Crevalcore/Parte terza

Parte terza

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Parte seconda Parte quarta
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PARTE TERZA.

ELGANINE.

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GIORNALE DI ELGANINE.


Abbazia-Villarosa: luglio.

1.a giornata. — Un nuovo dono di mio padre.

Egli è stato molto gentile a farmi rilegare questi fogli bianchi in una copertina di amoerro bianco con fermagli d’argento. Si vede l’intenzione di ispirarmi idee nobili e pure. Disgraziatamente io ho oggi una idea sola e non è affatto nobile. Sono felice di essermi liberata dalla mia governante. Ecco l’idea.

Ho già confessato che non è nobile, basta; non è necessario che mi umilii di più. Del resto mio padre non mi ha detto di [p. 138 modifica]consegnare a queste pagine le mie azioni magnanime. Mi disse solamente: Scrivi i tuoi pensieri e le tue impressioni giorno per giorno.

Se non fossi sincera con me stessa a chi mai potrei confidarmi? Chiunque non abbia avuto una fiaccola accesa in mano ed uno spegnitoio sopra non potrebbe intendermi; ma io so con quale gioia ho visto ruzzolare il mio spegnitoio.


2.a giornata. — Via, via, a rileggere quello che ho scritto ieri non si direbbe che sono una fanciulla molto cattiva?... Chiedo scusa a fräulein Dorothée se ho osato paragonarla ad uno spegnitoio; ma infine mio padre ha fatto benissimo a rimandarla. Sono io ancora una bambina da aver bisogno della governante?

So che si sta cercandomi una damigella di compagnia e mi immagino che questa sarà più vicina alla mia età e che avrà voglia di ridere. E poi sarà italiana. Mio padre è innamorato dell’Italia. Parleremo italiano tutto il giorno e canteremo anche. Mi piace cantare sopratutto quando sono [p. 139 modifica]all’aperto; fraülein Dorothée trovava che è una cosa sconveniente.

Ecco, io non arrivo al punto da invidiare le contadine e non sono fra coloro che esclamano: meglio un pezzo di pane duro all’aria ed al sole che non le costrizioni dei ricchi. Non mi dispiace affatto di essere ricca, non invidio il pane duro delle contadine e per dire tutto intero il pensier mio vorrei restare quella che sono colla libertà delle contadine per giunta.

Fin da quando ero piccina mi colpivano certe cose che udivo della vita e che leggevo pure nei miei libri di storia e di poesia: le Avventure di Telemaco non sono le più interessanti, ma infine qualche cosa è accaduto a questo signor Telemaco. E il ratto delle Sabine è poco impressionante? È un peccato che non si abbiano più simili emozioni. Crescendo negli anni ho sempre atteso anch’io qualche fatto speciale nella mia esistenza, ma invano. Ci sono tuttavia delle persone fortunate alle quali capitano avventure d’ogni genere; essere aggrediti dai ladri, per esempio, purchè se ne esca non troppo malconci, deve essere piacevole; [p. 140 modifica]si ha almeno qualche cosa da raccontare e anche vecchi si potrà sempre interessare le persone con un discorso che incomincia così: Quando fui aggredita dai ladri....

Ohimè! tutto questo per me è impossibile. Dormo in una casa con quindici o venti servitori; se esco in carrozza ne ho due davanti e due di dietro. Nelle passeggiate a piedi sono accompagnata qualche volta da mio padre, più spesso da fräulein Dorothée e dubito bene che in tal caso un attacco sarebbe impossibile addirittura. (Mi ricordo a tempo che se ne è andata e ne ringrazio Iddio.)

Non vedo però ancora che cosa mi potrebbe capitare per interrompere la monotonia dei miei giorni. Un incendio forse? Sarebbe magnifico, sopratutto se potessi salvare qualcuno. Meglio un naufragio tuttavia, poichè nuoto alla perfezione e sarei sicura di farmi onore. Ma vedrai, Elganine, vedrai che non ti capiterà mai nulla. È il tuo destino.

Veramente nell’ultimo nostro viaggio, a Ferrara, quel signore che si gettò contro i nostri cavalli?... Non credo che fosse un [p. 141 modifica]pazzo come disse il cocchiere. Egli aveva una fisionomia così dolce! Sospetto piuttosto.... e come no? Tutti i giorni egli aspettava la nostra carrozza; papà non se ne accorse mai, ma io vedevo bene in qual modo mi guardava.... Peccato che fosse un po’ vecchio. Poverino, mi faceva compassione. Sulle prime nessuno sapeva chi fosse; ci dissero poi che apparteneva alla più antica famiglia nobile di Ferrara. Mio padre lo ha ringraziato con molta cortesia, ma io che cosa potevo fare?

3.a giornata. — La damigella di compagnia che doveva arrivare oggi si è ammalata. Mio padre nell’annunziarmelo sembrava assai contrariato e mi chiese se non mi sarei annoiata troppo a star sola in questa grande villa. Buon padre! Egli crede che ad annoiarsi in due sia più divertente.

Quando si parlò la prima volta di prendere in affitto Villarosa speravo proprio che nella villa vicina ci venissero a stare le mie cugine Melton. Allora sì, saremmo state allegre! La malattia del Principe ereditario ha scompigliato i nostri piani; si dovette [p. 142 modifica]cedere a volontà superiore, e le mie cugine si decisero per Territet. Non dispero affatto che mio padre mi conduca a Territet per qualche settimana, ma finchè lo vedo assorto nelle sue ricerche sull’arte latina del cinquecento non oso proporglielo.

4.a giornata. — Sarà una bellissima cosa avere un giornale; le mie cugine infatti ne avevano uno fin da quando abitavano il loro palazzo di Nuova-York. Quanto però apprezzerei meglio questo vantaggio se sapessi che cosa mettere sopra le pagine bianche! La colpa è mia, naturalmente, non ho nessuna intenzione di scusarmi, ma mi piacerebbe sapere come fanno quelle persone che hanno sempre qualche cosa da dire.

Fräulein Dorothée mi suggeriva di prendere delle note durante i miei viaggi per riordinarle poi e aggiungervi i miei commenti sulle cose vedute. Ella chiamava ciò: esercitarsi alla critica. Spegnitoio! Spegnitoio! Quando la commozione si impossessa del mio cuore io non so far altro che ammirare. Lascio la disseccazione e la classificazione ai beccamorti della scienza. Mi [p. 143 modifica]è indifferente conoscere di che cosa si compone un raggio di sole e trovo egualmente noiosa la ricerca dei mezzi che hanno servito ad un artista per creare il capolavoro. Ho una piccola opinione in proposito che non ho mai comunicata a fräulein per non scandalizzarla: io penso che anche l’artista ricerca dei cuori semplici che si gonfiano di singulti a preferenza che cervelli sottili rizzati in fredda analisi di quell’opera dove ribolle il suo sangue migliore.

5.a giornata. — Faccio tutti giorni una passeggiata in carrozza, questo è vero; la spiaggia dell’Adriatico in qualche punto mi sembra di un fascino più intenso che non sia quello della Costa Azzurra dove eravamo l’anno passato. Da qui a Fiume la strada è tutto un succedersi di boschi di lauro dove le Ville principesche si affondano come in una loro cornice naturale. Vero e bellissimo. Mi resta però sempre nelle gambe un grande desiderio di moto. Oggi ho compiuto cinque volte il giro del giardino e due volte quello del parco; ma parco e giardino sono così lavorati e [p. 144 modifica]ben pettinati per opera del giardiniere che mi sembra di essere in un cinematografo. Ho cercato inutilmente delle tele di ragno; è certo che i cespugli vengono spolverati tutte le mattine come le étagères del salotto e il giardiniere deve far passare la spazzola sui prati affinchè l’erba vi cresca con sì docile armonia di ondeggiamenti. I grilli senza dubbio la credono artificiale perchè giurerei che nessuno di essi vi ha posto la sua tana. Do ragione ai grilli.

6.a giornata. — Un temporale spaventoso si è rovesciato su Villarosa; è stato il grande avvenimento della giornata. Alle cinque mio padre è venuto a prendere il thè nella mia camera. C’era tanto buio che abbiamo acceso tutti i lumi, anche quelli della toilette. Ciò mi rese allegra sì che riuscii a far ridere perfino l’augusto genitore, che non è poco.

Mio padre, del quale riconosco con gioia e con orgoglio le grandi qualità, è però a parer mio troppo serio. Nella nostra casa non si vedono che vecchi nobili, vecchi generali, vecchi diplomatici, vecchi scienziati. [p. 145 modifica]Io faccio a tutti la mia migliore riverenza ma nel segreto del cuore preferirei un compagno della mia età per giocare al tennis.

Dicono che mio padre fosse a’ suoi tempi un brillante ufficiale e che avendo sposata mia madre per amore non si consolò mai più della sua perdita. Dicono anche che sulle prime non mi volesse vedere perchè pare sia stata io la causa della morte di mamma.... E come ne sento ora la mancanza! Tante volte mi viene un desiderio pazzo di abbracciare qualcuno, di parlare, parlare, parlare, senz’ordine e senza scopo; oppure di chiedere una infinità di cose puerili e di farmi sorridere o anche farmi dare un piccolo colpo sulla guancia, piccolo piccolo.... appunto come lo darebbe una madre.

7.a giornata. — Oggi, nulla. Nemmeno il temporale.

8.a giornata. — Sono andata a vedere in giardino le piante rovesciate dalla bufera dell’altro giorno. Una desolazione. Non c’è più un fiore. Intanto però ho fatto una scoperta abbastanza piacevole; nel visitare [p. 146 modifica]la siepe delle rose atterrate e malconcie mi sono accorta che al di là di queste il giardino si prolunga in una specie di bosco. Non lo avevo osservato prima perchè i cespugli delle rose erano tanto alti e fitti che formavano una muraglia. Bisognò che rovinassero a quel modo sotto i colpi della tempesta per svelarmi le nuove terre inesplorate. Tanto è vero che non tutto il male vien per nuocere, direbbe l’inobliabile Dorothée.

Ah! la buona corsa fatta sui sentieri senza ghiaia nell’erba non pettinata! Non posso dire che rompere le ragnatele colla testa sia un piacere straordinario ma almeno è una novità. Ho visto delle formiche grosse ed altre piccine colla testa rossa: e poi certi bruchi enormi col dorso cosparso di bottoni celesti che sembrano vere turchesi e tante altre bestioline ancora che io non conosco. Rifacevo per mio conto in proporzioni ridotte le impressioni di Robinson nell’isola. Con un po’ di immaginazione non mi riusciva difficile di suppormi perduta in una selva; gli alberi in certi punti erano così intricati che mi sbarravano la via. Mi [p. 147 modifica]batteva un po’ il cuore, avevo paura ed ero felicissima.

· · · · · · · · · · · · · ·

Più tardi. — Fui interrotta da una visita. Una visita a Villarosa assume le proporzioni di un avvenimento. Erano le due sorelle Darlington, con uno zio, tre cugini, un’amica e non so chi altro. Venivano in auto da Fiume. Sembravano tutti molto allegri: avevano ribaltato allora allora salvandosi per miracolo. Sei molto fortunata — dissi alla piccola Darlington — tu hai almeno delle avventure. Ella mi rispose ridendo: Oh! certo che finchè vivi in questo monastero non ti accadrà mai nulla.

Diedi allora un’occhiata furtiva a mio padre. Egli non può soffrire l’automobile. Chi sa quando riuscirò ad averne uno.

Prima di accomiatarsi le due Darlington, trovarono modo di dirmi in un orecchio (credo sia stata la maggiore): — Che fine eh! la tua damigella di compagnia?

