Alessiade/Libro Secondo
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DI
ANNA COMNENA PORFIROGENITA
CESAREA ALESSIADE
LIBRO SECONDO
SOMMARIO.
ALESSIADE SECONDA.
I. RIMANDIAMO ai Comentarj del nostro Cesare chiunque brami conoscere più distintamente da quale e quanto illustre serie di generazioni l’imperatore Alessio abbia tratto i natali; ed ivi e’ troverà, eziandio una perfetta notizia dell’operato da Niceforo Augusto di cognome Botaniate. A me basta di qui ripetere il detto nel precedente libro, ed è che Giovanni Comneno, mio paterno avo, infra la sua numerosa prole diè in particolare alla repubblica tre illustri figli: Manuele, lsaacio ed Alessio. Al primogenito Manuele venne fidata da Romano
Diogene, a que’ dì imperante, la prefettura di tutta l’Asia col nome di supremo duce, e con piena autorità sopra le guerresche bisogne di quella regione. Il secondogenito Isaacio, creato dal medesimo Augusto governatore d’Antiochia, partecipò unitamente all’anzinato fratello delle ben molte eroiche imprese, vittorie e dei trofei, che diffusamente illustrarono il nome romano e quello de’ comandanti stessi. Mio padre Alessio in seguito fu eletto a duce, con supremo potere, della spedizione contro Urselio, ordinata dall’assiso in trono Michele Duca. Il costui successore inoltre di nome Niceforo, uditi più e più volte copiosi discorsi relativi all’arte ed al bellico valore del padre mio, ed alle molte ricordevoli imprese da lui eseguite, con sommi encomj di bravura, militando nelle varie guerre orientali sotto gli auspicj del fratello Isaacio, ed alle sue prudenti e valorose geste, addivenuto comandante in capo nel guerreggiare Urselio, affatto debellandolo, Niceforo, dico, reputò così lui come Isaacio degni dell’amore suo. Ne’ col volto mentiva il sincero affetto verso entrambi, non rivolgendosi
ad altri con più giulivo sguardo, e non rade volte avendoli suoi commensali.
II. Ora queste benevoli dimostrazioni valsero ad accendere l’invidia negli animi di molti, e soprattutto potentissimamente in quelli de’ prefati due barbari di scitica stirpe, Borilo e Germano. Costoro pertanto vedendo i Comneni, quantunque bersagliati dal pessimo de’ vizj, essere non di meno assai favoriti, stimati e continuamente possessori della grazia imperiale, di livore intristivano. È di vero forte pungevali che mio padre, nel cui volto non compariva ancora la prima caluggine, fosse innalzato alla carica di prefetto con decreto orrevolissimo d’Augusto, e prescelto infra tutti, come di tutti il primo, a comandare con autorità suprema gli eserciti delle occidentali provincie. Ma di già nell’antecedente libro si è da noi copiosamente esposto con quanto valore e prospero evento fossero da lui ridotte a termine quelle imprese, erigendo cotanti trofei, sconfiggendo numerosissimi tiranni e presentandoli prigioni all’imperatore. Se non che tali geste per nulla attalentavano gli invidiosi, il cui livore, come fiamma sparsovi sopra olio, vie più aggrandiva. Quindi Germano e Borilo ivano di ascoso macchinando infra loro molte calunnie contro de’ Comneni, molte ne bisbigliavano all’imperiale orecchio, e pur di molte reità incolpavanli apertamente così per sè stessi come per altri, tendendo con varj scaltrimenti ed assalti all’unico scopo di levarsi entrambi dagli occhi.
III. La mercè di questi brogli i Comneni, volta la mente alle proprie faccende, opinarono ottimo espediente quello di procacciare col favore dell’imperatrice l’allontanamento de’ sinistri, cui soggiacerebbero perdendo la grazia sovrana. Eccoli quindi frequentare la reggia dell’Augusta, coltivarne la persona, compiacerla, e di lei sola, infra tutti, conciliarsi la benevolenza, corteggiandola con ogni maniera d’urbanità e rispetto. Ed erano a bello studio fatti per dare in brocco, di modo che riputando altrui meritevole di partecipare alla società loro infallibilmente ve lo traevano, quantunque d’un animo fermo qual pietra. In quanto poi al patrocinio dell’Augusta Isaacio erane di già in possesso, eletto molto prima da lei (trovatolo superiore a tutti nel maneggio degli affari civili e militari, ed in più rispetti simigliante ad Alessio), a preferenza d’ogn’altro, per isposo della regale vergine sua cugina; ma non bastavagli di vedere in salvo le proprie bisogne giudicando tuttavia in pericolo il fratello. Volse dunque seriamente il pensiero anche a lui, volendolo trarre seco nello stesso porto, ed a riuscirvi divisò mettete in opera tutto il favore derivatogli dalla nuova parentela onde renderlo bene accetto all’Augusta. Narrano sì forti essere stati i vincoli d’amore infra Oreste e Pilade, che ambedue nelle battaglie, posto in obblio il proprio periglio, si esponessero volontariamente ad incontrare quello dell’amico, ed a gara l’uno facesse del suo petto scudo alle nemiche quadrella per renderne l’altro invulnerabile. Ora un che di simile si riprodusse in questi; poichè la pietà d’Isaacio, sebbene tutelata ed in piena sicurezza, rattristavasi non di meno al fraterno pericolo, ed un vero nulla estimava gli abbondanti onori e beni di cui era in possesso, quando non rendesse partecipe della propria felicità anche il fratello. Nè lungo tempo attese il conseguimento di questi suoi desiderj, poichè, supplicati i famigliari di lei a persuadergliene, l’Angusta risolvè prontamente di adottare a figlio Alessio. In determinato giorno dunque convenuti entrambi nel palazzo, ella, adempiuto a tutti gli obblighi portati dalla legge, e colle formule da lei stessa in altr’epoca stabilite, passa all’atto dell’adozione. Mio padre di poi, dato bando a ogni timore e sollevato da una grande inquietezza, frequentava la regia unitamente al fratello e, nulla curante gli astiosi, tributava ai sovrani le dovute cotidiane salutazioni1, recandosi impertanto ambedue con maggiore assiduità presso l’Augusta, così essendosi quasi stabilito e convenuto infra loro, non appena a bastanza intrattenuti s’erano coll’imperatore.
IV. Se non che la grandissima famigliarità de’ Comneni co’ regnanti somministrò nuovo fomite all’invidia, ma eglino tosto vedutone, direi, il fumo, rettamente paventando non essere ad un tratto incolti dalla suscitatasi repentina fiamma, cominciarono a darsene maggior pensiero, indagando se avessevi speranza o mezzo, aggirati da tante insidie, di provvedere col divino aiuto alla propria salvezza. E parve ad essi, umanamente pensando, l’unica e più diritta via a conseguire l’intento quella di ricorrere, scelta idonea occasione, all’Augusta, e parteciparle tutto il mistero del segreto consiglio ravvolto nelle menti loro, ed era di abbandonare la corte, ritenendolo profondamente ascoso nel petto, ed usando ogni possibile diligenza onde altri non avessene sentore, come appunto i pescatori guardansi dallo spaventare innanzi tempo la preda, acciocchè gli astiosi, rappresentando con malizia lor fuga, non giugnessero ad impedirla. Ma e’ si pareva cimento arduissimo il tenerne discorso a lei, non sapendosi pronosticare che sarebbe per nascere, se ella, quasi indotta da brama di farsi ad entrambi soccorrevole, riferito lo avesse al consorte, pensandosi, dirò, far servigio a questo ed ai Comneni. Laonde usciti di speranza del buon successo di un tal disegno volgono altrove gli animi, svegliati e destri a non lasciarsi fuggire le occasioni.
V. Botaniate, esausto di forze per la provetta sua età, senza prole, nè più idoneo a procrearne, considerandosi alla per fine mortale, iva rimestando cui lasciare l’impero. Eravi a que’ di un Sinadeno venuto dall’Oriente, d’illustre schiatta, di belle forme, d’animo generoso, forte di braccio, e d’una età superiore alla puerizia. L’imperatore adunque, unito a costui con qualche legame di parentela, bramava fossegli successore nel trono; imprudentemente per verità, essendovi nella reggia il figliastro Costantino, avente padre ed avo Augusti, cui dando la preferenza ed avrebbe seguito il retto e l’onesto, e sarebbesi tanto più certamente assicurata la benevolenza di Maria Augusta, madre del giovincello, oggetto di non poca utilità alla sua propria salute e sicurezza. Con solo un fatto pertanto, mostratosi ad un’ora ingiusto ed imprudente vecchio, e’ demeritò verso il pupillo e fabbricossi il proprio malanno. Sparsosi dunque il romore mediante segreti bisbigli di tale divisamento, l’Augusta ne fu incredibilmente agitata, pensando che il figlio verrebbe a perdere la speranza di ascendere il trono, e mesta ed inquieta si vivea senza disvelare ad alcuno la piaga del suo cuore. Ma i Comneni, ben dato nel segno intorno all’afflizione di lei, stabilirono di visitarla più confidentemente, rinvenuto che avessero la opportunità, ed eran tutti nel rintracciarla.
