Diario di Nicola Roncalli/1861
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1861
5 Gennaio. — Nel giorno 1° dell’anno il generale de Goyon recossi, con tutta l’uffizialità francese, ad ossequiare il S. Padre, e pronunziò alcune parole analoghe alla circostanza. S. Santità, nel rispondere, conchiuse col dire che benediceva l’armata francese per i nuovi servigi prestati alla religione nella Siria e a Pekino.
Alcuni osservano che non fu nominato affatto nè l’imperatore, nè l’imperatrice.
Altri aggiungono che il Papa dicesse soltanto di pregare Iddio per l’imperatore.
12. — Nella mattina dei 9 corrente, in alcuni saloni delle scuole della Sapienza, furono trovati affissi gli stemmi di Savoia ed inalberate bandierette con colori nazionali.
I papalini, sul principio della settimana, fecero stampare un immenso numero di foglietti d’invito per solennizzare la festa della cattedra di S. Pietro, ricorrente nel giorno 18, col recarsi a S. Pietro, assistendo al pontificale e nella sera facendo luminarie; li mandò per le case e molti ne affisse per Roma.
Il concorso fu ben tenue a S. Pietro. L’illuminazione nella sera fu bastantemente numerosa.
Ecco l’invito:
- «Romani!
«La città vostra, maestra già di tutti gli errori, quale fu mentre giaceva immersa nelle tenebre del Gentilesimo, addivenne poi discepola docile della verità, allorché Pietro su di essa ebbe fondato l’infallibile Cattedra della Cattolica unità.
» I padri vostri ivan superbi di un santo e nobile orgoglio nel possedere sì gran tesoro, e riputarono grande ventura il poter ossequiare da vicino divotamente questa Cattedra augusta ed accoglierne obbedienti gli oracoli.
» In questa collocarono la grandezza e la gloria vera di Roma, che la sottrasse tante volte alle ruine dei barbari e del tempo, alle quali soggiacer dovettero le altre famose antiche città, delle quali ora si disputa perfino del luogo.
» Pertanto, ricorrendo ai 18 di gennaio il solenne anniversario della fondazione di questa cattedra reverenda, voi accorrete in sì fausto giorno alla tomba del glorioso Principe degli Apostoli, veneratene riconoscenti le sacre ceneri.
» Quivi la vostra prece sia prece di pace. Pregate pace alla Chiesa Cattolica osteggiata, pace al Sommo Pontefice, travagliato amaramente dai tanti disgusti, pace a tutto il mondo cristiano, pace infine ai fratelli che ciechi perseguitano i fratelli.
»Alla sera poi di quel lieto giorno sfoggiate allo esterno dei vostri templi, dei vostri palagi e delle vostre case, in isplendide luminarie, e così il mondo vi riconoscerà non degeneri dagli avi vostri».
«N. B . Il Sommo Pontefice assiste al pontificale nella Basilica Vaticana circa le dieci antimeridiane del giorno suddetto».
19. — In tutti i teatri, da alcun tempo, si applaude strepitosamente ad ogni più lieve cosa che possa riferirsi a politica italiana o a sediziosa.
A Tordinona, specialmente, nella musica il Trovatore vi è un coro guerriero che, destando reminiscenze e desideri, viene ogni sera oltremodo applaudito.
La Polizia, per precauzione, manda rinforzi di gendarmi onde sorprendere e conoscere i principali motori di tale troppo significante dimostrazione.
Nella sera dei 12 corrente, la dimostrazione fu più rumorosa del solito. Quindi si procedette, dopo il teatro, a qualche arresto. Tra gli arrestati vi fu un Graziano Piperno, israelita.
Si sono similmente arrestati alcuni studenti della Sapienza ed altri furono fatti rimpatriare.
I medesimi sarebbero i principali compromessi per le bandiere e stemmi che furono trovati nelle scuole.
2 Febbraio. — Nella Università alcuni giovani adottarono l’uso di portare, sopra la cravatta rossa, una spilla colla Croce di Savoia, ed altri, per contrapposto, la portano colla Croce di San Pietro.
Da ciò, fin dal giorno 29 di gennaio, derivarono insulti tra i due partiti, liberale e papalino, fischiate, ecc. Il professore Passaglia s’interpose, e così le cose non procedettero oltre.
9. — Protesta degli studenti della Università:
«Mentrechè in Italia sorge pressoché unanime, spontanea, gigantesca l’idea della nazionalità ed indipendenza della gran patria comune, alcuni pochi degeneri da suoi figli, o per imbecillità di mente, o per privato interesse rinnegano ed avversano la più santa delle cause. Anche la nostra Università ne contiene di questi esseri corrotti. Essi, per vieppiù segnalarsi, hanno apposto alla cravatta, come spinetta, la croce capovolta, col cui segno furono già decorati i vinti difensori del più mostruoso dispotismo; e quasi non bastasse questa sfida, lanciata alla gran maggioranza dei colleghi, forti dell’appoggio delle autorità governative, si son fatti pur lecito di procedere ad insulti verso i creduti oppositori.
» Da ciò dissensioni ed anche risse individuali, che hanno avuto per fatale conseguenza l’espulsione di cinque studenti, che essi medesimi avevan insultato.
» Mentre il Corpo Universitario si riserva di farsi rendere severo conto di questo nuovo atto di brutale arbitrio (e ne fa protesta solenne), crede intanto suo debito segnalare al pubblico i nomi degli sciagurati che ne furono causa. (Seguono i nomi).
»Roma, 9 febbraio 1861».
Domenica, 27 gennaio, al passeggio per il Corso, dopo l’ultima messa di S. Carlo, fu riconosciuto un Giorgi, napolitano, divenuto conte, il quale, dopo aver preso parte alle ultime reazioni degli Abruzzi, erasi rifugiato a Roma.
Tosto gli occhi furono su di lui, e, ad un fischio, tennero dietro cento altri, e così fu obbligato a ritirarsi dal Corso e ricoverarsi in una casa a via Frattina.
Il medesimo era stato a fare una visita al conte di Trapani, abitante incontro a S. Carlo al Corso, da dove usciva nel momento del passeggio, dopo la messa.
Nel giorno 3 corrente, il Comitato romano italiano diramò un suo ordine a stampa col quale inculcava, durante il carnevale, la tranquillità e moderazione, non che l’inibizione di qualsiasi dimostrazione, sia di passeggiate od altro, tendente ad urtare il partito contrario.
16. — Il padre Passaglia, ex-gesuita, altre volte fu invitato, da persone del ministero piemontese, a trattare col Papa sugli affari politici relativi ai due Governi. Egli assunse qualche iniziativa ufficiosa; ma senza effetto.
Ai 5 del corrente, il Passaglia ricevette un dispaccio dal ministro Cavour, e nella sera si recò dal Papa col quale conferì lungamente, circa tre ore. Nella mattina seguente partì alla volta di Torino insieme a Cugnoni, impiegato nella segreteria dei Brevi, e ad un Trivilian, irlandese 1.
La notizia della resa di Gaeta, si ricevette in Roma nella sera dei 13 corrente, e nella mattina seguente si divulgò per tutta la città.
Nella sera, al tramontar del sole, si riunì un numero immenso di scelta popolazione a passeggiare per il Corso.
Circa un’ora di notte s’innalzarono grida di «Viva Vittorio Emanuele, viva Cialdini, viva Napoleone». Quindi, in varii punti, si accesero fuochi di bengala a tre colori. E tutto con il massimo ordine e nobiltà.
I gendarmi pontifici uscirono, prudentemente, dal Corso, e soltanto pattugliarono i gendarmi francesi.
L’uffizialità francese, alle grida, uscì dal Casino, e prese parte anch’essa alla dimostrazione.
Passando per il Corso un legno con zuavi pontifici, i Francesi l’obbligarono ad uscire dal Corso e la popolazione lo accompagnò con solenni fischiate2.
Il re Francesco II sbarcò a Terracina alle 2 pomeridiane del giorno 14, e giunse in Roma a un’ora dopo la mezzanotte, prendendo alloggio al palazzo pontificio del Quirinale.
Il cardinale Antonelli ed il generale francese andarono ad incontrarlo.
Essendosi S. M. coricata ben tardi, avvenne che una tendina ed il letto prendessero fuoco. Quindi si dovette fare correre i pompieri di palazzo per ispegnere l’incendio.
Nel giorno 15 fu pubblicato, a nome del Comitato italiano romano, un manifesto col quale s’invitava ad una serata di moccoletti. Essendo apocrifo, il vero Comitato lo smentì e così nulla avvenne.
Però, realmente, in altri luoghi, si fecero dimostrazioni straordinarie, tra cui a Norcia, dove si prosegui il carnevale per altri quattro giorni.
Intanto un battaglione francese si schierò per prevenire collisioni in piazza Colonna.
Infatti, la tranquillità non fu menomamente turbata.