— Quale damigella? — esclamai al colmo della sorpresa.

— Ma quella signorina di Siena che [p. 148 modifica]doveva prendere il posto di fräulein Dorothée.

— È ammalata.

— Altro che ammalata! Si suicidò insieme al suo amante nel cimitero di S. Miniato a Firenze, li trovarono abbracciati bocca su bocca.... Un vero amore all’italiana. Come fai a non saperlo?

Miss Darlington avrebbe avuto ragione di meravigliarsi se io lo avessi saputo. Che cosa penetra mai in questa prigione dorata? È mal conoscere mio padre immaginarsi che egli si interessi a fatti di simil genere e che venga a raccontarli proprio a me! Comunque, la notizia mi impressionò moltissimo. Pensare che ero sul punto di conoscere quella signorina, di averla sempre al mio fianco, di vivere insieme.... una signorina che nutriva in petto una passione così forte doveva essere interessante. Poveretta! A tavola ho avuto per qualche istante l’idea di interrogare mio padre ma non seppi da qual parte incominciare il discorso. Egli mi fa una soggezione!...

9.a giornata. — È deciso. Compio tutti [p. 149 modifica]i giorni la mia passeggiata nelle terre conquistate. Non vi si incontra anima viva ed è appunto questo che mi dà l’illusione di averle scoperte io. Il mio regno è così ricco di sassi, di spine, di ortiche e di tele di ragno che brandelli delle mie vesti e de’ miei capelli restano appiccicati qua e là e quando la notte prima ha piovuto arrivo a casa colle scarpe disfatte. È magnifico!

Questa mattina ho inteso Berthe che diceva alla seconda cameriera: Non so come faccia mademoiselle a conciare le scarpe in tal modo. E mademoiselle che lo sapeva si pose a ridere tutta sola nascosta dietro il vaso delle orchidee.

10.a giornata. — Questa è proprio bellina. Oh! se potessi raccontarla alle Darlington! Ma chi sa dove sono a quest’ora col loro auto. Per il momento non ho altri amici che i foglietti bianchi di questo giornale.

Ascoltami dunque, piccolo amico, piccolo confidente dei pensieri folli di Elganine, ma non farmi il broncio perchè io amo le faccie allegre e ho tanto bisogno di poter dire [p. 150 modifica]a qualcuno tutto ciò mi che passa per la mente.

Era più tardi dell’ora solita? Forse. Inclino a credere che fosse più tardi perchè il sole scottava già quando lasciai la Villa. Se continua il caldo dovrò rinunciare alle lunghe passeggiate; arrivai oggi al confine del bosco un po’ stanca, ed avendo subìto una vera lotta corpo a corpo colla quantità di mosche e di vespe che ogni giorno si fanno più prepotenti, il ruscelletto che scorre ai piedi del muricciolo mi apparve come un ristoro con quel suo cheto mormorio d’onda in mezzo ai sassi, colle piantine di salici che vi si specchiano dentro facendo tremare la loro ombra sull’acqua.... Tutte le Dorothée sparse per il mondo (sa Iddio se ve ne sono!) non avrebbero mancato di tirar fuori il loro Albo e i loro pennelli; idea senza dubbio seria e distinta.

Che fa invece la pazzerella Elganine? Io non so davvero spiegare quale attrazione esercitasse su di me quel fresco ruscello, tutta accaldata come ero e stanca; so che toltami in un batter d’occhio la calzatura vi entrai a diguazzare coi piedi nudi [p. 151 modifica]provando una gioia infantile. È ben vero che le pietruzze del fondo mi pungevano un poco, ma l’acqua era così dolce al tatto e riposava così bene la mia stanchezza che uscii a ridere forte per il piacere nuovo.

È qui che vorrei avere dinanzi a me il musetto di faina delle Darlington per vedere come resterebbe! Vorrei anche domandar loro che cosa avrebbero fatto nel mio caso, poichè alla risata alta e sonora che lanciai fra i salici rispose un’altra risata che sembrava l’eco della mia.

Come? vi par poco? (mi immagino di parlare alle Darlington). Trovarsi in un luogo deserto e udire all’improvviso uno scroscio di risa?... Il mio primo movimento fu quello di fuggire, ma capirete che stando con tutti e due i piedi nel ruscello l’impresa non era facile. Cercai allora di rendermi conto da qual parte fosse venuto il riso singolare e appena ebbi alzati gli occhi vidi sporgere dal muricciolo, a quattro passi da me, la testa di un giovinotto che rideva ancora guardandomi.

Shocking!

Eh! via, Maud Darlington, non puoi [p. 152 modifica]essere tu che Doroteggi in tal modo. Mi invidii forse?...

— Signore! — esclamai con una certa vivacità che doveva nelle mie intenzioni mascherare un po’ di batticuore — che fate nel mio giardino?

— Domando perdono; il giardino in cui mi trovo è mio. Rettifico pure la parola giardino: noi siamo e l’uno e l’altra in un bosco.

La voce che parlava non sembrava più la stessa voce che aveva riso. Quella poteva aver torto; questa vibrava colla sicurezza di chi difende un diritto. Effettivamente lo sconosciuto stava dall’altra parte del muro.

Mi affrettai a toccare la riva, ma non potei salvare l’orlo della mia gonna che giunse a terra gocciolante come un ombrello. La testa del giovinetto intanto era scomparsa; pure lo sentivo a cantarellare dietro il muro con una intonazione che mi parve oltre modo insolente.

11.a giornata. — L’incontro di ieri non era certamente tale da preoccuparmi in [p. 153 modifica]qualsiasi modo. Tuttavia oggi, appena arrivata in fondo al bosco, il mio sguardo corse inquieto al muricciolo. Non c’era nessuno; il silenzio sembrava anche più alto del consueto nella caldura afosa di una giornata veramente torrida. Io però non osai più entrare nel ruscello e questa specie di interdizione mi indispettì contro l’ignoto disturbatore della mia libertà.

Stavo così bene nell’abbandono assoluto di ogni etichetta, regina selvaggia di un regno disabitato. Questo intruso è venuto a guastarmi tutto. Rabbrividisco ora ad ogni foglia che cade, ad ogni ramo che scricchiola. Se udissi ancora quello scoppio di risa al di sopra del muricciolo?... Ah! no, no, sarebbe troppo.

1.o agosto. — Dieci giorni deliziosi passati a Venezia. Mio padre per compensarmi della mia docilità alla vita claustrale mi fa di queste improvvisate. Egli sente di tanto in tanto il bisogno irresistibile di vedere Roma o Firenze o Venezia. Mi dice alla sera: domattina partiamo. Ed io adoro queste rapide corse senza preparativi, con una [p. 154 modifica]valigia che Berthe mi allestisce in meno di un’ora.

Venezia poi è la mia simpatia. Fin da quando sulla laguna vedo le prime vele rosse che mi vengono incontro mi trema il cuore come fossi nel punto di riabbracciare una persona cara. Amo Venezia non come una città ma come una persona. Io non seguo molto mio padre nei musei. Mi metto in gondola alla mattina e ci sto fin che posso; ci starei tutto il giorno senza cercare, senza guardare nulla, senza proferire una parola; respiro Venezia e mi basta!

3 agosto. — La noia mi riprende insieme alla nostalgia di Venezia. Mio padre che se ne è accorto mi ha portato a casa un libro italiano sapendo quanto amo questa bella lingua. È di un grande scrittore e pare che lo stile sia di una perfezione scultoria. Ho incominciato subito a leggerlo.

4 agosto. — Andai oggi a rivedere il bosco che da ben quindici giorni m’era affatto uscito di mente. Avevo il mio libro sotto il braccio e ritrovai le stesse [p. 155 modifica]impressioni di freschezza, di libertà e di pace che tanto mi sedussero la prima volta; anzi mi parvero cresciute in una pienezza di vita che rendeva il verde più intenso, i rami più frondosi, i profumi più acuti, tutto il brulichio degli insetti più vivace e più alacre. Mi spinsi fino al limite estremo dove scorre il piccolo ruscello e il luogo mi parve così attraente che mi sedetti sull’erba per leggere. Come avvenne non so, ma temo bene di essermi addormentata. Deve essere stato così, altrimenti non potrei spiegarmi in qual modo ho dimenticato il libro nell’erba. Ciò non mi scusa menomamente.... ah! no. Ne sono tutta confusa. Fortuna che questa notte non pioverà. Il cielo è in pieno sfolgorìo d’astri. Dal balcone aperto entra una brezza soave, i monti della Dalmazia si ergono colle loro creste frastagliate al di là del golfo che sembra una conca di perle e di smeraldi. Dio! che paese meraviglioso.

5 agosto. — I deserti hanno fatto il loro tempo, conviene rassegnarsi. Non posso nemmeno aggiungere che la rassegnazione mi sia oltremodo penosa.... sincerità innanzi [p. 156 modifica]tutto. E poichè mi annoio, anche questa è una verità niente affatto trascurabile, ben venga qualche piccolo diversivo.

Pensavo al mio libro, niente altro che al mio libro, quando avvicinandomi al posto dove lo avevo dimenticato ebbi l’inaudita sorpresa di vedere un uomo ritto sotto i salici, nella posa la più flemmatica e la più sicura di sè stesso, col mio libro in mano. Mi appariva di profilo ma lo riconobbi subito. Era il giovane che aveva risposto al mio scroscio di risa. Ma questa volta egli non stava dall’altra parte del muro, cioè nel suo diritto; egli aveva avuto l’audacia inqualificabile di entrare nel territorio altrui, cioè nel mio bosco e la vampa di sdegno che mi sentii ribollire in petto mi fece precipitare il passo. Certo egli se ne accorse allo scricchiolìo dei rami, perchè si voltò rapidamente pur senza mostrare imbarazzo nè timore alcuno.

Lo vidi benissimo così. Mi parve molto molto giovane, quasi della mia età. Vestiva un bianco abito a piccole righe azzurre e un berretto uguale da ciclista che si levò subito con un gesto largo e rispettoso. Non saprei ora [p. 157 modifica]dire perchè la mia collera si trovasse infrenata da quel gesto che quantunque rispettoso aveva tuttavia una leggerissima e forse lontana intenzione di sarcasmo. Cercavo una parola quando egli mi prevenne:

— Signorina — disse con purissimo accento tedesco — le circostanze sono contro di me. La prego anzitutto a perdonarmi se mi trova in questo luogo.

Risposi dignitosamente:

— Non prima ch’ella siasi spiegata.

— È giusto.

Mi narrò allora che trovandosi a passeggiare nel parco vicino si sovvenne di aver visto una fanciulla dall’altra parto del muricciolo ed affacciatosi per curiosità un movimento brusco gli fece cadere il berretto. A questo punto della narrazione vedendomi ridere soggiunse con brio:

— Eccoci pari. Le nostre due risate si equivalgono.

Non mi piacque la prima frase: eccoci pari. Chi era desso per mettersi a pari della principessa Bazwill?... Ma poi riflettendo che avendomi trovata a piedi nudi in un ruscello non poteva certamente [p. 158 modifica]supporre l’esser mio, finsi di non rilevarla e continuai, riprendendo una serietà che nel mio intento doveva essere una lezione:

— E perchè le è caduto il berretto si permise di raccogliere il mio libro?

Egli rispose subito senza scomporsi con un nuovo inchino:

— Questa è certamente la parte di colpa più difficile a giustificare, tanto che non ardisco intraprendere la mia difesa se la signorina stessa non mi vi autorizza....

Mi parve di vedere un laccio teso e lo girai:

— Mi renda il mio libro e che la sia finita.