VI. La madre poi, direttrice de’ Comneni, risoluto avea di esordirne ad Isaacio il discorso; e questi avuto segreto accesso, in compagnia del mio genitore, appo lei: Dond’è mai, o Signora, dissele, il mirarti non più come ieri e ieraltro giuliva? che anzi il tuo volto ed aspetto appalesano evidenti segni d’una occulta ambascia, e del dolore che ti lacera profondamente l’animo, quantunque venga da te compresso nella più recondita parte del tuo petto, mancandoti persona a bastanza fedele, cui liberamente poterlo comunicare. Ma ella guardossi per ancora di esporne la cagione, e tramandato un profondo sospiro così rispose: A chi mena sua vita in paese straniero, lunge dalla terra natale, non lice addimandare il perchè s’addolori, essendo in fe mia tal condizione abbondevol motivo di attristamento; a me inoltre, sciagurata pur sono, siccome fin qui mali da mali derivarono, così veggo sovrastarne ben da vicino di non più lievi! Alle quali parole i Comneni ammutoliscono, ed abbassati gli occhi al suolo e piegate ambe le mani alla foggia d’uom oppresso da cordoglio, intrattengonsi qualche tempo silenziosi; fatto quindi l’accostumato inchino si partono. Tornati la dimane e vedutone più ilare di prima lo sguardo, pigliarono cuore e dissero: Tu sei la nostra Signora, e noi, affezionatissimi tuoi servi, ci dichiariamo pronti ad incontrare per te sofferenze comunque. Laonde nessun triste pensiero ti conturbi, nè voler permettere che il passionato animo tuo si strugga per tema di aprirsi ad altri. L’Augusta, incorata dalle costoro proteste e dato bando ai sospetti, miseli finalmente a parte dell’arcano, quantunque eglino, esperti nel giudicare gli animi dai volti umani, l’avessero di già, mediante industriose congetture interpretato; quindi passarono a magnifiche promesse: conserverebbonsi a lei fedeli insino agli estremi; in qualunque tempo venissero richiesti di loro assistenza, accorrerebbero con tutte le proprie forze a prestargliela, rimossa ogni eccezione; respignerebbero così da lei come dal figlio tutti i pericoli riferentisi alla persona ed alla dignità; legherebbero con indissolubile patto sociale i destini dell’Augusta ai loro stessi e, giusta l’apostolico detto, allegrerebbonsi co’ gaudenti, e sciorrebbonsi in pianto ai pianti altrui; non dovesse pertanto attristarsi vedendosi lontana dalla patria e disgiunta da’ suoi benivolenti e consanguinei, dispostissimi eglino medesimi a supplirle quanto si può attendere dall’amicizia e dalla parentela. Da ultimo, procurato avrebbero di farle comprendere che la fedeltà e benevolenza loro non riuscirebbonle punto inferiori a quelle d’individui aventi e patria e lari comuni. Dirigevanle soltanto ferventissime suppliche tendenti a renderli tosto avvertiti, se mai gli invidiosi cimentassersi a tenere discorsi coll’imperatore o con lei stessa contro di entrambi, altrimenti avviluppati rimarrebbonsi all’improvista nelle reti nemiche. Sperare eglino che la buona causa dell’Augusta, rafforzata dal possente aiuto loro, nulla abbia a temere dall’invidia; nè unquemai permetteranno ch’ella sia costretta a dismontare dal trono, ed il figliuol suo Costantino debba rinunciare alla speranza della successione all’impero. Così da ambe le parti si venne con breve sermone agli accordi, renduti poscia inviolabili colla santità del giuramento. E di vero più lunga diceria potuto avrebbe rendere sospetti gli invidiosi.
VII. I Comneni sollevati per cosiffatta lega da grave mole di affanni con più ilare aspetto intrattenevansi presso l’imperatore. Ed avvegnachè ambedue fossersi artefici sommi nel dissimulare il compresso dolore (Alessio ancor più del germano), non di meno per lo innanzi il tenore dei volti a pena era giunto a coprire le interne rancure. Se non che per la stessa confidenza loro aumentatosi l’odio degli astiosi, nè cessando le segrete maldicenze, eglino avvertiti dall’Augusta, fedele alle sue promesse, che i due servi concertato aveano, abusando della imperiale bonarietà, di liberarsene, risolverono di non più comparire giornalmente a corte insieme, giusta il praticato finora, ma oggi l’uno, la dimane l’altro, appigliandosi a tale prudente consiglio onde se alcuno di loro cadesse nelle insidie di quegli Sciti, in allora potentissimi, riuscisse almeno all’altro il sottrarsi con pronta fuga, all’uopo d’impedire l’annichilamento dell’intiera famiglia. Le costoro faccende tuttavia trovavansi in migliore stato di quello che i sospetti facevano paventare, godendo amendue maggiore estimazione che non i proprj avversarj, per quanto e’ sembrassero potenti, come di leggieri apparve nella congiuntura che prendo qui a riferire più distintamente.
VIII. Botaniate all’annunzio che i Turchi occupato aveano la città di Cizico2, issofatto mandò chiamando Alessio, e correva il dì nel quale a tenore della convenzione loro Isaacio solo presentarsi dovea alla corte, laonde questi non poco maravigliossi all’incontrarvi il fratello; addimandatogliene, breve e precisa fu la risposta. lntrodotti quindi ambedue, ed eseguito di conformità il saluto, Botaniate ordinò che attendessero un poco, e giunta l’ora di porsi al desco li volle suoi commensali. Quivi assisi, negli opposti lati della mensa, l’uno di contro all’altro, al rimirare i mesti volti de’ circostanti, ed il modo con che andavano bisbigliando infra loro arcani detti, lasciaronsi di parità sorprendere dal timore non fossersi colà ragunati, per mene degli insidiatori, a fine di esterminarli prontamente; con furtive occhiate adunque, come poteano il meglio, si consigliavano e confortavano a vicenda. Qui giovò loro quella piacevolezza con che da gran tempo e’ soleano, mediante graziose parole, corteggio onorifico ed ogni maniera di officiosità, conciliarsi la benevolenza di tutti i cortigiani. Con quest’arte poi eransi massimamente cattivato l’animo dello scalco, il quale perciò mirandoli con occhio ilare ed affettuoso, all’andargli da presso un donzello d’Isaacio: Annunzia, dissegli, al signor tuo l’espugnazione di Cizico, confermata da pistole di là giunte. E quegli tosto nel porre sulla mensa i serviti con bassa voce riferì la nuova al padrone, il quale incontanente, mosse a pena le labbra, ne fe’ cenno al germano. Alessio fornito di prontissimo ingegno per comprendere dal menomo indizio checchè si fosse, colla rapidità del fuoco spingendo avanti i suoi pensieri, venne di subito a comprendere il tutto. Non altrimenti fattesi ad entrambi palesi le cagioni del silenzio e della mestizia, e dileguatisi negli animi loro i concepiti sospetti, e’ con tranquillità si acconciavano in bocca le risposte che darebbero al sovrano quando fossero consultati di corto sopra le misure da prendere nelle presenti circostanze. Intanto ch’eglino s’occupavano in questi pensieri, Botaniate volgendo i suoi sguardi ad entrambi manifestò loro, estimandoli tuttavia ignari dell’avvenuto, la strage commessa in Cizico. E queglino di già consapevoli del grave sinistro, e muniti di confortativi mezzi ne’ tristi occorrimenti e nelle espugnazioni delle città, rassicurarono di leggieri con adatto ed eloquente discorso il dolente animo di Augusto, incorandolo a sperar bene, potendosi la piaga sanare; e perchè non abbia a patir danno la salvezza e prosperità del capo dell’impero, come a dire di Botaniate stesso, avrebbero con prontezza rispinto per la settima volta i barbari predatori entro ai loro confini. Soddisfatto l’Augusto dell’udito sermone e degli autori di esso, die’ commiato ai commensali, e libero da timore passò il resto di quel giorno.
IX. Dopo di che i Comneni, rassicurati del come si stessero innanzi al sovrano, cominciarono a frequentare più assiduamente la reggia e ad inescarne colle più studiate urbanità i famigliari, a tenersi lontani accuratamente dal recar motivo di maldicenza, o pretesti d’odio ai nemici; a mettere infine ogni industria nel cattivarsi la universale stima e benevolenza. Oltre di che si proposero di continuare indefessamente nella ricerca dei mezzi atti ad affezionarsi ognor più Maria Augusta, ed a persuaderla che soltanto per lei viveano, e su di lei unicamente fissi aveano i loro sguardi. Nè a conseguir l’intento e’ difettavano di validissimi appoggi, ad Isaacio tornando bene il matrimonio contratto colla cugina della regnante, ad Alessio l’affinità derivatagli da queste nozze, e di soprappiù l’adozione, del che in ispecie facendosi puntello scevro da sospetto o sorpresa di chi che si fosse iva di sovente a visitarla come sua madre. Non ignari con tutto ciò dell’implacabile ira di que’ due barbari, i quali fidando nella imperiale bonarietà volgevanla a loro talento ove meglio bramassero, paventavano di continuo a ragione così la perdita della grazia sovrana, come il pericolo di addivenire preda e vittime dell’inesorabile odio de’ loro nemici, rendutisi forti coll’imperiale fidanza. E di vero che mai accertatamente può stabilirsi intorno ad animi cotanto volubili, ed a foggia dell’Euripo3 sempre ondeggianti pel non interrotto flusso e riflusso delle mal ferme loro passioni?
X. Tra questo mezzo i servi penetrati da eguale pensiero non desistevano punto dal concepito proposito; ma estimando vane le insidie, e vedendo i Comneni di giorno in giorno acquistare credito e possanza maggiori, alla perfine dopo molti discorsi convennero di venire alle corte; ed in che modo? A nome dell’imperatore, quantunque all’insaputa di lui, chiamerebbonli ad un tratto nelle ore notturne, ed incolpati di falso delitto priverebbonli tosto della visione; tale in compendio il progetto loro. Isaacio ed Alessio, avutone certo avviso, riputarono, dopo lunga ed affannosa deliberazione, non rimanere scampo alla propria salvezza della ribellione all’infuori, da necessità estrema trascinati a sì grave passo. Ed a fe del Nume chi mai comporterebbe di attendere che il rovente ferro applicato a’ suoi occhi togliessegli di botto la benefica vista della luce e del sole? Tennero non di meno occulto entro sè stessi il combinato accordo insino a tanto che si presentò loro, dopo breve indugio, la propizia occasione di mandarlo ad effetto.
XI. Era stato commesso a mio padre, in allora gran domestico dell’Occidente, di raccogliere nella città parte dell’esercito all’uopo di metterlo in punto contro gli Agareni4 predatori della città di Cizico, e valendosi egli di tale coverta chiamò a sè per via di lettere i più fidi suoi duci. Costoro accorsi premurosamente da ogni banda nella città, uno del numero, sedotto da Borilo altro de’ servi, presentossi all’imperatore coll’inchiesta se per comandamento di lui il gran domestico ragunato avesse nella regia città l’intero esercito? Botaniate, uditone, di colta manda per mio padre, volendo conoscere se vera la riferta. Alessio dichiaragli che aveavi alla buona fe introdotto, giusta gli ordini ricevuti, non tutto l’esercito, ma solo parte di esso, componendo il suo discorso con tanta verisimiglianza da conciliarsi piena fede. Originare poi tale voce, egli proseguiva, dall’essere disperse in varj luoghi le coorti quivi giunte, di maniera che marciando ognuna dalla propria stazione per riunirsi nella città, presso a non sapevoli della bisogna destossi il sospetto non l’intero esercito vi mettesse piede. Borilo impertanto con prolissa diceria piativagli contro (il secondo insidiatore, Germano, fornito di più semplice natura, meno allora gli si oppose), ma prevalse l’autorità d’Alessio fermo a negare il fatto, ed a pieni voti fu assolto. Costernati i barbari per l’inaspettato esito del giudizio, e vedendo che una cotanto verisimile accusa non avea in conto veruno distolto l’animo imperiale dal gran domestico, uscirono di speranza delle cose loro se non dessero prontamente mano alla combinata vendetta; quindi statuirono di compier l’opera durante quella stessa notte.