In un angolo del Quirinale fu trovato scritto «Camere mobigliate d’affittarsi per poche ore».
Nel giorno 15 corrente, alle 5 pomeridiane, il Papa recossi al Quirinale, prevenendo di visita il re e la regina, che si recarono ad incontrarlo sulla soglia.
Una turba dei soliti acclamanti papalini si fece trovare nel cortile del Quirinale e, agitando fazzoletti in aria, gridò: «Viva Pio IX, viva Francesco II».
Nella sera della dimostrazione italiana, per quanto si assicura, il popolo era tutto armato di pistole a revolvers e pugnali per dare la riavuta dei 19 di marzo ai gendarmi pontifici, che già si trovavano coi cavalli insellati a piazza del Popolo e nell’atrio di Monte Citorio.
Si aggiunge che, agli sbocchi delle strade, erano pronte otto persone con funi onde stenderle alla venuta della cavalleria per precipitarla in terra.
Fortunatamente, i Francesi evitarono l’azione dei gendarmi ed il tutto, come si disse, procedette con ordine e tranquillità.
Si assicura, generalmente, che il generale de Goyon, nel giorno 11 corrente, lesse agli uffiziali, (nel casino a piazza Colonna) un Ordine del Giorno col quale li invitava a sistemare i loro interessi poichè la partenza di Roma era prossima. Si aggiunge che l’annunzio fu accolto con gioia e dimostrazione di «Evviva a Napoleone, Vittorio Emanuele» e con brindisi con molte bottiglie di sciampagna.
Ai 13 corrente il generale de Goyon fece partire da Roma la moglie, con tutta la sua famiglia, alla volta di Parigi.
22. — Il Comitato Nazionale ai
- «Romani!
«La indignazione pubblica destata dalle ultime ingiustizie e vessazioni governative obbligano il Comitato Nazionale Romano a invitarvi nuovamente a serbar l’ordine e la moderazione ed a non farvi trasportare da uno sdegno che, sebben giusto, potrebbe essere intempestivo.
» Il procedere del governo papale non è nuovo per alcuno: sua base fu sempre la ingiustizia, la violenza. Ma, tranne il danno particolare di ottimi ed onorati cittadini, questo procedere giova alla santità della nostra causa; nè forse saremmo pervenuti a quanto coll’aiuto divino ottenemmo senza la matta bestialità del governo pontificio, che nella ebbrezza di un fatale accecamento, ebbe cura di suscitare contro a sè il sentimento pubblico di tutti gli uomini onesti.
»I1 popolo di Roma sia tranquillo e fidente: la Italia è costituita in Nazione, e la Nazione ha fissato il destino di Roma, chiamandola ad occupare quel posto che le assegnano le sue glorie e le sue lunghe sventure. Nè astuzia di scellerati maneggi, nè violenza di folli persecuzioni la impediranno. mile allo stolto che si uccide per timore della morte vicina, il governo pontificio affretta con queste insanie la sua fine.
»Voi, o Romani, manifestaste abbastanza l’animo vostro: le vessazioni della polizia, gli appostamenti di truppe papali, i recenti ordini sanguinari di De Merode, le disposizioni d’inferocire sul popolo in caso di qualsivoglia assembramento, nulla varrebbero se fosse necessario l’esporsi a sacrifici di sangue: ma l’Italia non chiede questo da Voi, e vi chiede invece calma e pazienza.
» Calma adunque e pazienza ancora per poco: se coloro che si dicono cattolici non han ribrezzo di continuare nelle ingiustizie e danneggiare, senza alcun pro i loro simili, tocca a noi, figli della Libertà e del Vangelo mostrare al mondo che siamo veramente degni di uscire da tanta servitù, da noi sopportata con animo forte e civile.
- » Roma, 22 Febbraio 1861.
» Il Comitato Nazionale Romano».
23. — Visita di Francesco II al Papa.
Per leggera indisposizione di salute, soltanto nella mattina dei 19 corrente, a mezz’ora dopo mezzo giorno, Francesco II si recava ad ossequiare il Santo Padre unitamente alla regina.
Aveva quattro carrozze, ed egli era vestito con una uniforme semplice da generale e la regina con abito nero.
Le strade che percorse, specialmente al ritorno, che fu alle 2 1|2 pomeridiane, si trovarono piene di popolo.
Nella piazza di S. Pietro ed in quella del Quirinale vi fu qualche grido di «Viva Francesco II».
Dovunque, però, fu dignitosamente salutato con semplice levata di cappello.
A S. Andrea della Valle, tre sacerdoti, al di lui passaggio, gridarono «Viva il re».
Una pattuglia francese si avvicinò a quei sacerdoti e li richiese dei loro nomi, che registrarono.
28. — Protesta degli studmti dell’Università romana al cardinale Altieri, Arcicancelliere, dei 28 febbraio, 1861:
«Conosciutosi che l’Eminenza Vostra erasi finalmente decisa a far sentire la sua voce come Arcicancelliere di questa Università, ci attendevamo che l’Eminenza Vostra, investita dell’alto grado di Cardinale di S. Chiesa e di Sacerdote, avesse proferite parole di moderazione, di carità, di pace. Ma la notificazione del 19 febbraio è stata per noi di amaro disinganno; e l’Eminenza Vostra ha voluto provare anche una volta di aver compito a Vienna la sua carriera diplomatica.
» Senza tener conto dell’idea dispotica con cui Ella esordisce, quasi che, per segnalato favore e non per dovere, abbia in quest’anno autorizzato il Corso Universitario, due abbagli manifestissimi vi campeggiano, cioè l’agitazione di cui oggi l’Università è teatro, sia il fatto di pochi e che sia da estraneo impulso eccitata. Errori gravissimi in cui vivono, o bramano vivere anche gli altri di lei colleghi; errore che ha invaso tutta la macchina governativa e che è causa delle già patite, non che delle sovrastanti sciagure.
»No, Eminentissimo, non sono pochi, ma è la grande maggioranza degli studenti, che, preoccupati al pari degli altri cittadini, dall’idea di patria e di nazionalità, diedero opera di proprio moto, e senza consiglio ed intervento di estranei, a quelle dimostrazioni patriottiche, tanto severamente punite in alcuni dei nostri colleglli creduti colpevoli!!!
»I pochi furon quelli che le avversarono, i cui nomi vennero appunto segnalati nella protesta che l’Eminenza Vostra ha voluto qualificare di illogica ed insensata.
» A fronte del linguaggio con cui venivano stimatizzate le nostre giuste querele, pur ci attendevamo di rinvenire, nel seguito dell’avvenuta notificazione, se non un assoluto oblio del passato, una qualche traccia almeno di benevola indulgenza, ponendo mente che nella giovinezza non sempre prevale il freddo calcolo alla ragione.
» Ma che! vi trovammo invece più decisa ed inasprita la minaccia, e quasi che non fossero già privati del beneficio della istruzione, per fatto della stessa Eminenza Vostra, ben più di venti giovani ed altri di essi gettati anche in prigione, si dichiara decisa di procedere, quasi cosa nuova, a tal sorta di punizione, dicendo di conoscer tutto, sapere i nomi dei colpevoli e che a carico loro non solo, ma anche contro i sospetti, procederebbe!
» Se con tali elementi possa essere ricondotta la calma nella mente di giovani irritati da ripetuti oltraggi, Roma ne farà giudizio. Intanto l’Eminenza Vostra esca d’inganno riguardo a supposte influenze estranee, sappia che le nostre proteste e dimostrazioni muovono dalla nostra sola e libera volontà, allo scopo di palesare ognor più quali sieno i veri sensi del Corpo Universitario Romano.
- »Roma, 28 Febbraio 1861.
» Gli Studenti».
2 Marzo. — Lettera degli Studenti dell 9 Università Romana al professore Rudel 3:
- «Signor Professore Rudel,
«Dopo l’ignobile linguaggio con il quale Ella osò in pubblica scuola qualificare gli atti politici avvenuti in questa nostra Università, il Corpo degli Studenti non può non dichiararsi altamente offeso della sua condotta e notificare all’intera Città come Ella, dimenticando di essere Italiano, abbia vilmente oltraggiato gli studenti che si trovarono presenti alla dimostrazione politica avvenuta lo scorso giovedì nel teatro Anatomico di questa Università, sfidando a mostrarsi chi Ella credeva esserne l’autore per poscia farne una nuova vittima dell’ira clericale.
Sappia intanto, sig. Professore, che l’intero Corpo Universitario, siccome autore, è anche responsabile di qualunque fatto politico avviene nell’Università, e non già gl’individui com’Ella sembra credere. Ed è a questo Corpo Universitario che dovrà Ella render ragione dell’oltraggio fatto dalla pubblica cattedra al patriottismo dei suoi studenti, non che dell’intiera Università.
- » Roma, 2 Marzo 1861.
- » Gli Studenti dell’Università Romana».
- » Roma, 2 Marzo 1861.