Egli me lo rese sospirando un poco. Non c’era più nulla a dire; tuttavia il giovane non accennava a muoversi. Forse mi sfuggì un moto d’impazienza poichè egli soggiunse con una insolita dolcezza nella voce:

— Eppure mi dispiace lasciarla sotto una cattiva impressione.

— Che gliene importa?

— Moltissimo. Tengo assai alla mia fama.

— Deve convenire almeno che non ha fatto nulla per conservarne alto il prestigio. [p. 159 modifica]

Abbassò il capo con una mossa di umiltà forse ipocrita ma assai graziosa mormorando:

— Ohimè!

Ma non stette a lungo in quella attitudine di vinto. Risollevando il capo fece un passo verso di me e disse:

— Mi perdoni.

Incominciavo a sentire l’imbarazzo di quel colloquio con uno sconosciuto. Serrando il mio libro con un braccio contro il petto feci coll’altro un gesto vago che poteva essere interpretato tanto come una acquiescenza al perdono quanto come un invito a lasciarmi. Egli lo comprese in entrambi i modi e si tolse ancora una volta il berretto per salutarmi. Io non volli assistere alla sua risalita sul muricciolo e volsi le spalle; ma quasi subito la sua voce risuonò di nuovo:

— Signorina!

Guardai. Egli era già sulla cresta avendo approfittato senza dubbio di alcune asperità nelle pietre sconnesse.

— Mi permette di venire qualche volta a salutarla?

— Oh! questo no — risposi con una [p. 160 modifica]risolutezza che doveva togliergliene per sempre la voglia.

— Per nessun motivo?

— Per nessuno.

— Sia fatta la sua volontà. Però senta. Io passo molte ore in questo parco; se dovesse cambiar parere, se avesse rimorso di avermi trattato duramente o solo desiderio di un cavaliere devoto e rispettoso, mi chiami e verrò. Il mio nome è Hans.

Le ultime parole le udii appena.

6 agosto. — Chi sarà mai quel giovinetto?... Una voce sommessa (forse l’eco di quella di fräulein Dorothée) mi consiglia a non fermarmi neppure un istante su tale pensiero. La figlia del principe Bazwill non deve occuparsi del primo che passa (vedo gli occhi di fräulein gialli, duri, circondati da piccole rughe fitte fìtte e vedo in pari tempo due occhi azzurri dolci e vivaci. Gli sguardi che partono da queste due paia d’occhi sono affatto contradditorî; gli occhi gialli dicono una cosa e gli occhi azzurri ne dicono un’altra. Ma gli occhi azzurri sono tanto belli!) [p. 161 modifica]

10 agosto. — Non avrei mai creduto che fosse così importante il sentirsi bene. Doveva venire la febbriciattola di questi giorni a insegnarmelo. Che noia starsene a letto con questo caldo! Ora la febbre è passata, ma il dottore non mi lascia ancora uscire di camera. Guardo con una grande nostalgia gli alberi del giardino e le rondini che fendono l’aria con tanta gioia di libertà. Dove andrei io se avessi le ali?... Non lo so. Ma andrei, andrei, andrei.... La camera è alta e spaziosa, tutta aperta, eppure soffoco. Ecco: due rondini sono sparite insieme dietro a un comignolo. Cosa c’è al di là?

11 agosto. — Scrivi tutti i giorni sul tuo giornale? — mi domandò mio padre stamattina.

— Quasi — risposi.

Egli soggiunse:

— L’approssimativo è buono per i vecchi che hanno le forze sciupate. Alla tua età l’ideale deve essere intero. Prefiggiti la disciplina di scrivere tutti i giorni.

Come si capisce che è stato soldato! Io [p. 162 modifica]lo vorrei pure ubbidire, ma se non so che cosa scrivere? Basta, per oggi è fatto.

12 agosto. — Corro con piacere ad aprire i fogli del mio caro libro bianco. Ho almeno qualche novità da registrare, troppe forse, perchè le parole mi si affollano nel cervello e vorrei poter dire tutto in una volta, mentre è necessario mettere un po’ d’ordine nelle mie idee.

La strada è lunga per una convalescente: ecco perchè mi batte il cuore. Non era neppure mia intenzione di andare fin laggiù. Avuto il permesso di scendere in giardino ero persuasa di non varcare i rosai. Mi sono trovata oltre senza accorgermi e ci sarebbe da dubitare che qualcuno mi ha portata verso il ruscello colle scarpe magiche di Petit-Poucet. Infine vi giunsi, questo è l’importante.

Quando si prende l’abitudine di un dato luogo pare che non ci si possa trovar bene altrove. In verità l’ombra dei salici che si specchiano nel ruscello, ricevendone quasi un riverbero di freschezza e un aumento di verde, è tutto ciò che si può immaginare di [p. 163 modifica]seducente in questa stagione. Nessun posto del giardino mi piace di più. Mi lasciai cadere sul margine stanca ma beata, respirando l’aria pura, toccando l’erba colle mani, tutta presa dalla dolcezza di vivere in mezzo alla natura.

È stato così? Sì, è stato così. Improvvisamente una voce che non mi era più ignota mormorò al mio tergo: Eccomi! e lo sconosciuto apparve. Balzai in piedi.

— La signorina mi ha chiamato? — disse lui con perfetta disinvoltura.

— Io non ho chiamato.

— Intesi pronunciare: Hans.

— Non ho aperto bocca.

— Qual voce fu mai allora?

Confesso di non ricordare più una frase che egli disse ancora perchè mi trovavo agitata e singolarmente compiaciuta e dispiacente ad un punto di quel che avveniva. Io dovevo certamente adirarmi per l’insistenza di quell’intruso e nello stesso tempo mi divertivo a vederlo a saltar fuori come un diavolo dalla scatola; e poi c’è un’altra ragione la quale proprio non saprei spiegare se non dicendo che mi piace vederlo. [p. 164 modifica]Dovrei forse avere paura e invece non ho nessuna paura.

Egli soggiunse dunque alcune parole che non ricordo, standosene sulla cresta del muro in attitudine gentile e rispettosa tanto che non potei offendermi. E disse poi:

— Non ha oggi con sè il suo libro italiano?

Accennai negativamente col capo mentre sbrogliavo il mio ombrellino da un intrico di rami.

— Bella lingua! Lei però non è italiana?

Nuovo cenno negativo.

— Io conosco poco l’italiano; lo trovo difficile.

— Oh! difficile?

— Capisco che tutto dipende dal metodo di chi lo insegna. Ebbi poche lezioni ma desidererei ardentemente di poter leggere almeno con speditezza. La vita che conduco è così triste, così grigia....

Era il primo accenno a se stesso che suscitò in me un movimento interiore di curiosità. Ma egli ha una singolare attitudine a rispondere prima ancora che si parli, quasi un intuito d’anima. Disse abbassando la voce: [p. 165 modifica]

— Non può ignorare la grave malattia di Sua Altezza. Tutto fa credere che la gioventù e la robusta costituzione vinceranno, ma è una alternativa continua di speranze e di abbattimenti!

Parlava colla sicurezza che io conoscessi gli abitatori del parco confinante, mentre non me ne ero mai occupata e solo udendo le sue parole mi sovvenni che in una villa accanto alla nostra giaceva ammalato il principe ereditario. In realtà non avevo neppure pensato che da quella parte si toccasse il parco della Villa imperiale. La mia meraviglia dovette essere evidente. Egli continuò su un tono basso di confidenza:

— Sono uno dei segretari.

Questa presentazione mi lasciò fredda. Avrei creduto meglio. È almeno nobile?

Mentre egli parlava ancora del principe ed io lo ascoltavo distrattamente, mi accorgevo che da quella rivelazione dell’esser suo, un po’ debilitante per la fantasia, mi veniva però un crescendo di sicurezza e quasi un altiero sentimento di protezione che mi rese tutta la mia calma. Io sapevo chi era lui e lui non avrebbe mai osato supporre [p. 166 modifica]chi ero io. Doveva desiderare di saperlo tuttavia, perchè ad un certo momento mi chiese con una precisione la quale mostrava che il concetto era già formato nella sua mente, se io fossi maestra di italiano.

Ridendo dentro di me côlsi la palla al volo:

— Precisamente. Maestra di italiano.

Trovai piacevolissima quella maschera che mi si offriva con perfetta opportunità. Eccomi dunque in piena avventura, tale scommetto che non è mai capitata nemmeno alle Darlington.

Dal momento che egli era un semplice segretario ed io una maestrina ogni impaccio cadde. Parlammo ancora per un po’ di tempo, non so bene di che, di nulla forse; ma egli sa parlare con grazia e con una istintiva nobiltà superiore alla sua condizione. Povero giovine, non è forse a suo posto. Una gabbia dorata anche la sua.

13 agosto. — Non andai oggi in fondo al bosco. Perchè? Non lo so. Non volli andare. Mi annoiai però orribilmente. Ho sgridato Berta, ho battuto i cani, ho rotto una statuina di Saxe che mi era molto cara. Tutto sommato, brutto giorno. [p. 167 modifica]

14 agosto. — Sarebbe tuttavia ridicolo che ponessi un freno al mio desiderio ed alla mia abitudine di andare in fondo al bosco semplicemente perchè un segretario si diletta a fare della ginnastica sui muriccioli. È per la stessa ragione che trovo inutile di parlare dell’incontro a mio padre: troppa importanza davvero darei a quel signor Hans! senza dire che mi vedrei obbligata a raccontare le cose fin dal principio e confessare che la principessina Bazwill si è lasciata scorgere coi piedi dentro a un fosso come una lavandaia qualunque.

Nulla osta invece che io parli del principe imperiale. Mio padre disse che viene conservato un gran mistero sulla malattia dalla quale è colpito. Si temono le indiscrezioni della stampa e per questo nessuno può avvicinarsi alla Villa. Erano imminenti le sue nozze colla arciduchessa Anna e tale matrimonio, pare, avrebbe colmato tutti i voti essendo l’arciduchessa Anna, oltre che ricchissima, imparentata colle principali case regnanti d’Europa. Il signor Hans queste cose le deve sapere. [p. 168 modifica]

15 agosto. — Brutto il bosco, oggi. Troppo sole, troppo caldo, troppe cicale sugli alberi, troppi bruchi nell’erba. I salici del ruscello mi parvero un po’ gialli.

16 agosto. — Non avevo mai osservato che il muro dall’altra parte è più alto che dalla mia. Egli passeggiava innanzi e indietro tenendo la fronte china come di chi è assorto in profondi pensieri. Mi udì però subito (e sì che il mio passo è tanto leggero) quando arrivai. Vestiva di scuro contro il suo solito e per il contrasto forse il suo volto appariva pallido. Mi salutò gentilmente ma con visibile preoccupazione.

Io stavo per continuare la mia strada lungo il ruscello non volendo a niun costo mettermi a sedere dove egli era già. Avevo risposto al suo saluto con un piccolo cenno del capo passando oltre. Mi tenni sicura in quel momento che non ci saremmo parlati mai più.... Invece egli disse:

— Da due giorni non è venuta.

Con inaudita imprudenza, con una imprudenza che mi irrita ancora contro me stessa se ci penso, risposi da vero allocco: [p. 169 modifica]

— Ieri venni.

Poi, volendo cancellare l’effetto di quella sciocca confessione, soggiunsi prontamente:

— Sua Altezza sta meglio?

— Sua Altezza non ha fatto nessun cambiamento da qualche giorno.

Mi sovvenni a tempo le parole dettemi in proposito da mio padre e ripresi il sentiero del ruscello. Lo udii allora mormorare con grande tristezza:

— È ben fortunato il principe imperiale.