XII. Tutta la genia de’ servi è nemica de’ suoi padroni, e quando non possa recar loro danno, volge lo sdegno a’ compagni nel servaggio, ed avvenntasi ad alcuno contro cui sfogare il proprio livore dàgli spietatamente addosso. Mio padre ebbe appunto così a sperimentare la natura e l’indole, come a un di presso narrava, d’ambo que’ servi. Giva intorno la voce che Borilo, assistito da Germano partecipe del segreto, aspirasse all’impero. Fittisi pertanto in capo di balzar dal trono il regnante, erano ben lontani dal nimicare i Comneni per zelo di provvedere alla dignità e salvezza di lui; ma opinando non ancora opportuno e sicuro consiglio il dare principio all’assalto, apparecchiavansi a far vittime di loro crudeltà i due germani; e di già, pronti ad eseguire, bociavano quanto da prima sol tra’ denti aveansi parlottato. Ora un antico uffiziale imperiale, di schiatta alana e di onoranza maestro5, porto attento orecchio all’empia deliberazione, corse pieno d’orrore per sì grande scelleranza, giunta la notte al suo colmo, ai Comneni, e sciorinò il tutto ad Alessio; havvi poi voce che il maestro tale operasse non senza saputa dell’Augusta; checchè ne sia, egli è introdotto dal gran domestico presso al fratello ed alla madre, i quali, udito il tremendo annunzio, dichiararono essere giunta l'ora di compiere i fatti concerti, e di mettersi coll’aiuto divino sull’unica via di salvezza in poter loro.
XIII. E poichè mio padre sapea che l’esercito alla posdomane sarebbe a Tzuroli (cittadetta a confine della Tracia), tosto recossi, nella prima vigilia della notte, a visitare Pacuriano, uomo per verità di piccola mole, giusta il poeta, ma valoroso guerriero, di schiatta illustre ed armeno di nascita. A costui Alessio racconta l’ira e l’astio de’ servi, le trame da pezza ordite, e l’ultima scoperta ribalderia dello stabilito accecamento e suo e del germano, il perchè richiedelo di consiglio, come dire, se a foggia di mancipj e’ debbano tollerare servilmente l’estremo de’ mali, o, uopo essendo perire, facciansi ad incontrare la morte coll’oprar da forti, e non a mo’ di schiavi sommettervi le cervici loro. Cosiffattamente, di conformità alla sua grandezza d’animo, peroratosi da mio padre, Pacuriano comprendendo la urgenza di non perdere tempo, rispose: Partendoti domani ai primi albori verrò teco, disposto a seguire i tuoi destini; se indugii un momento di più, ritieni: io stesso presenterommi ad Augusto per indicargli da mia posta i tuoi divisamenti. Siati a cuore, soggiugne Alessio, la mia salvezza, il che ottenuto n’andrò debitore alla benefica provvidenza del Nume. M’uniformerò dunque, non dubitarne, al tuo consiglio; ma orsù giuriamo entrambi i nostri accordi, ed il giuramento prestato fu del tenore seguente: Ove Alessio pervenga ad assidersi nel trono imperiale, conferirà immediatemente la dignità di gran domestico, di cui va fregiato, a Pacuriano. Mio padre quindi, salutato costui, andò a visitare Umpertopulo, altro personaggio tra’ primi in valore, il quale udito quanto si passava, il motivo della fuga, e la necessità di por mano a novitadi, non tardò lungamente, quasi di moto proprio, a dichiararsi volonteroso di aver parte seco nel progetto e ne’ perigli: Eccoti, dicendo, in me un prontissimo e fermissimo difensore, qualunque risico sia per correre la tua dignità e salute.
XIV. Tali amicizie poi di chiarissimi personaggi erasi procacciato Alessio col proprio valore, colla prudenza sua, e molto più col mostrarsi sommamente liberale verso ogni ceto di persone. Conciossiachè quantunque possessore di mediocri ricchezze, non essendosi mai adoperato ad accumularne rapinando, nè datosi gran pensiero di accrescere le sue rendite, non di meno, siccome la vera liberalità acquista maggior pregio dall’animo del donante che non dalla grandezza e dal valore attribuiti ai doni, spesso avvenendo che il poco diasi con amore e generosamente, ed il molto con grettezza e sordidamente, era mio padre riuscito, infin da quando si vivea colla sua privata fortuna, presentando non istentatamente poco danaro, a farsi anteporre a que’ diseppellitori di tesori, Creso e Mida, i quali sopra l’oro adagiavansi ed in minuzzoli tagliavano il cimino. Questa ed altre simiglianti virtù da gran pezza in lui osservate indussero gli antedetti personaggi ad accogliere all’istante col massimo favore la proposta di metterlo in trono. Egli pertanto ricevuto anche da costui il giuramento sen torna alla propria casa e narra il tutto a’ suoi. Divulgatosi allora infra la plebe l’avvenuto, la parte di essa propizia a mio padre mostrò con popolare cantilena per la città di essere al fatto di quanto egli macchinava e di approvarlo. Tale a un dipresso era il carme rozzamente composto: Nel sabato appellato dal cacio6 con quanta furberia operi tu, o Alessio! il quale nel giorno succedente alla domenica a mo’ di veloce sparviere ti sottraesti dalle reti de’ barbari insidiatori.
XV. Se non che Anna Dalassena, madre dei Comneni, avea precedentemente fatto venir seco il genero, nipote di Botaniate, per darlo in isposo alla figlia di Mannele suo primogenito. Intimoritasi pertanto non il pedagogo del giovincello al primo sentore della ribellione e corresse frettolosamente ad avvertirne l’imperatore, s’appigliò, onde porvi riparo, al seguente partito: Sul far della sera ordina che approntinsi i suoi equipaggi, quasi voglia, giusta la constumanza, procedere alla visita delle sante chiese del Nume. Trovatisi dunque tutti pronti menan fuori i destrieri dalle stalle e fingono metterli in assetto ed ornarli accuratamente, come che appresentarsi debbano con tutti gli arnesi lor proprj alle matrone. Il nipote intanto di Botaniate ed il suo pedagogo stavano dormendo nella parte loro assegnata della reggia. Or bene i Comneni al momento di armarsi e prender la fuga, chiuse le principali porte, da presso alla prima guardia, del regale palazzo, consegnaronne alla madre le chiavi Serrato aveano alsì gli usci della camera in cui riposava il nipote sposo, ma bramosi di evitare con ogni diligenza il più piccolo romore onde non si destasse il fanciullo, eransi accontentati di socchiuderne appena le imposte. Consumata di questo modo la maggior parte della notte nel disporre e compiere l’occorrente, stavasi per udire il primo Gallicinio7 quando, tornati ad aprire di subito le porte, chiuse antecedentemente, dell’atrio, avviansi pedestri con seco e madre e sorelle e mogli e prole, ritti al foro Costantiniano. Quivi, salutate le donne, i Comneni procedono di fretta ai palagi delle Blacherne8, e quelle riparano nel tempio della grande Sofia9.
XVI. Il pedagogo di Botaniate, allo svegliarsi, venuto in cognizione dell’operato loro abbandona all’istante la casa, portando una fiaccola in mano, ed a tutto passo raggiugne i fuggenti presso al tempio dei santi quaranta martiri. Dalassena, madre dei Comneni, socchiatolo: So, dissegli, che fui accusata presso l’imperatore di falso delitto; vo quindi a ripararmi entro le sante chiese per godervi e protezione ed asilo, infinoattantochè, aggiornatosi, torni alla mia dimora. Precedici colà, ed annunzia di subito agli ostiarj, all’aprirne le imposte, il prossimo nostro arrivo; ed egli avacciò sua andata per eseguire il comando. Le matrone di là pervengono al tempio del pontefice S. Nicola, il quale ancora al dì d’oggi suole appellarsi rifugio, innalzato già da pezza vicino alla grande chiesa10 per salvezza e tutela di chi fosse caduto in delitto, come se parte di quel gran tempio a bello studio venisse eretta, salvo mio errore, a tal uopo dagli antichi imperatori, soliti a governare clementissimamente i sudditi, ed a procacciar mezzo di perdono ai delinquenti. Se non che l’ostiarlo del tempio indugiò ad aprire le imposte, volendo sapere da prima chi elle si fossero e donde ne venissero, cui altri della comitiva rispose: Donne; dall’Asia; le quali consumato il viatico affrettansi di eseguire l’adorazione loro per retrocedere prestamente alle proprie case; ed egli senza far replica disserrò le porte.
XVII. Il dì vegnente l’imperatore, udita la fuga de’ Comneni, passa a ragunare il senato e ad aringarlo, forte inveendo, come ognuno può imaginare, contro il gran domestico. Manda poscia non so chi Straboromano ed altro di nome Enfemiano alle matrone coll’ordine di ricondurle seco al palagio. Ai quali Dalassena: Riferite, disse, all’imperatore che i miei figli non la cedono ad uom al mondo in rispetto ed ossequio verso la maestà sua, e ne hanno dato sufficienti pruove esponendosi del miglior grado per lui a malagevolissimi perigli ed imprese. Mercè di che i nemici loro mal comportando il suo affetto verso di essi non desistettero unquemai dall’insidiarli, giunti a tanto di stabilire ed apprestarne l’accecamento. Per la tema dunque d’una punizione che sapeano ottimamente, puri da reità comunque, di non aver meritato, e costretti dalla necessità di evitare il sovrastante pericolo, e’ si ritrassero da queste mura senza nutrire il menomo pensiero di sedizione. Laonde fedelissimi li ha tuttavia, e questo allontanamento non mira che ad avere l’opportunità di mostrargli con quanta perfidia sieno oppressi da scelleratissimi raggiratori, e d’implorare il suo aiuto contro il molesto poter loro. Così Dalassena. Gli imperiali messi per lo contrario insistevano a tutt’uomo nel volerla condurre seco indietro; ma ella, comportandoli a malincorpo: Lasciatemi, disse, inoltrare nella grande chiesa del Nume onde lo adori, non essendo convenevole, giunta alle porte, il retrocedere prima di essermi prostrata innanzi l’immacolata Signora Madre di Dio, supplicandola del suo patrocinio ad ottenere il divino e l’imperiale favore. I legati consentironle, estimando giusta e pia la sua domanda. Proceduta dunque con tardo e debole passo, come se illanguidita dalla sensazione de’ presenti mali, o debole per gli anni (tale in realtà non era, ad arte fingendo la malsania), infino all’ingresso del sacro Bema11 e fattevi due adorazioni, alla terza si adagiò sul pavimento, ed afferrate le sacre porte ad alta voce protestava che, se pur non venisserle mozze le mani, forza al mondo non basterebbe a rimoverla dal sacro luogo, e sol ne partirebbe quando ricevuto avesse dall’imperatore la Croce, pegno dell’accordata salvezza. Straboromano allora le presentò la Croce pendente dal suo collo, ma Dalassena: Non chieggo, dissegli, la vostra fede e guarentigia, quelle ben sai, dell’imperatore; di più in segno ed arra di esse non mi si offra piccola e sottile Croce, ma altra di conveniente grandezza, e ciò dicea onde fossevi manifesto segno del fattole giuramento, poichè recandosi a conferma della data fede una Crocettina, l’atto si rimarrebbe invisibile a molti. Or voi, ella proseguiva, riferite ad Augusto la mia supplica, invocandone all’uopo la giustizia e la commiserazione.