Ai 24 di febbraio fu scritto, con vernice, per varie contrade di Roma, «Viva Vittorio Emanuele».
Ai 27 di febbraio, dentro al palazzo Altieri, furono sparse varie coccarde tricolori.
Gli ospiti alloggiati al Quirinale sono 116. Pranzano in sette tavole, secondo i diversi gradi, colla spesa di scudi 1200 al giorno (mille e duecento).
Il re Francesco II ricevette i cardinali, i ministri pontifici e l’alta nobiltà romana.
Egli esce talvolta a piedi, in compagnia di qualche gentiluomo.
S’ignora tuttora l’epoca della di lui partenza.
Si lavora alacremente per armamenti di truppe pontificie, ed ultimamente monsignor De Merode ordinò si mettessero in pronto scuderie per altri 500 cavalli.
Monsignor De Merode, ministro delle armi, attende, con molta attività, ad organizzare una nuova armata pontificia.
Formò un campo presso S. Paolo, fuori delle mura per esercitare l’artiglieria.
Intanto che si promovono arruolamenti, molti giovani romani, tutto giorno, si avviano verso la Sabina per prendere servizio nell’armata italiana.
Il Governo spedi molti gendarmi ad occupare i passi principali.
Questi ebbero istruzione di arrestare i volontari e ricondurli in Roma. Nei giorni 6, 7 e 8 ne furono arrestati circa 30.
Si dice, generalmente, che alcuni uffiziali dello Stato Maggiore piemontese siansi introdotti, clandestinamente, in Roma e che il generale La Marmora, dopo tre giorni di permanenza, sia ripartito nella notte dai 7 all’8 corrente.
16. — Agli 8 corrente giunsero in Roma, e presero alloggio alla locanda Serny, due inglesi, uffiziali dei Cacciatori delle Alpi nelle truppe piemontesi4.
Il loro vestiario militare, il Governo cui appartengono e le piume di gallo ai loro bizzarri cappelli richiamarono la curiosità e la simpatia popolare, così che, appena comparvero al pubblico, furono circondati da moltitudine di gente.
Il Governo mandò a pregarli di fare qualche modificazione al loro uniforme e dimettere le piume.
Si assicura che nel giorno 9 corrente il Governo intimò l’esilio a dieci individui, tempo a partire sei giorni.
Tra questi vi sono:
Il sacerdote D. Giuseppe Muratori, cappellano della chiesa del Divino Amore, presso la piazza di Borghese, piemontese, e caudatario del cardinale Bofondi,
Boschetti, mosaicista,
Dottor Pantaleoni,
Avvocato Ballanti,
Bonfigli, maestro di lingue.
Alle colonne del Vaticano furono affisse alcune poesie in favore del Papa-re. In esse si conchiude che, se anche dovesse cadere, egli presto risorgerebbe.
Nel giorno 10 corrente, i gendarmi facevano guardia a tali stampati.
I promotori e direttori delle dimostrazioni papaline stabilirono un turno per fare gli onori di anticamera, a guisa di gentiluomini, presso il re Francesco II.
Ogni giorno ne montano due in abito nero e cravatta bianca.
(Avviso telegrafico)
Al Console di Sardegna, — Roma.
«La Camera dei Deputati adottò all’unanimità il progetto di legge, che conferisce al Re il titolo di Re d’Italia.
- » Torino, 14 marzo 1861.
» C. Cavour».
Ieri mattina, essendosi saputo, per telegrafo, che la Camera dei Deputati di Torino aveva ammesso ad unanimità il titolo di Re d’Italia, si sospettava che nella sera vi fosse una dimostrazione. Quindi pattuglie molte ed imponenti. Nulla accadde.
Questa mattina, però, si sono trovate bandiere italiane collocate in molti luoghi e migliaia di biglietti, sparsi, con iscrizioni di «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia».
Simili biglietti, con stemmi di Savoia e bandierette tricolori, questa mattina si trovarono nella scuola di matematiche alla Minerva, per il che la lezione non ebbe luogo ed il professore si ritirò.
Anche alle porte dei religiosi furono adissi cartellini, con cornicette verdi ed iscrizioni in colore rosso, col motto «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia»5.
Ieri sera fu arrestato Costantino Ciarli, figlio di un portiere e portiere anch’esso del tribunale criminale, rinvenuto con una bandiera italiana e molti fogli clandestini per affiggerli.
Due giovani audaci, ieri sera, si recarono sul Campidoglio per piantarvi una bandiera italiana.
Un gendarme se ne avvide e tirò una schioppettata, che forò il cappello ad uno. Si diedero alla fuga; ma uno ne fu arrestato.
Se ne arrestarono altri 13 fra i più compromessi.
Nella Università della Sapienza avvenne simile dimostrazione con grida di «Evviva Vittorio Emanuele Re d’Italia, nostro Sovrano», spargimento di bandierette tricolori, stemmi di Savoia.
L’abate Perosini, professore del Testo Canonico nella Sapienza, in una lezione si diffuse lungamente sulla libertà dei culti e della stampa. Poco dopo fu giubilato.
23. — Nell’Accademia di S. Luca, al palazzo della Camera, presso Ripetta, nello stesso giorno 16 corrente, vi fu strepitosa dimostrazione di quei giovani.
Si gridò: «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia».
Il professore Antonio Sarti cercò di calmare questi esaltati ed espose loro l’inconvenienza di siffatte grida sediziose nella casa del loro Sovrano. Essi risposero «Il nostro Sovrano è Vittorio Emanuele».
Quindi inalberarono una bandiera italiana in un balcone dalla parte del Tevere e protrassero le entusiastiche grida per alcun tempo e fino a che il professore Sarti, presidente dell’Accademia, si fu ritirato6. Ai 16 corrente ebbe luogo una passeggiata da Campo Vaccino a S. Giovanni.
La forza francese accedette sul luogo per impedire che la dimostrazione eccedesse i limiti.
Ai 17 corrente si rinnovò, ed una turba di sopra un migliaio di giovinastri, mentre la forza francese, si recava ad occupare la piazza di S. Giovanni, si associò alla banda militare marciando a plotoni con essa fino a S. Giovanni.
Quindi, collo stesso ordine, si recarono al Foro Romano ed ascesero il Campidoglio. Poscia tranquillamente si sciolsero7.
23. — Nella mattina dei 17 corrente, alla nipote di Richbac (Reisach?) passando per via della Fontanella di Borghese, fu appuntato all’abito una bandieretta tricolore avente in mezzo lo stemma di Savoia. Poco dopo alcuni gendarmi se ne avvidero ed erano sul punto di condurla in arresto.
Del resto, i liberali fecero alcune bandiere piccolissime, ad uso banderuole, con aste aguzze a guisa di spille, per poter attaccarle alle vesti delle femmine.
29. — Sul colonnato presso la Chiesa di S. Pietro furono affissi due esemplari manoscritti dell’annesso sonetto, che, unitamente ad altro di eguale argomento, venivano sorvegliati da un soldato pontificio veterano.
Al primo si leggeva la seguente intestazione:
A Pio IX
Pontefice e Re
Offrono alcuni studenti
Nel terzo Venerdì
di Marzo 1861
Sonetto.
Dunque l’empio trionfò? di Piero il soglio |
Tacete, o stolti, che se Iddio finora |
30. — Il ministro delle armi adunò a Roma tutti i suoi zuavi che erano nella provincia di Frosinone per schierarli sulla piazza di S. Pietro alla benedizione del giorno di Pasqua.
Si dice che abbia intenzione di eccitarli, unitamente ai soliti plaudenti romani, per fare una dimostrazione dopo la benedizione, con grida e battute di mano, come fece il popolo nel 1847.
I zuavi arrivarono a Roma nel giorno 27.
Nelle ore pomeridiane dei 25 (giorno della Madonna) il Papa si recò al Pincio e, disceso dalla carrozza, passeggiò per alcun tempo.
Alcuni zuavi si provarono di fare una dimostrazione al Papa; ma non trovarono eco.
Nella mattina di Pasqua, sulla piazza di S. Pietro, dopo la benedizione, i soliti plaudenti e zuavi promossero evviva a Pio IX. La dimostrazione riuscì debole e di brevi momenti.
13 Aprile. — Ieri, anniversario del ritorno di Pio IX da Napoli e della sua incolumità nel disastro di S. Agnese, i fautori degli applausi promossero una dimostrazione consistente in luminarie doppie di gas per il Corso e per la città in trasparenti.
A ridosso dell’obelisco, al Popolo, ne fu messo uno collo stemma pontificio in cui leggevasi:
A Pio IX
Pontefice massimo
I sudditi devoti
Scrivi, o Roma, negli eterni tuoi fasti
I nomi di quei magnanimi che il senno e la mano
Consacrarono a serbarti il Pontefice-Re
Tua somma gloria.
