Sigilli pratesi/Parte prima
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PARTE PRIMA
sigilli editi.
De’ vari Sigilli Pratesi che il Manni conobbe e registrò nelle sue schede, alcuni soltanto ebbero l’onore di esser pubblicati e illustrati nei trenta volumi delle sue erudite Osservazioni istoriche sopra i Sigilli antichi de’ secoli bassi (Firenze, 1739 e seg.). Dopo il Manni, non so che di due Sigilli illustrati da monsignor Ferdinando Baldanzi e dal conte Luigi Passerini, concernenti alla Badia di San Fabiano e al celebre Cardinale Niccolò. E di questi come di quelli, che in tutti sono undici, credo utile riportare le leggende e dare un cenno, prima di passare alla illustrazione d’altri Sigilli; potendo anche correggere o aggiungere quì e là qualche cosa a quanto venne stampato.
1.
s . bodelmonte : d . teghie : d pvliensib. (Sigillum Bondelmonte domini Teghiae de Puliensibus).
Era appresso il Manni, e oggi si conserva nella raccolta del cav. Amerigo Antinori. Nella illustrazione ( volume II, sigillo VI, pag. 51 -56) si ricerca: I. Chi fosse Bondelmonte Pugliesi nominato nel presente Sigillo, ed altri qualificati soggetti di essa Famiglia. II . Osservazioni sopra l’arme loro. III . Osservazione sopra il nome di Tegghia, ed emendazione di un luogo degli Annali di Gio. Vincenzio Coppi.
2.
s . fr . cantino d pulglesi . (Sigillo di Frate Cantino de’ Pugliesi).
Il Manni, a cui fu comunicato dal suo possessore Giovanni di Poggio Baldovinetti, lo pubblicò a pag. 141 del vol. XX, come in aggiunta al precedente Sigillo Pugliesi. Frate Cantino sarebbe stato zio di Bondelmonte, e come fratello di quel Monte che fondò il Ceppo vecchio de’poveri, sarebbe vissuto negli ultimi anni del secolo XIII. Pare che fosse ascritto all’ordine de’ Cavalieri della Beata Maria, volgarmente detti Cavalieri o Frati Gaudenti; e Prato si ricorda dopo Firenze al cap. XVI delle Costituzioni di quella Milizia, approvate nel Capitolo generale del 13141. Credo che a un figliuolo di questo Frate (poiché la Milizia Gaudente non obbligava al celibato) appartenga un’iscrizione, che il Pecci2 copiò nei sotterranei della chiesa di San Francesco di Siena, con l’arme de’ Pugliesi; ed è questa:
S . MONTIS : DNI : CATI
NI : DE PVLLIESIBVS : DE P
RATO : SVORV : CONSORTIV
3.
s . capitvli . monasterii . s . marie . d grignano . (Sigillum Capituli Monasterii Sanctae Mariae de Grignano).
È il Sigillo VIII del vol. XXIII, pag. 81-92. Il Manni, che lo possedeva in gesso e ne aveva veduto il bronzo3, dice che «col restituire alla città di Prato questo Sigillo, che è stato creduto d’altrove, si danno curiose notizie del Luogo di esso». E veramente il Glafey, nel suo Specimen Decadum Sigillorum complexum (Lipsia, 1749), lo aveva pubblicato e illustrato assegnandolo al castello di Grignan in Francia.
4.
xhv : xpe : fili dei vivi : miserere michi fratri nicolao peccatori . (Iesu Christe fili Dei vivi miserere mihi Fratri Nicolao peccatori).
Vol. VII, sigillo XII, pag. 141-48. Il trovarsi nel Museo del canonico Innocenzio Buonamici di Prato il bronzo di questo Sigillo, rese probabile la congettura che avesse appartenuto a quel Niccolò da Prato domenicano, che fu poi cardinale e vescovo d’Ostia e Velletri. Se non che, il Manni4 chiudeva la sua illustrazione mostrandosi più inclinato a credere che fosse stato il Sigillo di Niccolò Boccasino, frate anch’esso de’ Predicatori, cardinale e papa col nome di Benedetto XI. E il cav. Passerini, illustrando un Sigillo certo del Cardinale da Prato, si maraviglia che il Manni pensasse al celebre Boccasino, e non piuttosto a un qualunque «più oscuro frate portante il medesimo nome». Io dirò, che l’osservazione è giustissima: ma accettandola, si può ragionevolmente tornare al supposto, che un Sigillo conservato in un museo pratese appartenesse a un Frate Niccolò da Prato, e a quello notissimo di questo nome; il quale col suo testamento, fatto in Avignone, legò al patrio convento dei Domenicani arredi sacri preziosi ed omnes libros.