XVIII. Altra poi delle sue nuore, la consorte d’lsaacio, entrata nel sacro tempio quando, giunta l’ora dell’inno mattutino, aveano gli ostiarj di già aperte le porte, alzatosi il velo che ricoprivane il volto, disse: Ella vada pur con Dio, se così le attalenta; noi alla buona fe, non usciremo del tempio, intimataci ben anche la
morte, se non munite di valida malleveria. I legati posta mente alla fermezza delle matrone, che osservavano coll’indugiare avvalorarsi, e temendo non si destasse tumulto col ricorrere alla forza, tornano all’imperatore, e narrangli per esteso l’avvenuto. Questi, la bontà stessa di sua natura, piegatosi alle suppliche di colei, mandale, a piena conferma dell’offertole salvocondotto, la bramata Croce, e persuasala con ciò ad uscire del tempio fe’ comando che venisse rinchiusa unitamente alle figlie ed alle nuore nel gineceo12 de’ Petriori vicino alla ferrea porta. Chiamò ad uno la consorte di Giovanni Cesare, suocera di suo figlio e protovestiaria13 d’onoranza, dal tempio delle Blacherne, eretto in onore di nostra Signora Madre di Dio, e volle pur essa rinchiusa nel palagio medesimo de’ Petriori, ingiugnendo che non si stessero a manomettere e frugare le guardarobe e cassette loro, e si conservassero intatti i ripostigli e le vittuaglie, ad esse spettanti. Dopo di che ambedue le rinchiuse visitavano cotidianamente del mattino i custodi per Pagina:Comnena - Alessiade, 1846, tomo primo (Rossi).djvu/121 Pagina:Comnena - Alessiade, 1846, tomo primo (Rossi).djvu/122 Pagina:Comnena - Alessiade, 1846, tomo primo (Rossi).djvu/123 causa con sì grande eloquenza e commovimento d’affetti, non risparmiandogli tampoco minacce gravissime ove le ragioni da lei addotte non giungessero a persuaderlo, che alla fine delle fini riuscì ad ammollirne il petto. Dopo di che egli volse ogni sua cura a mettere in salvo le due donne, la consorte Anna e la suocera Maria nobilissima infra Bulgari, presso cui ella nacque; donna così avvistata e adorna di eleganti forme, generalmente diffuse a parte a parte ed in tutto il complesso delle sue membra, da non rinvenirsene a que’ tempi altra idonea a competere seco in bellezza; il che dava grandissimo pensiero ed a Paleologo e ad Alessio, i quali agevolmente d’accordo sulla convenienza di allontanare ambedue, erano tuttavia di contrario parere intorno alla scelta del luogo ove metterle in salvo, Alessio opinando in alcuna delle rocche munite di forte presidio; la vinse non di meno il consiglio di Paleologo, che preferiva a tal uopo il tempio sacro alla Madre di Dio, ed eretto alle Blacherne; ivi adunque trasferite raccomandanle alla santissima Genitrice del Verbo comprendente in sè il tutto. Dopo di che, deliberando infra loro quanto eseguir doveasi, Paleologo disse: Precedetemi, tra poco io vi raggiugnerò cogli effetti e danaro di mia pertinenza, avendo egli per avventura deposto in quello stesso monastero tutta la mobile sua masserizia.
XX. Laonde i Comneni avviansi di colpo al divisato luogo, fidando ogni altra cura a Paleologo, il quale caricate sopra i giumenti de’ monaci le proprie suppellettili, prontamente arrivolli, e quindi in brev’ora tutti insieme pervennero a Tzurulo, città della Tracia, dove unironsi all’esercito per ordine del gran domestico ivi raccolto. Di là mandano persona a Giovanni Duca Cesare dimorante nelle sue ville sul territorio di Morobundo. Giuntovi il messo di buon mattino, Giovanni, nipote di Cesare, fanciulletto ancora e come tale del continuo ai fianchi del zio, non appena ebbelo udito dire dal limitare dell’atrio di voler parlare a Giovanni Cesare, corso di fretta nella costui camera, lo desta tuttavia dormente, e gli annunzia la ribellione de’ Comneni. Cesare sorpreso dalla voce di lui allontanalo con una guanciata, e gli ordina di guardarsi in avvenire da cosiffatti deliramenti. Il fanciulletto non di meno da lì a poco tornatogli dappresso non solo conferma la prima riferta, ma di più ripetegli a mente le parole dai Comneni poste nella bocca dello spedito, invitandolo scaltramente con esse alla ribellione sotto mentito pretesto, ed erano: Abbiamo approntato un ottimo camangiare non goffamente o con parsimonia condito; se vuoi goderne procura di sollecitare la tua venuta. Giovanni, postovi orecchio e levatosi a sedere in sul letto, piegando il capo sul destro cubito, comandò che fossegli introdotto il nunzio, e da lui informato della faccenda ebbene inquietezza maggiore: Ahi me! esclamando, rimiratesi quindi le mani e lisciatasi la barba, pieno di pensieri la mente, stettesi qualche tempo sopra sè. Da ultimo stabilito di unirsi ai Comneni, dà ordine agli scudieri di mettere in punto i cavalli, e detto fatto è sulla via di Tzurolo.
XXI. Nel viaggio avvenutosi ad uomo carico di non piccola quantità d’oro lo abbordò colle omeriche parole: Chi sei tu? Donde vieni? Rispostogli: Il gabelliere, diretto al regio tesoro per versarvi non frivola somma di pecunia, lo invita a pernottare seco, per quindi la dimane proseguire il cammino ove meglio e’ bramasse; ma titubante ed a malincorpo acconciandosi quegli alla proposta, Cesare tuttavia, facondissimo parlatore, di elevatissimo spirito e nell’arte di persuadere non inferiore ad Eschine o a Demostene14, riuscì colla forza del suo discorso ad averne il consentimento. Venuti pertanto di compagnia ad un albergo, egli tutto pose in opera per tirarlo dalla sua, degnandosi averlo commensale e premurosamente curando che venisse fornito di comodo letto. Al mattino, sul levar del sole, Bizanzio, imbrigliato il cavallo, disponevasi a procedere verso la città, se non che Cesare vedutolo prossimo a montare in arcione: Tralascia, dissegli, e vieni con noi. Or quegli non sapevole per qual via si condurrebbe, e sospettando già dove tendessero le cortesie d’ogni maniera usategli, vi si rifiutava. L’altro in cambio insisteva coi prieghi e blandimenti; ma poscia osservate di verun profitto le dolci parole, passò ad altre più risentite, e neppur da esse ritraendo vantaggio ordina che il danaro e le bagaglie di lui uniscansi ai proprj giumenti, e quindi lo accomiata con ampla facoltà di andare ovunque gli attalentasse. Bizanzio allora, paventando lo sdegno de’ regi questori presentandosi loro innanzi a man vuote, pensò di abbandonare il cammino della città. Estimando inoltre mal sicuro il retrocedere in causa della crescente popolare sommossa, propalatasi già diffusamente la ribellione de’ Comneni, deliberò contr’a sua voglia di seguire Cesare.
XXII. Volle parimente il destino che Giovanni Duca per istrada s’avvenisse a turcheschi aiuti, i quali aveano allora travalicato il fiume di nome Euro. Tirate dunque a sè le redini per fermare il cavallo ed interrogati del luogo di lor partenza, ed ove diretti, li animò colla promessa di molto danaro e d’ogni maniera di beneficenze a recarsi in sua compagnia presso il Comneno. E’ v’aderiscono, ed i loro duci richiesti da Cesare del giuramento issofatto lo prestano, dichiarandosi obbedienti ai Comneni.