Al Corso, sulla loggia della Ripari, incontro a Fiano, si vide un trasparente che rappresentava la navicella di S. Pietro in mare tempestoso.
Si dice che fu a spese di due uffiziali zuavi che ivi alloggiano.
Nella Sapienza si era fatta una sfarzosa illuminazione col busto del Papa, circondato da torcie. Non appena terminata l’accensione, varii studenti dell’Università, mal soffrendo che a loro nome si facesse l’illuminazione, al grido di «Abbasso i lumi», presero a scagliare sassate contro le medesime, che, per la maggior parte, furono dirette al busto di Pio IX e alla iscrizione con trasparenti. Alcuni, più audaci, forzarono e quasi disarmarono il guarda-portone, ascesero le scale ed atterrarono parte della illuminazione, rompendo invetriate con strepito.
Il popolo, intimorito, fuggì, e, accorsi sul luogo i gendarmi, colluttarono con quei giovani ed alla fine ne poterono arrestare due, cioè:
- Vincenzo Aureli,
- Filippo Del Frate.
Si assicura che vi furono cinque o sei feriti, tra cui un gendarme.
Alla piazza della Rotonda fu collocato un grandioso quadro trasparente, lineato dal prof. Gagliardi.
Esso rappresentava l’obolo di S. Pietro, con varie figure allegoriche, cioè S. Pietro, con le chiavi, che copre col suo manto Pio IX. Alcune potenze che sostengono il triregno e versano denaro; la Fede con l’eresia sotto i piedi, la cui ultima allegoria alcuni riferivano a Vittorio Emanuele.
Quindi si leggeva:
Gli odierni portenti — conferman la fede
Che salda non crolla — di Pietro la sede
Che Cristo ha formato — che Cristo sostiene
Date obolum Petro.
Circa le 8 pomeridiane, mentre la moltitudine si era quivi affollata, l’esplosione di una bottiglia, ripiena di polvere, pose tutto in scompiglio. Fu anche lanciata una bottiglia di acqua di ragia al trasparente per incendiarlo.
A Borgo fu esposto altro trasparente in cui vedevasi S. Pietro in carcere, protetto da un angelo.
L’allegoria alcuni la riferivano ai Francesi che tengono il Papa come in carcere.
In Ghetto fu obbligatoria. Del resto, presso S. Carlo al Corso, piazza di Spagna, piazza del Fico ed altrove furono sparati varii grossi petardi per intimidire la popolazione.
Però, a piazza Colonna, alla Maddalena si erano formate piazze di armi, e numerose pattuglie francesi e pontificie vegliavano per il buon ordine.
Si osservò che molti si astennero dal fare l’illuminazione.
20. — Nella mattina dei 14 corrente furono trovate affisse alcune satire in varii luoghi della città. Consistevano in pitture rappresentanti un catafalco, sopra il quale era il triregno, circondato da torcie gialle, sotto il teschio di morte con l’iscrizione «Fine», cioè alludeva alla morte e fine del Governo temporale.
I Gesuiti avevano scudi cinquemila di rendita in consolidato nominativo. Lo convertirono in cartelle al portatore.
Hanno venduto il Macao, la Vigna Alberoni, fuori di porta Pia, i terreni contigui alla Chiesa di S. Sabba e di S. Eusebio e la stamperia della Civiltà Cattolica.
Il generale de Goyon imballò i suoi effetti, e si assicura, generalmente, che sia stato richiamato.
Allo studente Del Frate, arrestato nella sera dei 12 corrente, fu dato il cavalletto che gli portò le conseguenze di uno sbocco di sangue dalla bocca.
Questa mattina, circa le 10 antimeridiane, alla Sapienza fu esposta una grande bandiera tricolore, lunga 6 palmi e larga 3, riquadrata precisamente nella finestra della scuola della facoltà medica del professore Scalzi.
Quindi, per le scale e nella stessa scuola, si sparsero coccarde di lana tricolori con foglietti di carta aventi da una parte la seguente iscrizione: «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia» e dall’altra lo stemma di Savoia.
30. — Da alcuni giorni girano per Roma due indirizzi l’uno a Napoleone, l’altro a Vittorio Emanuele, tendenti ambedue a far cessare l’attuale stato di cose in Roma. Si dice che sieno di già composti di migliaia di firme8.
4 Maggio. — Nella mattina dei 30 aprile, per ordine sovrano, circa 30 gendarmi invasero l’arcispedale di S. Spirito, e, alla insaputa dello stesso monsignor commendatore Narducci, piantonando le stanze dei medici e chirurgi studenti, procedettero ad una rigorosa perquisizione.
Rinvennero carteggi politici col Piemonte e con tutte le parti dell’Italia redenta, un foglio colla firma autografa di Vittorio Emanuele, stemmi ed emblemi rivoluzionari, un foglio colle nomine di un ministero interno tra componenti l’ospedale, due o tre pugnali, una pistola con munizione e polvere. Osservarono, inoltre, sui muri, irriverenti e sediziose iscrizioni, tra le quali «M.... a Pio IX, Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia».
La perquisizione durò sino a notte e si sequestrarono molte carte.
Non si procedette all’arresto di alcuno perchè queste furono le superiori disposizioni.
Del resto, lo scopo principale della operazione era di trovare gli indirizzi che girano per Roma, l’uno diretto a Napoleone per far cessare l’attuale stato di cose, l’altro a Vittorio Emanuele perchè, senza ulteriore indugio, venga a Roma.
11. — Nella mattina dei 5 corrente, per la città, si trovarono attaccate ai muri ed a qualche obelisco coccarde tricolori.
Il modo fu ingegnoso poiché erano lunghe fettuccie bianco-rosso e verde raccomandate alla creta. Tali pallottole, gittate facilmente ed attaccantisi alle pareti altissime, si trovò difficoltà di abbassarle.
Se ne rinvennero agli obelischi della Trinità dei Monti, di piazza Navona, alle facciate delle chiese di S. Apollinare, di S. Eustachio, ecc.
Da vario tempo, nei teatri gli spettatori applaudono strepitosamente a qualsiasi concetto o parole in senso italiano.
Ai 7 corrente, al teatro Valle, vi fu la serata a beneficio dell’attore Bellotti-Bon. Alla fine furono gettati sul palco due mazzi di fiori, l’uno bianco e l’altro rosso.
Avendo egli un’acconciatura verde, nel ringraziare coi mazzi in mano, si videro chiaramente i colori nazionali. Allora il pubblico proruppe in strepitosissimi e prolungati applausi.
18. — Nella sera dell’11, ricorrendo l’anniversario dello sbarco di Garibaldi a Marsala, s’incendiò qualche bengala tricolore9.
Uno di questi al vicolo del Governo Vecchio, e furono arrestati, come sospetti, un Antonio Quattrini....10.
Nella sera medesima, 11 corrente, al teatro Alibert solita dimostrazione alla prima ballerina per gli ornamenti di presunti tre colori.
25. — Ai 18 del corrente, il cardinale Vicario pubblicò un Invito Sacro per un triduo alla Madonna sotto l’invocazione Auxilium Christianorum.
Accennò in esso che: «quando stretto il popolo di Dio dalle armi assire, capitanate da Oloferne, invocava il divino soccorso, fu salvato da Giuditta. Questa invocazione ricordare la vittoria della fede e il più recente trionfo del settimo Pio dopo tanti travagli e sofferte violenze. Queste ora ripetersi sotto aspetto anche più fiero e più simulato».
Il triduo fu fatto, come nello scorso anno, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, nei giorni 22, 23 e 24. Numerosissimo fu il concorso dei fedeli.
Furono pronunziati discorsi analoghi alla circostanza e tutti d’interesse politico.
Si declamò che «da Gesù Cristo in poi tutti i d i lui rappresentanti in terra ebbero un Giuda che fece loro trangugiare un calice amaro, ma che la feccia della bevanda fu riserbata sempre al traditore stesso.
» Anche oggi vi è un Giuda, un traditore che ha propinato l’amara bevanda al nono Pio, ma forse questo Giuda dovrà trangugiare la feccia».
Nell’ultimo giorno, il predicatore, che fu sempre un domenicano, parlò con egual calore accennando alla potenza di Maria.
«Rammentate (egli disse) quel potente che con le baionette, avendo conquistato milioni di sudditi, aspirava a conquistare e comandare il mondo intero, perseguitando la Chiesa, per potere di Maria, si vide costretto a morire disperato sopra un’isola».
Alle 10 ed un quarto antimeridiane dei 27 maggio, S. Santità, col treno nobile, che dal 1847 non era stato adoperato, preceduto dal Crocifero a cavallo alla mula bianca, si recò alla chiesa di S. Filippo Neri per la cappella che, invece del giorno precedente, ebbe luogo nel suindicato giorno per la Santissima Trinità che ricorreva il 26. Sua Santità aveva seco gli eminentissimi Patrizi e Barberini.
