I pensieri (Leonardo da Vinci, 1904)/Pensieri sulla natura
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PENSIERI SULLA NATURA.
I. — proemio.
Vedendo io non potere pigliare materia di grande utilità o diletto, perche li omini, innanti a me nati, hanno preso per loro tutti Lutili e necessari temi, farò come colui, il quale, per povertà, ghigne L ultimo alla fieri^, e, non potendo d’altro fornirsi, piglia tutte cose già da altri viste, e non accettate, ma rifiutate per la loro poca valetudine.1
Io questa disprezzata e rifiutata mercanzia, rimanente de’ molti compratori, metterò sopra la mia debole soma, e con quella, non per le grosse città, ma povere ville andrò distribuendo, e pigliando tal premio, qual merita la cosa da me data.
II. — natura e scienza.
La natura è piena d’infinite ragioni, die non furono mai in isperienza.
III. — leggi necessarie dominano i fatti della natura.
La necessità è maestra e tutrice della natura.
La necessità è tema e inventrice della natura, è freno e regola eterna.
IV. — la rispondenza degli effetti alla potenza della loro cagione e necessaria.2
Ogni corpo sporico di densa e resistente superfice, mosso da pari potenza, farà tanto movimento con sua balzi, causati da duro e solido smalto,3 quanto a gettarlo libero per l’aria.
O mirabile giustizia di te, Primo Motore, tu non Lai voluto mancare a nessuna potenza l’ordine e qualità de’ sua necessari effetti! Conciò sia che una potenza deve cacciare 100 braccia una cosa vinta da lei, e quella nel suo obbedire trova intoppo: hai ordinato, che la potenza del colpo ricausi novo movimento, il quale, per diversi balzi, recuperi la intera somma del suo debito viaggio. E se tu misurerai la via fatta da detti balzi, tu troverai essere di tale lunghezza, qual sarebbe a trarre, con la medesima forza, una simil cosa libera per l’aria*
V. — le leggi della natura sono imprescindibili.
Natura non rompe sua legge.
VI. — sul medesimo soggetto.
La natura è costretta dalla ragione della sua legge, che in lei infusamente vive.
VII. — l’effetto succede alla causa necessariamente.
Quando alcuna cosa, cagione dell’altra, induce per suo movimento alcuno effetto, e’ bisogna che ’l movimento dell’effetto séguiti il movimento della cagione.
VIII. — il miracolo sta nella rispondenza dell’effetto alla sua causa.4
(Studiando la natura dell’occhio.)
Qui le figure, qui li colori, qui tutte le spezie delle parti dell’universo son ridotte in un punto, e quel punto e di tanta maraviglia!
O mirabile e stupenda necessità, tu costringi, colla tua legge, tutti li effetti, pei brevissima via, a partecipare delle lor cause!
Questi sono li miracoli!
Scrivi nella tua Notomia, come, in tanto minimo spazio, l’immagine5 possa rinascere e ricomporsi nella sua dilatazione.
IX. — ogni cosa obbedisce alla propria legge.
Esempio della saetta fra' nuvoli. — 0 potente e già animato strumento dell’artifiziosa natura, a te non valendo le tue gran forze, ti conviene abbandonare la tranquilla vita, e obbedire alla legge, che Iddio e ’l Tempo diede alla genitrice natura!
Oh! quante volte furono vedute le impaurite schiere de’ delfìni e de’ gran tonni fuggire dall’empia tua furia; e tu, che, col veloce tremor dell’ali e colla lorcelluta coda, fulminando, generavi nel mare subita tempesta, con gran busse6 e sommersione di navili, con grande ondamento, empiendo gli scoperti liti degli impauriti e sbigottiti pesci!
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X. — passività e attività.
Molte volte una medesima cosa è tirata da due violenze: necessità e potenza. L’acqua piove, e la terra l’assorbisce per necessità d’omore; il sole la svelle7 non per necessità, ma per potenza.
XI. — provvidenza della natura nella conformazione del corpo umano.
Perchè l’occhio è finestra dell’anima ella è sempre con timore di perderlo, in modo tale ch’essendoli mossa una cosa dinanzi, che dia subito spavento all’omo, quello colle mani non soccorre il core, fonte della vita, nè ’l capo, ricettaculo del signore de’ sensi, nè audito, nè odorato o gusto, anzi subito lo spaventato senso: non bastando chiudere li occhi con sua coperchi8 serrati con somma forza, che subito lo rivolge in contraria parte; non sicurando ancora, vi pone la mano, e l’altra distende, facendo antiguardia contro al sospetto suo.
Ancora, la natura ha ordinato, che l’occhio de l’omo per sè medesimo col coperchio (si chiuda), acciò che, non sendo da esso dormiente guardato, d’alcuna cosa non sia offeso.
XII. — provvidenzialità della dilatazione e restringimento della pupilla.
La pupilla dell’occhio si muta in tante varie grandezze, guante son le va» eia delle chiarezze e oscurità delti oblnetll, che dinanzi se le rappresentano.
In questo caso la natura ha ripar ato alia virtù visiva, quando ella è offesa calla soperchia luce, di ristrignere la pupilla dell’ occhio, e, quando è offesa dalle diverse oscurità, d’allargare essa luce a similitudine della bocca della borsa. E fa qui la natura, come quel che ha troppo lume alla sua abitazione, che serra una mezza finestra, e più o rnen, secondo la necessi quando viene la notte, esso apre tutta essa finestra, per vedere meglio dentro a detta abitazione. E usa qui la natura una continua equazione, col continuo temperare e ragguagliare, col crescere la pupilla e diminuirla a proporzione delle predette oscurità o chiarezze, che dinanzi al continuo -e le rappresentano.
XIII. — contro coloro che si arrogano di correggere la natura.
L’atto del tagliare la narice ai cavalli è cosa meritevole di riso. E questi stolti osservan questa usanza, quasi come se credessino la natura avere mancato ne’ necessarie cose, per le quali li omini abbiano a essere sua correttori. Ell’ha fatti i due busi del naso, i quali, ciascuno per se, è per la metà della larghezza della canna de’ polmoni, donde esala l’anelito, e, quando essi busi non fussino, la bocca sarebbe abbastanza a esso abbondevole anelito. E se tu mi dicessi: — perchè ha fatto questa natura le narici alli animali, se l’alitare per la bocca è soffiziente? — io ti risponderei, che le narici sono fatte per essere usate, quando la bocca è in esercizio di masticare il suo cibo.
XIV. — sul fenomeno della spinta delle radici.
L’albero in qualche parte scorticato, la natura, che a esso provvede, volta a essa iscorticazione molto maggior somma di notritivo omore,9 che in alcuno altro loco; in modo che, per lo primo detto mancamento, li cresce molto piu grossa la scorza, che in alcun altro loco. Ed è tanto movente10 ess’ omore, che, giunto al soccorso loco, si leva parte in alto, a uso di balzo di palla, con diversi pullulamenti, o ver germugliamenti,11 non altrementi ch’una bollente acqua.
XV. — sulla struttura delle ali.
Li timoni, creati nelli omeri12 che han Tali delli uccelli, son trovati dalla ingegnosa natura per un comodo piegamento del retto impeto, che spesso accade nel luiioso volare delli uccelli; perchè trovò esser molto piu comodo, nel retto furore, a piegare una minima parte dell aia, che il loro tutto.
XVI. — sulla disposizione delle foglie nelle piante.
Ha messo la natura la foglia degli ultimi rami di molte piante, che sempre la sesta foglia è sopra la prima, e cosi seguo successivamente, se la regola non e impedita. E questo ha fatto per due utilità d’esse piante: la prima e perchè nascendo il ramo e ’l frutto nell’anno seguente dalla gemella dell’occhio,13 ch’è sopra in contatto dell’appiccatura della foglia; l’acqua, che bagna tal, ramo, possa discendere a nutrire tal gemella, col fermarsi la goccia nella concavita del nascimento di essa foglia. Ed il secondo giovamento è, che nascendo tali rami, l’anno seguente, l’uno non cuopre l’altro, perchè nascono volti a cinque aspetti, li cinque rami.
XVII. — legge universale delle cose.
Naturalmente ogni cosa desidera mantenersi in suo essere.
XVIII. — sul medesimo soggetto.
Universalmente tutte le cose desiderano mantenersi in sua natura, onde il corso de l’acqua, che si move, cerca mantenere il suo corso, secondo la potenza della sua cagione, e, se trova contrastante opposizione, finisce la lunghezza del cominciato corso per movimento circulare e retorto.
XIX. — le cose fuori del loro stato naturale tendono a ritornarvi.
Tutti li elementi, fori del loro naturale sito, desiderano a esso sito ritornare, e massime foco, acqua e terra.
XX. — legge del minimo sforzo.
Ogni peso desidera cadere al centro per la via più breve.
XXI. — ogni parte desidera essere nel suo tutto.
Ogni parte ha inclinazion di ricongiugnersi al suo tutto, per fuggire dalla sua imperfezione: l’anima desidera stare col suo corpo, perchè, sanza li strumenti organici di tal corpo, nulla può oprare, nè sentire.
XXII. — suggetto colla forma.
Muovesi l’amato per la cos’amata, come il senso colla sensibile, e con seco s’unisce, e fassi una cosa medesima.
L’opera è la prima cosa che nasce dall’unione. Se la cosa amata è vile, l’amante si fa vile. Quando la cosa unita è conveniente al suo unitore, lì séguita dilettazione e piacere e saddisfazione.
Quando l’amante è giunto all’amato, li si riposa; quando il peso è posato, lì si riposa. La cosa conosciuta col nostro intelletto....
XXIII. — legge del minimo sforzo.
Ogni azione naturale è fatta per la via brevissima.
XXIV. — la stessa.
Ogni azione naturale è fatta da essa natura, nel più breve modo e tempo che sia possibile.
XXV. — ancora la stessa.
Nessuna azion naturale si può abbreviare. Ogni azion naturale è generata dalla natura nel più brieve modo, che trovar si possa.
XXVI. — la natura e variabile in infinito.
Ed è tanto dilettevole natura e copiosa nel variare, che infra li alberi della medesima natura non si troverebbe una pianta, ch’appresso somigliassi all’altra, e non che le piante, ma li rami o foglie, o frutti di quelle, non si troverà uno, che precisamente somigli a un altro.
XXVII. — contro gli alchimisti.
I bugiardi interpetri di natura affermano lo argento vivo essere comune semenza a tutti i metalli, non si ricordando che la natura varia le semenze, secondo la diversità delle cose, che essa vuole produrre al mondo.