XXIII. I due fratelli osservarono da lunge Cesare diretto alla volta loro con questo supplimento d’aiuti, e non è a dire la gioia ne provassero, in ispecie Alessio, il quale itogli incontro baciollo e strinselo fortemente al suo petto. Che poi? Eccoli sulla via che mette alle costantinopolitane mura, Cesare, autore del consiglio, riponendo tutta la speranza d’un prospero successo nella prontezza della esecuzione. Quivi da ogni parte cittadini e borghigiani vennero ad incontrare Alessio, incerto finora dell’avvenire, e ad acclamarlo imperatore, eccettuati gli Orestiadi, mai sempre suoi nemici per la prigionia di Brienio, e quindi partigiani di Botaniate. Occupata successivamente Atira e dimoratovi un giorno procedettero a Schiza, tracica borgata pur questa, ove piantarono il campo, sovrastando intanto grave deliberazione, renitente a proroga comunque, e tale da tenere gli animi sospesi nella incertezza di quale infra li due Comneni verrebbe salutato imperatore. Molti preferivano Alessio; ma Isaacio alsì avea i suoi favoreggiatori, non lentamente nè con fievoli speranze a pro di lui adoperantisi. L’avresti detta una implacabile discordia, cotanto erano divisi gli animi, ed i voti delle genti in armi. Propendevano per mio padre quanti le nozze di Irene aveangli uniti coi legami di parentela, Giovanni Cesare da me testè rammentato, sapientissimo consigliere ed esperto e destro operatore; così pure i costui nepoti Michele e Giovanni, e da ultimo Giorgio Paleologo avente a consorte la sirocchia loro. Ognuno di essi a tutt’uomo agiva, brogliava, instava, movea, come suol dirsi, tutte le corde, appigliavasi a qualsivoglia mezzo per favorire l’innalzamento d’Alessio. Ma Giovanni Cesare preponderava grandemente per autorità, l’ingegno e l’eloquenza sua rendendolo certo di vincere qualunque contrario partito. Il regale suo aspetto inoltre e la eroica sua taglia valeangli d’ottima commendazione, sicuro di trovare assenso ad ogni sua inchiesta, o di strapparlo, a meglio dire, con tal quale blanda violenza. Avvantaggiatosi egli di molto nel rimuovere i patrocinatori d’Isaacio, avea a simile gli altri Duca operosissimi, secondo il proprio credito e potere, onde giugnere alla stessa meta. Che mai non fu operato, detto, promesso da coloro o privatamente ai singoli duci e tribuni, o in pubblico aringando l’esercito in favore d’Alessio? „ Egli, a fe, dicevano, egli, o soldati, vi sarà largo di grandissimi doni e di amplissime onoranze, nè a caso, o senza cognizione, com’è costume degli operanti per altrui mano, cui il merito de’ valorosi unicamente per sorta ed il più spesso con maligna riferta vien manifestato. Vide egli, pigliò parte, presiedette alle vostre imprese, partecipe della fatica e del pericolo; notovvi ad uno ad uno, e porta seco intorno altamente impressi nel suo animo, di vista a lui cogniti, i vostri meriti, e non già con vana rimembranza, ma per generosamente guiderdonarli tostochè per voi gliene sarà aperto il varco. Rimembrate ora quanta estensione di suolo, quante pianure e quanti monti, lui duce, trascorreste, quante volte, lui condottiero, vi rimiraste attelati in campo, quante altre, lui comandante il dar nelle trombe e con empito lanciarsi tra’ primi, e pur tra’ primi esponendosi al pericolo, appiccaste battaglia. Sa l’uomo di pruova che sia fatica; conosce di propria esperienza quanto è giusto il guiderdone meritato con sangue e ferite. Molto a voi rileva, consapevoli voi stessi delle opere de’ forti, che addivenga costui l’arbitro delle cose; ognun di voi gli è noto di veduta e di nome. Dimorato lungamente infra voi, da gran pezza eletto a condottiero degli eserciti ed a gran domestico dell’occidente, e’ consumò copia grandissima di sale in vostra compagnia, fattosi onninamente vostro commilitone, compagno, socio ed alunno. Sì egli, che unquemai nelle battaglie e ne’ badalucchi la perdonò alle sue membra ed al suo corpo, non vi sarà certo avaro di premj, come idoneo estimatore della virtù bellica, il cui decoro passionatamente ama, da natura, da ammaestramenti e da studio formato a nulla tenere in maggior pregio de’ valorosi e diligenti guerrieri.„
XXIV. Queste parole di Duca erano ripetute in tutto l’esercito; eppure vedevi lo stesso mio padre a favorire Isaacio, o perchè, obblioso di sè e pieno di rispetto verso il maggior fratello, bramassegli conferita la prima onoranza; o, con più verità, perchè certo dell’attaccamento professatogli dall’esercito, e però della sua elezione, volesse in qualche guisa consolare, fingendo riverenza e benignità, e senza proprio discapito, la fraterna ripulsa. Non altrimenti consumavasi il tempo infinoattantochè ragunato l’intero esercito all’intorno del padiglione, e tutte le parti datesi ad una affannosa aspettativa, facendo ognuna voti di conformità al suo desiderio, si levò in piedi Isaacio per obbligare il fratello a vestire il purpureo calzare; ma vedutolo fermo nel rifiutarvisi: Lascia, dissegli, che il Nume per tuo mezzo e nella tua persona degnisi rimettere la famiglia nostra in possesso del trono. Ed insieme gli rammentò il vaticinio altre volte fattogli da ignoto profeta, improvviso apparsogli del modo seguente: Nel tornare non so che di ambo i fratelli dal sovrano alla propria dimora, presso ad un luogo, nomato de’ Carpiani, s’appresentò loro vuoi un uomo, vuoi altro che di lui maggiore, ma fuor di dubbio sotto umana sembianza, nudato il capo, con vesti sacerdotali, chioma bianca, irsuta barba, ed appalesantesi colla favella presago al sommo delle cose avvenire. Il pedone accostatosi al cavaliere e presagli una gamba tirollo a sè per bisbigliargli all’orecchio quel Davidico detto: Adoperati, va felicemente innanzi, e regna: secondo equità, mansueludine, e giustizia, aggiungendovi del suo: O imperatore Alessio. Non appena così parlato scomparve, indarno mio padre, allentate pienamente al destriero le briglie, ricercandolo con avido occhio d’ogni intorno per apprendere da lui, potendolo arrivare, chi si fosse, ed a che pro fattagli tale predizione.
XXV. Al suo ritorno, dopo infruttuosa carriera, addimandavagli Isaacio, mal comportando esserne all’oscuro, che si volesse dire l’avvenuto; e vinta alla per fine la diuturna costanza di lui messosi al niego, s’ebbe l’arcano. Mio padre tuttavia ne’ suoi famigliari discorsi, tenuti poscia o collo stesso Isaacio o con altri, ascrivere solea il fatto ad illusione o prestigio; quantunque riandando in seguito nella sua mente l’apparsogli allora sotto vescovile forma, estimava entro sè non avervi gran differenza infra l’aspetto di lui e quello del teologo figlio del tuono15. Laonde Isaacio rimembrando che l’annunzio portato da quelle parole in tal punto compievasi (poichè tutto l’esercito ad una voce era in sull’acclamare A!essio), più fortemente insisteva, quasi costringendo il renitente fratello a lasciarsi porre il rosso calzare, come da ultimo ottenne. Primi ad acclamarlo furono i Duca favoreggiatori di Alessio e per altri motivi, e per avere la mia genitrice Irene, della costoro famiglia, contratto legalmente seco matrimonio. Essi furono seguiti con pari alacrità di acclamazioni da tutti i loro consanguinei e parenti; quindi l’intero esercito con altissime ed uniformi grida ripetè Alessio Augusto; nè senza miracolo trovaronsi così prontamente d’accordo le parti. Imperciocchè non guari prima eransi con tanto fervore adoperati per Isaacio che li avresti detti pronti a qual tu vuoi condizione onde venisse egli prescelto, ed all’opposito minacciare sedizione e guerra.
XXVI. Durante cosiffatto maneggio si promulga la voce che Melisseno proceduto con esercito a bastanza forte insino a Damali fossevi gridato imperatore e vestito di porpora; ed ecco arrivare, nel mentre che si dubbiava a prestarvi fede, i suoi ambasciatori con lettera di questa forma: „Iddio mi ha serbato sano e salvo coll’esercito infino a Damali, e ben so ad una le vicende vostre, la buona ventura intendomi di avere schivato le insidie dei servi cospirantivi contro, e messa al sicuro la vostra salvezza. E da che, annoverandolo infra’divini beneficj, trovomi ai Comneni stretto co’ legami di parentela, tale quindi a voi attaccato d’animo ed affezione da non cederla, siami testimonio il Nume, a veruno dei consanguinei, chieggovi di partecipare gli accorgimenti della vostra sapienza, onde uniti di consigli e di forze, a sostegno della comune salvezza, non veniamo più bersagliati da ogni vento, ma, stabilite acconciamente le imperiali faccende, procediamo stampando orme sopra ben fermo sentiero. E tanto a fe conseguiremo se, coll’aiuto divino, padroni della città, voi reggerete a vostro buon grado l’occidente, ed accorderete a me, vestito di porpora e cinto il capo di corona, il governo dell’Asia, consentendo a simile che nelle solenni acclamazioni e formole in cui è costumanza di proferire gli imperiali nomi venga unito il mio a quello di chi di voi ascenderà il trono. Se vi convenite potremo di pari consentimento e di concorde avviso, avvegnachè separati per luogo e faccende, governare l’impero con salda tranquillità anzi due essendo che uno.
XXVII. Ai messi apportatori della lettera nulla di presenza fu risposto, ma chiamati il dì seguente con prolissa diceria ebbero a sapere quanto le inchieste di Melisseno fossero lunge dal potersi accordare. Si aggiugnea inoltre che presto verrebbe loro indicato col mezzo di Giorgio Mangane (era costui l’ospite e soprantendente de’ legati) ciò che al postutto gli si concederebbe. Duranti poi queste deliberazioni i Comneni non ristavano dal tentare la presa della città col por mano agli schermugj e coll’avventare saette. Nel dì appresso fu comunicata ai legati la sentezza del Consiglio sull’inchiesta fattagli, ed era un che di simile a quanto siamo per dire: Abbiasi Melisseno la cesarea dignità, l’ornamento della benda, le solenni acclamazioni e gli altri tutti ragguardevoli distintivi di seconda onoranza. Concedaglisi parimente in proprietà la grandissima capitale dei Tessali, ove s’erge il tempio dedicato al gran martire Demetrio, scaturendo quivi dalla sua venerabile tomba un unguento operante di continuo grandissime cure a pro di coloro, che pieni di fede vi si accostano. Tali proposte quantunque a prima udita non si ritenessero sufficientemente ample dai legati, pure e’ mirando il molto apparecchio ed il vigoroso sforzo per la espugnazione della città, incolti da timore non i Comneni una volta padroni di essa rifiutassersi anche dall’accordare le prime offerte, insistettero che queste ratificate fossero con diploma scritto in rosso e munito di aureo suggello. Condiscesovi il nuovo imperatore Alessio e chiamato a sè di colpo Giorgio Mangane suo cancelliere, gli ordinò di spedire nelle volute forme il diploma. Colui indugiò tre dì ad estenderlo, adducendo sempre nuovi pretesti: ora che stanco dal giornaliero lavoro non eragli stato possibile nella notte di por fine allo scritto; ora asserendo che, terminatolo, per tal quale accidente, poichè di notte compiuta l’opera, una favilla partitasi dal suo lume avealo messo in fiamme, e coll’inorpellamento di tali furberie e’ protraeva del suo meglio la fine di questa faccenda.