Alla imboccatura di Ponte i borghiggiani spiegarono bandierette bianco-gialle, gettarono fiori e vi furono vivissime acclamazioni.
Acclamazioni più temperate, eccitate da un codazzo di plaudenti che seguivano la carrozza, ebbero luogo anche presso la Chiesa Nuova, dove pure si sparsero fiori, si agitarono i fazzoletti e si gridò: «Viva Pio IX».
Anche sulla piazza della Chiesa Nuova si sparsero varie bandierette bianco-gialle.
1° Giugno. — L’accademia filodrammatica romana, nella sera dei 25 maggio, diede una rappresentazione in una sala del palazzo Braschi.
Dopo il primo atto, si fecero applausi strepitosi agli attori; ma questi furono di pretesto, poiché, contemporaneamente, si videro svolazzare 40 o 50 uccellini, di varie specie, con nastri bianco-rosso e verdi, i quali, per loro istinto andando al riflesso degli specchi che vi erano sopra i piattellini di cristallo dei candelabri, si mostravano più palesemente.
Quindi due grandi bandiere furono piantate alle parti laterali del salone; mazzi di fiori gettati dovunque, coccarde italiane e stemmi di Vittorio Emanuele a centinaia, con sonetti analoghi, non che grida strepitosissime di «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia, viva Napoleone, viva Garibaldi, viva l’Italia».
I plaudenti promotori, che erano sul fine della sala, si calcolarono a 150.
Varie signore si videro ornate dei colori italiani e si unirono ad applaudire.
II cardinale Altieri, che assisteva all’accademia, in qualità di presidente, fuggì sgomentato, ed alcuni soci imitarono il suo esempio.
La rappresentazione fu interrotta; si annunziò che non si sarebbe proseguita, e poco dopo la sala si vuotò tranquillamente.
La Polizia ora agisce energicamente per conoscerne i promotori11.
In seguito alla perquisizione fatta nell’ospedale di S. Spirito, nel giorno 4 maggio, molti medici e chirurgi si trovarono compromessi.
Ultimamente, la Polizia determinò di esiliare i forestieri e vincolare di precetto i Romani.
Negli scorsi giorni eguale perquisizione, ma senza risultati, venne eseguita nell’ospedale di S. Giacomo in Augusta.
Nella mattina dei 27 prossimo passato, alla Trinità de’ Monti, sulla facciata della Chiesa, in mezzo alle due armi pontificie, fu inalberata una grande bandiera tricolore.
4. — In seguito alla dimostrazione avvenuta nella accademia filodrammatica, la sera dei 25 dello scorso maggio, nella quale si fece uso di cardellini ed uccelli di varie specie, con nastri tricolori, i quali cardellini soglionsi vendere pubblicamente, la Polizia stimò opportuno di ordinare che ne venisse proibita la vendita e, nel caso, che fossero ridonati a libertà.
Così pure le palombelle, le quaglie e gli storni.
Nella mattina dei 5 corrente un ignoto sacerdote, trovando sulla piazza della Rotonda una gabbia di uccelli da vendersi, ne acquistò per 70 bajocchi, e quindi, aperta la gabbia stessa, lasciando loro il volo, disse: «Riacquistatela intanto voi la libertà, che poi l’avranno gli altri».
8. — Il giorno 2 corrente, essendo stato dedicato alla festa nazionale del regno italico, la Polizia pontificia prese varie precauzioni.
Fin dal giorno 29 di maggio, dispose che si facessero visite notturne nelle locande ed agli affitta-camere per sorprendere qualche profugo fazioso che si ebbe sentore potesse essere rientrato in Roma, fogli incendiarii, ecc.
In seguito a ciò, si procedette a molti arresti e, nel giorno 1° del corrente, gli arrestati sommavano a 140.
Nello stesso giorno, 1° corrente, si mandarono zuavi, con militi di altri corpi, fuori delle porte, formanti posti avanzati.
Si concentrarono in Roma altri gendarmi, richiamati dalia Comarca, e si rafforzarono e moltiplicarono pattuglie.
Nelle ore pomeridiane alcune compagnie francesi occuparono piazza Colonna e formarono fasci di armi.
Il Comitato italiano romano pubblicò un ordine a stampa, in data del 1° corrente, col quale, esortando ad astenersi da qualsiasi dimostrazione, consigliava a sovvenire, invece, sul suo esempio, famiglie indigenti tanto dell’uno quanto dell’altro partito.
Poco dopo partiti i Francesi, fu attaccata una bandieretta tricolore al palazzo di Piombino.
Nella notte i gendarmi perlustrarono accuratamente tutta la città, e si può dire che non vi fosso portone dove non si nascondesse forza.
Non pertanto, nel mattino, si trovò il palazzo di Venezia tempestato di piccole bandierette, attaccate col solito mezzo della creta.
Sulla via di Borgo furono attaccate varie iscrizioni di «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia».
Sulla facciata e campanile di S. Maria Maggiore furono inalberate bandiere tricolori.
Nelle ore pomeridiane i Francesi rinnovarono il solito apparecchio militare in piazza Colonna.
Numerose pattuglie perlustrarono il Corso.
Il giorno 2 corrente, solennizzandosi per le chiese la chiusura del mese Mariano, per prudenza, si si tralasciò di cantare il Te Deum.
Monsignor Borromeo, però, volle che in quella di S. Carlo al Corso venisse solennemente cantato.
Ecco il proclama del Comitato nazionale:
- «Romani!
«Per volontà del Parlamento e per Decreto del Governo del Re, sarà d’ora in avanti sacra alla Patria redenta la prima Domenica del mese di Giugno. S’approssima il primo di questi giorni memorabili che ricorderanno ai nostri posteri più lontani il risorgere di un gran popolo dopo secoli di sventure, che quasi l’intiera Italia da un capo all’altro lo festeggia colla gioia di un popolo libero, benedicendo a Dio, al Re, a quanti soffersero, a quanti morirono per essa, a quanti coll’ingegno e col braccio concorsero ad affrancarla dal servaggio nostrale e straniero.
» Il vostro Comitato Nazionale sarebbe lietissimo, o Romani, di potervi invitare a manifestare con segni esteriori la gioia a cui partecipa l’animo vostro. Ma lo stato deplorabile a cui siete ridotti in nome del Dio delle Misericordie, il rispetto che per gratitudine dovete ai soldati di una Nazione amica, i quali per una fatale necessità sono ancora costretti a puntellare un Governo che disprezzano, comprimendo un popolo che amano e stimano, hanno invece consigliato al vostro Comitato di esortarvi a rimaner tranquilli, astenendovi da qualsivoglia publica dimostrazione. D’altronde nello stato attuale di servaggio a cui Roma è tuttavia condannata, le publiche dimostrazioni non valendo che una protesta contro il Governo oppressore, il Comitato ha creduto che, dopo le molte da voi fatte al compiersi dei maggiori avvenimenti del risorgimento nazionale, sarebbe per lo meno inutile, a migliorare la vostra situazione il provocarne una nuova nello stato presente delle cose.
» Qualunque dimostrazione poi perderebbe pregio a fronte della solenne manifestazione de’ vostri desiderii testé fatta con bella prova di coraggio civile in faccia ai vostri oppressori, sottoscrivendo in numero di oltre diecimila, le due petizioni al Re d’Italia ed all’Imperatore dei Francesi per la liberazione di Roma.
» Romani! Mentre il vostro Comitato vi ringrazia sin da ora di aver così bene corrisposto alla fiducia che avea di voi, è lieto di potervi annunziare che, a solennizzare la festa nazionale, la presentazione della petizione al Magnanimo nostro Re, sarà fatta probabilmente nel giorno 2 del prossimo Giugno. Roma divisa dalla Nazione, soggetta, suo malgrado, a gente straniera per istinto, ridotta allo squallore e prossima all’estremo della miseria, non potrebbe in miglior modo solennizzare la santità di quei giorno: è dovere che essa si compiaccia della prosperità nazionale traendone speranza a parteciparvi, ma non deve mentire il proprio stato atteggiandosi a festa.
» Una soia cosa, o Romani, può ancora concorrere per parte vostra, a santificare il giorno solenne; e questa è l’esercizio di una virtù cristiana e cittadina, l’esercizio della carità. Il Comitato ha stanziato sui proprii fondi una somma da distribuirsi alla classe indigente; ma Egli fa un dovere a chiunque fra voi od abbia più del bisogno, o possa ai proprii bisogni sottrarre qualche cosa, fa un dovere di soccorrere ai miserabili, senza distinzione di partiti. Mostrate col fatto che la libertà è virtù, e che ama il prossimo chi ama la Patria.
» Del resto, il vostro Comitato vi esorta a rimaner quieti e tranquilli; e voi non temete che la quiete, in un momento che è pur solenne, possa rimproverarvisi come una viltà. Rigettate sdegnosamente da voi chi l’osasse: egli sarebbe od un nemico scaltro, o un amico dissennato.