Per gentile condiscendenza rallentai il passo. Egli continuò collo stesso accento scorato:

— Il destare l’interesse di una così divina creatura dovrebbe essere compenso a qualsiasi male.

Una vampa di sdegno mi salì subito alla faccia, ma la riflessione fu altrettanto pronta. La divina creatura non era Elganine: era la maestra di italiano. Se una regina in domino passeggiasse per le strade e se qualcuno le dicesse che ha de’ begli occhi non potrebbe offendersene. Via, Elganine, sei una cattiva commediante.

In seguito a questo ammonimento [p. 170 modifica]rivoltemi nel più perfetto silenzio pensai a quello che avrebbe potuto rispondere la maestra di italiano; ma intanto il tempo passava e fu vera fortuna che egli proseguisse a discorrere senza mostrare di avvedersi del mio imbarazzo o forse avvedendosene e interpretandolo a sua guisa: disse molte cose, le prime delle quali mi sfuggirono perchè ero troppo turbata; incominciai a comprendere le parole: abbandono, solitudine, tristezza: e allora sembrandomi di avere afferrato bene l’argomento lo interruppi con una cert’aria canzonatoria che non dovetti cercare molto lontano:

— E che, signore? Ha già dimenticato che la nostra conoscenza fu fatta con uno scoppio di risa?

Rispose senza la menoma titubanza:

— Ero allegro infatti il giorno che la vidi per la prima volta.

Che cosa voleva dire? I suoi occhi azzurri sembravano più cupi ed ebbe un tale accento di commozione che non osai più scherzare. Tacqui, ascoltandolo:

— Ma ora non sono più allegro.

Un brivido mi passò sulla nuca. Egli ha [p. 171 modifica]un modo di parlare che mi avvolge a tratti come una rete. Sento le maglie serrarsi intorno a me e mi trovo incapace ad uscirne. È evidente che gli piaccio. Non è la prima volta che questo mi capita, solo il modo è differente dai soliti. I giovinotti che finora mi hanno tributato i loro omaggi sapevano benissimo ai piedi di chi bruciavano l’incenso. Costui mi crede una borghesuccia; il suo modo di condursi con me lo dimostra colla maggiore evidenza; ma la sua sincerità appunto mi interessa e l’equivoco mi diverte. — Dissi finalmente:

— Bisogna cacciare i tristi pensieri.

— I tristi pensieri voglion essere cacciati in due.

All’atto sdegnoso che mi sfuggì egli comprese di aver sbagliato tasto e riprese subito con naturalezza:

— Mio Dio, perchè non dovremmo comprenderci! Ci siamo incontrati giovani e buoni (sono sicuro che lei è buona) sullo stesso sentiero....

Interruppi:

— Domando scusa, vi sono due inesattezze nella sua frase. Anzitutto se lei ha [p. 172 modifica]potuto persuadersi che io sono buona, non ho da parte mia documenti sufficienti per decretarle lo stesso titolo. Secondariamente non siamo affatto sullo stesso sentiero perchè ci sta di mezzo un muro.

— Le vie però corrono parallele.

— Peggio. Le parallele non si incontrano mai.

Ero tanto fiera del mio trionfo che lo guardai dritto negli occhi. Fu un istante delizioso. Egli per il primo abbassò le palpebre mormorando scorato:

— Bella e crudele. Ciò è nell’ordine.

Mi sentivo a posto oramai nel mio flirt borghese e non meravigliandomi più di queste frasi arrischiate mi immersi totalmente nella finzione del mio nuovo essere. Dissi dunque come mi pare che al mio posto avrebbe detto una maestrina:

— Non è crudeltà rilevare gli errori del prossimo; è piuttosto desiderio del suo bene.

— Mi parli italiano! — esclamò egli improvvisamente dopo una pausa.

— Ma se non lo sa!

— Sì lo so.... un poco, cioè lo comprendo. [p. 173 modifica]

— Sono aspettata.

Così dicendo feci atto di ritornare sui miei passi.

— Come mi dispiace perderla! — sospirò.

— Le inesattezze del suo linguaggio sono deplorevoli. Non si perde che ciò che si ha.

— Ma io ho bene in questo istante la gioia di vederla. La sfido questa volta a provarmi che sono in errore.

I suoi occhi sfavillarono insolitamente e sotto i suoi piccoli baffi apparve il raggio umido e bianco del suo sorriso. Continuai ad allontanarmi, ma provando come un bisogno di lasciarlo con un dolce ricordo gli dissi in italiano volgendo il capo a metà:

— Buon giorno, signor Giovanni.

Balzò sul muro con tanta vivacità che per un istante temetti che precipitasse. Egli si pose a gridare con accento supplichevole:

— E il suo nome? il suo nome?... il suo nome?...

L’acqua rise, risero i salici, rise Elganine già lontana. [p. 174 modifica]

20 agosto. — Io so chi è lui e lui non sa chi sono io. Questo pensiero quando mi viene, e mi viene abbastanza di frequente, mi riempie di una gioia infantile come quando da piccina giocavo a nascondermi colle mie cugine e mi piaceva più a nascondermi che a cercare.

Un’altra specie di diletto, forse un po’ cattivello, me lo procura il fatto che in questi giorni non posso mai recarmi nel bosco perchè nelle ore propizie capita sempre qualche contrattempo e mi immagino con quale ansia egli mi aspetterà sul muricciuolo....

Cercatemi, signor Giovanni, cercatemi. Ah! mi pare di avere un uccellino al posto del cuore. Salta.

25 agosto. — È singolare. Nè ieri nè ieri l’altro non l’ho veduto. Si è forse stancato di aspettarmi? Ed io che mi ero immaginata di farlo aspettare lui!...

26 agosto. — E nemmeno oggi. Dio! come è stupida la vita.

Chi sarà questa baronessa di Saint-Hilaire [p. 175 modifica]che mio padre minaccia di mettermi al fianco? Ecco un’altra cosa molto noiosa, e per scrivere delle cose noiose è inutile tenere un giornale. Ti chiudo, va!

29 agosto. — Che momento! Ne sono ancora tutta agitata. Appena lo vidi apparire da lontano, siccome meditavo da più giorni la mia vendetta, mi volsi con tutta naturalezza a ritornare sui miei passi, nè per quanto egli mi supplicasse a volermi arrestare non mostravo neppure di accorgermi che egli fosse là. Avevo già oltrepassato il ruscello, un fitto di lauri me ne chiudeva pur anche la vista; già mi si apriva dinanzi il viale del giardino e tutta fiera della mia vendetta rientravo con questo malinconico trionfo, quando udii dietro a me il suo respiro affannoso.... Per poco non gridai dalla paura. Sì, la mia impressione in quell’istante fu di paura. Mi arrestai di botto e con uno sdegno che non era per nulla simulato esclamai:

— Ma è pazzo?

Guardandolo in quel punto mi parve infatti di vedere nelle sue pupille un raggio [p. 176 modifica]di dolce follìa, ma, singolare a dirsi, figgendo i miei occhi ne’ suoi mi sentii subito rassicurata. Egli rimase colpito dal mio accento e si fermò a pochi passi da me in attitudine dubbiosa e contrita.

— Si allontani. Se qualcuno la vedesse qui?

Sollevò lo sguardo al di sopra del mio capo, lontano, dove delineavasi tra gli alberi il tetto di Villarosa.

— Sì, — soggiunsi interpretando la sua domanda — io abito là. Si allontani dunque. Quale imprudenza è stata la sua!

— Non posso allontanarmi così. Devo parlarle.

— Sarà per un’altra volta.

— Domani?

Non sapevo che cosa mi facessi, divisa fra il terrore di essere scoperti e l’interesse che mi destava, e premendomi sopra tutto di allontanarlo, quasi senza accorgermi, risposi di sì.

Eccomi dunque impegnata in un convegno con uno sconosciuto; perchè, è inutile che mi faccia nessuna illusione, egli è uno sconosciuto e resterà forse tale per [p. 177 modifica]sempre. Chi sa se è nobile! Il suo aspetto non lo metterebbe neppure in dubbio ed è anche probabilissimo che il segretario di una altezza imperiale appartenga all’aristocrazia. Ma in fondo che deve importarmene? Perchè me lo chiedo?

30 agosto. — Una piccola tentazione di non andare al convegno l’ho avuta. Ricevi questa confessione o candido e fedele confidente de’ miei pensieri, e buon per te che non sei chiamato a giudicare del bene e del male delle mie intenzioni perchè arduo sarebbe il decidere.

Ma quando fu presso a poco l’ora solita, mi prese una inquietudine, un formicolìo nelle gambe per cui non potevo star ferma. Dare una parola e non mantenerla è atto villano. Che cosa avevo a temere, poichè egli si è sempre mostrato docile e rispettoso?

Mi aspettava. Prima ch’io aprissi bocca disse subito:

— Grazie, grazie di essere venuta.

Compresi da questa calorosa effusione l’importanza del passo che avevo fatto accettando il suo invito di trovarmi colà, ma [p. 178 modifica]oramai non c’era rimedio. Egli poi non mi lasciò il tempo di pentirmi.

— A questo modo — disse precipitosamente con un calore ed una veemenza che avevano tutto quello che occorre per persuadere — non è più possibile andare innanzi. Io ho bisogno di sapere chi è lei e dove posso trovarla o almeno scriverle quando non ci possiamo vedere qui.

— È tutto questo che voleva dirmi?

— Le sembra poco?

— Al contrario! Trovo che è troppo.

— Sì, è vero — egli disse abbassando la fronte con quel suo atto leggiadro che mi piace tanto — sono stato troppo ardito, mi perdoni. Ma almeno il suo nome!

Pensai un nome; ma a farlo apposta non mi venivano in mente che nomi brutti da vecchie: Anastasia, Pulcheria, Geltrude. Non volevo poi apparirgli ridicola. Vedendo che esitavo egli soggiunse:

— Io nella mia mente glie ne ho già dato uno: Stella.

— Non c’è male. È un nome italiano; non potrei offrirgliene uno migliore. Vada per Stella. [p. 179 modifica]

— Se sapesse quanto ho sofferto nei giorni scorsi a non vederla. Ella è venuta qui?

Risposi colla maggiore indifferenza che mi fu possibile:

— Non ricordo.

— Io ho dovuto assentarmi.

— Servizio di Sua Altezza?

— Già. E così come avvenne questa volta potrebbe rinnovarsi la fatalità per me di un viaggio improvviso. Mi permetta....

La supplica che era ne’ suoi occhi contrastava singolarmente con un certo lampo di impero che ne accompagna abitualmente lo sguardo. Lesse egli forse una tacita condiscendenza nei miei?

— Mi permette — continuò dopo una breve pausa — di farle sapere quando parto? Essendomi messo a’ suoi ordini ciò è in piena regola.

— Impossibile — risposi subito pensando all’incognito che tanto mi premeva di conservare.

— Vi sarebbe tuttavia un mezzo molto semplice — disse lui additandomi una grossa quercia distante una ventina di passi dal luogo dove eravamo — là, nascosta dai [p. 180 modifica]rami, c’è una buca che par fatta a posta. Non mi dica di no.... Non dica nulla. Non esigo nessuna promessa. Mi basta che ella sappia.

Ah! io tento invano di fissare sopra questi fogli l’incanto delle sue parole. Quante me ne disse ancora, dolci, tenere, riguardose, eppure tanto confidenti come se ci conoscessimo da anni. Egli non ha sorelle, io non ho fratelli. È forse per questo che stiamo volontieri insieme e ci diciamo tante cose che poi non ricordo più, ma che mi fanno passare velocemente il tempo in sua compagnia.