XXVIII I Comneni intrattanto di là movendo occupano le cosiddette Arete, luogo prossimo alle mura, prominente sulla pianura, ed agli spettatori al basso mostrantesi quasi collina avente uno de’ lati di contro al mare, l’altro di contro alla città, ed i rimanenti due volti a settentrione ed occaso. È ad ogni vento esposto, fornito di perenni polle di limpida e potabile acqua, ma per guisa sterile di piante ed alberi che direbbesi accuratamente raso da boscaiuoli. Quivi in altri tempi Romano Diogene imperatore, allettato dall’ameno prospetto e dalla salubrità dell’aria e del suolo, erasi dato pensiero di fabbricare splendidi palagi ne’ quali avessero, a mo’ di suburbana villeggiatura, alloggio i regnanti. Ora i Comneni e gli altri duci, addivenutine possessori, di là mandavano a combattere le mura della città, non con macchine, baliste od altro che di simile, non avendone copia nè tempo da costruirle, ma con ischermugi di arcadori, e con mostre di militi astati e catafratti, mirando a intimorirne il presidio. E di vero non poca dotta ebbene Botaniate, il quale da quinci vedendosi alle porte i Comneni con forte esercito di ogni arma, e da quindi Molisseno Niceforo, inoltratosi infino a Damali con truppe non inferiori di numero e coll’eguale intendimento di occupare il principato, oppresso da doppia sciagura e non sufficientemente provveduto di mezzi da resistere ad entrambi, quasi disperava della repubblica, nè era lontano dal risolversi ad abbandonare il supremo comando. Pervenuto di già alla vecchiaia più non era il valorosissimo appalesatosi nel fiore dell’eta sua, nè avrebbe mai ristretto i limiti delle sue speranze entro le mura e la circonferenza della città, se gli anni non fossero giunti ad affievolirne il primo rigore. Questa temenza del principe non bene palliata, diffusasi nella popolazione, avvilì per modo che non si ripose generalmente più fidanza nelle munizioni, e molti datisi a credere che in causa dello spavento i ribelli trovato avrebbero aperto dovunque, convertivano fuor di tempo in lutto il pensiero della difesa.
XXIX. Ma i Comneni ed ispecie il nuovo Augusto, considerata la difficoltà di abbattere quelle mura, tanto a motivo dell’arditezza di tale impresa, quanto per essere alla testa d’un esercito accozzato porte d’indigeni, parte di stranieri, e lontano ancora dal necessario accordo, perchè la volubilità della moltitudine e l’ondeggiamento delle incostanti passioni non ispirassero giusto timore, prudentemente opinarono di escogitare se fossevi mezzo d’indurre la guernigione, aescandone con promesse gli asini, a favorire lor parti. Alessio pensatovi l’intiera notte, sull’albeggiare del seguente giorno va al padiglione di Cesare onde comunicargli un suo accorgimento, parto delle ore notturne, e richiederne l’opera per mandarlo ad effetto. E’ dunque esortavalo a fare il giro delle mura coll’intendimento di esplorarne le fortificazioni, e conoscere a quali militi fosse data in custodia ognuna di esse, a fine di stabilire da che parte con probabilità di felice riuscita si potesse tentare un tradimento. Cesare al primo udirne mostrossi alcun poco renitente, conciossiachè non avendo mai vestito monacale tonaca16 con ragione dottava, sotto quest’abito approssimandosi alle mura guardate tutto all’intorno da militi, non addivenisse appo costoro argomento di scherno e derisione. Nè l’antiveggenza sua diede in fallo, poichè indottovi da mio padre quasi a malincorpo, non appena il presidio ebbelo riconosciuto che salutollo per dileggiamento col nome di abate e con altre villane parole. Ma egli, abbassato di sopra alla fronte il cappuccio, imbacuccandovisi del suo meglio, e reso forte contro le ingiurie dall’alto scagliategli proseguì coraggiosamente l’intrapreso cammino, alla foggia de’ grandi ingegni, i quali con invincibile costanza tenendosi fermi alle deliberazioni una volta fatte, spregiano le contrarietà fuor via surte ad assalirli. Egli dunque nel percorrere la circonferenza della città iva interrogando chi si fossero i difensori posti in ciascheduna torre, ed allorchè seppene alcune affidate ai cosiddetti immortali (è questa una milizia di preferenza propria del romano esercito), altre ai Barangi, barbari provenienti da Tule17 ed armati di scure, ed altre ai Nemitzi, pur esse gente barbara, ma soggiogata un tempo dai Romani, ed assuefatta a guerreggiare seco loro. Consigliò dunque Alessio di non combattere i Barangi e gli immortali essendo questi ultimi originarj del luogo medesimo, infin dalla fanciullezza ammaestrati a cimentarsi per la patria, e di più con giuramento e vincoli di singolare fidanza ed amicizia stretti all’imperatore, quindi anzi pronti a morire le mille volte che lasciarsi avvolgere in macchinamenti a lui dannosi. Gli altri a simile, armati di scuri penzoloni, secondo la patria usanza, dagli omeri, godon fama di gente fermissima e d’inviolata fedeltà verso gli Augusti, mercè di che vengono prescelti a guardarne i corpi, quale preziosissima eredità ricevuta dai proprj genitori, e indefessi vegliano ognora alla difesa loro, per modo che non saprebbero di buon orecchio ascoltare nè pure i preliminari inviti ad una ribellione. Stare pertanto l’unica speranza, e forse non andrebbesi di molto errati, nel tentare con adeguate premesse i Nemitzi, onde aprirsi un libero varco dalla torre loro affidata. Alessio, porto orecchio al parlare di lui siccome ad oracolo, manda incontamente al costoro duce uom di non dubbia fede, il quale, dal basso direttogli in alto il discorso all’esterno parapetto del muro e dopo molte parole dall’una e dall’altra parte fatte, convenne da ultimo seco lui intorno alla maniera di compiere il tradimento; dopo di che egli stesso, l’eletto mediatore del cominciato maneggio, si recò al padre mio annunziandogli di aver condotto a termine la faccenda con prontezza maggiore di quanto fosse da lui sperato. A tale nuova i duci tutti festanti apparecchiavansi a montare prontamente in sella.
XXX. Tra questo mezzo i legati di Melisseno forte insistevano perchè una volta si consegnasse loro il promesso diploma, nè del ritardo era in colpa il principe; laonde e’ mandò per Mangane, il quale espose di aver terminato lo scritto, ma la busta in cui è usanza di conservare l’occorrente per le imperiali sottoscrizioni essersi ad una collo stilo, nè saprebbesi dar ragione dell’importuno accidente, smarrita, senza poterla fin qui rinvenire. Non altrimenti dichiarava questo sommo nell’arte d’infingere, in virtù di quella perspicacità che faceagli agevolmente prevedere il futuro, dall’avvenuto ritrarre qualche profitto, e conoscere in fine accuratamente le giornaliere vicende e con destrezza rivolgerle a quanto si volea dalle circostanze. Uomo fornito di portentoso artificio nel dissimulare ed escogitare pretesti quando si avesse fitto nell’animo di ricavarne qualche vantaggio. Il perchè opinava in allora espediente di tenere a bada tuttavia le speranze di Melisseno, al quale se mandata si fosse più presto di quanto era mestieri l’aurea bolla richiesta, e portante la conferma della sua elevazione all’onoranza di Cesare, sarebbesi pericolato di vederlo, non pago del grado conferitogli, inalzare sue brame, come avea per lo innanzi manifestato, al conseguimento dell’imperiale grandezza, e da quest’ambizione scoppiar fuori qualche audace impresa. Mangane dunque, venutone in sospetto, adoperava cogli antedetti raggiri di procrastinarne eziandio allora la spedizione. I procuratori in cambio di Melisseno udendo le porte della città aperte ai Comneni, e presi da tema non le dilazioni fossersi preludio d’insidie e furbesche mene, tanto maggiormente insistevano addimandando l’aurea bolla promessa. Da ultimo i Comneni accommiataronli colla seguente risposta: „Poichè la città è in poter nostro, ora col favor de’ Numi saremo per addivenire più forti; partite dunque e fate l’egual riferta al signor vostro, aggiugnendovi che se Iddio feliciterà i nostri intraprendimenti, potremo, recandosi egli presso di noi, combinare il tutto con reciproca soddisfazione.„
XXXI. I Comneni, così sbrigati gli affari di Melisseno, mandano Giorgio Paleologo al duce de’ Nemitzi, Gilpratto, coll’incarico di esplorare onninamente qual ne fosse la intenzione, ed osservandolo fermo nel voler compiere la data parola indicherebbelo dalla torre collo stabilito segno, ond’e’ quivi affissati, al mirarlo potessero di subito inviare truppe alla tradita porta. Giorgio ben volentieri assunse l’affidatogli incarico; uomo quant’altri mai valorosissimo, e solito a condursi con tanta prontezza e coraggio in tutti i militari cimenti, ed in ispecie nell’espugnazione delle città che applicandogli l’aggiunto: ABBATTITORE DI MURA, da Omero dato a Marte, non gli verrebbe da senno attribuito un nome eccedente i suoi meriti. I Comneni poi tra questo mezzo armati di tutto punto, e poste le truppe con maestria in ordinanza avvierebbonsi a schiera verso la città. Giorgio sul calar delle tenebre precedendoli, passa a stabilire di suo grado gli accordi con Gilpratto, e postovi fine ascende immediatamente la torre co’ suoi, mentre che gli Alessiani, schierato l’esercito di prospetto alla città, giusta il detto, vi piantavano il campo, afforzandolo con trincee in mostra di farvi lungo soggiorno. Ma dimoratovi unicamente il breve tempo delle ore notturne surgono, ed attelate le truppe, occupando eglino stessi cogli scelti cavalieri il centro della falange ed aventi all’intorno gli armati gravemente, i veliti, ed il fiore dell’esercito, inoltrano a lento passo.