» Il sacrifìcio che chiede a voi l’Italia è il sacrificio della pazienza, che non è certo il meno difficile a compiersi, nè il meno meritorio. L’avete saputo compiere sino ad ora e l’Italia ve ne è grata. Che se per l’avvenire dovesse chiedervene anche maggiori prove voi dovrete darle, voi saprete darle.
» Ricordatevi, o Romani, che per voto unanime della Nazione, la vostra Città nativa è chiamata ad essere la prima fra le grandi Città italiane: voi col vostro contegno, col vostro senno, coi vostri sacrifìcii, dovete mostrare che la Nazione non si è ingannata, che Roma è degna dei grandi destini che l’attendono.
- »Roma, 30 maggio 1861.
- » II Comitato Nazionale Romano».
- »Roma, 30 maggio 1861.
Come è noto a tutti, il principe di Piombino fu uno dei primi a firmare gli indirizzi a Napoleone e Vittorio Emanuele per sollecitare l’unità italiana.
Il Papa, negli scorsi giorni, chiamò a sè il principe e gli diresse alcuni rimproveri su tale oggetto.
Si dice che il principe gli rispose aver egli ciò fatto nella convinzione di apportar vantaggio anziché danno alla religione ed allo Stato.
La Polizia intimò ai caffettieri, sotto pena di arresto, di non fare contemporaneamente i sorbetti di limone, fragola o lampone, e pistacchio, formanti i tre colori.
Eziandio, per lo stesso oggetto, furono diffidate le cuffiaie, per i nastri, ecc.
11. — Beneficiata nel Teatro Alibert nella sera degli 11 giugno, 1861:
«Nella sera degli 11 corrente, nel teatro d’Alibert, ebbe luogo la beneficiata per la prima ballerina Ernestina Wuthier.
» Il concorso fu tale che il vastissimo teatro presentò l’insolito spettacolo di essere riboccante di spettatori, e tutti di civile condizione.
» Platea pienissima con due cordoni in piedi. Nessun palco vuoto, compreso il quinto e sesto ordine.
» All’apparire della ballerina, applausi strepitosissimi e prolungati, un agitar di fazzoletti e copiosa offerta di mazzi e ghirlande di fiori.
» Posteriormente, nuovi applausi vivissimi con altrettanti mazzi con nastri pregevoli.
» Quindi altri con i colori distinti bianco-rosso e verde, e, tra questi, uno grandioso, avente la croce di Savoia nel mezzo, non che una ghirlanda, con lungo nastro colorato e con le iniziali V. V. E. (Viva Vittorio Emanuele), dalla ballerina graziosamente raccolto. Sopra il mazzo do v’era la croce di Savoia, impresse un bacio e, con esso tra le mani, ringraziando reiteratamente, pose il colmo alla universale simpatia per l’artista benemerita.
» Allora gli applausi divennero più fragorosi, l’entusiasmo frenetico, ed una voce sorse dalla platea che gridò: «Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele».
» Gli spettatori aderirono al grido ripetendolo, e la dimostrazione prese il pieno aspetto politico.
» In tale stato di cose, la Polizia mandò in teatro alcuni gendarmi in platea (aventi alla testa il brigadiere Cannella), che lo percorsero a passo lento per il canale di mezzo.
» Alla loro comparsa, si proruppe in fischi, urli, e grida di Infami, traditori, passa via, e, contemporaneamente, prevalse una unanime ed istantanea deliberazione di sgombrare la platea.
» In pochi minuti questa si rese deserta ed i gendarmi rimasero padroni delle panche e quasi soli spettatori del seguito del ballo, tra un sepolcrale silenzio, e di cui non restavano che gli ultimi due atti. Così che, veduta la inutilità delle insolite posizioni occupate nel centro, pian piano si accantonarono e quindi si ritirarono.
» Lo spettacolo terminò tranquillamente e si rinnovarono applausi alla ballerina.
» I fiori offerti alla beneficiata furono in tanto numero da empirne un carro.
» Il teatro, per ordine superiore, fu chiuso».
15. — Nel mattino dei 9 corrente, per la via del Corso, si trovarono coccarde tricolori in tanta quantità che fu d’uopo raccoglierle colla scopa.
Si sparse voce che nella sera avrebbe avuto luogo un’altra dimostrazione politica. Quindi si adottarono misure preventive ed i gendarmi rimasero fino a notte avanzata in numerosi appostamenti, specialmente per la via del Corso.
Nulla si verificò.
Si dice che il Comitato italiano romano invitò ad un lutto di tre giorni per la morte del conte di Cavour (avvenuta il 6 del corrente), cioè dei giorni 8, 9 e 10, consistente nell’astenersi dai pubblici spettacoli e nel passeggio per il Corso nella domenica 9 corrente.
Infatti, nelle indicate tre sere, i teatri furono quasi vuoti, come del pari il Corso.
La ballerina di Alibert, Ernesta Wuthier, che è in fanatismo per l’abilità e pei principii liberali, aveva avvisato il pubblico, da tre giorni, che avrebbe avuto luogo la sua beneficiata la sera dei 10 corrente.
Per il lutto di Cavour si astenne dal ballare nelle sere dei 9 e 10 corrente col pretesto di essere incomodata, e trasportò la sua beneficiata alla sera degli 11.
Nella mattina dei 10 corrente, alle ore 8 antimeridiane, parti da Roma il principe di Piombino.
La Polizia adottò alcune precauzioni temendo qualche dimostrazione. Molti gendarmi perlustrarono le vicinanze del suo palazzo, il Corso e specialmente la porta del Popolo.
Però, fuori della medesima andarono molte carrozze ed altri individui a piedi per salutarlo.
Si dice che, per ordine Sovrano, gli fu proposto di ritrattarsi legalmente per la firma apposta agli indirizzi italici, altrimenti il di lui passaporto sarebbe stato vincolato pel rimpatrio. Egli ricusò e parti col vincolo, che si dice fosse soltanto verbale, che, cioè, volendo tornare in patria, dovesse farne analoga domanda.
Del resto, essendo a tutti noto che, oltre a molti avvocati, medici, particolari, abbiano sottoscritto gli indirizzi anche il duca Fiano, il principe Pallavicini, il duca di Sermoneta, così si sparse voce che anche questi ultimi, volendo partire, anderanno soggetti alle stesse formalità del principe di Piombino.
Il Comitato nazionale romano, in data dei 9 corrente, partecipò la morte del conte di Cavour, esortando a non perdersi di coraggio come dall’annesso foglio a stampa:
- «Romani!
«Una grande sciagura ha percosso la nostra patria, e il cuore d’ogni vero italiano piange oggi lagrime amarissime sulla tomba del conte di Cavour.
» L’Italia ha perduta la sua gloria più bella, la mente più vasta ed illuminata, quella che tutta Europa le invidiava, ha perduto il più operoso dei suoi figli, l’edificatore della sua indipendenza ed unità nazionale; e questa vita preziosa si è spenta ad accrescere il serto dei nostri martiri.
» Sì, il conte di Cavour è caduto martire della sua infaticabile operosità per la patria, martire delle infinite veglie patite, dei mille travagli sostenuti per l’attuazione del gran concetto italiano, delle lotte acerbe incontrate, per reggere e condurre a fine la grande impresa. E quando l’impresa era compita, quando appunto l’Italia festeggiava la sua liberazione dovuta massimamente al senno di lui, quando già s’incamminava al Campidoglio, ecco la morte lo rapisce all’amore dell’Italia, lo trasporta a riposare eternamente nei seno di Dio! Simile a Mosè, potè liberare il suo popolo dalla servitù straniera, potè condurlo sui limiti della terra promessa, ma gli fu vietato l’entrarvi, pago della certezza che quel popolo avrebbe avuta una patria, e sarebbe giunto ai grado di grande e prospera nazione.
» Romani! il conte di Cavour è morto, ma non muore con esso l’opera sua: grazie ai cielo, alla Italia non mancano menti capaci ed anime forti per coronare l’edifizio da lui innalzato. Lungi dalle intemperanze e dalle fiacchezze, l’Italia camminerà in quella stessa via, percorsa tanto gloriosamente sotto la sua condotta, e giungerà in breve e felicemente alla meta. Tocca a noi, al nostro senno e coraggio aiutare il compimento del nostro riscatto. Piangiamo sì, e dimostriamo pure il nostro dolore; ma rammentiamoci che la morte di Cavour con tutta la sua vita, e con dieci anni di governo della cosa pubblica, ci lascia un grande esempio di costanza, d’annegazione, di pazienza, di sacrificio, di volontà indomabile per raggiungere lo scopo prefisso.
» A noi dunque, o Romani, l’imitarlo efficacemente. Nell’estrema prova che ci si prepara sappiamo essere forti, prudenti, pronti ad ogni azione, ad ogni sacrificio e proviamo al mondo che il conte di Cavour fu dono speciale del cielo all’Italia nostra, ma fu dono meritato, poiché gl’italiani erano degni al fine d’uomo sì grande.