XXVIII. — ancora sulla varietà della natura.
Se la natura avesse ferma14 una sola regola nella qualità delle membra, tutti i visi delli omini sarebbono somiglianti in tal modo, che l’uno dall’altro non si potrebbe conoscere; ma eli’ ha ’n tal modo variato i cinque membri del volto, che. ben ch’ell’abbi fatto regola quasi universale alla loro grandezza, lei non l’ha osservata nella qualità, in modo tale che l’un dall’altro chiaramente conoscere si può.
XXIX. — precetto al pittore.
Dico: le misure universali si debbono osservare nelle lunghezze delle figure, e non nelle grossezze, perchè delle laudabili e maravigliose cose, ch’appariscono nelle opere della natura, è die nissuna opera, in qualunque spezie per se, l’un particulare con precisione si somiglia l’un a T altro: adunque, tu, imitatore di tal natura, guarda e attendi alla varietà de’ lineamenti.
XXX. — precetto.
Sommo difetto è ne’ maestri, li quali usano replicare li medesimi moti nelle medesime storie,15 vicini l’uno all’altro, e similmente le bellezze de’ visi essere sempre una medesima; le quali in natura mai si trova essere replicate, in modo che, se tutte le bellezze d’eguale eccellenza ritornassin vive, esse sarebbon maggior numero di popolo, che quello, ch’al nostro secolo si trova; e, siccome in esso secolo nessuno precisamente si somiglia, il medesimo interverrebbe nelle dette bellezze.
XXXI. — vi è una omogeneità di struttura negli esseri animati.
Facile cosa è, a chi sa l’omo, farsi poi universale; imperocchè tutti li animali terrestri han similitudine di membra, cioè muscoli e ossa, e nulla si variano, se non in lunghezza o in grossezza, come sarà dimostro nella Notomia; ecci poi li animali d’acqua, che son di molte varietà, de li quali non persuaderò il pictore che vi faccia regola, perche son quasi d’infinite varietà, e cosi li animali insetti.
XXXII. — concetto dell’energia.
Impeto e impressione di moto trasmutato dal motore nel mobile.
Ogni impressione attende alla permanenza over desidera permanenza.
Che ogni impressione desidera permanenza provasi nella impressione fatta dal sole nell’occhio d’esso risguardatore, e nella impression del sono, fatto dal martello di tal campana percussore.
Ogni impressione desidera permanenza, come ci mostra il simulacro del moto16 impresso nel mobile.
XXXIII. — legge universale.
Ogni azione bisogna che s’eserciti per moto.
XXXIV. — la stessa.
Il moto è causa d’ogni vita.
XXXV. — definizione della forza.
Che cosa e la forza?
Forza dico essere una virtù spirituale, una potenza invisibile, la quale, per accidentale esterna violenza, è causata dal moto e collocata e infusa ne’ corpi, i quali sono dal loro naturale uso17 ritratti, dando a quelli vita attiva di maravigliosa potenza.
XXXVI. — la stessa.
Che cosa è forza?
Forza dico essere una potenza spirituale, incorporea, invisibile, la quale, con breve vita, si causa nei corpi, che per un’accidentale violenza si trovano fuori del loro essere e riposo naturale.
XXXVII. — la materia è inerte.
Nessuna cosa insensata18 per se si move, ma il suo moto e fatto da altri.
XXXVIII. — legge della trasmissione del moto e della sua equivalenza.
L’impeto è una virtù creata dal moto e trasmutata dal motore al suo mobile, il quale mobile ha tanto di moto, quanto l’impeto ha di vita.
XXXIX. — principio d’inerzia.
Ogni moto naturale e continuo desidera conservare suo corso per la linia del suo principio, cioè, in qualunque loco esso si varia, domando19 principio.
XL. — origine della forza.
La forza da carestia o dovizia20 è generata, questa è figliola del moto materiale e nepote del moto spirituale, e madre e origine del peso. E esso peso è finito nell’elemento dell’acqua e terra, e essa forza è infinita, perchè con essa infiniti mondi si moverebbero, se strumenti far si potessero, dove essa forza generare si potesse.
La forza col moto materiale e ’l peso -colla percussione son le quattro accidentali potenze, colle quali tutte l’opere de’ mortali hanno loro essere e lor morte.
La forza dal moto spirituale ha origine, il quale moto, scorrendo per le membra degli animali sensibili, ingrossa i muscoli di quelli, onde, ingrossati, essi muscoli si vengono a raecortare e trarsi dirieto i nervi,21 che con essi son congiunti; e di qui si causa la forza per le membra umane.
La qualità e quantità delle forze d’uno uomo potrà partorire altra forza, la quale sarà proporzionevolmente tanto maggiore, quanto essa sarà di piu lungo moto l’una che T altra.
XLI. — aspetti vari della forza.
La gravità, la forza, e ’l moto accidentale, insieme colla percussione, son le quattro accidentali potenze colle quali tutte l’evidenti opere de’ mortali hanno loro essere e loro morte.
XLII. — ancora del principio d’inerzia.
Ogni moto attende al suo mantenimento, overo: ogni corpo mosso sempre si move, in mentre che la impressione de la potenzia del suo motore in lui si riserva.
XLIII. — ancora.
Ciascun con violenza mantiene suo essere. — E se possibile fussi dare un diametro d’aria a questa spera della terra, a si militudine d’un pozzo, die dali’una all’altra superfìzie si mostrassi, e per esso pozzo si lasciassi cadere un corpo grave; ancoia che esso corpo si volessi al centro fermare, l’impeto sarebbe quello, che per molti anni glielo vieterebbe.
XLIV. — sulla pitagorica armonia delle sfere celesti.22
Della confregazione de’ cieli, s’ella fa sôno o no.
Ogni sôno si causa dall’aria ripercossa in corpo denso e, s’ella sara fatta da due corpi gravi infra loro, eli’ e mediante l’aria, che li circonda, e questa tal confi egazione consuma li corpi confregati: adunque seguiterebbe, che li cieli, nella lor confregazione, per non avere aria infra loro, non generassino sono. E se tale confregazione puie avesse verità, essi, in tanti seculi che tali cieli son rivoltati, si sarebbon consumati da tanta immensa velocita fatta in ogni gioinata; e se pur facessin sono esso non si può spandere, perchè il sono della pei missione fatta sotto l’acqua poco si sente, e meno o niente si sentirebbe ne’ corpi densi; ancora: ne’ corpi politi la ior confregazione fa non sôno, il che similmente accadrebbe non farsi sôno nel contatto over confregazione de’ cieli; e, se tali cieli non sono politi nel contatto delle lor confregazioni, seguita essere globulosi e ruvidi* adunque il lor contatto non è continuo, essendo così e’ si genera il vacuo; il quale è concluso non darsi in natura.
Adunque è concluso che confregazione avrebbe consumati li termini di ciascun cielo, e tanto quanto più esso è più veloce in mezzo che inverso i poli, più si consumerebbe in mezzo die da’ poli; e poi più non si eonfregherebbe, e ’l sôno cesserebbe e i ballerini si fermerebbono, salvo se i cieli l’un girassi a oriente e l’altro a settentrione.
XLV. — sulla legge di gravita.
La terra è grave nella sua spera, ma tanto più, quanto essa sarà in elemento più lieve.
Il foco è lieve nella sua spera, ma tanto più, quanto esso sarà in elemento più grave.
Nessuno elemento semplice ha gravità o levità nella sua propria spera.
XLVI. — la stessa.
Il moto fatto da’ corpi gravi verso il conimi centro, non è per desiderio che esso corpo abbia in se di trovare tal centro, nè non è per attrazione, ch’esso centro faccia, come calamita, del tirare a se tal peso
XLVII. — la stessa.
— Il peso perchè non resta nel suo sito?
— Non resta perchè non ha resistenza.
— E donde si moverà?
— noverassi inverso il centro.
— E perchè non per altre linee?
— Perchè il peso, che non ha resistenzia, discenderà in basso per la via più breve, e ’l più basso sito è il centro del mondo.
— E perchè lo sa cosi tal peso trovarlo cori tanta brevità?
— Perchè non va — come insensibilenota — prima vagando per diverse linee.
XLVIII. — laude del sole.
Se guarderai le stelle, sanza razzinota (come si fa a vederle per un piccolo foro fatto colla strema punta da la sottile agucchia, e quel posto quasi a toccare l’occhio), tu vedrai esse stelle essere tanto minime, che nulla cosa pare essere minore: e veramente 23
24 la lunga distanza da loro ragionevole diminuzione, ancora che molte vi sono, che son moltissime volte maggiori che la stella, ciò è la terra coll’acqua.
Ora pensa quel che parrebbe essa nostra stella in tanta distanza, e considera poi quante stelle si metterebbe e per longitudine e latitudine infra esse stelle, le quali sono seminate per esso spazio tenebroso.
Mai non posso fare ch’io non biasimi molti di quelli antichi, li quali dissono, che il sole non avea altra grandezza che quella, che mostra; fra’ quali fu Epicuro, e credo’ che cavasse tale ragione da un lume posto in questa nostra aria, equidistante al centro; chi lo vede, no ’l vede mai diminuito di grandezza in nessuna distanza.
XLIX. — segue la laude.
E le ragioni della sua grandezza e virtù le riservo nel quarto libro. Ma ben mi meraviglio, che Socrate biasimassi questo tal corpo, e che dicessi quello essere a similitudine di pietra infocata; e certo chi lo punì di tal errore poco peccò.
Ma io vorrei avere vocaboli, che mi seivissino a biasimare quelli, che voglion laudare più lo adorare gli omini, che tal sole, non vedendo nell’universo corpo di maggiore magnitudine e virtù di quello.
E ’l suo lume allumina tutti li corpi celesti, che per l’universo si compartono. Tutte T anime disc eri lan da lui, perchè il caldo, eli’ è nelli an m ili vivi, vien dall’anime, e nessuno altro caldo, ne lume e nell univeiso, come mostrerò nel quarto libro. E certo costoro, che haii voluto adorare li omini per Iddìi come Giove, Saturno, Marte e simili han fatto grandissimo errore, vedendo, che, ancora che l’omo fossi grande quanto il nostro mondo, che parrebbe simile a una minima stella, la qual pare un punte nell’universo; e ancora vedendo essi omini mortali e putridi e corruttibili nelle loro sepolture.
La Spera e Marullo laudan con molti altri esso sole.25
L. — segue.
Forse Epicuro vide le ombre delle colonne ripercosse nelli antiposti muri esseie eguali al diametro della colonna, donde si partìa tale ombra; essendo adunque il concorso dell’ombre parallelo dal suo nascimento al suo fine, li parve da giudicare che il sole ancora lui fosse fronte di tal paral lelo, e per conseguenza non essere più grosso li tal colonna, e non s’avvide che tal diminuzione d’ombra era insensibile per la lunga distanza del sole. Se ’l sole fussi minore della terra le stelle di gran parte del nostro emisperio sarebbon sanza lume. (Contro a Epicuro, che dice: tanto e grande il sole quanto e’ pare.)