XXXII. Allo spuntare dell’aurora eccoli giugnere sotto le mura colle aste in pugno come per tentarne l’assalto, onde il presidio venissene da repentino timore sopraffatto. Paleologo in questa dalla sommità della torre eseguisce il convenuto segno, e ordinato che si apra la porta entranvi tutti alla rinfusa, non curanti disciplina militare comunque, ma ognuno a vanvera cogli scudi, le faretre ed i dardi. Era quel dì la quinta feria della settimana maggiore18, nella quale sacrifichiamo ad una e mangiamo la mistica Pasqua, correndo la quarta indizione19 e il mese di Aprile dell’anno sei mila e cinquecento ottantanove, quando tutto l’esercito composto di nazionali e straniere genti messo piede nella città, che da gran pezza sapea colma di ogni maniera di ricchezza derivante da terrestri e marittimi prodotti, ed infervorandosi coll’idea del saccheggio, non a pena valicata la soglia dell’obliqua e mal guardata porta, va commettendo innumerevoli stragi per le piazze, le contrade ed i borghi. Non dalle case, non dalle chiese e nè pure da altri luoghi sacri ebbe freno la rapacità loro, da per tutto, ovunque era preda, l’armata avarizia, senza farsi scrupolo della religione, iva imperversando. Si giunse quindi a reprimere lo spargimento dell’umano sangue, lasciando la crudeltà e la cupidigia libere da ogni raffrenamento, nè, per lo peggiore, teneasi indietro, o più moderatamente si comportava in tali eccessi il nazionale che il barbaro. Di maniera che i cittadini stessi dimentichi di sè e della patria contro le costei viscere infuriavano. XXXIII. L’imperatore Niceforo vedendo i gravissimi disordini, la sua persona ridotta alle strette, assediata da per tutto all’intorno la città, i Comneni standole addosso dall’oceano e Melisseno attendato a Damali, molto si rimase in forse non sapendo a che appigliarsi in cotanto dubbio frangente; da ultimo si propose di far pruova in preferenza della benignità di Melisseno, cercando averlo seco mediante l’offerta del principato. Risolutosi alla fine di eseguire questo suo divisamento, sebbene tardi e già caduta la città, inviògli altro de’ più fidi suoi per indurlo a venire nella reggia, ed un per nome Spatario, uomo assai forte, accompagnava il messo. Occupata la città Paleologo, scelto uno de’ suoi a compagno, direttosi al mare entra in piccola barca venutagli per fortuna incontro, e comanda ai rematori che volgano il corso là dove la armata di mare solea tenersi all’àncora. Approssimavasi di già all’opposto lido, terminato quasi il tragitto, allorchè vede il messo di Botaniate, come dicemmo, sciogliere un vascello per condurre Melisseno alla reggia. Ora essendosi il compagno di lui, Spatario, posto in altra delle navi armate pel guerresco servigio, Paleologo da lunge ravvisatolo ed accostatoglisi più da vicino, avendo avuto in altri tempi seco amicizia, domandagli perchè fosse nella nave, a qual fine, ed ove diretto; di più se lo riceverebbe in sua compagnia. Spatario, impauritosi alla vista di Giorgio armato di spada e scudo, rispondegli: Con tutto il piacere ti accoglierei se non ti mirassi in armi. E quegli a lui: Non più indugj, eccoti immediatamente, se consenti di avermi teco, l’acinace e l’arco, ed anche, se vuoi, getto via l’elmo. Rassicuratosi di questo modo Spatario lo fa montare nella sua nave, ed affettuoso gli pone le mani al collo e bacialo come vecchio amico.
XXXIV. Ma Giorgio, impaziente e contrario ad ogni ritardo, mette di colta in esecuzione i proprj disegni. Laonde salita la prora così favella ai rematori: „Che vi fate e dove procedete, artefici di mali gravissimi, che alla fine delle fini ricadranno sopra voi stessi? La città, come vi è noto, ha spalancato le porte; il testè gran domestico è stato ora acclamato imperatore. Mirate in armi i seguaci del nuovo Augusto, udite l’universale applauso rimbombare per tutte le piazze; altri non può ascendere al trono regale. Sia pur buono Botaniate, migliori a molti doppj abbiamo i Comneni; se forte è l’esercito di lui, è il nostro di gran lunga maggiore: Non si conviene pertanto che vi mostriate traditori di voi stessi, delle consorti e della prole. Fattivi dunque a considerare lo stato della città, entro cui va per ogni dove il nostro esercito, acclamando apertamente colle inalberate bandiere e con libera voce Alessio imperatore, ed accompagnandolo, ornato delle imperiali insegne alle porte stesse del palazzo; fattivi, ripeto, a considerare l’avvenuto, seguite, girando la prora, le parti del vincitore, e troncate con pronto arrendimento e colla certezza di assai profittare, un certame, che, ostinandovi, con solo vostro danno verrebbe protratto. Quando invece afferrata l’occasione di ben meritare del nuovo principe, egli andrà debitore in parte della sua vittoria all’opera vostra.„ Persuasi i nocchieri da queste parole tutti gli assentono, il che di mal animo comportandosi da Spatario, Giorgio, valoroso e risoluto guerriero, minaccialo, perseverando tuttavia in una vana renitenza, di tosto legarlo al tavolato della nave, se non affondarlo in quelle acque. Intuona poscia l’acclamazione di Alessio lietamente accolta e proseguita dai nocchieri; e da che Spatario non rifinava ancora, pigliatolo, quantunque forte divincolantesi, ma vinto dalla sua robustezza maggiore, lo depone legato, giusta la minaccia, in sul pavimento della nave. Proceduto quindi un poco e riarmatosi dello scudo e dell’acinace approdò là dove riparava la flotta, e cominciatosi da lui con sonora voce animò tutti i passeggieri e marinaj ad acclamare Alessio imperatore. Di più rinvenutovi colui prescelto da Botaniate a tradurre il navilio presso Melisseno lo arrestò, ed incontanente dietro suo ordine sciolti i vascelli, con essi tutti occupò la rocca, ove ripetuta una solenne ed amplissima acclamazione di Alessio Augusto, fe’ comando alle ciurme che deposti i remi si tenessero immobili. Era poi così operando suo intendimento d’impedire alle orientali truppe di Melisseno il valicamento dello stretto, non potendolo, sebbene da loro avidamente bramato, prive di questo mezzo eseguire.
XXXV. Appresentatosi non guari dopo un vascello diretto al gran palazzo, Giorgio immediatamente ingiugne ai marinaj, per ventura seco nel medesimo legno, che dieno coll’estremo di lor possa nei remi, e di corto arrivatolo contro ogni sua speranza e desiderio vi rinviene il padre; levatosi tosto e praticategli tutte le ossequiose officiosità dovute ai genitori, non ebbene in cambio nè un mite sguardo, nè l’aggiunto di soavissima luce, come in altri tempi l’itacense Ulisse nomò Telemaco di ritorno, al primo farglisi incontro, discorrendosi allora di banchetti, di rivali in amore, di giuochi, di giostre, di faretre, proposta al vincitore in premio la pudica Penelope, e di Telemaco non qual nemico, ma qual figlio che giugne al paterno soccorso. Qui invece ti s’appresentavano certami, guerra, padre e figlio discordi per contrarj desiderj ed opposti pensieri, sapendosi appieno l’un l’altro, sebbene il segreto dell’animo loro non si fosse per anche manifestato apertamente co’ fatti. Primo dunque il padre gli disse: Stolto, a che fare tu qui? Giorgio: Poichè sei tu mio padre che m’interroghi, niente; il padre: Attendi brev’ora, e, se l’imperatore porgerammi orecchio, conoscerai tra poco quanto giustamente abbiati nomato stolto. Dopo tali parole Niceforo Paleologo proseguendo l’intrapreso cammino perviene alla reggia; ove al mirare gli Alesiani, sedotti dall’avidità della preda, sparsi e vaganti alla impazzata per le contrade, stimò con saggio consiglio di poterli in tanto disordine agevolmente annientare. Addomanda pertanto a Botaniate i barbari originari dell’isola di Tule, promettendo coll’assistenza loro di cacciare dalla città i ribelli. Quegli nondimeno sempre fermo nella mal concepita disperazione delle faccende sue, dichiaravasi aborrente della guerra civile: Ma se m’ascolti, o Niceforo, dissegli, posciachè i Comneni trovansi in queste mura conducili a me, volendo fare seco loro qualche proposta di pace. Increbbe a Paleologo la commissione, pur tuttavia, quantunque a malincuore, piegò ad eseguirla. XXXVI. I Comneni tra questo mezzo, vedendosi al possesso della città e pensando essere il tutto sicuro e di navigare in porto, stavano, bastantemente tranquilli presso il piano del gran martire Giorgio, detto Siceoto, a consultare infra loro se dovessero di preferenza correre a salutare la propria madre, o piuttosto battere a dirittura la via della reggia. Cesare avutane contezza spedì prontamente altro de’ suoi domestici a riprenderli di quelle oziose deliberazioni ed imprudente lentezza. Eglino pertanto a riparo del fallo pongonsi ratto in cammino, e giunti presso la casa d’Iberitza rinvengonvi Niceforo, il quale, in nome di Botaniate ed assuntane la persona, espone i comandamenti da lui avuti del tenore seguente: Veggomi di già sul finir della vita e solo, senza un figlio, un fratello, un consanguineo. Se piacciati dunque (volgendo il discorso al nuovo imperatore Alessio) sii tu mio figlio adottivo, ed io non preterirò d’un iota quanto fu da te promesso a tuoi favoreggiatori e guerrieri. Compirò il tutto abbondevolmente, comunque grande ciò sia. Nè riterrommi parte alcuna dell’imperiale potere siccome partecipandone teco. Tutto lo cedo in solido alla tua persona, dichiarandomi pago di conservare, soltanto in apparenza, i vani distintivi dell’imperio, intendomi la partecipazione del nome, dei rossi calzari e di aggiunta con essi dell’alloggio nel palazzo; del resto sii tu l’arbitro assoluto del governo, senza eccezione, d’ogni cosa; i Comneni a tale proposta lasciaronsi sfuggire di bocca alcune parole tendenti quasi a mostrarsi non lontani dall’aderirvi.