- » Roma, 9 giugno 1861.
- » II Comitato Nazionale Romano».
- » Roma, 9 giugno 1861.
Nei giorno 13 corrente venne arrestato, per cose politiche, un Francesco Benzi, ex-impiegato, dimesso dalla censura.
Nel giorno 15 corrente mori Ignazio Freschi, notissimo pizzicagnolo, incontro a S. Carlo al Corso, uno fra i più caldi papalini.
Un bell’umore andò a Porta-Leone, dove si portano le bestie morte, e denunciò che era morto un somaro e che perciò andassero a caricarlo; per tale effetto lasciò l’indirizzo della casa del Freschi.
Temendosi che il cadavere fosse fischiato, se ne fece il trasporto il giorno 16, alle 4 pomeridiane, colla sorveglianza della Polizia.
Nella sera dei 16 tornò ad agire il teatro Alibert. Mezz’ora prima dell’Ave-Maria, quaranta gendarmi passarono da piazza Colonna, e quindi, imboccando per il Corso, si recarono, a passo militare, ad occupare, preventivamente, il teatro.
Naturalmente, si declamò che fosse un quid-simile della dimostrazione fatta altra volta dal boia a porta Pia.
Lo spettacolo ebbe luogo. Platea piena. Applausi strepitosissimi e prolungati. Grida di brava e di bis che fu accordato in una parte.
Dei gendarmi pochi erano visibili; ma sembra che ve ne fosse un centinaio.
UjOOQle Essendo stati proibiti i fiori, nessun mazzo fu tirato alla ballerina.
Si rimarcò che gli applausi avvenivano più vivi allorquando danzava con la sciarpa bleu, la quale di notte sembra verde, e che si armonizzava coi colori della bandiera italiana.
16. — Ieri il crocifisso del Colosseo fu trovato adornato con fiori tricolori.
1° Luglio. — Nella sera dei 28 giugno ebbe luogo la solita illuminazione della Cupola di S. Pietro.
In quella seguente vi fu la girandola sul monte Pincio.
Nel momento che la forza era intenta a mantenere il buon ordine nella piazza del Popolo, alcuni faziosi penetrarono in un casamento in costruzione, incontro al Corso, ed attaccarono un quadro trasparente, incastrandolo ad uno dei fenestroni, rappresentante Vittorio Emanuele nell’atto di essere incoronato sul Campidoglio e colla iscrizione: «Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia, viva Napoleone III». Quindi, appena terminata la girandola, accesero un bengala bianco per rischiararlo.
Naturalmente, alla vista di ciò, la popolazione fece plauso, e sei gendarmi, che se ne avvidero, cercarono di abbattere il quadro; ma, non riuscendovi, si limitarono a lacerarlo.
Quei gendarmi, con tanti altri che sopraggiunsero, furono presi a fischiate.
Allora denudarono le sciabole, e, senz’altro, le volsero indistintamente sul popolo menando colpi decisivi. Il popolo rispose con bastonate, sassate e pugnali, e ne derivò un conflitto nel quale furono varii feriti, contusi, ecc.
In Alibert vi è la sola musica e vi canta un Agostino Dall’Armi (marito della brava Ponti, prima cantante), discreto tenore.
Questi, in faccia all’Italia, commise il grave delitto che, mentre altri cantanti italiani ricusarono di scritturarsi per i teatri di Trieste e Venezia, egli accettò. Si ebbe applausi in passato.
I liberali romani vollero rimproverargli la condotta tenuta, e, appena si presentò sulle scene, lo accolsero con strepitose fischiate, che furono continuate sino alla fine, ad ogni aria che cantò.
Vi era molta gendarmeria, birraglia e Francesi con fasci d’armi.
Circola per Roma un foglio di soscrizione per un monumento a Cavour12.
Nelle scuole del collegio romano vi sono ragazzi studenti di vario colore politico, e spesso si verificano attriti, questioni.
Uno Scala, figlio dell’archivista del ministero dell’interno, si adornava di una cravatta biancogialla con la croce di S. Pietro, facendone pompa.
Due compagni, un Ramponi ed un Silvani, lo appostarono e gli diedero una scarica di bastonate tale che dovette guardare il letto per varii giorni; e se non si fosse interposto un prete la cosa sarebbe andata peggio.
Il Ramponi, come non fosse fatto suo, tornò al collegio. Però, i Gesuiti lo fecero prendere dal loro facchino (agozzino) e gli fecero somministrare 20 nerbate.
Ambedue poi furono arrestati e tradotti al carcere politico di S. Michele.
3 Agosto. — Il confessore di Cavour, il padre Giacomo da Poirino, amministratore della parrocchia della Madonna degli Angeli di Torino, che è un frate francescano, fu chiamato a Roma. Egli venne fin dai 25 di luglio, e prese alloggio nel convento di S. Francesco a Ripa.
Dice a tutti che augura a sè stesso di poter fare la morte cristiana che ha fatto il conte di Cavour.
10. — Si dice, generalmente, che le deposizioni del padre Giacomo da Poirino, confessore di Cavour, non abbiano soddisfatto il Vaticano. Si aggiunge che si voleva da lui una dichiarazione colla quale, in sostanza, avesse confessato di essersi ingannato; ma ricusasse di farla.
Ai 2 del corrente partì da Roma.
14 Settembre. — I liberali avevano, preventivamente, conosciuto, che i soci delle dimostrazioni papaline per il giorno 8 di settembre preparavano una dimostrazione a Pio IX, nella circostanza che questi si sarebbe recato alla solita cappella a S. Maria del Popolo.
Infatti, divisarono archi trionfali, bandiere, inni, bande musicali; ma, per quanto sembra, furono dissuasi da tanta eclatanza (sic).
Intanto, mentre alcuni papalini, nella notte precedente agli 8 corrente, ad ora avanzata, giravano per le principali contrade, garantiti da due gendarmi, a segnare per le mura «Viva Pio IX papa e re,» i liberali attaccarono una immensità di bandiere tricolori della lunghezza di circa un palmo e mezzo, e riempirono le strade principali di tanta quantità di piccolissimi pezzi di carta, aventi i tre colori, che la Polizia dovette mandare gli scopatori a raccoglierli.
Lo stabilimento dei Gesuiti, specialmente, fu tempestato di bandierette tricolori attaccate in alto, col solito mezzo della creta.
Una di queste fu attaccata sul filo elettrico che traversa il Tevere e Ripetta.
Però, la dimostrazione papalina ebbe anche il suo effetto e varii individui, tra cui ragazzi delle scuole notturne, spiegarono piccole bandiere bianco e gialle e furono avviati dietro la carrozza pontificia a gridare: «Viva Pio IX, pontefice e re».
Furono affisse varie iscrizioni italiane e latine, tra le quali la seguente:
Prædo gentium se levavit
Egressus est de loco suo
Et posuit, Pie, terram tuam in solitudinem.
Fiant pauci dies ejus
Et Regnum ejus accipiat alter.
21. — Ai 18 corrente, anniversario della battaglia di Castelfidardo, si fecero solenni funerali nella Chiesa di S. Carlo al Corso.
Monsignor De Merode assunse l’incarico di tutto ed i cannonieri prepararono il grandioso palco di orchestra. Uno di quei disgraziati cadde e rimase gravemente ferito.
Sopra ed attorno al tumulo erano uniformi militari di ogni grado, di ogni corpo, spade, sciabole, fucili, palle di cannone semplici e rigate, trombette, mucciglie, tamburi, cipressi, ecc. Quindi, alcuni dissero che sembrava una bottega di rigattiere.
Vi erano 104 cantanti. La musica fu composta dal maestro Rolland, direttore del concerto dei dragoni.
Era profonda e breve.
Sulla porta della chiesa si leggeva:
Ai martiri di Castelfidardo
Vittime della forza e del tradimento
Onore e gloria.
I liberali, al funerale di S. Carlo, avevano fatto la seguente satira:
« Nella mente generale
Varii dubbi sono sorti
Se cotesto funerale
Sia per i vivi o per i morti (sic).
Molti a creder son proclivi
Che sia fatto per i vivi ».
I papalini conservatori avrebbero risposto:
«L’opinione generale
Se a sconvolger siete forti,
Col dir fatto un funerale
Per i vivi e non pei morti;
Tutti a farvel siam proclivi
State certi, sebben vivi,
È certezza generale
Che oramai le vostre sorti
Son vicine al funerale
Ed allor vivranno i morti,
Quei che sono al mal proclivi
S’allontanino dai vivi».
