nè tempo da costruirle, ma con ischermugi di arcadori, e con mostre di militi astati e catafratti, mirando a intimorirne il presidio. E di vero non poca dotta ebbene Botaniate, il quale da quinci vedendosi alle porte i Comneni con forte esercito di ogni arma, e da quindi Molisseno Niceforo, inoltratosi infino a Damali con truppe non inferiori di numero e coll’eguale intendimento di occupare il principato, oppresso da doppia sciagura e non sufficientemente provveduto di mezzi da resistere ad entrambi, quasi disperava della repubblica, nè era lontano dal risolversi ad abbandonare il supremo comando. Pervenuto di già alla vecchiaia più non era il valorosissimo appalesatosi nel fiore dell’eta sua, nè avrebbe mai ristretto i limiti delle sue speranze entro le mura e la circonferenza della città, se gli anni non fossero giunti ad affievolirne il primo rigore. Questa temenza del principe non bene palliata, diffusasi nella popolazione, avvilì per modo che non si ripose generalmente più fidanza nelle munizioni, e molti datisi a credere che in causa dello spavento i ribelli trovato avrebbero aperto dovunque, convertivano fuor di tempo in lutto il pensiero della difesa.
XXIX. Ma i Comneni ed ispecie il nuovo Augusto, considerata la difficoltà di abbattere quelle mura, tanto a motivo dell’arditezza di tale impresa, quanto per essere alla testa d’un esercito accozzato porte d’indigeni, parte di stranieri, e lontano ancora dal necessario accordo, perchè la volubilità della moltitudine e l’ondeggiamento delle incostanti passioni non ispirassero giusto timore, prudentemente opinarono di escogitare