Prima di separarci egli mi additò ancora la quercia.

Ripensandoci ora nella tranquillità della mia camera questa duplice vita che conduco da un mese mi sembra un sogno. Sono ancora io? Sono Elganine, od è entrata in me l’anima di un’altra, di una povera insegnante, di Stella?... Ed egli, che spera da me? Povero giovine, non vorrei si illudesse troppo.

31 agosto. — Anche la baronessa di [p. 181 modifica]Saint-Hilaire è un fatto compiuto. Mio padre l’ha proprio creduta necessaria alla mia felicità, pazienza! Pare che dovrò tenermela attorno finchè mi marito, perchè questo inverno lo passeremo a Parigi dove avverrà la mia presentazione nel gran mondo, e siccome avremo anche molte visite mio padre dice che non posso ricevere sola alla mia età. Fin qui lo capisco; ma che donna sarà questa baronessa? Di buona famiglia, vedova, decaduta, educatissima, una quantità di meriti, si intende, come li hanno tutte le persone che aspirano ad una sinecura. Mi resterà ancora con lei la mia libertà?

2 settembre. — La lunga passeggiata fatta ieri mi impedì di recarmi nel bosco. Anche oggi non vi potei andare all’ora solita. Chi sa se domani ne troverò il tempo?

È il giorno fissato per l’arrivo dalla baronessa. La belle corvée!...

3 settembre. — Ho divorato la strada; mi sembrava di sentirmi le ali. Che idea è mai stata la sua! io non l’avrei mai avuta. Però quando non lo scorsi al solito posto [p. 182 modifica]non potei resistere dall’avvicinarmi alla quercia... Che lettera! L’ho già letta e riletta sette volte. È disperato di non avermi veduta in questi giorni. Povero Hans! Mi scongiura di andare domani.

4 settembre. — Pochi minuti appena ma deliziosi. I suoi occhi, il suo sorriso, la sua voce, tutto di lui mi incanta. Oh! se fosse della mia società, se potesse venire in casa nostra, certo mio padre lo amerebbe. Non ho ancora avuto il coraggio di domandargli il suo nome di famiglia. Oggi appunto mi cadde lo sguardo sopra una cifra ricamata nell’angolo del suo fazzoletto; egli se ne accorse e lo ripose prontamente. Perchè?

5 settembre. — Mio padre mi domandò oggi se mi piace la baronessa. A dire il vero me ne sono occupata pochissimo e l’impressione che ne ricevo è affatto neutra. Non è nè bella nè brutta, nè giovane nè vecchia, nè simpatica nè antipatica, non è nulla di nulla; è semplicemente un ostacolo sulla mia strada dovendo subordinare o per lo meno mettere [p. 183 modifica]d’accordo la mia volontà colla sua. Ha una conoscenza profonda dell’etichetta e ne abusa per dritto e per rovescio. Prevedo che dovrò scandolezzarla spesso. Ha però un vantaggio su fräulein Dorothée; è signora dalla testa ai piedi e fu certamente per questa sua qualità intima che mio padre l’ha scelta a mia compagna.

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È mezzanotte? Quale ora della notte? di questa notte agitata e convulsa, notte interminabile, notte di spasimo e di ansia? Come è mai possibile che io chiuda occhio con un dubbio simile? La mia pendola si è fermata, ma tutti nella villa dormono, non si ode il più piccolo rumore, fuori della finestra il cielo è buio e senza stelle. Sono forse le due? forse le tre? Quanto manca all’alba! Scrivo per disperazione e per fare qualche cosa, tanto da ingannare il tempo....

O mio libro fidato, amico mio tacito, tu sai tutto di me e tutto voglio confidarti ancora. Sei la fotografia del mio pensiero, accoglimi, accoglimi sempre. Io sto dinanzi a te senza posa e senza civetteria; ogni istante [p. 184 modifica]della mia vita tu lo fissi con una linea di sincerità....

Se fosse vero, se fosse vero!

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No, è inutile, non posso dormire. La fronte mi scoppia per la stanchezza del pensare, ma non posso dormire.

Quella Rivista!... E dire che non l’avrei nemmeno guardata senza l’esclamazione di mio padre. Egli osservava che la malattia del principe ereditario non lo ha molto cambiato all’aspetto. Fu allora che mi curvai sul foglio.... dove c’era l’illustrazione.... e non ho gridato. Come ho fatto a non gridare poichè accanto alla poltrona dell’augusto infermo, con un braccio amorosamente passato dietro la sua spalla, vidi Lui!... e in quell’istante, in quel medesimo istante la baronessa spiegava: il fratello secondogenito, principe Oscar....

Lui! lui! I suoi occhi dolci e fieri, il suo sorriso, la fronte altera....

— Non è il principe Oscar — interruppi.

La baronessa trasalì al mio scatto. Vedo ancora le sue ciglia che si corrugano con un movimento di disapprovazione e sento la sua voce che stacca lentamente le parole: [p. 185 modifica]

— Ma sì, mia cara, è il principe Oscar.

Vedo il suo dito affilato correre sulla pagina della Rivista ed arrestarsi sotto una linea di fuoco: Le LL. AA. Imperiali il principe ereditario e il principe Oscar nella Villa di Abbazia.

E poi che avvenne? Che dissi? che feci? In qual modo raggiunsi la mia camera? Non girava ogni cosa intorno a me?

· · · · · · · · · · · · · · ·

L’alba, finalmente. Oggi saprò. Ma come saprò? E se mi sbagliassi, se una somiglianza strana e bizzarra avesse sola colpito la mia immaginazione? Quale pena l’incertezza!

6 settembre. — Che faccio? Vado? Ma che cosa dirgli? E se gli scrivessi mettendo la lettera nella quercia?

7 settembre. — La baronessa è insopportabile; ieri non mi ba lasciata sola un momento. Questa notte scrissi non so quante lettere e tutte le stracciai; erano assurde. Ho bisogno di vederlo; credo che vederlo mi basterà per dissipare ogni dubbio.

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Finsi il mal di capo per ritirarmi nella mia camera ordinando a Berthe di non lasciare entrare nessuno e invece mi recai volando al bosco; ma per quanto mi affrettassi l’ora era già trascorsa. Hans non c’era. Hans??...

È proprio Hans?

10 settembre. — Notte. Non mi occorre meno di questo silenzio e di questa solitudine profonda per riordinare i miei pensieri. Provo più che mai il bisogno di scrivere ciò che mi accade per persuadermi che non sono vittima di una allucinazione.

Ero andata nel bosco senza nessun piano prestabilito, mal sicura di ritrovarvelo, incerta sul contegno che dovevo prendere; ma quando la sua snella persona mi apparve, prima ancora di fissarlo in volto, ogni dubbio era caduto.

Che cosa mi sentii nel cuore non potrò dirlo mai, ma l’espressione de’ miei sguardi dovette essere molto smarrita perchè egli mi chiese se mi sentissi male.

Risposi negativamente col capo ed egli prese subito a raccontarmi le corse che [p. 187 modifica]aveva fatto negli ultimi giorni per vedermi e si lagnò con dolcezza di non avere trovato neppure una parola nel cavo della quercia.

Continuando io a tacere per un gruppo insormontabile che mi stringeva la gola egli discese lentamente dal muro e mi si fece da presso tentando per la prima volta di prendermi la mano. Con un movimento brusco le nascosi entrambe dietro il dorso appoggiandomi a un albero. Egli allora arretrò di alcuni passi guardandomi col più sincero stupore. Fu ancor lui che prese la parola:

— Che avvenne? Perchè così mutata? È in collera?

Domande sprecate. Persisteva in me l’assoluta impossibilità di parlare, strozzata da quel nodo in gola che sembrava crescere di minuto in minuto, mentre tremavo internamente come presa da febbre e fissandolo sentivo che le mie pupille si dilatavano in modo spaventoso. Ne ebbe egli paura o pietà? Lo ignoro; ma sotto l’impressione che ne ricevette fece un movimento col braccio che mi ridiede la visione immediata del ritratto che avevo visto nel giornale inglese. Allora mi [p. 188 modifica]parve che il nodo angoscioso scoppiasse. Mi rizzai audacemente colle braccia rigide tese verso di lui. Da’ miei occhi doveva uscire una fiamma poichè anche le mie labbra sentirono come una lingua di fuoco che le toccasse mentre gridai:

— Il suo nome non è Hans!

Non vidi mai un così pronto mutamento di viso. Una vampa di rossore gli invase dapprima la fronte, ma ratta sparve come se sulla giovanile gaiezza de’ suoi lineamenti calasse improvviso un velo grave. E subito una barriera invisibile parve sorgere tra il pronto dominio di se stesso che lo investì di una isolante regalità e il sentimento di vergogna e di abbandono da cui fui presa in seguito alla mia sfida baldanzosa. Se mi fosse rimasto ancora lo strascico di un dubbio, doveva sparire in quel punto. Mi inchinai profondamente balbettando:

— Perdono, Altezza!

— Che giuoco è questo? — disse egli mentre un’ombra sospettosa gli oscurava le pupille.

— Il giuoco che piacque a vostra Altezza [p. 189 modifica]di incominciare quando prese il nome di un povero segretario — risposi.

Egli tentò ancora una volta di eludere il mio assalto replicando con bonomìa:

— Ebbene, non sono più Hans forse?

— Il principe Oscar non può essere altro che il principe Oscar.

— Ma brava la maestrina! — esclamò ridendo.

Dopo di che si pose a percorrere il sentiero su e giù con passo rapido per alcuni istanti. Arrestandosi poi di botto disse:

— E la conclusione?

— La conclusione è che presento i miei rispetti a vostra Altezza e domando il mio congedo.

— Ah! no, ah! no — esclamò con impeto — non mi rassegnerò mai a perdere una così graziosa amica.

Tutto il mio imbarazzo era sparito. Rialzando la testa osai guardarlo in viso mentre rispondevo con fermezza:

— È tanto più necessario in quanto l’inganno fu duplice. Anch’io non sono ciò che vostra Altezza ha creduto fin qui. Mio padre è il principe Anatolio Bazwill. [p. 190 modifica]

— Di sorpresa in sorpresa. Ma questo sembra un racconto delle fate! Il califfo Haarun-al-Rashid che percorrendo incognito la citta di Bagdad si incontra colla bellissima Badrulbudur travestita da ancella. Io ne sono incantato e, me lo lasci dire, felice.

Mi guardava in un modo così ardente da obbligarmi ad abbassare gli occhi.

— Non mi sono però ingannato — proseguì — nel darle il nome di un corpo celeste. Un segreto istinto mi avvertiva che c’era in lei qualche cosa di più di una maestra di lingue. Ora dunque, punto e da capo. Noi dobbiamo rinnovare la nostra conoscenza per non lasciarle la base di un equivoco. Che ne dice la signorina Bazwill?

— Io penso che dobbiamo invece dimenticare una scappata fanciullesca, la quale se poteva sussistere tra il signor Hans e la signorina Stella, è affatto incompatibile col rispetto che devo a vostra Altezza e al nome di mio padre.

— Non vedo affatto l’incompatibilità. Perchè mai non potremmo essere amici? Mi ricordo di avere udito pronunciare diverse [p. 191 modifica]volte in casa mia il nome della sua famiglia e parmi bene che un Bazwill si trovasse con un mio antenato all’assedio di Kronstad. Credo gli abbia salvato la vita.

— Precisamente.

— E dunque? Vede bene che le sono legato da vincoli antichi. Vorrebbe che io fossi ingrato?