5.
s . bonacvrsi : not . s . torelli d pto . (Sigillum Bonaccursii notarii ser Torelli de Prato).
Il Manni (vol. XXVI, sigillo VII, pag. 55-63) lo dice «venuto qua di Prato», e si propone, «presa opportunamente l’occasione», di dilucidare «alcuni fatti della Fiorentina istoria». Dei Giureconsulti di casa Torelli mi offrirà occasione di parlare un Sigillo inedito.
6.
s . d . nicolai . magri . io . baduci . dec. doct. (Sigillum domini Nicolai magistri Ioannis Banduccii decretorum doctoris).
Era presso il cavalier Giulio Sesti, e il Manni lo pone XII nel vol. IX, pag. 139-145. «Si rinviene (dice l’
illustratore) l’arme di una decorosa Fiorentina famiglia»: e così toglie a Prato questo Niccolò di maestro Giovanni medico e figliuolo di Banduccio Banducci; il quale fu dottore in decreti, ed ebbe varie dignità ecclesiastiche, ricordate dallo stesso Manni con le parole di Salvino Salvini (Istoria de’ Canonici Fiorentini, manoscritta nell’Archivio del Capitolo di Firenze). Ora è bene sapere, che Niccolò Banducci non fu solo «nel 1416 canonico di Prato», e vicario di quel Proposto; ma fu veramente pratese, come il padre suo maestro Giovanni medico e l’avo Banduccio. E per ciò che riguarda il primo, basti ricordare che nel Libro delle Deliberazioni degli operai di Santa Maria del Fiore (anno 1429, a c. 160 t., sotto dì 18 maggio) si legge l’ordine di demolire alcune case, e fra l’altre domum in qua ad presens habitat dominus Niccolaus magistri Iohannis Banduccii; e in margine, de Prato; assegnandogli il termine a tutt’ottobre per averla sgombrata, e consegnandogli invece quella che abitava messer Giovanni di Girolamo da Gubbio avvocato dell’Opera. E perchè questi nell’aprile del 1431 non aveva lasciata libera la casa al Canonico, a’ 13 di quel mese (lib. cit., c. 140), gli è dato tempo a tutt’ottobre prossimo: mentre poi si trova, che il 18 gennaio del 1432 (a c. 18) assegnano a Niccolò del maestro Giovanni Banducci la metà della casa già occupata da Giovanni da Gubbio. In quanto al padre, non meno autentico è il documento che ce lo dà pratese; leggendosi nel Libro de’ matricolati all’arte de’ Medici e Speziali dal 1297 al 1442, sotto la lettera G, a carte 77, Maestro Giovanni di Banduccio da Prato fra’ descritti alla matricola non prima del 1353 nè dopo il 1386. E perchè il Manni dice qualcosa della famiglia Banducci, credo che giovi pubblicare l’alberetto compilato, sovra autentici documenti dell’Archivio centrale di Stato, dal mio amico e collega cav. Gaetano Milanesi.7-8.
io . ba . mil . ep . mar . adm . hos . s . ma . no. (Ioannes Baptista Milanesius Episcopus Marsorum Administrator Hospitalis Sanctae Mariae Novae).
Di modulo diverso, ma al tutto conformi, sono i due Sigilli del vescovo Milanesi, posseduti dal cav. Andrea da Verrazzano quando il Manni li pubblicava e illustrava nel vol. VII, sigillo V, pag. 49-56, e nel vol. VIII, sigillo VI, pag. 59-67. Parlando del primo, si tratta: I. Di alcuni soggetti della Famiglia de’ Milanesi di Prato. II. Della persona, e delle disavventure di questo Monsignore, correggendosi uno sbaglio di Ferdinando del Migliore seguito da altri. E tanto fa nella illustrazione del secondo, correggendo poi «alcun errore del Sansovino», e notando «alcuna cosa intorno l’arme del Sigillo».
9.
Arme de’ Casotti di Prato (col Sigillo dell’Opera di S. Maria Impruneta).
Vol. XXX, sigillo III, pag. 33 e seg. Il Manni vi riproduce la Necrologia di Giambatista Casotti, che fu pievano dell’Impruneta, scritta da Giuseppe Bianchini, e inserita già nella Raccolta Cologeriana, vol. XVIII; Venezia, 1738.
E questi sono i nove Sigilli pratesi pubblicati dal Manni. Altri due Sigilli furono illustrati posteriormente come ho detto, e sono i seguenti.
10.
