26 gennaio 1461, come si ha dal citato Libro de’ becchini.
       l) Sposò Maddalena d’Antonio Falconieri. (Archivio centrale di Stato. Prestanze e Monti. Doti, libro rosso dal 1483 all’88, a c. 693)
       m) Ebbe in moglie la Lisa di Tommaso Frescobaldi. (Archivio cit.; Lib cit., a c. 279.)
  68. Archivio centrale di Stato. Capi di famiglia del 1393. Quartiere S. M. N., porta S. Trinita di Prato.
  69. Registro di provvisioni de’ Consigli, ad annum, a c. 234 e seg. La Signoria, con provvisione del dì 21 febbraio 1386 allo stile di Firenze, gli assolveva; il Consiglio del Popolo ratificava il 22 con voti dugento, nonostante ventuno contrari; e il Consiglio del Comune, il 23, con voti centosessanta, contrari otto.
  70. Sigilli antichi, XXVI, Sigillo VII.
  71. Sigilli antichi, XXVI, 59-62.
  72. L’elezione è del 4 di luglio 1410; e dovevano andare con otto cavalli, col salario di quattro fiorini al giorno per ciascuno. La Nota ha il giorno e il mese in bianco; il che farebbe sospettare che l’ambasciata non avesse più luogo. Registro d’istruzioni dal 1406 al 1410, a c. 143.
  73. Pag. 119, 237, 239, 249. Vedi Ammirato, Istorie, libro XVIII, pag. 971; il quale a pag. 959 manderebbe a Napoli Agnolo Pandollìni e Torello da Prato oratori al re Ladislao nel 1410: ma i documenti non confermano la narrazione dello storico.
  74. Sepoltuario Fiorentino di Stefano Rosselli. Parte I, a pag. 313. Mss. nell’Archivio centrale di Stato. L’iscrizione, assai scorretta, si è potuta emendare con altra copia.
  75. Archivio municipale di Prato, Diurno dal 1417 al 18, a c. 91.
  76. È incerto se dica 10.
  77. Relazione di tre imprese fatte dalle Galere di S. Stefano quest’anno 1606, cioè di Laiazzo in Soria, Namur in Caramania, e Finica in Satalia. Firenze, Sermartelli.
  78. Fu nel 1619. Vedi Tommasi, Sommario della Storia di Lucca, in Archivio Storico Italiano; X, 529-30.
  79. Delle lodi del sig. Flamminio della Verde capitano in Prato e sergente maggiore delle Bande del Serenissimo di Toscana. Orazione recitata da Vincenzio Olivi accademico Allarmo detto il Risentito il dì 26 d’agosto 1633 nell’esequie celebrate da i ss. ac cademici Allorini. All’illustriss. sig. Carlo Bardi conte di Vernio, e protettore dell’istessa Accademia. (Arme de’ Bardi.) In Pisa, per Francesco Tanagli, MDCXXXIII. Con licenzia de’ ss. superiori. In 4, di pag. 32.
  80. Diurni del Comune, ad annum.
  81. Archivio generale dei Contratti in Firenze; protocollo di ser Bartolommeo Vermigli dal 1030 al 32, a carte 104.
  82. Archivio centrale di Stato. Riformagioni; serie di Statuti e Riforme. Riforma di Prato, del 19 marzo 1683, approvata il 4 di aprile 1686.
  83. Archivio e serie cit. Provvisione de’ Buonomini sopra le Stinche di Prato, de’ 21 giugno 1690, approvata il 19 di luglio.
  84. La palma e il motto si veggono nel Sigillo, la cui impronta ho levata dal diploma che sotto dì 30 gennaio 1772 fu rilasciato al dottor Giovanni Muzzi, e che oggi si conserva nella Roncioniana di Prato.
  85. Bizzochi Francesco, Libro di Ricordi; manoscritto nella biblioteca Roncioniana di Prato. Vedi Bibliografia Pratese, pag. 41.
  86. Vol. I, 93. Primissimo a ricordare la nostra Accademia fu Agostino Alberti nell’Idea generale delle Cattedrali dell’Europa; Torino, 1718; tit. 2, art. 1, pag. 273.
  87. Mazzucchelli, Scrittori ec.; artic. Bianchini Giuseppe.
  88. Si conserva fra i manoscritti nella biblioteca Roncioniana.
  89. Anno III, quaderno XVI, pag. 300.
  90. Bonaini Francesco, Dell’Arte secondo la mente di Lorenzo Bartolini ec.; Firenze, Le Monnier, 1852; pag. 5.
  91. Il Vasari e dopo lui tutti i biografi di Fra Bartolommeo ne ponevano la nascita al 1469: trovò poi il mio amico e collega Gaetano Milanesi, che veramente Bartolommeo di Paolo del Fattorino nacque nel 1475. Bene dunque sarebbe sostituirvi tre secoli.
  92. Delaborde, articolo nella Revue des deux mondes; livraison 15 septembre 1855.
  93. Conti Augusto, Il Bello nel Vero. Libri quattro. Firenze, Successori Le Monnier, 1872. Nel vol I il Bartolini è stupendamente interpretato a pag. 87, 100, 101, 104, 106, 116, 174, 312, 332.
  94. Tigri Giuseppe, Pietro Gavazzi, scultore pistoiese. Nel giornale fiorentino Le Arti del disegno, an. II, n. 19 e 21.