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LIBRO SECONDO. 139

cambio nè un mite sguardo, nè l’aggiunto di soavissima luce, come in altri tempi l’itacense Ulisse nomò Telemaco di ritorno, al primo farglisi incontro, discorrendosi allora di banchetti, di rivali in amore, di giuochi, di giostre, di faretre, proposta al vincitore in premio la pudica Penelope, e di Telemaco non qual nemico, ma qual figlio che giugne al paterno soccorso. Qui invece ti s’appresentavano certami, guerra, padre e figlio discordi per contrarj desiderj ed opposti pensieri, sapendosi appieno l’un l’altro, sebbene il segreto dell’animo loro non si fosse per anche manifestato apertamente co’ fatti. Primo dunque il padre gli disse: Stolto, a che fare tu qui? Giorgio: Poichè sei tu mio padre che m’interroghi, niente; il padre: Attendi brev’ora, e, se l’imperatore porgerammi orecchio, conoscerai tra poco quanto giustamente abbiati nomato stolto. Dopo tali parole Niceforo Paleologo proseguendo l’intrapreso cammino perviene alla reggia; ove al mirare gli Alesiani, sedotti dall’avidità della preda, sparsi e vaganti alla impazzata per le contrade, stimò con saggio consiglio di poterli in tanto disordine agevolmente annientare. Addomanda pertanto a Botaniate i barbari originari dell’isola di Tule, promettendo coll’assistenza loro di cacciare dalla città i ribelli. Quegli nondimeno sempre fermo nella mal concepita disperazione delle faccende sue, dichiaravasi aborrente della guerra civile: Ma se m’ascolti, o Niceforo, dissegli, posciachè i Comneni trovansi in queste mura conducili a me, volendo fare seco loro qualche proposta di pace. Increbbe a Paleologo la commissione, pur tuttavia, quantunque a malincuore, piegò ad eseguirla.