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quale andato a Tunisi, si trovò alla presa della Goletta, e in premio del suo valore fu lasciato alla custodia di quella città: e quando essa cadde di nuovo nelle mani del nemico, Flaminio fu fatto prigione e condotto a Costantinopoli.
Riscattato, entrò col grado di sergente nella compagnia di Ercole da Pisa, fra le armi che papa Gregorio XIII spediva in soccorso dei cattolici in Irlanda: le quali giunte nel Portogallo, e impedite di dar effetto al primo disegno, si rivolsero ad aiutare il re Sebastiano, ch’era in guerra col re di Marocco. Si trovò Flaminio alla sanguinosa battaglia de’ 4 di agosto, dove tre monarchi rimasero morti; e ne riportò una ferita nella faccia per colpo di moschetto. Appena risanato, andò in Fiandra; e in trentasei fatti d’arme combattendo con valore, passò pe’ gradi di sergente, d’alfiere, di capitano; e in Germania, dal Conte di Mansfelt, fu nominato sergente maggiore. Il granduca Ferdinando I, per mezzo di don Virginio Orsino, lo chiamò al suo servizio, e fattolo sergente maggiore di tutto lo Stato, con autorità di potere come commissario arrolare soldati, lo destinò capitano di Prato e castellano di quella fortezza. Nella spedizione delle galere di Santo Stefano, lo costituì capo in terra con assoluto comando di tutta la milizia: e in tal grado espugnò Flaminio le fortezze di Laiazzo, di Namur e di Finica; comandando sull’armata l’ammiraglio Inghirami1. E fra le ultime sue imprese si novera l’avere, prima vendicato con l’armi le ingiurie fatte da’ Lucchesi a’ sudditi del Granduca, poi con onorate condizioni di pace ricondotta quella Repubblica a ben vicinare con la Toscana2.
§ 3. La serie di questi fatti è narrata, con la eloquenza propria di quel tempo, da Vincenzio Olivi, che nel 26 di