LI. — segue.
Dice Epicuro il sole essere tanto quanto esso si dimostra: adunque e’ pare essere un pie, e cosi l’abbiamo a tenere. Seguirebbe che la luna, quand’ella fa oscurare il sole, il sole non l’avanzerebbe di grandezza come e’ fa; onde, sendo la luna minor del sole, essa luna sarebbe men d’un piede, e per conseguenza, quando il nostro mondo la oscurare la luna, sarebbe minore d’un dito del piede; con ciò’ sia, se ’l sole è un piede e la nostra terra fa ombra piramidale inverso la luna, egli è necessario che sia maggiore il luminoso causa della piramide ombrosa, che l’opaco causa d’essa piramide.
LII. — segue.
Misura quanti soli si metterebbe nel corso suo di ventiquattro ore!... E qui si potrà vedere, se Epicuro disse, che ’l sole era tanto grande quanto esso parea, che, — parendo il diametro del sole una misura pedale, e che esso sole entrassi mille volte nel suo corso di ventiquattro ore, — egli avrebbe corso mille piedi, cioè cinquecento braccia, che è un sesto di miglio.
Ora è che ’l corso del sole, infra di e notte, sarebbe camminato la sesta parte d’un miglio, e questa venerabile lumaca dei sole avrebbe camminato venticinque braccia per ora!
LIII. — della prova che ’l sole è caldo per natura e non per virtù.
Del sole. Dicano ehe ’l sole non è caldo, perchè non è di colore di foco, ma è molto più bianco e più chiaro. E a questi si po’ rispondere, che, quando il bronzo liquefatto è più caldo, elli è più simile al color del sole, e, quand’è men caldo, ha più color di foco.
LIV. — sul medesimo soggetto.
Provasi il sole, in sua natura, essere caldo — e non freddo, come già s’è detto. —
Lo specchio concavo, essendo freddo, nel ricevere li razzi del foco, li rifrette più caldi, che esso foco.
La palla di vetro, piena d’acqua fredda, manda fori di sè li razzi, presi dal foco, ancora più caldi d’esso foco.
Di queste due dette esperienze seguita, che tal calore dell! razzi, avuti dello specchio o della palla d’acqua fredda, sien caldi per virtù, e non perchè tale specchio o palla sia calda; e ’l simile in questo caso accade del sole passato per essi corpi, che scalda per virtù. E per questo hanno concluso il sole non esser caldo. — Il che per le medesime allegate isperienze si prova esso sole essere caldissimo, per la sperienza detta dello specchio e palla, che, essendo freddi, pigliando i razzi della caldezza del foco, li rendan razzi caldi, perchè la prima causa è calda: e il simile accade del sole, che essendo lui caldo, passando per tali specchi freddi, refrette gran calore.
Non lo splendore del sole scalda, ma il suo naturai calore.
LV. — propagazione dei raggi nello spazio.
Passano li razzi solari per la fredda regione dell’aria e non mutan natura, passan per vetri pieni d’acqua fredda e non mancano di lor natura, e, per qualunque locatransparente essi passassino, è come s’elli penetrassino altrettanta aria.
LVI. — se le stelle han lume dal sole o da sè.
Dicano26 di avere il lume da se, allegando, che se Venere e Mercurio non n’avessi il lume da sè, quando esso s’interpone infra l’occhio nostro e ’l sole, esse oscurerebbon tanto d’osso sole, quanto esse ne coprano all’occhio nostro. — E quest’è falso, perch’è provato come l’ombroso, posto nel luminoso, è cinto e coperto tutto da razzi laterali del rimanente di tal luminoso e così, resta invisibile. Come si dimostra, quando il sole è veduto per la ramificazione delle piante sanza foglie in lunga distanzia, essi rami non occupano parte alcuna d’esso sole alli occhi nostri.
Il simile accade a’ predetti pianeti, li quali, ancora che da se e’ sieno sanza luce, eglino non occupano, coni’ e detto, parte alcuna del sole all’occhio nostro.
Seconda pruova. Dicano le stelle nella notte parere lucidissime quanto più ci son superiori; e che s’elle non avessin lume da se che l’ombra, che fa la terra, che s’interpone infra loro e ’l sole, le verrebbe a scurare, non vedendo esse, nè sendo vedute dal corpo solare. — Ma questi non n’han considerato, che l’ombra piramidale della luna non n’aggiugne27 infra troppe stelle, quelle ch’ell’aggiugne, la piramide è tanto diminuita che poco occupa del corpo della stella, e ’l rimanente è alluminato dal sole.
LVII. — la terra è una stella.
Tu nel tuo discorso hai a concludere la terra essere una stella quasi simile alla luna, e così proverai la nobiltà del nostro mondo!
E così farai un discorso delle grandezze di molte stelle, secondo li autori.
LVIII. — essa risplende nell’universo.
Come la. terra è una stella. La terra mediante la spera dell’acqua, che in gran parte la veste, — la qual piglia il simulacro del sole e risplende all’universo, si come fan tutte l’altre stelle, — si dimostra ancora lei essere stella.
LIX. — ordine del provare la terra essere una stella.
In prima diffinisci l’occhio. Poi mostra come il battere28 d’alcuna stella viene dall’occhio; e perchè il batter d’esse’" stelle è più nell’una, che nell’altra; e come li razzi delle stelle nascan dall’occhio. E di’ che, se ’l battere delle stelle fussi, come pare, nelle stelle, che tal battimento mostra d’essere di tanta dilatazione, quant’è il corpo di tale stella; essendo adunque maggior della terra, che tal moto fatto in istante sare’ trovo veloce a raddoppiare la grandezza di tale stella; di poi prova come la superfizie dell’aria, ne’ contini del foco, e la’superfizie del foco, nel suo termine, è quella, nella qual penetrando, li razzi solari portali tal similitudine di corpi celesti grandi nel lor levare e porre,29 e piccole essendo essi nel mezzo del cielo.
LX. — la terra sembra stella ai lontani
Il libro mio s’astende a mostrare come l’Ocean, colli altri mari, fa, mediante il sole, splendere il nostro mondo a modo di luna, e a’ più remoti pare stella; e quest’è provo.
LXI. — la terra non è centro dell’universo.
Come la terra non è nel mezzo del cerchio del sole, nè nel mezzo del mondo, ma è ben nel mezzo de’ sua elementi, compagni e uniti con lei; e chi stesse nella luna, quand’ ella insieme col sole è sotto a noi, questa nostra terra, coll’elemento dell’acqua, parrebbe e farebbe offizio, tal qual fa la luna a noi.
LXII. — come in un’età lontana la terra aveva un più vivo splendore.
Come la terra, facendo offizio di luna, ha perduto assai del lume antico nel nostro emisperio pel calare delle acque, coni’ è provato in libro quarto: De mundo e acque.
LXIII. — questioni sulla natura della luna.
1. Nessun lievissimo è opaco.
2. Nessun più lieve sta sotto al men lieve.
3. Se la luna ha sito in mezzo ai sua elementi o no.
E s’ella non lia sito particulare, come la terra, nelli sua elementi, perchè non cade al centro de’ nostri elementi?
E se la luna non è in mezzo alli sua elementi, e non discende, adunque ella è più lieve che altro elemento.
E se la luna è più lieve che altro elemento, perchè è solida e non traspare?
LXIV. — sulla gravità della luna.
Nessun denso è più lieve che l’aria.
Avendo noi provato come la parte della luna, che risplende è acqua, che specchia il corpo del sole, la quale ci riflette lo splendore da lui ricevuto, e come, se tale acqua fosse sanza onde, ch’ella picciola si dimostrerebbe, ma di splendore quasi simile al sole; al presente bisogna provare, se essa luna è corpo grave o lieve; imperocchè se fusse grave, confessando che dalla terra in su in ogni grado d’altezza s’acquista gradi di levità, — conciò sia che l’acqua è più lieve che la terra; e l’aria che l’acqua, e ’l foco che l’aria e così seguitando successivamente, - e’ parrebbe che, se la luna avesse densità, coni’ ella ha, ch’ella avesse gravità, e, avendo gravità, che lo spazio, ove essa si trova, non la potesse sostenere, e per con seguenza avesse a discendere inverso il centro dell’universo e congiugnersi colla terra, e se non lei almanco le sue acque avessino, a cadere, e spogliarla di se, e cadere inverso’ il centro, e lasciar di se la luna spogliata, e sanza lustro; onde, non seguitando quel che di lei la ragione ci promette, egli è manifesto segno, che tal luna è vestita de’ sua elementi, cioè acqua, aria e foco, e così in sè per se si sostenga in quello spazio, come fa la nostra terra coi sua elementi in quest’altro spazio, e che tale offizio facciano le cose gravi ne’ sua elementi, qual fanno l’altre cose gravi nelli elementi nostri.
LXV. — sul medesimo soggetto.
La luna densa e grave come sta, la luna?
LXVI. — i mondi gravitano in seno ai propri elementi.
Il rossume ovver tuorlo dell’ovo sta in mezzo al suo albume sanza discendere d’aicuna parte, ed è più lieve o più grave o eguale a’ esso albume; e, s’egli è più liever egli dovrebbe sorgere sopra tutto l’albume e fermarsi in contatto della scorza d’esseuovo e, s’elli è più grave dovrebbe discender, e, s’elli è eguale, così potrebbe stare nell’un delli stremi come in mezzo o di sotto.
LXVII. — il calore come principio della vita.
Il caldo è cagione del movimento dell’umido, e ’l freddo lo ferma, come si vede la region fredda, che ferma i nuvoli nell’aria.
Dov’è vita è calore; dov’è calore vitale e movimento d’omore.
LXVIII. — la terra è un grande vivente.
Nessuna cosa nasce in loco, dove non sia vita sensitiva, vegetativa e razionale: nascono le penne sopra li uccelli, e si mutano ogni anno; nascono li peli sopra li animali e ogni anno si mutano, salvo alcuna parte, come li peli delle barbe de’lioni e gatti e simili; nascono l’erbe sopra li prati e le foglie sopra li alberi, e ogni anno in gran parte si rinnovano; adunque potremo dire, la terra avere anima vegetativa, e che la sua carne sia la terra, li sua ossi sieno li ordini delle collegazioni30 de’ sassi, di che si compongono ie montagne, il suo tenerume sono li tufi, il suo sangue sono le vene delle acque, il lago del sangue, die sta dintorno al core, è il mare oceano, il suo alitare e ’l crescere e discrescere del sangue per li polsi, e così, nella terra è il flusso e riflusso del mare, e ’l caldo dell’anima del mondo è il fuoco, ch’è infuso per la terra, e la residenza dell’anima vegetativa sono li fochi, che per diversi lochi della terra spirano in bagni e in miniere di solfi e in vulcani, a Mon Gibello di Sicilia e altri lochi assai.
