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vezze a custodire soltanto i classici tipi del bello, gli scelti esemplari dell’arte antica! l’imitazione della deformità prescritta siccome via di progresso! Quale ingiuria alle vecchie tradizioni, quale audace sfida agli artisti che si affaticarono a custodirle!» La sfida fu accettata; ma piuttosto che vera tenzone, ne seguì un armeggiare in aria. I nuovi naturalisti, senza entrare nel pensiero del Maestro, che voleva protestare contro il bello di convenzione e non altro, presero il gobbo per un’apologià della bruttezza: gl’idealisti, per lo contrario, videro nel gobbo un oltraggio alla maestà dell’arte; senza pensare all’indemoniato della Trasfigurazione, e alle Parche del Buonarroti, e al Tignoso del Morillo. Finalmente nel Diario di Roma si usciva in campo con un articolo contro il «novello Erostrato»: e il Bartolini nel Giornale del Commercio rispondeva all’«anonimissimo scrittore». Qui non è luogo di riferire le sue parole, nè di esporne largamente i concetti. «L’Esopo che medita le sue favole (scrisse il Bartolini) spiegava la verità, di non dare agli scolari un solo e perpetuo modello da studiare, onde poi non sieno costretti di ricorrere a un Giove per farne un Apostolo; e inculcava anche l’altra verità, di fermare costantemente l’attenzione dello scolaro e riprodurre l’originalità della natura». E appresso: «La natura è tutta bella relativamente; e chi saprà copiarla, saprà tutto quello che deve sapere un artista». Concetto che venne ultimamente illustrato da Augusto Conti in quell’opera che espone Il Bello nel Vero con alti pensieri e parola eloquente1.

§ 4. Nel fervore di quelle dispute volle il Bartolini fare una leggiadra vendetta de’ suoi avversari, ponendo il gobbo nel proprio Sigillo; e a Pietro Gavazzi, ch’egli molto stimava fra’ suoi discepoli, quantunque usasse chiamarlo il Magnano

  1. Conti Augusto, Il Bello nel Vero. Libri quattro. Firenze, Successori Le Monnier, 1872. Nel vol I il Bartolini è stupendamente interpretato a pag. 87, 100, 101, 104, 106, 116, 174, 312, 332.