Così dicendo mi si era fatto appresso e mi aveva preso una mano che non ardii ritirare. Sentendomi tuttavia in preda a un gran turbamento chiesi il permesso di allontanarmi. Egli rispose:

— La sua volontà sarà sempre legge per me.

E chinandosi con perfetta cavalleria depose un bacio sulla mia mano.

— Mi lasci sperare che ci vedremo ancora qui. Non voglio strapparle una promessa nelle mutate condizioni in cui ci troviamo; anzi non le chiedo nulla per me; ma qualche volta si rammenti del povero Hans....

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E tutto ciò non è un sogno! [p. 192 modifica]

11 settembre. — Non è un sogno. Ecco le parole che mi ripeto continuamente un po’ come i bambini che cantano al buio per non aver paura; ma in fondo al cuore è gioia od è tristezza che io provo? Non riesco a decifrare bene i miei sentimenti. Forse non oso.

Una cosa sola mi appare chiara ed inesorabile: non devo più andare laggiù.

12 settembre. — E però mi irrita questa fine violenta di una situazione alla quale mi ero abituata, che dava uno scopo alle mie giornate ed un’ora color di rosa in mezzo al corteo incolore delle altre. Se ne accontenta Egli?... Non mi ha neppur chiesto in qual modo feci la scoperta dell’esser suo. Sotto l’apparente disinvoltura è certo che si sentiva imbarazzato. Ho fatto male a scoprire così subito il mio giuoco. Sono stata sciocca e imprudente: Egli non può giudicarmi più benevolmente di quanto mi giudico io stessa, e se teneva in qualche considerazione la maestrina di italiano, deve apparirgli ben poca cosa la signorina Bazwill. Mi sono strappata io stessa quel po’ di aureola che la poesia dell'incognito mi aveva [p. 193 modifica]messa d’attorno e togliendomi la maschera ho perduto tutto il mio spirito.

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I giorni passano e cresce il mio malcontento. Sono malinconica, scorata, triste fino alla morte. Nulla mi interessa, nulla mi attira. Qualsiasi argomento di conversazione cade davanti alla mia indifferenza; la baronessa mi guarda stupita; chissà quali racconti le avevano fatto a proposito della mia amabilità e della mia grazia. Ella si persuaderà più che mai che tutto nel mondo è menzogna.

Del resto lo credo anch’io. Mentono le bocche, mentono gli occhi, mentono i cuori, mente la giovinezza che promette tante gioie e non ne largisce alcuna, mente la ricchezza che non ci fa felici, mente la natura che ne circonda di insidie, mente la società che pretende di educarci alla vita.

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Ma mi aveva pure detto che dovevamo restare amici! Per delicatezza non volle insistere a chiedere un nuovo convegno e [p. 194 modifica]tuttavia mi pregò di non dimenticarlo. Come devo interpretare il suo linguaggio? Mi attende forse?

Non anderò certamente; ma se mi avesse scritto? Una lettera abbandonata nel cavo di un albero può venire scoperta da un momento all’altro. Che sarebbe se un domestico la trovasse?... Non abbiamo pensato a questa circostanza che potrebbe avere conseguenze gravissime per entrambi.... Che fare, mio Dio, che fare?

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Oh! la vile che sono stata! la misera debole creatura! A passi furtivi come una ladra percorsi l’interminabile cammino, sicura che vi fosse la lettera. Non volevo incontrarmi con Lui e per ciò andai che da poco era spuntata l’alba.... Oh! perchè non era notte fitta sì che neppur l’aria potesse scorgere la mia vergogna! La dimenticheranno forse il cielo, gli alberi, l’albero che toccai con mano tremante, ma non la dimenticherò io. Io l’ho cercato e non l’ho trovato!

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[p. 195 modifica]

Che giorno è? Che mese? Mi pare di essere vissuta un secolo, eppure le rose della spalliera sono ancora quelle e le rondini non hanno ancora migrato. Vado ora molto in carrozza colla baronessa e mi stanco a scrivere.

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Va benissimo. Il principe ereditario è guarito; augurii! Forse lascerà Abbazia; buon viaggio! che me ne importa? Sarò libera di scorrazzare ancora per il bosco. Voglio montare in bicicletta, voglio andare a cavallo, voglio tutto ciò che è moto, allegria, vita. Appunto spero che papà vorrà condurmi al ballo che dà il comandante della corazzata l’Albatro. Un ballo in mare deve essere fantastico.

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Mio padre obbietta che non feci ancora la mia entrata solenne dans le monde. La baronessa replica che trovandoci in campagna sarebbe una specie di hors d’œuvre senza conseguenza. Io sospetto che la cara signora abbia un gran desiderio di sfoggiare il suo [p. 196 modifica]vestito di velluto amaranto. Non ho mancato di dirle che mi sembra magnifico.

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Mio padre ha osservato che ho mutato di carattere. Possibile? Mi trova aspra, nervosa, eccitabile.... sarà vero? Ho pianto un poco ieri, senza sapere perchè, ma questo a lui non può esser noto. Sono qualche volta stanca, stanca di essere ciò che sono, ecco. Vorrei potere addormentarmi come la Bella nel bosco e dormire cento anni. Chi sa che cosa troverei di qui a cento anni.

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È per sabato dunque la festa dell’Albatro, la mia prima festa! Si sussurra che debba intervenire il principe ereditario. Chi sa se sarà vero!

Sono presa da una certa emozione, naturalissima del resto, e voglio farmi bella: anche questo è più che naturale.

Doucet mi ha mandato l’abito: una sinfonia in bianco, alla quale il suo ingegno di sarto parigino è riuscito a dare una nota di originalità squisita. [p. 197 modifica]

La baronessa mi assicura che sembrerò un angelo; ma forse, da persona educata, non fa che restituirmi il mio complimento.

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Vorrei che fosse già passata. Che è mai questo cruccio dell’ora? quest’ansia che rassomiglia a una febbre e che al pari della febbre mi divora lentamente senza grandi sofferenze, solo appoggiandomi una piccola punta acuta sul cuore? Perchè anche in questi preparativi lieti provo una specie di affanno?

A che pensi? — mi chiese oggi mio padre giungendomi improvviso alle spalle — ed io trasalii come persona colta in flagrante.

Ho inteso qualche volta parlare di presentimenti. Che sia un presentimento?

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Sabato 9 ottobre. — La data di ieri!... Cuore, mio povero cuore, cessa dal battere così follemente. Raccogliti in questo sacrario delle tue memorie e detta ancora ciò che nessuno leggerà mai. [p. 198 modifica]

Per ferma deliberazione non volevo più pensare a Lui e coll’aiuto dell’orgoglio vi ero quasi riuscita. Tuttavia sempre cacciato e sempre rinascente, il pensiero di incontrarlo qualche volta mi assaliva con forte tentazione. Non credevo dovesse essere così presto. Ah! dovrei dire non speravo....

Quando posi piede sull’Albatro tutto pavesato a festa e scintillante di luce, con una profusione di fiori che lo facevano somigliare ad un grande canestro galleggiante, fui tutta nei primi istanti al piacere novissimo per me di un ballo a bordo. Il comandante, che è amico di mio padre, mi presentò subito gli ufficiali sotto l’occhio scrutatore della baronessa, vigile e attento alla più piccola mancanza che per avventura si potesse commettere contro l’etichetta. Le brillanti divise, le belle persone, la musica, il profumo dei fiori e del mare, ogni cosa intorno mi inebbriava, ma quando udii annunciare presso a me: “Sua Altezza il principe ereditario non verrà„ la mia attenzione parve sospesa ad un filo. Con quale palpito accolsi la seconda parte della comunicazione: “Avremo però senza fallo il principe Oscar„. Fu come [p. 199 modifica]se un barbaglio di luce momentanea mi accecasse. Sentivo vicina la battaglia e un ardore di lotta mi traboccava dal cuore.

La fanfara che lo annunciò sospese per un istante il battito delle mie arterie, mentre mi sembrava che ogni cosa intorno perdesse rilievo e colore offuscata dalla sua presenza.

Egli si avanzò, solo, bello come un giovane dio fra il nobile sèguito che gli stava a rispettosa distanza e la ciurma della corazzata china sul suo passaggio. Gli era bastato apparire in mezzo a quelle giovinezze fiorenti per rilevare subito la sua regalità colla quale non era possibile stabilire nessun confronto. Io lo vidi così, incoronato di bellezza e di gloria, passarmi davanti come una visione che lontanamente somigliasse a qualcuno che io avevo conosciuto un giorno, ma quanto diverso!

Egli non mi scorse a tutta prima, oppure seppe fingere di non vedermi. Siccome le danze erano state sospese al suo arrivo ordinò che continuassero e per tutta la durata del ballo si intrattenne a discorrere cogli ufficiali. Io danzavo col conte [p. 200 modifica]Lichtenstein e per ben tre volte il giro mi ricondusse di fronte a Lui. Una sola di queste volte, l’ultima, i nostri occhi si incontrarono.

Poco dopo l’aiutante del principe veniva ad offrirmi l’onore di un invito da parte di Sua Altezza. Alla baronessa, sfavillante di gioia, volli chiedere se non mi era permesso di rifiutarlo, ed ella mi guardò con un tale spavento di vedermi impazzire che rimasi vincolata dalle parole che ella stessa si affrettò a pronunciare per me.

Non pensavo sul serio certamente a rifiutare il ballo del principe, ma mi ripugnava anche un poco l’idea che egli potesse prendersi giuoco di me. Deliberai per questo di serbare un contegno freddo e dignitoso.

Al momento in cui venne a prendermi mi alzai e gli feci un inchino così rigido che mi procurò un’occhiata severa da parte della baronessa. Appoggiai appena l’estremità delle dita sulla sua manica e quando mi prese la mano dovette sentirla di ghiaccio. Le prime parole che mi disse furono queste:

— Desideravo tanto di vederla.

Penetrata dal pensiero di non servirgli da zimbello mi mancò al momento la [p. 201 modifica]replica, ma egli dovette leggere sul mio volto una specie di indignazione perchè, colla sua solita abilità di precorrere la risposta, soggiunse:

— Non volli che il nostro incontro avvenisse nelle forme equivoche del passato. Se si ricorda le annunciai già il desiderio di rifare la nostra conoscenza su base più solida. Non comprende dunque quale felicità io provo nel tenerla al mio braccio in cospetto di tutti?

— Vostra Altezza mi onora troppo.

Pronunziai questa frase insulsa con accento indifferente, ma nel medesimo istante egli interruppe con fuoco:

— Non indovina che questa festa è stata data per lei?... Fu dietro mia suggestione e col pretesto di solennizzare la guarigione del principe ereditario che l’hanno organizzata, ma io solo so perchè l’ho voluta.

La sua voce era calda, appassionata, persuasiva, nei suoi occhi azzurri c’era una fiamma che mi avvolgeva tutta. Non potevo dubitare della sua sincerità e tuttavia che cosa dovevo rispondere? In questo cambiamento delle nostre parti egli ebbe il [p. 202 modifica]maggior vantaggio, io invece perdetti tutta la disinvoltura che mi rendeva così libera nelle umili spoglie della maestra d’italiano. E un’altra circostanza ancora veniva a crescere il mio impaccio; era questo il sentimento intimo di una complicazione nuova, qualche cosa dentro di me che mi avvertiva non trattarsi più di uno scherzo. Oh! no, mi sarebbe stato impossibile ridere.

La musica sonava allora alcune battute di walzer. Egli mi prese intorno alla vita e per pochi istanti ebbi il contatto immediato del suo cuore contro il mio. Fu un lampo, una vertigine! Riprendendo il passo misurato della contraddanza, forse in causa degli sguardi che erano tutti fissi su di noi, il principe tacque. La sua mano però stringeva la mia mano con una dolcezza che sembrava salire su su per il corso delle vene a letificarmi il sangue.