XXXVII. Cesare uditone va subito ad essi per ispronarli con minaccevole viso ad occupare, troncato ogni indugio, il palazzo. All’apparir di lui, entrante nella casa dalla porta a destra, i Comneni saltati giù di sella fannoglisi incontro pedoni, ma egli fissatili con torvo sguardo li rimproccia gravemente dicendo: „Perchè si stessero inoperosi? Perchè abbandonandosi ad interminate dilazioni lasciassero incerte, in pericolo e prossime a rovinare le speranze ed il buon successo della cominciata impresa, non richiedendosi a porvi fine che la sola occupazione de’ principali edifizj da loro sì tanto differita.„ Ora nell’atto che prorompe in tali doglienze ed interrogazioni, ecco entrare dalla sinistra parte Niceforo Paleologo, il quale con simigliante volto nè con più mite sguardo volgegli la parola di questo modo: „Che hai tu a fare con essi? Quale incumbenza qui ti reca, o consuocero? A quanto scorgo nulla in fe mia otterrai.„ Così Paleologo; ed insieme appalesagli la missione, da noi già esposta, conferitagli da Botaniate, sollecitando che almeno si accordi a costui di poter conservare l’ombra o l’imagine dell’imperio, consistente nella partecipazione del nome, dei rossi calzari, della porpora e dell’alloggio nell’imperiale palazzo, cedendo egli e ponendo nelle mani di Alessio, in virtù dell’adozione, tutto l’impero e l’universale reggimento della repubblica; uomo d’altronde assai provetto, e di nulla così desiante come della quiete e del riposo. Cesare di rimbalzo, guatandolo con cipiglio e disdegnoso volto: Parti, risposegli, ed annunzia all’imperatore che avrebbe potuto forse inviare con profitto le sue offerte prima che si occupasse la città. Ora troppo tardi metter egli all’incanto una già venduta merce, nè avervi più mezzo di accomodamento, proseguendo a disporre sì fattamente, come sua proprietà, di quanto più non gli appartiene per diritto veruno. Il dichiararsi poi annoso gli varrà a tollerare con minor tristezza il discendere dal soglio imperiale, chiedendo esso altra età ed altro vigore, ed a meglio provvedere al suo ben essere. Tale rispondea Cesare.
XXXVIII. Se non che Borilo, introdottisi i Comneni nella città, osservando la fidanza colla quale e’ percorrevano imprudentemente divisi e sparpagliati le contrade solo intenti ad accumulare preda, escogitò di poterli con agevolezza in sì grande trascuraggine di loro stessi abbattere. Laonde ragunatosi all’intorno i suoi parenti ed amici e di più quelli da tergo armati di scuri in cambio di spade, come pure i Comateni, ordinolli in continua serie dal foro di Costantino sino al Milio20 ed oltre, i quali muniti di scudo coraggiosamente difendeano i posti loro commessi pronti a venire alle mani. Ma il Patriarca, uomo degnissimo di tal ministero, vero povero e d’un tenor di vita nella città niente meno austero di quanto in altri tempi menar soleano i Padri ne’ deserti e su pe’ monti, fornito in oltre, come iva la fama, del profetico dono, essendosi in realtà verificate molte delle sue predizioni, perfetta norma in fine della patriarcale dignità, ed esempio di virtù a tutti i presenti e futuri: Il patriarca, ripeto, vuoi per divina inspirazione, conoscendo i destini di Botaniate e che sarebbe per avvenirne, vuoi per arcano suggerimento di Cesare (correndo pur questa voce), ammiratore della virtù di lui e strettoglisi da lunga pezza co’ legami della più tenera amicizia, giunto opportunamente quando Borilo eccitava Augusto ad imprendere, diede a costui un saggio consiglio, che venne da ultimo adottato; ed era: Non istesse in forse di scendere dal regio trono, nè opponendosi al divino volere facesse mettere in brani la repubblica da civile guerra, o imbrattare la città di cristiano sangue; ma piuttosto, umiliandosi alle supernali disposizioni, si partisse. Aderitovi l’imperatore e munitosi di gente all’intorno, paventando la militare insolenza, procedette, chino il capo e tutto dolore e vergogna, al gran tempio del Nume. Se non che, pieno di confusione, per dimenticanza da prima spogliato non avea la stola21, ma Borilo, da cui era preceduto, voltosi indietro se n’avvide, e levatigli dal braccio destro i veli ornati d’intessute margarite li spicciò dalle altre vestimenta, profferendo non senza scherno e mordace derisione: di tali adobbamenti, alla buona fe, ora ben ti si affanno. Di questo modo egli giunto al gran tempio dedicato alla divina Sapienza, con gran fiducia nella santità del luogo si rimanea.
- ↑ Nell’imperiale palazzo una sala, detta aureo triclinio, con trono accoglieva cotidianamente alla mattina e dopo il meriggio i principali cortigiani, che di obbligo recavansi due volte al dì a visitare il signor loro.
- ↑ Città in Misia, alle bocche del fiume Spiga.
- ↑ Stretto di Negroponte, il quale ha un molto pericoloso flusso e riflusso sette volte al giorno.
- ↑ Arabi asiatici derivanti da Ismaele figlio di Abramo e della costui servente Agar. Impropriamente poi diconsi Saraceni, discendendo questi da Isacco figlio di Abramo e di Sara. Tacito, lib. XIV, cap. 27, li appella Mardi.
- ↑ Titolo da prima indicante prefettura; così aveavi il Magister militum, il Magister curiæ, il Magister palatii imperialis, il Magister justitiarius, ecc. Di poi esso fu titolo unicamente di onoranza, in particolare accordato ai dottori; per ischerno da ultimo passò ai pedagoghi: Ludi Magistri.
- ↑ La settimana che termina colla Domenica nomata dai latini Quinquagesima appellasi dal Greci Τυροφαγος, o Τυρινη (che si mangia cacio), perchè nel correre di lei è ancora permesso l’uso di questo latticinio. I Greci principiando il solenne vernile digiuno undici giorni prima de’ latini fannovi alcuni digradamenti e sono: Dalla domenica di Sessagesima infino a Pasqua astengonsi onninamente dalle carni, ma tuttavia proseguono durante la settimana a cibarsi di formaggio, cessando tale permesso colla domenica di Quinquagesima, detta per ciò presso di loro domenica del cacio. Il sabbato, dunque appellato dal cacio era il sabbato della Sessagesima.
- ↑ La notte dividevasi in quattro parti, dette vigilie, ed erano: Conticinium (la mezza notte}, Intempestum, (in cui è fuor di tempo il travagliare), Gallicinium (parte della notte in cui cantano i galli), e Antelucanum (innanzi dì). Altri poi ne formavano sette parti nel seguente modo: Vesperum (la sera), Crepusculum (quella luce che si vede dopo il tramonto del sole) Conticinium, Intempestum, Gallicinium, Matutinum (principio del giorno) e Diluculum (alba, o aurora).
- ↑ Sobborgo di Costantinopoli, dove l’imperatore Leone edificò un sontuosissimo tempio in onore della Beata Vergine.
- ↑ Questo tempio era intitolato non già ad una santa di nome Sofia, ma a Gesù Cristo, alla Sapienza di Dio espressa dai Greci col vocabolo Sofia (Σοφἱα). Nè andrebbe forse errato chi ne derivasse la origine dall’essere quivi insegnata la Sapienza divina, ciò è del suo Verbo. Prima che venisse introdotta la consuetudine d’intitolare le chiese ai santi d’ambo i sessi, elle da per tutto, in ispecie le maggiori, erano dedicate alla santa, o al santo Sofia.
- ↑ S. Sofia.
- ↑ La porta esterna delle chiese greche nomavasi Speciosa. Dopo di essa veniva il Propileo (antiporta, e tal volta anche atrio) del Nartece. Quindi il Nartece (vestibolo), da dove per una porta chiamata Basilica (regale) si passava nel Pronaos (spazio precedente la nave), e di là nel Naos (nave, navata). Di seguito a questo eravi la Solea (luogo per alcuni gradi più elevato degli altri, ed avente tre porte, la cui mediana si nomava Santa, e complessivamente prese dicevansi le sante porte; per queste si entrava nel Bema (santuario, sacrificatorio, presbiterio, tribuna ec.), il quale terminava con tre conche (volte a conca, apsidi, parapsidi), avendovi in quella di mezzo, sovrastante le laterali in grandezza, il trono patriarcale, circondato da stalli pe’ sacerdoti, e di prospetto la sacra mensa. Nella destra eravi un altare appellato Protesi (proposizione), dove si deponeva con molte cerimonie il pane, il vino e tutto l’occorrente pel santo Sacrificio; nella sinistra poi, chiamata Diaconico, si apprestavano i paramenti di cui dovea far uso il patriarca, o vescovo ec. Cancelli in fine, o balaustre o tende, od altre tramezze comunque dividevano le antedette parti costituenti una chiesa greca.
- ↑ Gineceo; luogo interno ne’ palagi abitato dalle sole donne.
- ↑ Il protovestiario, o protobestiario, presiedeva alla custodia di tutte le vestimenta delle prime dignità così ecclesiastiche come secolari. L’imperiale sappiamo essere stato in grandissima estimazione presso alla corte costantinopolitana, leggendo in Codino (lib. II) che l’imperatore Michele Paleologo fatto avea protovestiario del palazzo Michele Tracaniotta, suo nipote da parte di sorella. Questo titolo quindi per sola onoranza venne conferito a personaggi d’ambo i sessi.
- ↑ Sommi oratori greci; il primo fu discepolo di Isocrate ed emolo di Demostene. Il secondo colla sua eloquenza difese la pubblica libertà contra Filippo re di Macedonia, ed ebbe a maestri Isocrate e Platone.
- ↑ S. Giovanni Evangelista.
- ↑ Dagli esploratori d’un’assediata città vestivasi l’abito monacale, perchè i Greci estimavano azione malvagia lo scagliare dardi contro di esso.
- ↑ Islanda, isola del mar di Germania, l’ultima conosciuta dai Romani dell’Oceano settentrionale
- ↑ Giovedì santo.
- ↑ Rivolgimento di anni terminato il quale tornasi a cominciare dall’unità. Presso i Greci, le Indizioni ebbero principio col giorno ventidue settembre, essendo imperatore Costantino e correndo l’anno trecento tredici dell’era nostra, in cui la vittoria riportata sopra Massenzio liberò la religione cristiana. Riguardato pertanto questo giorno come il principio della cristiana libertà, venne stabilito dal Concilio, niceno che, tolte le Olimpiadi, si cominciasse di là il compunto per Indizioni. (Sull’origine di tal nome e sulle epoche delle varie Indizioni, vedi Du Cange in Gloss).
- ↑ Piazza della colonna migliaria, da questa cominciando l’enumerazione delle miglia che si doveano percorrere volendo passare dalla capitale ad altri luoghi. Era ciò una imitazione di quanto Augusto fatto avea nel mezzo del Foro romano, principio e metà di tutti i viaggi.
- ↑ Abbigliamento simile nella forma al pallio accordato dal romano pontefice a molte chiese arcivescovili, se non che l’ecclesiastico è un semplice tessuto di candida lana con sopravi parecchie nere Croci. L’imperiale invece, assai più amplo e ricco, era ornato di perle ed altre gemme; ma ravvolgevasi pur esso in giro avanti e dietro agli omeri, e discendevano le due estremità dal petto infino al collo del piede. La voce stola (Στολη) può significare parimente una veste talare, o toga.