LXIX. — paragone dell’uomo e del mondo.
cominci amento del trattato de l’acqua.
L’omo è detto da li antiqui mondo minore, e certo la dizione d’esso nome è bene collocata impero che, sì come l’omo è composto di terra, acqua, aria e foco, questo corpo della terra e il simigliante. Se l’omo ha in se ossa, sostenitori e armadura della carne, il mondo ha i sassi sostenitori della terra; se l’omo ha in se il lago del sangue, dove cresce e discresce il polmone, nello alitare, il corpo della terra ha il suo oceano mare, il quale, ancora lui, cresce e discresce ogni sei ore per lo alitare del mondo; se dal detto lago di sangue dirivan vene, che si vanno ramificando per lo corpo umano, similmente il mare oceano empie il corpo de la terra d’infinite vene d’acqua. Manca al corpo della terra i nervi, i quali non vi sono, perche i nervi sono fatti al proposito del movimento, e, il mondo sendo di perpetua stabilità, non v’accade movimento, e, non v’accadendo movimento, i nervi non vi sono necessari. Ma in tutte l’altre cose sono molto simili.
LXX. — l’acqua.
Il corpo della terra, a similitudine dei corpi delli animali, è tessuto di ramificazione di vene, le quali son tutte insieme congiunte, e son costituite a nutrimento e vivificazione d’essa terra e de’ sua creati.
LXXI. — l’acqua è il sangue e la linfa del mondo.
L’acqua, che surge ne’ monti è il sangue, che tien viva essa montagna, e, forata in essa o per traverso essa vena, la natura, aiutatrice de’ sua vivi, sendo abbondante nell’ aumento di volere riparare il mancamento del versato umore, quivi con curioso31 soc corso abbonda; a similitudine del loco percosso nell’omo, e’ si vede, per lo soccorso fatto, multiplicare il sangue sotto alla pelle, in modo di sgonfiamento, per sopperire al loco infecto;32 similmente la vite, sendo tagliata nell’alta stremità, manda la natura dall’infime radice all’altezza somma del loco tagliato il suo umore, e quello, essendo versato, essa non l’abbandona di vitale umore, insino al fine della sua vita.
LXXII. — sul medesimo soggetto.
L’acqua è proprio quella, che per vitale umore di questa arida terra è dedicata; e quella causa, che la move per le sue ramificate vene, contro al naturai corso delle cose gravi, è proprio quella, che move li umori in tutte le spezie de’ corpi animali.
LXXIII. — l’acqua sui monti.
L’acqua, vitale omore della terrestre macchina, mediante il suo naturai calore si rnovev
LXXIV. — trasformazioni dovute all’acqua.
L’acqua è ’l vetturale della natura.
LXXV. — della vibrazion della terra.
Li corsi subterranei delle acque, sì come quelli, che son fatti in fra l’aria e la terra, son quelli, che al continuo consumano e profondano li letti delli lor corsi.
La terra, levata dalli fiumi, si scarica nelle ultime parti delli lor corsi, ovvero la terra, levata da li alti corsi de’ fiumi, si scarica nell’ultime bassezze delli lor moti.
Dove l’acque dolci pullulano, nella superfice del mare, è manifesto prodigio della «creazione d’una isola, la qual si scoprila tanto piu tardi o piu presto, quanto la quantità dell’acqua, che surge, sarà di minore o maggior quantità.
E questa tale isola si genera dalla quantità della terra o consumazion de’ sassi, che fa il corso sotterraneo dell’acqua per li loschi, dond’ella discorre.
LXXVI. — vaste trasformazioni nel passato e nell’avvenire.
Come le rive del mare al continuo acquistano terreno inverso il mezzo del mare.
Come li scogli o promontori de mari al continuo minano, e si consumano.
Come i mediterranei scopriranno i lor fondi all’aria, e sol riserberanno il canale al maggior fiume, che dentro vi metta, il quale correrà all’Oceano, e ivi verserà lo sue acque, insieme con quelle di tutti i fiumi, che con esso s’accompagnano.
LXXVII. — l’acqua nei fiumi.
In fra le potenti cagioni de’ terrestri danni a me pare, che i fiumi, colle ruinose innondazioni, tengano il principato; e non è il foco, come alcuni han voluto, imperocchè il foco termina sua voragine, dove manca il nutrimento; il movimento dell’acqua, ch’è mantenuto dalle inclinate valli, ancora lui termina e more insieme coll’ultima bassezza nella valle; ma il foco è causato dal nutrimento e ’l moto dell’acqua dalla bassezza. Il nutrimento del foco è disunito, e disunito e separato fìa il danno, e il foco more, dove manca il nutrimento. La declinazione delle valli è unita, e unito fia il danno, col ruinoso corso del fiume, finche, in compagnia delle sue valli, finirà nel mare, universale bassezza e unico riposo delle peregrinanti acque dei fiumi.
Ma con quale lingua o con quale vocaboli potrò io esprimere e dire le nefande mine, li incredibili dirupamenti, le ineso rabili rapacità, fatte da’ diluvi de’ superbi fiumi? Come potrò io dire? — Certo io non mi sento bastevole a tanta dimostrazione; ma pure con quell’aiuto, che mi dà la speranza, m’ingegnerò riferire il modo del dannifìcare, contro ai quali diripanti fiumi non vale alcuno umano riparo.
LXXVIII. — su una conchiglia fossile.
O tempo, veloce predatore delle create cose, quanti re, quanti popoli hai tu disfatti, e quante mutazioni di stati e vari casi sono seguiti, dopochè la maravigliosa forma di questo pesce qui mori per le cavernose e ritorte interiora33.... Ora, disfatto dal tempo, paziente giaci in questo chiuso loco; colie spolpate e ignude ossa hai fatto armadura e sostegno al soprapposto monte!
LXXIX. — basta un piccolo segno per ricostruire l’intero passato.
Perchè molto son piu antiche le cose che le lettere, non è maraviglia se alli nostri giorni non apparisce scrittura delli predetti mari essere occupatori di tanti paesi; e se pure alcuna scrittura apparta le guerre, l’incendi, li diluvi dell’acque, le mutazioni delle lingue e delle leggi hanno consumato ogni antichità: ma a noi bastano le testimonianze delle cose nate nelle acque salse, ritrovarsi nelli alti monti, lontani dalli mari d’ali ora.
Se tu dirai che li nicchi, che per li confini d1 Italia lontano dalli mari, in tanta altezza si veggono alli nostri tempi, siano stati per causa del Diluvio, che lì li lasciò; 10 ti rispondo che, credendo tu che tal Diluvio superasse il più alto monte 7 cubiti, — come scrisse chi li misurò, — tali nicchi, che sempre stanno vicini ai liti del mare, e’dovriano restare sopra tali montagne, e non sì poco sopra le radici de’ monti, per tutto a una medesima altezza, a suoli a suoli.36 E se tu dirai, che, essendo tali nicchi vaghi di stare vicini alli liti marini, e che, crescendo in tanta altezza, che li nicchi si partirono da esso lor primo sito, e seguitarono l’accrescimento delle acque insino alla lor somma altezza; qui si risponde che, sendo 11 nicchio animale di non più veloce moto che si sia la lumaca, fori dell’acqua, — e qualche cosa piò. tarda, perchè non nuota, anzi si fa un solco ove s’appoggia,.— camminerà il di dalle 3 alle 4 braccia. Adunque questo, con tale moto, non sarà camminato dal mare Adriano insino in Monferrato di Lombardia, che v’è 250 miglia di distanza in 40 giorni — come disse chi tenne conto d’esso tempo.
E se tu dici che l’onde ve li portarono, essi per la lor grossezza, non si reggono, se non sopra il suo fondo; e se questo non mi concedi, confessami almeno ch’elli aveano a rimanere nelle cime de’ piu alti monti e ne’ laghi, che infra li monti si serrano: come lago di Lario o di Como e ’l Maggiore e di Fiesole e di Perugia e simili.
E se tu dirai che li nicchi son portati dall’onde, essendo vèti e morti, io dico che, dove andavano li morti, poco si rimovevano | da’ vivi, e in queste montagne sono trovati tutti i vivi, che si cognoscono, che sono colli gusci appaiati, e sono in un filo dove, non è nessun de’ morti, e poco più alto è trovato, dove eran gettati dall’onde tutti li morti colle loro scorze separate, appresso a dove li fiumi cascavano in mare in gran profondità. E se li nicchi fussero stati portati dal torbido Diluvio, essi si sarebbero misti separatamente l’un dall’altro, infra ’l fango e non con ordinati gradi a suoli, come alli nostri tempi si vede.
A costor si risponderà die s’è tale influenza37 d’animali, non potrebbero accadere in una sola linea se non animali di medesima sorte e età, e non il vecchio col giovane, e non alcun col coperchio e l’altro essere sanza sua copritura, e non l’uno esser rotto e l’altro intero, e non l’uno ripieno di rena marina, e rottame minuto e grosso d’altri nicchi dentro alli nicchi interi, che lì son rimasti aperti, e non le bocche de’ granchi sanza il rimanente dei suo tutto, e non li nicchi d’altre specie appiccati con loro in forma d’animale, che sopra di quelli si movesse, perchè ancora resta il vestigio del suo andamento sopra la scorza, che lui già, a uso di tarlo, sopra il legname andò consumando; non si troverebbero infra loro ossa e denti di pesce, li quali alcuni dimandano saette e altri lingue di serpenti, e non si troverebbero tanti membri di diversi animali insieme uniti, se lì da’ liti marini gittati non fussino.
E ’l diluvio lì non li avrebbe portati, perchè le cose gravi piti dell’acqua, non stanno a galla sopra l’acqua, e le cose predette non sanano in tanta altezza, se già a nuoto ivi sopra dell’acque portate non furono, la qual cosa è impossibile per la lor gravezza.
Dove le vallate non ricevono le acque salse del mare, quivi i nicchi mai non si vedono, come manifesto si vede nella gran valle d’Arno di sopra alla Gonfolina, sasso per antico unito con Monte Albano in forma d’altissimo argine, il quale tenea ringorgato tal fiume in modo che, prima che versasse nel mare, il quale era dopo ai piedi di tal sasso, componea due grandi laghi, de’ quali il primo è, dove oggi si vede fiorire la città di Fiorenze insieme con Prato e Pistoia, e Monte Albano seguiva il resto dell’argine insin dove oggi è posto Serravalle. Dal Val d’Arno di sopra insino Arezzo si creava un secondo lago, il quale nell’antidetto lago versava le sue acque, chiuso circa dove oggi si vede Girone, e occupava tutta la detta valle di sopra per ispazio di quaranta miglia di lunghezza. Questa valle riceve sopra il suo fondo tutta la terra portata dall’acqua da quella intorbidata, la quale ancora si vede a’ piedi di Prato Magno restare altissima, dove li fiumi non l’hanno consumata, e infra essa terra si vedono le profonde segature de’ fiumi, che quivi son passati, li quali discendono dal gran monte di Prato Magno, nelle quali segature non si vede vestigio alcuno di nicchi o di terra marina. Questo lago si congiugnea col lago di Perugia.