Io non avevo mai provato nulla di simile.

— Riposiamo un momento? — egli disse — osservi il mare che splendore!

Ci appoggiammo al parapetto di bordo e guardando lontano nell’infinito azzurro verdastro delle onde potemmo illuderci di [p. 203 modifica]essere soli. Per rispetto infatti nessuno si era avvicinato. Il silenzio del principe continuava, ma era un silenzio palpitante che mi turbava più assai di qualunque parola e i suoi occhi fissi su di me sembravano colpi di accetta che ad uno ad uno tagliassero le reticenze e i dubbi in cui mi dibattevo. Disse finalmente ancora:

— Questo ballo da cui mi ripromettevo tanta gioia è un supplizio. Io desidero parlarle a lungo, di molte cose.... Quando potremo rivederci?

L’orchestra tacendo sciolse le coppie che si sbandarono un po’ dappertutto. Vidi il Principe mordersi le labbra intanto che mi offriva il braccio per ricondurmi al mio posto prima che io avessi trovato una risposta conveniente.

No, neppure più tardi, quando in un secondo ballo la sua voce tremava di tenerezza mormorando parole soavi come un profumo, non seppi mai mettermi al suo livello. Una timidezza nuova, uno spasimo, quasi un incantamento toglieva me a me stessa, mi rendeva incapace a connettere una frase. Mentre però mi avvilivo nel trovarmi così [p. 204 modifica]dappoco mi accorgevo pure di una grande benevolenza che era in Lui, e nel medesimo tempo in me così fiera nasceva una specie di ebbrezza per il piacere che Egli sembrava ritrarre dalla debolezza mia.

In tale stato d’animo giunse l’ora della separazione e nel momento in cui Egli a fior di labbro ma cogli occhi supplichevoli sussurrò al mio orecchio: “Domani„ e non potè aggiungere altro in causa delle persone che lo circondavano, se pure il filo di voce col quale risposi non giunse fino a lui, dovette nella risposta de’ miei occhi sentirsi rassicurato perchè il suo saluto ossequioso ebbe l’accompagnamento di un sorriso dolcissimo....

Ed ecco l’ora. Il breve riposo che potei prendere fu tutto pieno della sua immagine.... La baronessa è ancora nella sua camera. Vado.

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Egli mi ama, Egli mi ama! Come ridire l’estasi nostra nel ritrovarci a quel medesimo posto dove forse ci amavamo già senza saperlo ma dove il nostro amore si è rivelato oggi in tutta la sua forza? [p. 205 modifica]

Vorrei ridirle le sue parole divine, ma che cosa sono le parole senza l’accompagnamento della voce, dello sguardo, di tutta la persona che vibra e che freme nell’atto di pronunciarle?

La soggezione mi dominava ancora sul principio. Rammentando la libertà di modi che mi permettevo col signor Giovanni mi saliva il rossore alle guancie, di che Egli avvedendosi e sorridendo con bontà volle farmi promettere di trattarlo allo stesso modo.

Non so quanto tempo durasse il nostro colloquio. Triste felicità quella che riunendo due cuori amanti può occuparsi d’altro che di se stessa.

Amo il principe Oscar e ne sono amata. Che valore ha tutto il resto per me?... Sono felice, felice, felice.

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Mi riesce sempre più difficile liberarmi dalla baronessa. Le giornate sono brevi, piovose. Come faccio ad allontanarmi dalla villa? Ella non comprende quale piacere io provi a perdermi nei remoti viali del giardino; spero bene che non lo comprenderà tanto presto. [p. 206 modifica]Questo amore appena nato ha bisogno ancora di ombra e di mistero. Noi siamo entrambi così giovani che possiamo aspettare.

Qualche volta il sogno mi sembra troppo alto, troppo bello. Un principe del sangue!... I Bazwill, è vero, appartengono ad una antica nobiltà; non sarebbe nemmeno la prima volta che ci accostiamo al trono, poichè già una fanciulla di nostra famiglia sposò nel secolo decimosesto il nipote di un re. Oh! Egli mi ama tanto che non teme gli ostacoli, nè io li temo. Sento che nessuno al mondo avrà il potere di separarci, neppure la morte, perchè si morirebbe insieme.

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Faccio inutilmente il progetto di trascrivere i nostri colloqui. Sono ora troppo densi e ripensandoci mi accolgo che ciò che ne forma il maggiore incanto è più il silenzio che le parole.

Noi passeggiamo lungo il ruscello tenendoci per mano o stretti braccio a braccio. L’autunno copre il sentiero di foglie vizze che stridono sotto i nostri passi; io provo una grande delizia a sprofondarmi nello [p. 207 modifica]stesso solco dove Egli ha posto il piede e dove le medesime foglie che Egli ha calpestate si attaccano all’orlo della mia gonna.

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Quando precisamente disse di amarmi? Sono almeno sicura che Egli me lo abbia detto colle parole sacramentali di una dichiarazione in piena regola? Che me le disse il giorno dopo la festa? O la sera stessa quando appoggiati al parapetto dell’Albatro abbiamo guardato insieme il mare?... Propendo a credere che ci siamo amati sempre. Ho l’impressione che Egli sia nato con me, che faccia parte di me stessa. Non potrebbe essere diversamente poichè ogni distanza di grado è scomparsa e se lo chiamo ancora Altezza è solo nei momenti scherzosi, rari oramai, perchè invece di ridere ci accade spesso di sospirare.... E nondimeno siamo tanto felici!

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Non ci vediamo tutti i giorni, questo è il nostro dolore; non so ancora arrestarmi [p. 208 modifica]sul pensiero della separazione che deve avvenire presto o tardi.

Egli oggi mi parlò molto della sua famiglia. Poichè suo fratello è guarito cessa la ragione per essi di restare ad Abbazia, ma giurò che avrebbe trovato a qualunque costo il modo di avvicinarmi segretamente, finchè il nostro amore deve restare celato. Lo resterà almeno fin dopo il matrimonio del principe ereditario colla principessa Anna, nozze lungamente desiderate non tanto dai due contraenti quanto dalle ragioni di Stato.

Ringrazio Iddio che colui che io amo è esonerato da questo peso terribile della corona. La ragione di Stato, se pure esiste per i cadetti, è una ragione di minore importanza; quand’anche Sua Maestà non volesse riconoscere i diritti dell’amore c’è il matrimonio morganatico che accomoda tutto; e noi saremo beati di rinunciare a tutti i privilegi per poter vivere insieme sia pure nell’esilio.

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Non so scrivere d’altro. Egli è non solo in cima a’ miei pensieri, è il pensiero unico, [p. 209 modifica]assorbente, inebbriante. Vivo come un automa in tutto ciò che non è Lui. Le voci di coloro che mi parlano, la stessa voce di mio padre, io le odo ammorzate dalla fitta siepe di sensazioni amorose che mi circonda; mi sembrano voci lontane di persone che vivono in un altro mondo. E poichè non posso parlare della sola cosa che mi riempie il cuore, taccio.

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Oh! mio Dio, una lettera trovata nel tronco della quercia m’annunzia la sua partenza per domani e mi scongiura di andare oggi sull’imbrunire a salutarlo. Sono otto giorni che non lo vedo!

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Come possono stare così vicini il paradiso e l’inferno? la delizia del suo primo bacio e lo strazio della separazione?... Egli pure era molto commosso. Quando giura che sono il suo primo amore non mi è difficile crederlo, è tanto giovane! Ma anch’egli è stato per me la rivelazione e la vita.

Ci siamo promessi oggi solennemente [p. 210 modifica]davanti a Dio scambiando giuramento di essere l’uno dell’altro per sempre. E non ci potevamo abbandonare! Quante volte rifacemmo il sentiero dei salici! Esso è ben cambiato dai giorni in cui mi vi recavo in cerca di frescura.

Mi scriverà firmando le lettere col nome di Hans; ho deciso di mettere Berthe a parte del mio segreto; non posso fare diversamente.

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Già dicembre. Da quanti giorni non apro più queste pagine? Tutto ciò che desidero dire lo dico ora a Lui nelle lettere che gli scrivo e che sono il solo conforto alla sua lontananza. Fra poco anderemo a Parigi, ma il piacere che me ne ripromettevo un tempo è svanito. Preferirei restare qui dove ogni cosa mi parla ancora di Lui, dove vado a respirare sotto i salici ciò che di Lui può essere rimasto nell’aria e nell’acqua.

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È deciso che passeremo qui il Natale. [p. 211 modifica]Solamente alla fine di dicembre ci recheremo a Parigi. Meglio.

Ho fatto la mia solita passeggiata. Faceva molto freddo, un freddo raro in questo paese, ma lo sentivo con delizia pensando che dove è Lui fa anche più freddo.

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Dolcissima serata. La baronessa era in vena e siccome conosce tutti i retroscena delle Corti la feci parlare a lungo di Lui e della sua famiglia. Mio padre uscì in una frase che mi colmò di gioia, disse: — È molto simpatico il principe Oscar.

— Sì — confermò la baronessa — più assai del principe ereditario.

Io tacqui, io che sola avrei potuto dire quanto Egli è amabile ed amato!...

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Vigilia di Natale. Mi ha scritto una lettera riboccante di tenerezza che bacio e ribacio ringraziando Dio per la grazia concessami di essere amata così.

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Parigi, 15 gennaio.

Questa vita è una vertigine. Le visite, le feste, i teatri, i ritrovi mondani occupano tutto il mio tempo, non però l’anima mia. L’anima mia è con Lui in un giardino solitario dove il rumore di un ruscello scorrente sotto i salici accompagna solo le nostre parole.

Egli è impaziente di rivedermi. Ed io dunque?

Ha buona speranza per il nostro avvenire. Si è confidato a un parente sulle probabilità che vi possono essere di vedere bene accetto a Corte il nostro matrimonio. Impossibile non è; vi furono dei precedenti. Dio mio aiutateci!

Ieri all’ambasciata d’Inghilterra mi incontrai colle Darlington sempre allegre e motteggiatrici. La maggiore appena mi vide scoppiò a ridere dicendo: “Tu as la mine d’une femme à passion....„

Devo essere molto cambiata infatti, lo sento io stessa; lo sentii sopratutto in compagnia delle Darlington. Il loro cicaleccio frivolo e leggiero non mi interessa più, i loro flirts [p. 213 modifica]mi irritano, la loro incoscienza mi rivolta. Femme à passion.... ella non credeva di mirare così giusto.

Se passione vuol dire ardere tutta per un oggetto ed ogni altro sentimento far convergere all’esaltazione di quello, se pensare a ciò che si ama ed avere la febbre e soffrire di desiderio fino allo spasimo è passione, ed è passione l’attitudine perenne di slancio in cui si trova il cuore pronto a gettarsi in una voragine sopra un semplice cenno dell’amato, se tutto questo e la dedizione completa e l’annientamento rappresentano la passione, ebbene io sono la femme à passion che fa ridere la mia amica Darlington!

Ma se avessi ancor voglia di ridere, quanto maggiormente riderei di queste puppattole senza sangue e senza sentimento, manichini di carne atti solo a portare un abito alla moda, sterili piante di lusso che vivono e muoiono senza che sul loro arido tronco fiorisca mai la rosa viva d’amore!

Oh! Oscar, Oscar, tu che mi hai data la rivelazione della mia intima essenza di donna, ricevi questo grido sincero dell’anima [p. 214 modifica]mia: Io spero di essere felice in te e per te; ma se la sorte avversa si mettesse contro di noi, se per l’amore che ti porto dovessi soffrire, piangere e languire e morire anche, per gli istanti di gioia che mi hai dato, per la pienezza a cui portasti la mia vita, che tu sia sempre benedetto!

