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LIBRO SECONDO. 119

unironsi all’esercito per ordine del gran domestico ivi raccolto. Di là mandano persona a Giovanni Duca Cesare dimorante nelle sue ville sul territorio di Morobundo. Giuntovi il messo di buon mattino, Giovanni, nipote di Cesare, fanciulletto ancora e come tale del continuo ai fianchi del zio, non appena ebbelo udito dire dal limitare dell’atrio di voler parlare a Giovanni Cesare, corso di fretta nella costui camera, lo desta tuttavia dormente, e gli annunzia la ribellione de’ Comneni. Cesare sorpreso dalla voce di lui allontanalo con una guanciata, e gli ordina di guardarsi in avvenire da cosiffatti deliramenti. Il fanciulletto non di meno da lì a poco tornatogli dappresso non solo conferma la prima riferta, ma di più ripetegli a mente le parole dai Comneni poste nella bocca dello spedito, invitandolo scaltramente con esse alla ribellione sotto mentito pretesto, ed erano: Abbiamo approntato un ottimo camangiare non goffamente o con parsimonia condito; se vuoi goderne procura di sollecitare la tua venuta. Giovanni, postovi orecchio e levatosi a sedere in sul letto, piegando il capo sul destro cubito, comandò che fossegli introdotto il nunzio, e da lui informato della faccenda ebbene inquietezza maggiore: Ahi me! esclamando, rimiratesi quindi le mani e lisciatasi la barba, pieno di pensieri la mente, stettesi qualche tempo sopra sè. Da ultimo stabilito di unirsi ai Comneni, dà ordine agli scudieri di mettere in punto i cavalli, e detto fatto è sulla via di Tzurolo.

XXI. Nel viaggio avvenutosi ad uomo carico di non piccola quantità d’oro lo abbordò colle omeriche parole: Chi sei tu? Donde vieni? Rispostogli: Il gabelliere,