+ s : fratris nicolai ostien : et velletren : epi . (Sigillum fratris Nicolai Ostiensis et Velletrensis Episcopi).
Se ne trasse il disegno dalle impronte in cera che pendevano da alcune pergamene esistenti nel nostro Archivio Diplomatico, che contengono documenti del tempo in cui quel Cardinale fu legato in Toscana per Benedetto XI, ed ebbe tanta parte nelle cose della Chiesa e dell’Italia. Il disegno, con la erudita illustrazione del cav. Luigi Passerini, si vede nel vol. I di questo Periodico di Numismatica e Sfragistica per la Storia d’Italia ec. Firenze, 1868, pag. 63-70.
11.
s . capituli . mon : sci . fabiani d prato. (Sigillium Capituli Monasterii Sancti Fabiani de Prato).
Monsignor Baldanzi, che pubblicò questo Sigillo nel suo articolo Abbazia o Prioria di San Fabiano ora Seminario Ecclesiastico, inserito nel Calendario Pratese del 1848 (Prato, 1847), a pag. 120, dice che il Manni lo conobbe e lasciò delineato in un suo manoscritto d’Impronte di Sigilli, allora esistente presso il signor Pietro Bigazzi. Un’impronta (aggiungo io) se ne trova parimente negli Annali manoscritti della Società Colombaria; IX, 174. Oggi il bronzo di questo Sigillo fa parte della raccolta del Conte della Gherardesca, riunita a quella del Museo Nazionale.
In quanto agli Abati commendatari di San Fabiano, che il Baldanzi ricorda, piacemi produrre una graziosa notizia dell’ultimo, che fu messer Baldo Magini, scritta da Alessandro Guardini mentre sopravvivevano molti che aveano conosciuto quel piacevole Castellano d’Ostia.
«Messer Baldo di Magino di Sale Balducci.
«Messer Baldo Magini, di porta Gualdimari da Prato, fu uomo di natura facetissimo e burlevole e tutto pieno di baldanzosa piacevolezza, e nato di buona famiglia. Essendo egli già uomo fatto5, accadde che il cardinale Galeotto6, nipote di papa Giulio II, passò di Prato; ed intesa la piacevolezza di questo Balduccio (che così era chiamato), volse che lo andasse a servire. E tornandosi il Cardinale a Roma, Balduccio il serviva molto gratamente; e perchè in questo tempo vacò il castellano d’Ostia, il Cardinale s’adoperò col Papa, e lo fece avere a Balduccio: il quale, vivente Giulio, v’acquistò gran danaio. Il che intendendo il Papa, gli fece disegno a dosso; e un giorno, sotto pretesto d’andare a vedere la fortezza d’Ostia, vi cavalcò: che del tutto era consapevole Balduccio, perchè troppo conosceva la natura di que’preti. Ed arrivato là il Papa, non però con molto sforzo, anzi più presto sconosciuto, fece motto alla fortezza. Balduccio, allegramente affacciandosi, domandò chi e’ si fussero. Al quale rispose Giulio e gli disse, che era il Papa, che voleva entrare. Baldo gli rispose, che se fusse stato il Papa, sarebbe in altro abito; e che non lo conosceva, nè gli voleva aprire: anzi, che subito si levassi da quella porta, perchè lo farebbe levare con l’artiglieria. E dopo un lungo tirar di parole, Giulio se ne partì senza altramente entrarvi: del che si tenne quasi schernito, benché gli altri la pigliasseno per piacevolezza che Balduccio aveva voluto usare al Papa. Dopo questa burla Balduccio, al quale parve d’avere scampato il primo punto, e salvato l’aver suo, cominciò a pensare che ’l Papa, essendo di natura collerico, l’avesse avuto molto a sdegno, e ne dubitava: ma il meglio che possette quetò la cosa per via del cardinale Galeotto, e con ogni sua diligenza si risolse (avendo ingrassato, come si dice, il porco) di tornarsene a Prato: il che fece. Ma prima, essendo vacata la Badìa di San Fabiano di Prato, il Cardinale gliene fece presente, l’anno 1505; della quale fu abbate. Ed era cubiculario intra muros di Nostro Signore. E così se ne tornò a Prato: dove cominciò a pensare di dispensare i suoi beni in tutte opere pie e comode al pubblico e particolare7. Fece l’altare di marmo statuario nella Madonna delle Carcere di Prato, tutto d’opera corinta; cosa molto suntuosa e bella8: dove gli operai di quel luogo, uomini di poca virtù, vi volevano la lor arme: il che non fu comportato; e vi ebbe mille