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Non posso soffermarmi sull’idea di rinunciare a Lui, eppure qualche volta mi domando terrorizzata: E se ciò avvenisse? Ho posto il mio amore troppo in alto per essere sicura di poterlo raggiungere. No, non sono sicura, spero solamente, ma spero tanto. Egli continua a rassicurarmi. Le nozze del principe ereditario sono fissate per questa primavera; dopo, Egli parlerà.

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Mi sono esaminata bene. Nel mio amore non vi è nessun miscuglio di vanità. Lo amavo a mia insaputa prima di conoscere il suo grado, ma il mio amore non era affatto cieco; esso mi ha guidata verso il più [p. 215 modifica]bello, il più nobile, il più buono degli uomini. Che cosa dirà mio padre? Oh! egli potrà gioire d’orgoglio mettendo la sua Elganine così vicino a un trono. Il riflesso del suo contento mi renderà anche più felice.

E la faccia della baronessa in quella occasione?... Mi pare di amarla un pochino anche lei, cara baronessa, per la grande felicità che è in me e che vorrei diffondere su coloro che mi circondano.

Ho promesso a Berthe che non mi abbandonerà mai.

E fräulein Dorothée? Ma le scriverò, sicuro. Non era cattiva fräulein, la cattivella ero io. Adesso invece mi sento piena di indulgenza. Povera vecchia fräulein, nessuno le ha mai parlato d’amore!

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Sono ben poco fedele al mio giornale; ma i giorni e le settimane passano così veloci in questa città che mi rimane appena il tempo per scrivere a Lui. La fine del carnevale accumula feste su feste. So che il conte di Pruth ha chiesta la mia mano, [p. 216 modifica]so che mio padre rispose che sono ancora troppo giovane.... benissimo, mi ha risparmiata la noia di dire di no. Quanto all’essere troppo giovane mi permetto di non avere la stessa opinione.

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Una grave notizia oggi. Dicono che il principe ereditario sia ricaduto ammalato. Sarà un nuovo ritardo per il matrimonio.

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Nessuna lettera di Lui! Non capisco, temo, mi affanno a immaginare ed a indovinare. I giornali si chiudono in un prudente riserbo. Il Figaro anzi smentiva la notizia della ricaduta, tuttavia le voci si ripetono insistentemente.

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Sono sempre senza lettere. Che sarà mai?

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Gran Dio! Il principe ereditario è morto. Segno questa data fatale: 27 febbraio; ma non ho il coraggio di pensare, di formulare [p. 217 modifica]nemmeno il più piccolo concetto sulla orribile disgrazia.

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Otto giorni di febbre continua mi separano dalla data fatale. Le poche parole che Egli mi ha scritte non valgono a tranquillizzarmi. Che sarà di noi?... Egli giura ancora di amarmi, ma lo potrà domani? Sarà libero quando lo avranno proclamato crede della Corona? E non avere nessuno in cui confidarmi, a cui domandare consiglio!

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Villarosa.

Sono ancora a Villarosa? Dal momento in cui mi trovarono svenuta sul mio letto ho una nozione assai confusa di ciò che avvenne intorno a me. I medici consigliarono a mio padre di portarmi via da Parigi e se qualche cosa potesse confortarmi certo sarebbe questo ritorno nei luoghi dove ci siamo amati. Ma nulla mi conforta.

Io voglio vederlo! Non è possibile che [p. 218 modifica]tutto finisca così. Ci siamo scambiati promessa di fedeltà eterna. Sono sua! Sono sua!

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Ho pianto disperatamente sotto i salici chiamandolo ad alte strida. Voglio vederlo. Voglio vederlo. Dio, ascolta la mia preghiera!

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Come non credere che Dio ci ha dato un’anima sola per entrambi, se lo stesso desiderio ci spinge nelle braccia l’uno dell’altra? se intanto che lo chiamavo Egli veniva a me ardente del mio amore medesimo?

Dobbiamo vederci; ad ogni costo devo trovarne il mezzo poichè egli mi scrive che passerà otto giorni in un castello dal quale gli sarebbe possibile recarsi qui alcune ore della notte.

Il piano è ardito e mi fa tremare.... ma se perdiamo questa occasione Egli non mi nasconde che non sa vederne altre.

Berthe mi è affezionata, lei sola può aiutarci. [p. 219 modifica]
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Tutto è combinato per questa notte. Mi sembra di essere pazza d’amore, pazza d’ansia. Quando tutti dormiranno Berthe lo introdurrà in uno dei salotti terreni, quello che si apre verso la campagna e che noi non abitiamo mai....

Saprò alla fine che cosa devo sperare, che cosa devo temere; ma se l’amor suo è costante di nulla temo ed anche senza speranza nessuno saprà strapparmi a Lui.

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Chi potrebbe disgiungerci ora? Quale potenza terrena sarà più forte del nostro amore, più forte del giuramento che abbiamo fatto di vivere o di morire insieme?

Che cosa io potevo pensare, stretta nella sue braccia, se non alla gioia di avere incontrato all’alba della vita colui che ho sognato, che ho desiderato e invocato nelle mie visioni più segrete, che non mi abbandonerà mai più?

Quale dovere, poichè sono sua, poichè Dio lo ha permesso guidandolo a me ricco di [p. 220 modifica]tutti i suoi doni, quale dovere ho io maggiore del dovere d’amarlo? E chi di tutti coloro che non lo conoscono sa il fascino penetrante della sua parola? E fra coloro stessi che lo vedono e lo ascoltano tutti i giorni, esiste una sola persona che lo abbia avuto, come io lo ebbi, trasfigurato a’ miei ginocchi da una passione sovrumana?...

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Ore divine, perchè non posso fissarvi accanto agli astri che stanno immobili nel firmamento e che splendono eterni sulle gioie degli uomini?

Voi passerete, ore divine, e per quante altre me ne prometta l’avvenire io so che voi non farete ritorno. Nulla ritorna mai! I baci che ci scambiamo adesso non somigliano al primo bacio che mi diede partendo, le nostre anime sono diverse da allora, perchè l’amore ci ha trasfigurati e un’anima nuova è sorta dalla fusione delle nostre anime prime.

Ore, istanti, attimi fuggitivi di una felicità che non ha nome, siete voi la realtà o siete il sogno? [p. 221 modifica]
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Questa notte, colla grande bufera che c’è stata in mare, non lo aspettavo. Egli venne egualmente ma mi disse che sarà l’ultima volta. Affari urgenti lo richiamano a Corte. Mi parve pallido e abbattuto.

Compie il mese da che è morto il principe ereditario. Il principe ereditario ora è Lui.... com’è possibile che rinunci al trono per sposarmi? Lo dice, e intanto che mi bacia io lo credo, ma l’Imperatore lo permetterà? E se non lo permette avremo il coraggio di fuggire insieme?

Gli ho ripetuta la voce che circola con insistenza sul progetto di riprendere in suo nome le trattative di nozze colla granduchessa Anna.... Egli non mi rispose che stringendomi fra le sue braccia.... Le nostre lagrime si mischiarono insieme.

Un giorno spero, un giorno temo; ora mi sorride il futuro scintillante nel trionfo completo del nostro amore, ora non vedo che tristezza e pianto. Saremo noi nati nelle sfere privilegiate della società, fra coloro che si chiamano i felici, per non potere neppur [p. 222 modifica]raggiungere il modesto bene permesso ai derelitti?

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È partito! Non so quale occulto presentimento togliesse ai nostri ultimi baci la dolcezza della speranza, conforto unico degli amanti costretti a separarsi; i nostri addii furono strazianti laggiù presso quella porticina dove la mia fedele Berth ci attendeva, piangendo anch’essa per simpatico consenso, ma non sapendo ancora che cosa io perdo, perdendolo.

Ella vive tuttora nella ingenua credenza che un re possa fare la propria volontà assai meglio degli altri uomini. Berthe non conosce la storia di Maria Mancini; io l’ho riletta in questi giorni con vero spasimo di curiosità. Era pur bella Maria Mancini, e il re di Francia l’amava!

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Ma Egli mi ama di più; Egli non cederà a nessuna pressione di consiglieri, a nessuna ragione di Stato. Egli è mio, io sono sua. Il nostro diritto di creature libere sta [p. 223 modifica]al disopra di qualsiasi ragione e dal momento che Egli è disposto a rinunciare al trono, neppure suo padre potrà impedirci di essere felici a modo nostro seguendo l’impulso dei nostri cuori.

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Ho veduto il ritratto della granduchessa Anna. Non è bella, ah! no. È anche più vecchia di Lui, e poichè ella era la fidanzata del defunto principe ereditario ed Egli è il mio fidanzato, se queste orribili nozze avvenissero non sarebbe che il lugubre matrimonio di due vedovi. È possibile?

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Non mi ha scritto ancora. Che debbo pensare?

Leggo assiduamente sui giornali le più piccole notizie che lo riguardano. Ieri è stato a visitare una caserma; fortunati soldati. Ha detto al colonnello: “Io sarò sempre con voi„. E a me nulla!

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Due parole, due sole “Ti amo„ È molto? [p. 224 modifica]È poco? Non so. Sento però l’insufficienza di queste due parole a consolarmi nella mia solitudine, a calmarmi nei dubbi ogni giorno rinascenti. Perchè non scrive quella lunga lettera circostanziata che mi ha promessa e il risultato del colloquio che doveva avere coll’Imperatore?... A momenti sono calma, forte, fiduciosa; in altri mi prende una tale tristezza che vorrei non essere mai nata.

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A quale lieve filo sta attaccato il riso e il pianto! Sono andata in questo bel giorno di primavera a rivedere il mio ruscello, i salici, il sentiero, il muricciuolo, tutto il mio regno infine e il mio mondo. Mi venivano in mente con singolare insistenza due versi italiani da tanto tempo dimenticati:

          Ogni stagion mi dice: ecco ch’io ritornai
          Ma i tuoi bei dì non torneranno mai.

Ripetendoli in quel luogo tutto pieno di memorie, in quella lingua che fu complice e confidente del nostro amore, là dove fui felice con Lui, ora che mi circonda la solitudine e l’abbandono, le lagrime mi scorrevano irresistibilmente. [p. 225 modifica]

Oscar, Oscar, Oscar dove sei?

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Ancora una lettera che non mi fa contenta. Mi parla in essa di grandi occupazioni, di pensieri gravi, e non una parola relativa al nostro avvenire. L’amico mio, il mio amante, il mio sposo, in questa lettera non c’è.

Trapela da ogni frase la ricerca forzata del vocabolo impreciso; mi sembra ad ogni riga di vedere drizzarsi una barriera.... Mio Dio, mio Dio, che sarà di me?

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AVVERTIMENTO.

Qui finisce il giornale di Elganine.

Pochi giorni dopo aver scritte le ultime parole un biglietto del Principe la pregava a voler ricevere un suo messo incaricato di un’importante comunicazione segreta.

Elganine non potendo disporre liberamente di altre ore, lo ricevette alla notte in presenza della fida Berthe. Uscendo da quel [p. 226 modifica]dialogo ella cadde in uno stato tale di abbattimento che per alcuni giorni si temette della sua vita.

Il messo del Principe, investito del profondo cordoglio del suo signore, le aveva comunicata la decisione ferrea, la terribile ragione di Stato, sotto la quale l’erede della corona aveva dovuto piegare la fronte: il matrimonio colla granduchessa Anna.