Gran somma di nicchi si vede, dove li fiumi versano in mare, benchè in tali siti l’acque non sono tanto salse per la mistion dell’acque dolci, che con quelle s’uniscono. E ’l segno di ciò si vede dove per antico li Monti Appennini versavano li lor fiumi nel mare Adriano, li quali in gran parte mostrano infra li monti gran somma di nicchi, insieme coll’azzurrigno terreno di mare, e tutti li sassi, che di tal loco si cavano, son pieni di nicchi.
Il medesimo si conosce avere fatto Arno, quando cadea dal sasso della Gonfolina nel mare, che dopo quella non troppo basso si trovava, perche a quelli tempi superava l’altezza di San Miniato al Tedesco, perchè nelle somme altezze di quello si vedono le ripe piene di nicclii e ostriche dentro alle sue mura; non si distesero li nicchi inverso Val di fievole, perchè l’acque dolci d’Arno in là non si astendeano.
Come li nicchi non si partirono dal mare per Diluvio, perchè l’acque, che diverso la terra venivano, ancora che essi tirassino il mare inverso la terra, esse eran quelle, che percuoteano il suo fondo, perchè l’acqua, che viene di verso la terra, ha piu corso che quella del mare, e per conseguenza è più potente, entra sotto l’altra acqua del mare, e rimove il fondo, e accompagna con seco tutte le cose mobili, che in quella trova, come son i predetti nicchi e altre simili cose, e quanto l’acqua, che vien di terra, è piu torbida che quella del mare, tanto piu si fa potente e grave che quella.
Adunque io non ci vedo modo di tirare i predetti nicchi tanto infra terra, se quivi nati non fussino!
Se tu mi dicessi il fiume Era,38 che passa per la Francia, nell’accrescimento del mare,39 si copre piu di ottanta miglia di paese, perchè è loco di gran pianura, e ’l mare s’alza circa braccia venti, e nicchi si vengono a trovare in tal pianura, discosta dal mare esse ottanta miglia; qui si risponde che ’l flusso e riflusso ne’ nostri mediterranei mari non fanno tanta varietà, perchè in Genovese non varia nulla, a Venezia paco, in Africa poco, e dove poco varia poca occupa di paese.
Dico, che il Diluvio non potè portare le cose nate dal mare alli monti, se già il mare gonfiando non creasse innondazione insino alli lochi sopradetti, la qual gonfiazione accadere non può, perchè si darebbe vacuo.
E se tu dicessi: — l’aria quivi riempirebbe;— noi abbiamo concluso il grave non si sostenere sopra il lieve, onde per necessità si conclude, esso diluvio essere causato dal’l’acque piovane; e, se così è, tutte esse acque corrono al mare, e non corre il mare alle montagne; e se elle corrono al mare esse spingono li nicchi dal lito del mare, e noia li tirano a sè.
E se tu dicessi: — poichè ’l mare alzò per l’acque piovane, portò essi nicchi a tale altezza; — già abbiamo detto, che le cose pili gravi dell’acqua non notan sopra di lei, ma stanno ne’ fondi, dalli quali non si rimovono, se non per causa di percussion d’onda.
E se tu dirai, che l’onde le portassino in tali lochi alti, noi abbiamo provato, che Tonde nella gran profondità tornano in contrario, nel fondo, al moto di sopra, la qual cosa si manifesta per lo intorbidare del mare dal terreno tolto vicino alli liti.
Muovesi la cosa piu lieve che T acqua insieme colla sua onda, ed è lasciata nel più alto sito della riva dalla più alta onda. Muovesi la cosa più grave che T acqua sospinta dalla sua onda nella superfìzie ed al fondo suo. E per queste due conclusioni, che ai lochi sua saran provati a pieno, noi concludiamo, che l’onda superfiziale non può portare nicchi, per essere più grevi che l’acqua.
Quando il diluvio avesse avuto a portare li nicchi trecento e quattrocento miglia distanti dalli mari, esso li avrebbe portati misti con diverse nature, insieme ammontati
- e noi vediamo in tal distanza T ostriche tutte insieme e le conchiglie, e li pesci calamai, e tutti li altri nicchi, che stanno insieme a congregazione, essere trovati tutti insieme morti; e li nicchi solitari trovarsi distanti l’uno dall’altro, come nei liti marittimi tutto il giorno vediamo!
E se noi troviamo l’ostriche insieme apparentate grandissime, infra le quali assai vedi quelle, che hanno ancora il coperchio congiunto, a significare che qui furono lasciate dal mare che ancor viveano, quando fu tagliato lo stretto di Gibilterra.
Vedesi in nelle montagne di Parma e Piacenza le moltitudini di nicchi e coralli intarlati, ancora appiccati alli sassi, dei quali, quand’io facevo il gran cavallo di Milano,40 me ne fu portato un gran sacco nella mia fabbrica da certi villani, che in tal loco furon trovati, fra li quali ve n’era assai delli conservati nella prima bontà....
Trovansi sotto terra e sotto li profondi cavamenti de’ lastroni,41 li legnami delle travi lavorati, fatti già neri, li quali furon trovati a mio tempo in quel di Castel Fiorentino, e questi, in tal loco profondo, v’erano prima che la litta,42 gittata dall’Arno nel mare, che quivi copriva, fusse abbandonata in tant’altezza, e che le pianure del Casentino fussin tanto abbassate dal terren, che hanno al continuo di li sgomberato.
E se tu dicessi tali nicchi essere creati e creano a continuo in simili lochi per la natura del sito e de’ cieli, che quivi influisce; questa tale opinione non sta in cervelli di troppo discorso, perchè quivi s’enumerali li anni del loro accrescimento sulla loro scorza, e se ne vedono piccoli e grandi, i quali sanza cibo non crescerebbero, e non si cibarebbero sanza moto,’ e quivi movere non si poteano.
Come nelle falde, infra l’una e l’altra, si trovano ancora li andamenti delli lombrichi, che camminavano infra esse, quando non erano ancora asciutte.
Come tutti li fanghi marini ritengono ancora de’ nicchi, ed è petrificato il nicchio insieme col fango.
Della stoltizia e semplicità di quelli, che vogliono che tali animali fussino, alli lochi distanti dai mari, portati dal Diluvio.
Come altra setta d’ignoranti affermano la natura o i cieli averli in tali lochi creati per influssi celesti, come in quelli non si trovassino Tossa de’ pesci cresciuti con lunghezza di tempo, come nelle scorze de’ nicchi e lumache non si potesse annumerare li anni o i mesi della lor vita, comenota nelle corna de’ buoi e de’ castroni, e nella ramificazione delle piante, che ’non furono mai tagliate in alcuna parte!
E avendo con tali segni dimostrato la lunghezza della lor vita essere manifesta, ecco bisogna confessare, che tali animali non vivino sanza moto, per cercare il loro cibo, e in loro non si vede strumenti da penetrare la terra e ’l sasso, ove si trovano rinchiusi.
Ma in che modo si potrebbe trovare in una gran lumaca i rottami e parte di molt’ altre sorte di nicchi di varia natura, se ad essa, sopra de’ liti marini già morta, non li fussino state gettate dalle onde del mare, come dell’altre cose lievi, che esso getta a terra?
Perchè si trova tanti rottami e nicchi interi fra falda e falda di pietra, se già quella sopra del lido non fusse stata rico43 perta da una terra rigettata dal mare, la qual poi si venne petrifìcando?
E se ’l diluvio predetto li avesse in tali siti dal mare portato, tu troveresti essi nicchi in sul termine d’una sola falda e non al termine di molte.
Devonsi poi annumerare le annate delli anni, che ’l mare multiplicava le falde dell’ arena e fango, portatoli da’ fiumi vicini, e ch’elli scaricava in sui liti sua; e se tu volessi dire, che piu diluvi fussino stati a produrre tali falde e nicchi infra loro, e’ bisognerebbe, che ancora tu affermassi ogni anno essere un tal diluvio accaduto.
E se tu vuoi dire, che tale diluvio fu quello, che portò tali nicchi fuor de’ mari centinaia di miglia, questo non può accadere, essendo stato esso diluvio per causa di pioggie: — perchè naturalmente le pioggie spingono i fiumi, insieme colle cose da loro portate, inverso il mare, e non tirano inverso de’ monti, le cose morte, da’ liti marittimi.
E se tu dicessi che ’l diluvio poi s’alzò colle sue acque sopra de’ monti, il moto del mare fu sì tardo, col cammino suo contro al corso de’ fiumi, che non avrebbe sopra di sè tenute a noto le cose piu gravi di lui, e, se pur l’avesse sostenute, esso nel calare l’avrebbe lasciate in diversi lochi seminate. Ma come accomoderemo noi li coralli, li quali inverso Monteferrato in Lombardia essersi tutto dì trovati intarlati,44 appiccati alli scogli, scoperti dalla corrente de’ fiumi? E li detti scogli sono tutti coperti di parentadi e famiglie d’ostriche, le quali noi sappiamo che non si movono, ma stan sempre appiccate coll’un de’ gusci al sasso, e l’altro aprono per cibarsi d’animaluzzi, che notan per l’acque, li quali, credendo trovar bona pastura, diventano cibo del predetto nicchio.. Non si trova l’arena mista coll’aliga marina45 essersi petrificata, poichè l’aliga, che la tramezzava, venne meno. E di questa scopre tutto il giorno il Po nelle ruine delle sue ripe.
LXXXIV. — de’ nicchi ne’ monti.
E se tu vorrai dire li nicchi esser prodotti dalla natura in essi monti mediante le costellazioni, per qual via mostrerai tal costellazione fare li nicchi di varie grandezze e di diverse età e di varie spezie ’n un medesimo sito?
E come mi mostrerai la ghiara congelata a gradi46 in diverse altezze delli monti, perchè quivi è di diverse ragioni, gliiare portate di diversi paesi dal corso de’ fiumi in tal sito; e la ghiara non è altro che pezzi di pietra, che han persi li angoli per la lunga rivoluzione e le diverse percussioni e cadute, ch’eli’ ha avuto mediante li corsi delle acque, che in tal loco le condusse?