difficultà: e così fatto, glielo volevano, senza timor de Dio, gettar per terra. Dal che si sbrigò francamente; ma si sdegnò assai. Ammattonò e riquadrò la piazza della Pieve; e vi conduceva l’acqua Procola9, poco lontana da Prato; e già vi aveva cominciato il condotto, e recato uno de’più belli e maggior vasi di marmo, tondo di figura, per riscever l’acqua, che mai si vedesse a’tempi nostri in Toscana. E nella medesima piazza disegnava e già era per porre in opera una bellissima e suntuosissima loggia in comodità publica per farvi mercati e passeggiare al tristo tempo. E di tutto fu, con gran dolor suo e discomodo del publico, impedito da una settarella di ribaldi, che allora era per Prato, invidiosi del bene operare. Di poi, avendo egli una figliuola naturale molto amata da lui, desiderava dargli marito, e ne aveva concluso quasi che il parentado con un giovane della Terra, del quale la fanciulla non era molto contenta per esser egli brutto. Venuto il padre alle strette colla figliuola, li disse che gli aveva dato marito; ed ella domandoli, Chi? Disse, Il tale. Allora la giovane rispose: Mie padre, se voi m’avessi data a un ch’avessi vista di vivo, io lo pigliavo; ma perchè ha cera di morto, io non lo voglio: e però, se voi volete, io voglio esser monaca. Piacque la resoluzione della fanciulla al padre; e nelle sue medesime case fece il monastero di San Clemente di Prato, l’anno 1518; dove messe la figliuola con altre giovane10. E così attese a viversi e godersi la sua vecchiaia; e desideroso di beneficare la Terra, fece presente della sua Badìa al clero della Pieve di Prato l’anno 1515; il quale è tenuto di fargli la sepoltura di marmo, e nondimeno non gliela fa: essendo cosa naturale, che un gran benefizio si riconosce con una grande ingratitudine11. Donò 1500 ducati alla Comunità per riaprire il Monte per prestare a’ poveri de Dio». Così il Guardini nel suo Raccolto quarto di memorie Pratesi, a carte 22.
Note
- ↑ Federici, Istoria de’ Cavalieri Gaudenti; Venezia, 1787; vol. I, 242; vol. II, 70 del Codice Diplomatico. Vedi anche vol. II, pag. 144.
- ↑ pecci giov. antonio, Raccolta universale di tutte l’iscrizioni, arme e altri monumenti, sì antichi come moderni, esistenti nel terzo di San Martino (di Siena) fino a questo presente anno cicicccxxx. Nel volume terzo, a c. 31. Manoscritto nell’Archivio di Stato in Siena.
- ↑ In lettera al can. Innocenzio Buonamici (10 marzo 1760) dice il Manni di averlo avuto da Venezia. Amadio Baldanzi scrisse, circa quel tempo, che si credeva passato nella Vaticana col Museo Carpegna.
- ↑ Vedi anche l’altra opera del Manni, Principj della Religione Cristiana in Firenze, pag. 145-46.
- ↑ Baldo, secondo un Diurno della Cancelleria di Prato, sarebbe nato nel 1450. Sua madre fu Tita, e Brigida la moglie.
- ↑ Il cardinale Frangiotto della Rovere passò di Prato nel 1503.
- ↑ Nel 1512, dopo il celebre Sacco dato dagli Spagnuoli alla terra di Prato, fu de’ cittadini mandati a Leone X per chiedere qualche ristoro.
- ↑ Si cominciò a fondare l’altare il 27 luglio 1515.
- ↑ Antonio di Raffaello Buonamici lesse questa memoria in un Martirologio antico in membrana, che si conservava nel 1612 nell’archivio del Capitolo: Proculus martyr, dum vivebat, transivit cum aliquibus sociis per territorium Prati, fugiens impiorum saevitias, et sibi fatigatus miraculose orationibus suis fontem vivum produxisse de terra fertur; qui ab illa hora usque in hodiernum diem vocatur fons ille et locus Fontana Procola; et multi infirmi ex illa aqua bibentes a febri sanantur. È la fonte oggi detta del Palco. — Nel 1350 esisteva presso Prato una chiesa dedicata a San Procolo, fondata da Tura di m. Corso da Prato.
- ↑ Ved. Razzi, Vita di suor Caterina de’ Ricci, cap. VI.
- ↑ Gli fanno l’anniversario a’ 22 di gennaio. Tre ritratti si conservano del Magini. Uno è nella sagrestia della Cattedrale; un altro nel salone del Comune, fra quelli de’ benefattori; e il terzo, ch’era nel Monte Pio, ora si trova nella Galleria municipale. Questo è il più bello.