Come proverai il grandissimo numero di varie spezie di foglie congelate47 nelli alti sassi di tal monte, e l’aliga, erba di mare, stante a diacere mista con nicchi e rena? E così vedrai ogni cosa petrificata insieme con granchi marini, rotti in pezzi, separati e tramezzati da essi nicchi.
LXXXV. — sulla stratificazione geologica e contro il diluvio.
Per le due linee de’ nicchi bisogna dire che la terra per sdegno s’attuffasse sotto il mare a fare il primo suolo, poi il Diluvio fece il secondo!
LXXXVI. — dubitazione.
Movesi qui un dubbio, e questo è se ’l diluvio venuto al tempo di Noè fu univer sale o no, e qui parrà di no per le ragioni, che si assegneranno. Noi nella Bibbia abbiam che il predetto diluvio fu composto di 40 di e 40 nocte di continua e universa pioggia, e che tal pioggia alzò di sei gomiti sopra al più alto monte dell’universo; e se così fu, che la pioggia fussi universale, ella vestì di se la nostra terra di figura sperica, e la superfizie sperica ha ogni sua parte egualmente distante al centro della sua spera; onde la spera dell’acqua trovandosi nel modo della detta condizione, elli è impossivile che l’acqua sopra di lei si mova, perche l’acqua in se non si move, s’ella non discende; adunque l’acqua di tanto diluvio come si partì, se qui è provato non aver moto? E s’ella si partì, come si mosse, se ella non andava allo in su? E qui mancano le ragioni naturali, onde bisogna per soccorso di tal dubitazione, chiamare il miracolo per aiuto, o dire che tale acqua fu vaporata dal calor del sole.
LXXXVII. — quale sarà il termine della vita nel mondo.48
Riman lo elemento dell’acqua rinchiuso infra li cresciuti argini de’ fiumi, e si vede il mare infra la cresciuta terra; e la circun datrice aria, avendo a fasciare e circonscrivere la mollificata macchina della terra,49 la sua; grossezza, che stava fra l’acqua e lo elemento del foco, rimarrà molto ristretta e privata della bisognosa acqua. I fiumi rimarranno senza le loro acque, la fertile terra non manderà più leggere fronde, non fieno più i campi adornati dalle ricascanti piante; tutti li animali non trovando da pascere le fresche erbe, morranno; e mancherà il cibo ai rapaci lioni e lupi e altri animali, che vivono di ratto; e agli omini, dopo molti ripari, converrà abbandonare la loro vita, e mancherà la generazione umana.
A questo modo la fertile e fruttuosa terra, abbandonata, rimarrà arida e sterile; e, pel rinchiuso omore dell’acqua (rinchiusa nel suo ventre) e per la vivace natura, osserverà alquanto dello suo accrescimento,50 tanto che, passata la fredda e sottile aria, sia costretta a terminare collo elemento del foco: allora la sua superfìce rimarrà in riarsa cenere, e questo fia il termine delia terrestre natura.
LXXXVIII. — la terra immersa nell’acqua
per la lenta consumazione de’ monti.
Perpetui son li bassi lochi del fondo del mare, e il contrario son le cime de’ monti, seguita che la terra si farà sperica e tutta coperta dall’acque, e sarà inabitabile.
LXXXIX. — le leggi meccaniche dominano
i fenomeni inorganici e organici.
La scienza strumentale, over macchinale, è nobilissima e sopra tutte l’altre utilissima, conciò sia che mediante quella tutti li corpi animati, che hanno moto fanno tutte loro operazioni; i quali moti nascono dal centro della lor gravità, che è posto in mezzo a parti di pesi diseguali, e ha questo carestia e dovizia di muscolinota ed etiam lieva e contra lieva.
XC. — possibilità che ha l’uomo
d’imitare strumentalmente l’uccello volante.
I/uccello è strumento oprante per legge matematica, il quale strumento è in pote 51 stà dell’omo poterlo fare con tutti li sua moti, ma non con tanta potenza; ma solo s’astende nella potenza del bilicarsi. Adunque direm che tale strumento, composto per l’omo, non li manca se non l’anima dello uccello, la quale anima bisogna, che sia contraffatta dall’anima dell’omo.
L’anima alle membra delli uccelli, sanza dubbio, obbidirà meglio a’ bisogni di quelle, che a quelle non farebbe l’anima dell’omo, da esse separato, e massimamente ne’ moti di quasi insensibili bilicazioni; ma poi che alle molte sensibili varietà di moti noi vediamo l’uccello provvedere, noi possiamo, per tale esperienza, giudicare, che le forte sensibili potranno essere note alla cognizione dell’omo, e che esso largamente potrà provvedere alla ruma di quello strumento, del quale lui s’è fatto anima e guida.
XCI. — ricordo, che ritorna all’anima del vinci mentre scrive sul volo del nibbio.
Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perchè ne la prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me, e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra.
XCII. — perchè li piccoli uccelli non volano in grande altezza, ne li grandi uccelli si dilettano volare in basso.
Nasce per causa che li piccoli uccelli, essendo sanza piume, non reggano alla immensa freddezza della grande altura dell’aria, nella quale52 li avvoltoi e le aquile e altri grossi uccelli, ben piumosi e vestiti di molti gradi di penne.
Ancora li uccelli piccoli, con deboli e scempie53 ali, si sostengano in questa aria bassa, che è grossa, e non si sosterrebbono nell’aria sottile, che poco resista.
XCIII. — facciamo nostra vita coll’altrui morte.
In nella cosa morta riman vita dissensata, la quale, ricongiunta alli stomachi dei vivi, ripiglia vita sensitiva e ’ntellettiva.
XCIV. — come il corpo dell’animale al continuo more e rinasce.
Il corpo di qualunque cosa, la qual si nutrica, al continuo more e al continuo ri nasce, perchè entrare non po’ nutrimento, se non in quelli lochi, dove il passato nutrimento è spirato; e s’elli è spirato, elli più non ha vita; e se tu non li rendi nutrimento eguale al nutrimento partito, allora la vita manca di sua valetudine; e se tu li levi esso nutrimento, la vita in tutto resta distrutta. Ma se tu ne rendi tanto quanto se ne distrugge alla giornata, allora tanto rinasce di vita, quanto se ne consuma, a similitudine del lume della candela col nutrimento datoli dall’omore d’essa candela: il quale lume ancora lui al continuo con velocissimo soccorso restaura di sotto, quanto di sopra se ne consuma morendo; e di splendida luce si converte, morendo, in tenebroso fumo, la qual morte è continua, siccome è continuo esso fumo, e la continuità di tal fumo è eguale al continuato nutrimento; e in istante tutto il lume è morto e tutto rigenerato, insieme col moto del nutrimento suo.
XCV. — circolazione della materia.
L’omo e li animali sono proprio transito e condotto di cibo, sepoltura di animali, albergo de’ morti, guaina di corruzione, facendo a se vita dell’altrui morte.
XCVI. — sullo stesso soggetto.
Guarda il lume e considera la sua bellezza. Batti P occhio e riguardalo: ciò che di lui tu vedi, prima non era e, ciò che di lui era, più non è.
Chi è quel che lo rifa, se ’l fattore al continuo muore?
XCVII. — ancora sullo stesso soggetto.54
Anassagora. Ogni cosa vien da ogni cosa,^ ed ogni cosa si fa ogni cosa, e ogni cosa torna in ogni cosa, perchè ciò ch’è nelli elementi è fatto da essi elementi.
XCVIII. — sulla esistenza della morte e del dolore nel mondo.
La natura pare qui in molti o di molti animali stata piu presto crudele matrigna che madre, o d’alcuni non matrigna, ma pietosa madre.
XCIX. — sul medesimo soggetto.
Perchè la natura non ordinò, che l’uno animale non vivesse della morte dell’altro?
La natura, essendo vaga e pigliando piacere del creare e fare continue vite e forme, perchè conosce, che sono accrescimento della sua terrestre materia, è volonterosa e più presta nel suo creare, che ’l tempo col consumare, e però ha ordinato, che molti animali siano cibo l’uno dell’altro: e, non soddisfacendo, questo a simile desiderio, spesso manda fuora certi avvelenati e pestilenti vapori, sopra le gran moltiplicazioni e congregazioni d’animali e massime sopra gli omini, che fanno grande accrescimento, perchè altri animali non si cibano di loro; e tolte via le cagioni mancheranno li effetti.
Adunque, questa terra cerca di mancare di sua vita, desiderando la continua moltiplicazione.
Per la tua assegnata e demonstrata ragione spesso li effetti somigliano le loro cagioni: gli animali sono esemplo della vita mondiale.
C. — desiderio di disfarsi nelle cose e negli esseri.
Or vedi, la speranza e ’l desiderio del ripatriarsi e ritornare nel primo caso,55 fa a similitudine della farfalla al lume, e V uomo, che con continui desideri sempre con festa aspetta la nuova primavera e sempre la nuova state, sempre e nuovi mesi e nuovi anni, parendogli che le desiderate cose, venendo, sieno troppo tarde, e’ non s’avvede, che desidera la sua disfazione!...
Ma questo desiderio è la quintessenza, spirito degli elementi, che, trovandosi rinchiusa per l’anima dello umano corpo, desidera sempre ritornare al suo mandatario. E vo’ che sappi, che questo medesimo desiderio è quella quintessenza, compagnia della natura, e l’uomo è modello dello mondo.
E questo uomo ha una somma pazzia che sempre stenta per non stentare, e la vita a lui fugge sotto speranza, di godere i beni con somma fatica acquistati.
CI. — come i sensi sono offiziali dell’anima.
L’anima pare risiedere nella parte judiziale,56 e la parte judiziale pare essere nel loco, dove concorrono tutti i sensi, il quale è detto senso comune,57 e non è tutta per tutto il corpo, come molti hanno creduto; anzi tutta in nella parte, imperocchè, se ella fusse tutta per tutto e tutta in ogni parte, non era necessario li strumenti de’ sensi fare in fra loro uno medesimo concorso a uno solo loco, anzi bastava die rocchio operasse l’uffizio del sentimento sulla sua superfìzie e non mandare, per la via delli nervi ottici, la similitudine delle cose vedute al senso, che l’anima, alla sopra detta ragione, le poteva comprendere in essa superfìzie dell’occhio. E similmente al senso dell’udito bastava solamente la voce risonasse nelle concave porosità dell’osso petroso, che sta dentro all’orecchio, e non fare da esso osso al senso comune altro transito, dove essa s’abbocca, e abbia a discorrere al comune giudizio.
Il senso dell’odorato ancora lui si vede essere dalla necessita costretto a concorreie a detto judizio; il tatto passa per le corde forate,58 ed è portato a esso senso, le quali corde si vanno spargendo, con infinita ramificazione, in nella pelle, che ciiconda le corporee membra e visceri.
Le corde perforate portano il comandamento e sentimento delli membri offiziali,59 le quali corde e nervi, infra i muscoli e le coste, comandano a quelli il movimento; quelli ubbidiscono e tale obbedienza si mette in atto collo sgonfiare, imperocchè ’l sgonfiare raccorta le loro lunghezze e tirasi dirieto i nervi,*60 i quali si tessono per le particule de’ membri, essendo infusi nelli stremi de’ diti, portano al senso la cagione del loro contatto.
I nervi coi loro muscoli servono alle corde, come i soldati a’ condottieri, e le corde servono al senso comune come i condottieri al capitano; adunque la giuntura delli ossi obbedisce al nervo, e ’l nervo al muscolo e ’l muscolo alla corda e la corda al senso comune, e ’l senso comune è sedia dell’anima, e la memoria è sua munizione e la imprensiva è sua referendaria.
CII. — meccanismo della sensazione.
II senso comune è quello, che giudica le cose a lui date da li altri sensi.
Il senso comune è mosso mediante le cose a lui date da li cinque sensi.
E essi sensi si movono mediante li obbietti, e questi obbietti, mandando le lor similitudini a’ cinque sensi, da quelli san transferiti alla imprensiva61 e da quella ai comune senso; e lì, sendo judicate, sono mandate alla memoria, nella quale sono, mediante la loro potenza, più o meno riservate.
I cinque sensi sono questi: vedere, udire, toccare, gustare, odorare.
Li antichi speculatori hanno concluso, che quella parte del giudizio, che è data all’omo, sia causata da uno strumento, al la imprensiva, e a detto strumento hanno senso essere situato in mezzo il capo. E questo nome di senso comune dicano, solamente, perchè è comune judice de li altri cinque sensi, cioè vedere, udire, toccare, gustare e odorare. Il senso comune si move mediante la imprensiva, di’ è posta in mezzo in fra lui e i sensi. La imprensiva si muove mediante la similitudine delle cose a lei date da li strumenti superfiziali, cioè i sensi, i quali sono posti in mezzo, infra le cose esteriori e la imprensiva, e similmente i sensi si movano mediante li obbiètti. La similitudine delle circustanti cose mandano, le loro similitudine a’ sensi, e’ sensi le trasferiscono alla imprensiva, la imprensiva la manda al senso comune, e da quello sono stabilite nella memoria, e lì sono più o meno ritenute, secondo la importanza o potenza della cosa data.
Quello senso è più veloce nel suo offizio, il quale è più vicino alla imprensiva; il qual è l’occhio, superiore e principe de li altri, del quale solo tratteremo, e li altri lascieremo, per non ci allungare dalla nostra materia.
CIII. — sui movimenti automatici.
La natura ha ordinati nell’omo i muscoli uffiziali, tiratori de’ nervi, i quali possine movere le membra, secondo la volontà e desiderio del comun senso, a similitudine delli uffiziali stribuiti da uno signore per varie province e città, i quali in essi lochi rappresentano e obbediscano alla volontà d’esso signore. E quello ufìziale, che più in un solo caso abbi obbedito alle concessione fattoli di bocca dal suo signore, farà poi per se, nel medesimo caso, cosa, che non si partirà dalla volontà d’esso signore.
Così si vede spesse volte fare alle dita, che imparando, con somma obbedienza, la cosa sopra uno strumento, le quali li sieno comandate dal giudizio, dopo esso imparare, le sonerà sanza ch’esso giudizio v’attenda.
I muscoli, che movano le gambe, non fanno ancora l’offizio loro, sanza che l’orno lo sappi?
CIV. — come i nervi operano qualche volta per loro, sanza comandamento delli altri offiziali dell’anima.
Questo chiaramente apparisce, imperocchè tu vedrai movere ai paralitici e a’ freddolosi e assiderati le loro tremanti membra, come testa e mani, sanza licenza dell’anima, la quale anima, con tutte sue forze, non potrà vietare a essi membri che non tremino. Questo medesimo accade nel malcaduco e ne’ membra tagliati, come code di lucierte.
CV. — come l’uomo tende a riprodurre se stesso nelle proprie opere.
Sommo difetto è de’ pittori replicare li medesimi moti, i medesimi volti e maniere di panni in una medesima istoria, e fare la maggiore parte de’ volti, che somigliano al loro maestro. La qual cosa m’ha molte volte dato ammirazione, perchè n’ho conosciuto alcuno, che in tutte le sue figure parea avervisi ritratto al naturale. E in quelle si vede li atti e li modi del loro fattore.
E, s’egli è pronto nel parlare e ne’ modi, le sue figure sono il simile in prontitudine, e se ’l maestro è divoto, il simile paiano le figure con lor colli torti, e, se ’l maestro è dappoco, le sue figure paiono la pigrizia ritratta al naturale, e, se ’l maestro è sproporzionato, le figure sue son simili, e, s’egli è pazzo, nelle sue istorie si dimostra largamente, le quali sono nemiche di conclusionee non stanno attente alla loro operazione, anzi chi guarda in qua e chi in là, come se sognassino; e così, segue ciascun accidente in pittura il proprio accidente del pittore.
E avendo io più volte considerato la causa di tal difetto, mi pare, che sia da giudicare, che quella anima, che regge e governa ciascun corpo, si è quella che fa il nostro giudizio innanzi sia il proprio giudizio nostro. Adunque ella ha condotto tutta la figura dell’omo, coni’ ella ha giudicato’ quello stare bene, o col naso lungo o corto o camuso, e così li ha fermo la sua altezza e figura, ed è di tanta potenza questo tal giudizio ch’egli move le braccia al pittore, e fagli replicare se medesimo, parendo a essa anima, che quello sia il vero modo di figurare l’omo, e, chi non fa come lui, faccia errore. E, s’ella trova alcuno, che simigli al suo corpo, ch’eli’ ha composto, ella l’ama e s’innamora di quello, e per questo molti s’innamorano e toglian moglie, che simiglia a lui, e spesso li figlioli, che nascano di tali, simigliano ai loro genitori.
CVI. — un istinto naturale dell’uomo lo guida a cercare se stesso nelle cose e negli esseri.
Deve il pittore fare la sua figura sopra la regola d’un corpo naturale, il quale comunemente sia di proporzione laudabile; oltre di questo far misurare se medesimo e vedere, in che parte la sua persona varia assai o poco da quella antidetta laudabile, e, fatta questa notizia, deve riparare con tutto il suo studio, di non incorrere ne’ medesimi mancamenti, nelle figure da lui operate, che nella persona sua si trova.
E sappi, che con questo vizio ti bisogna sommamente pugnare, conciò sia ch’egli è mancamento, ch’è nato insieme col giudizio: perchè l’anima maestra del tuo corpo è quella, ch’è il tuo proprio giudizio, e volentieri si diletta nelle opere simili a quella, ch’ella operò nel comporre del suo corpo. E di qui nasce, che non è si brutta figura di femmina, che non trovi qualche amante — se già non fussi mostruosa.
Si die ricordati intendere i mancamenti, che sono nella tua persona, e da quelli ti guarda nelle figure, che da te si compongono.
CVII. — consiglio al pittore.
Quel pittore, che arà goffe mani, le farà simili nelle sua opere, e quel medesimo li ’nterverrà in qualunque membro, se ’l lungo studio non glielo vieta. Adunque tu, pittore, guarda bene quella parte, che hai più brutta nella tua persona, e ’n quella col tuo studio fa bono riparo, imperò che, se sarai bestiale, le tue figure saranno il simile e sanza ingegnio, e similmente ogni parte di bono e di tristo, che hai in te, si dimostrerà in parte nelle tue figure.
CVIII. — sugli stessi soggetti.
Questo accade, che il giudicio nostro è quello, che move la mano alla creazione de’ lineamenti d’esse figure, per diversi aspetti, insino a tanto ch’esso si satisfaccia; e perchè esso giudicio è una delle potenze dell’anima nostra, con quella essa compose la forma del corpo, dov’essa abita, secondo il suo volere. Onde avendo co’ le mani a rifare un corpo umano volontieri rifa quel corpo, di ch’essa fu prima inventrice, e di qui nasce che, chi s’innamora, volentieri s’innamorano di cose a loro simiglianti.
CIX. — sulla natura dei sensi.
Quattro sono le potenze: memoria e intelletto, lascibili e concupiscibili.62
Le due prime son ragionevoli e l’altre sensuali.
De’ cinque sensi: vedere, udire, odoiato sono di poca proibizione, tatto e gusto no.
L’odorato mena con seco il gusto ne cane e altri golosi animali.
CX. — problema dei sogni.
Perchè vede più certa la cosa 1* occhio ne’ sogni, che colla imaginazione stando desto?
CXI. — giudizi incoscienti.
La pupilla dell’occhio, stante all aria, in ogni grado di moti fatti dal sole, muta gradi di magnitudine.63
E, in ogni grado di magnitudine, una medesima cosa veduta si dimostrerà di diverse grandezze, benchè spesse volte il paragone delle cose circostanti non lascino discernere tale mutazione d’una sola cosa, che si risguardi.
CXII. — - inganno dei sensi.
L’occhio, nelle debite distanze e debiti mezzi, meno s’inganna nel suo uffizio, che nissun altro senso, perchè (non) vede se non per linee rette, che compongono la piramide,64 che si fa base dell’obbietto, e la conduce a esso occhio, come intendo provare.
Ma l’orecchio forte s’inganna nelli siti e distanze delli suoi obbietti, perchè non vengono le spezie65 a lui per rette linee, come quelle dell’occhio, ma per linee tortuose e riflesse, e molte sono le volte che le remote paiano piu vicine, che le propinque, mediante li transiti di tali spezie; benchè la voce di eco sol per linee rette si riferisce a esso senso.
L’odorato meno si certifica del sito, donde si causa un’odore; ma il gusto e il tatto, che toccano l’obbietto, han sola notizia di esso tatto.
CXIII. — sul tempo.
Benchè il tempo sia annumerato in fra le continue quantità, esso, per essere invisibile e sanza corpo, non cade integralmente sotto la geometrica potenza, la quale lo divide per figure e corpi d’infinita varietà, come continuo nelle cose visibili e corporee far si vede; ma sol co’ sua primi principi si conviene, cioè col punto e colla iinia: il punto nel tempo è da essere equiparato al suo istante, e la linea, ha similitudine colla lunghezza d’una quantità d’un tempo, e, siccome i punti son principio e fine della predetta linea, così li instanti son termine e principio di qualunque dato spazio di tempo, e se la linea è divisibile in infinito, lo spazio d’un tempo di tal divisione non è alieno, e se le parti divise della linea sono proporzionabili infra se, ancora le parti del tempo saranno proporzionabili infra loro.
CXIV. — sul concetto del tempo.
Scrivi la qualità del tempo separata dalla geometrica.
CXV. — sul concetto del nulla.
Il minore punto naturale è maggiore di tutti i punti matematici, e questo si pruova perchè il punto naturale è quantità continua, e ogni continuo è divisibile in infinito, e il punto matematico è indivisibile, perchè non è quantità.
Ogni quantità continua intellettualmente è divisibile in infinito.
Infra le grandezze delle cose, che sonoinfra noi, l’essere del Nulla tiene il principato, e ’l suo offizio s’estende infra le cose, che non hanno l’essere, e la sua essenza risiede appresso del tempo, infra ’l preterito e ’l futuro — e nulla possiede del presente.
Questo Nulla ha la sua parte eguale al tutto e ’l tutto alla parte e ’l divisibile allo indivisibile, e tal somma produce nella sua partizione come nella multiplicazione e nel suo sommare quanto nel sottrarre, come si dimostra appresso delli aritmetici dello suo decimo carattere, che rappresenta esso Nulla.66 E la podestà sua non si estende infra le cose di natura. [Quello che è detto Niente si ritrova solo nel tempo e nelle parole: nel tempo si trova infra ’l preterito e ’l futuro, e nulla ritiene del presente, e così, infra le parole, delle cose che si dicono, che non sono o che sono impossibili.]
Appresso dei tempo il Nulla risiede infra ’l preterito e ’l futuro, e niente possiede del presente, e apresso di natura e’ s’accompagna infra le cose impossibili. Onde per quel ch’è detto e’ non ha l’essere, imperò che, dove fusse il nulla, sarebbe dato il vacuo.
Note
- ↑ valore, pregio.
- ↑ La legge affermata qui da Leonardo è quella stessa che il Galilei dichiarava nei Dialoghi delle scienze nuove (Opere, ed. Alberi. Voi. XIII, pag.177): scendendo un corpo in vari modi, deviato per obbliquità di rimbalzi, giunge al medesimo punto ch’egli avrebbe toccato, se vi fosse pervenuto senza altro impedimento: «Ogni movimento fatto dalla forza, scrive col suo stile limpido e conciso il Vinci, conviene che faccia tal corso, quanto e la proporzione della cosa mossa con quella che muove; e, se ella troverà resistente opposizione, finirà la lunghezza del suo debito viaggio per circolar moto o per altri vari risaltamenti e balzi, i quali, computato il tempo e il viaggio, fìa come se ’l corso fosse stato sanz’alcuna contraddizione.» Manoscritto A, folio 60 v°.
- ↑ dal percuotere su un piano liscio e sodo.
- ↑ Leonardo accetta in questo frammento il principio che la visione si compia nell’interno dell’occhio, in un punto indivisibile o matematico. (Cfr. Vitellone, Optica edente Fred. Rixnero. Norimberga, 1535, libro ricordato jda Leonardo nel Codice Atlantico, folio 243 r° e folio 222 r°.) Fu piu tardi, nel progresso delle sue ottiche investigazioni, che egli giunse alla razionale convinzione dell’esistenza di una superficie sen-
- ↑ visiva, che si forma nell’occhio.
- ↑ urti.
- ↑ fa evaporare.
- ↑ le palpebre.
- ↑ la linfa.
- ↑ impetuoso nel muoversi.
- ↑ gorgoglio.
- ↑ formati dall’omero dell’ala.
- ↑ gemma o gemmula vegetale.
- ↑ fatta, fissata.
- ↑ nel medesimo insieme di figure, episodio.
- ↑ l’impeto.
- ↑ la quiete.
- ↑ materiale, senza vita e senza sensitività.
- ↑ chiamo, denomino.
- ↑ cioè: disequilibrio di potenze.
- ↑ nervi = tendini.
- ↑ La fonte per le notizie sulle idee di Pitagora intorno all’armonia delle sfere si deve ritenere, in ultima analisi, il De Coelo d’Aristotele (lib. II, cap. IX); tuttavia il Vinci procede indipendentemente dalle argomentazioni peripatetiche. Secondo la filosofia pitagorea, ogni corpo, mosso rapidamente, genera un suono; i corpi celesti, nel loro eterno movimento, producono anch’essi una serie di suoni, la di cui altezza varia secondo la velocità e la velocità secondo la distanza. Gli intervalli degli astri corrispondono, secondo i pitagorei, agli intervalli dei suoni nell’ottava. — Si veda Zeller, Geschi chte der Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen Entwicklung. Tubinga, 1869. Voi. I, pag. 398 e 399.
- ↑ come cosa, che non ha vita, nè moto proprio.
- ↑ senza quelle false irradiazioni, che provengon dall’occhio.
- ↑ Leonardo si riferisce alla Spera di Goro Dati [Firenze, 1478] e agli Iiymni et epigrammata di Michele Taecaniota (Marullo) [Firenze, 1497]. Nella prima di queste due opere, le strofe, che vanno dalla 16a alla 22a, sono dedicate alle lodi del sole:
Chiaro splendore e fiamma rilucente,
Sopra tutt’altre creatura bella, ec.e non è difficile rinvenirvi idee ed espressioni simili a quelle usate dal Vinci. Negli Hymni et epigrammata del Marnilo, il secondo "dei Libri hymnorum naturalium si apre coll’inno al sole: Quis novus hic animis furor incidit, nude repente Mens fremit horrentique sonant precordio, mota? ec Le notizie, che seguono nei frammenti L, LI, LII, intorno alle idee di Epicuro sono tratte, più die da Lucrezio, che Leonardo nomina una sola volta di seconda mano, dal El libro de la vita de philosophi e delle loro elegantissime sententie extracte da .Diogene Lahertio e da altri antiquissimi auctori. Venezia, 1480, lib. X (ed. Lipsia, 1833, voi. II, pag. 223).
- ↑ Sott.: gli scrittori, gli autori.
- ↑ raggiunge, arriva.
- ↑ il tremolio della luce, del fulgore escitizio delle stelle.
- ↑ tramontare.
- ↑ aggregazioni.
- ↑ sollecito.
- ↑ contuso, per la percussione.
- ↑ Sott.: del monte.
- ↑ le conchiglie fossili.
- ↑ II tentativo d’incanalare l’Arno per bonificare tutto il piano d’Empoli e dintorni, già suggerito da Luca Fancelli (si veda Gr. Uziellt, La vita e i tempi di Paolo dal Pozzo Toscanelli. Roma, 1890, pag. 520), conduce il Vinci, dal campo strettamente pratico, ai più alti problemi di idraulica e di geologia. Il Sasso della Gonfolina, che si trova fra Sigila e Montelupo, formava in antico un altissimo argine, separatore di due vasti laghi, l’uno coperto dalle acque salse, l’altro dalle acque dolci (si veda il frammento LXXXI). Secondo Giovanni Villani (+ 1348), lontano ancora da ogni idea di dinamica terrestre, la mano provvida dell’uomo avrebbe spezzata questa diga, onde lasciare libeio il transito al fiume (Cfr. Croniche di Giovanni, * Matteo e Filippo Villani. Trieste, 1861); Leonardo vede nell’opera lenta dell’acqua la causa del benefico effetto. Alte e feconde sono le conclusioni che il Vinci seppe trarre da questo e da simili fatti, ma le puerili credenze del tempo (cfr. Francesco Patrizzi, De antiquorum rethorica. Venezia, 1562) erano radicate cosi profondamente nell’anima dei ricercatori, che, perfino due secoli dopo, Antonio Vallisnieri (Opere fisico-mediche. Venezia, 1733, voi. II), riguardato come il padre della moderna scienza geologica, ne sa assai meno di lui intorno all’esistenza delle conchiglie fossili e intorno alla meccanica delle trasformazioni terrestri.
- ↑ a strati, a strati.
- ↑ influsso degli astri, atto a crear animali fossili.
- ↑ nel flusso o alta marea.
- ↑ Loira.
- ↑ la statua equestre a Francesco Sforza.
- ↑ le profonde cave di macigno.
- ↑ fango di fiume.
- ↑ allo stesso modo che.
- ↑ corrosi dal tempo e dalle varie vicende.
- ↑ l’alga marina.
- ↑ stratificata e cementata in roccie.
- ↑ fossilizzate e improntate.
- ↑ II problema della fine della vita nel mondo preoccupa, come può scorgersi dai frammenti LXXXVII e LXXXVIII, Leonardo da Vinci; ma ciò che è degno di considerazione è che egli, senza ricorrere ad una volontà extramondana, riguarda il finale dissolvimento degli esseri come una naturale conseguenza del successivo operare delle forze fisiche. Due opposte conclusioni si potevano trarre dal trasformarsi lento e continuo della superficie terrestre: nel corso dei secoli le acque si troveranno rinserrate nel fondo di voragini senza fine, per il lavorio dei fiumi che approfondiscono il proprio letto; nel corso dei secoli l’acqua circonderà in ogni sua parte la terra, per l’abbassarsi dei monti, in causa del dispogliamento del terreno, dovuto all’acqua. La prima ipotesi è toccata e combattuta da Aristotele nei Libri metheorologici, lib. II, cap. I, § 1. Cfr. lib. II, cap. I, § 1-17; entrambe sono espresse qui dal Vinci.</section end="110" />
- ↑ il corpo sferico della Terra, rammollito per ie assorbite acque.
- ↑ continuerà a produrre vita e forme.
- ↑ disequilibrio di forza nervosa.
- ↑ Sott.: vivono.
- ↑ sottili.
- ↑ Secondo Anassagora, ogni cosa nel mondo è composta da una somma di componenti della stessa natura dell’intero, chiamati da lui stesso ffirspfxara (Fr. 1, 3, 6 [4]): questi principi ultimi si trovano sparsi da per tutto, sempre eguali a se stessi, ed entrano nella composizione di ogni essere inorganico e organico. Si veda Zeller, Gesch. der Philosophie der Griechen. I, pag. 875-885. Le medesime espressioni del frammento di Leonardo si trovano nel De umbris idearum, Berlino, 1868, pag. 28, del Bruno, e risalgono probabilmente a Lucrezio, De rerum natura, lib. I, v. 830 e segg.
- ↑ nello stato primitivo, anteriore alla nascita.
- ↑ parte judiziale = intelletto (qui e altrove).
- ↑ senso comune = cervello.
- ↑ corde = nervi.
- ↑ membri offiziali = muscoli.
- ↑ nervi = tendini.
- ↑ imprensiva = sensitività e percezione.
- ↑ senso e desiderio.
- ↑ si dilata o si restringe.
- ↑ formata dai raggi luminosi.
- ↑ le onde sonore.
- ↑ lo zero.