Rapporto delle carceri nuove sul condannato a morte Cesare Lucatelli 13:
(Sera dei 20 settembre 1861)
«Giusta le disposizioni di monsignor Benvenuti, Procuratore del Fisco e della R. C. Apostolica, si è intimata la sentenza della S. Consulta alle ore 11 di questa sera a Cesare fu Antonio Lucatelli, romano, di anni 37, facchino, omicida del gendarme pontificio Francesco Velluti, per ispirito di parte.
»Egli, all’intimo cursorile dinanzi la conforteria delle carceri nuove, si è espresso che ne ringraziava e che era per accettare la condanna con tutto coraggio.
» Entrato nella conforteria, mentre dai signori confratri di S. Giovanni decollato veniva abbracciato, si è dato ad espressioni ingiuriose verso i giudici e verso gli stessi confratri, come che questi ultimi non più oggi rivestiti di facoltà o grazie.
»Ora il Lucatelli sta tutto riconcentrato in sè e in una tale impassibilità e ritrosia ad atti religiosi, chiedendo soltanto di essere lasciato tranquillo.
» Questo è lo stato delle cose fino adesso che è un’ora dopo la mezzanotte.
«Con dispiacere si riferisce che oramai, le ore 4 del mattino, in cui si traduce all’ultimo supplizio, Cesare Lucatelli persiste nel niun ravvedimento, ad onta di ogni sforzo ed indefessa cura dei signori confratri di S. Giovanni Decollato e dei RR. monsignori Corazza P. Pio, Passionista e superiore degli Scalzetti».
Da notizie particolari si ha che, nell’entrare nella conforteria, sputò sul viso ad un gendarme.
» Invitato dai confortatori a convertirsi, rispose sempre che non poteva accusarsi di un delitto che non aveva commesso; che egli credeva in Dio, in Maria, nei Santi, ma non nei preti.
» Per due volte richiese di rivedere il suo fratello, che è condannato a 20 anni per congiura politica, e che trovavasi nelle carceri nuove; ma gli fu negata la grazia14.
» Chiese, finalmente, di parlare con un certo Apolloni, precettato politico, uscito ultimamente dal carcere; ma gli fu negato.
» Fumò quattro sigari. Nell’essere tradotto al patibolo, con la carrozza scortata da cavalleria, lungo lo stradale e specialmente presso Campo di Fiore e piazza Farnese, gridò: Popolo mio, salvatemi che io sono innocente.
» Quindi gridò spesse volte: «Viva l’Italia, viva Vittorio Emanuele».
» Giunto presso la madonna dei Cerchi, e disceso dalla carrozza, rinnovando gli schiamazzi di essere innocente e le imprecazioni contro i preti giudici e gli evviva all’Italia, i tamburi e le. trombe si fecero suonare per impedire che le sue parole fossero ascoltate.
» Allora, proseguendo nel suo contegno, pieno di coraggio, marciò a passo militare fino al palco.
» Asceso sul medesimo con piede fermo, guardò la mannaia, rivolse altre grida verso il popolo, che restarono confuse dai tamburi e, ricusando qualsiasi aiuto del carnefice, di per sè sottopose la testa, la quale all’istante rimase recisa.
» Poco dopo fa affisso il ristretto della sentenza e la Polizia ordinò si sorvegliasse perchè non venisse deturpato.
»Del resto, si dice che il Lucatelli non sia stato il vero uccisore e sianvi molti testimoni oculari, i quali abbiano veduto l’autore fuggire tra la folla verso via Carrozza e gettare in una cantina il pugnale.
» Altri abitanti del luogo dove avvenne il fatto, e che erano ai balconi, assicurano che il Lucatelli, coluttante, trovavasi nella parte opposta dove fu ucciso il gendarme; che infine tanti testimoni oculari ammessi nel processo (?) non sembrare possibile, in un momento di tumulto, di agitazione e di generale fuga; se pure i presenti dovevano essere del partito fazioso ed allora favorevoli al Lucatelli, se del partito dell’ordine, escluso che fossero gendarmi, la cui deposizione non sarebbe attendibile in faccia alla legge, non avrebbero avventurato una loro testimonianza sotto la pressione di un altro pugnale (sic)».
5 Ottobre. — Pio IX, nel giorno che andò ad Aracoeli, dopo la funzione, disse agli astanti che alcuni, anche ecclesiastici, del clero secolare e regolare, bramerebbero che venisse a qualche convenzione sulla questione romana, ma che esso non transigerà mai cogli usurpatori dei dominii della S. Sede.
Lo stesso confermò in un’allocuzione confidenziale che fece ai cardinali, dopo il Concistoro dei 30 settembre.
12. — L’abate Passaglia, che fece stampare in Firenze lo scritto «Pro causa italica ad Episcopos catholicos, ductore Presbytero catholico», ritornò a Roma e sinora, per quanto si sa, non soffri alcuna molestia.
L’abate professore Passaglia prosegue a stare tranquillamente a Roma presso madama Foliambe, già sua penitente, doviziosa inglese protestante, che, per di lui mezzo, venne alla religione cattolica.
Si dice che il medesimo già da qualche tempo sia stato nominato da re Vittorio Emanuele suo ambasciatore straordinario per trattare colla S. Sede sulle attuali vertenze e che abbia la garanzia personale dell’Inghilterra.
Intanto, però, i suoi aderenti sono perseguitati dalla Polizia.
Nella mattina dei 5 corrente, a pieno giorno e sulla pubblica via dei Fornari, fu arrestato, mentre si recava a celebrare la messa, l’abate D. Giusto Simonetti, professore di filosofia in Propaganda e tradotto a piedi alla Madonna delle Grazie, dove è il carcere degli ecclesiastici.
Si fece al medesimo una perquisizione col sequestro di alcuni scritti.
Egli era in molta intimità col Passaglia e col padre Papi, dei chierici regolari, che fu arrestato tempo addietro.
Fu similmente fatta domiciliare perquisizione ad un Tassi, chirurgo, non che ad un Cugnoni15, bibliotecario della Vaticana.
La Polizia sequestrò un pacco dell’opuscolo16, o lettera del Passaglia, colla direzione al cardinale D’Andrea.
N. B. Il pacco era proveniente da Spoleto e diretto allo spedizioniere apostolico Fausti col recapito al Cugnoni, e quindi con altra direzione al cardinale D’Andrea17.
L’abate Passaglia si recò a far visita ai nuovi cardinali quando ebbero il cappello; ma non fu ricevuto.
È da notarsi che uno di questi, cioè Quaglia, è suo compigionante (al palazzo Spada) e che ricusò formalmente la di lui visita.
Si assicura, generalmente, che, per ordine Sovrano, siasi adunata straordinariamente la Congregazione dell’Indice e di più un’altra congregazione di cardinali per esaminare l’opuscolo del Passaglia, e che, in seguito a ciò, l’opuscolo stesso fu condannato all’indice.
Il Passaglia, prevedendo che la deliberazione sarebbe accaduta senza essere chiamato, protestò, avanti al cardinale Altieri ed in scritto, appoggiandosi alle Costituzioni, Brevi, ecc., i quali prescrivono che quando l’autore è presente, debbonsi al medesimo comunicare le ragioni per le quali si condanna il suo scritto, accettarne le deduzioni ecc.
19. — La mattina dei 15 corrente la Polizia ordinò l’arresto dell’abate Passaglia18.
Vi furono inviati, per tale effetto, al suo domicilio, al palazzo Spada:
Il capitano Freddi,
I brigadieri Dal Monte,
Zappolini,
Pancaldi,
non che altri gendarmi.
L’abate Passaglia potè fuggire e così si procedette ad una rigorosa perquisizione col sequestro di due bauli di stampe e manoscritti19.
Naturalmente, in tale operazione essendosi fatta qualche eclatanza (sic), molto si parlò e commentò.
Intanto il Passaglia, nella mattina seguente, partì alla volta del regno italico, e ai 17, alle 3 1|2 pomeridiane, giunse a Poggio Mirteto.
9 Novembre. — Nel giorno di S. Carlo i promotori degli applausi si fecero la loro solita dimostrazione.
Di più, affissero varii sonetti, epigrafi, che dal buon senso furono condannati.
Fra questi è il seguente:
«Oh! Divo Borromeo |
Al teatro di Apollo si rappresenta la Gemma di Vergy, nella quale il tenore canta: «Mi togliesti cuore e mente — patria nume e libertà».
A queste parole gli spettatori applaudono strepitosamente e la Polizia vi fa assistere 40 gendarmi.
27. — Teatro Alibert . — Dimostrazione dei 27 novembre 1861:
«Nella sera dei 27 corrente, al teatro Alibert, vi fu la beneficiata dell’attore Pasquale Savoia.
» Teatro pienissimo e riboccante di spettatori, tanto nei palchi che nella platea.
» Alla farsa in prosa e musica intitolata: La Ortolana», si prese argomento per incominciare una dimostrazione politica, già preordinata, di applaudire strepitosamente ad un mazzo di radici formanti i tre colori.
» Poco dopo, al segnale di un fischio, si gettarono dalle gallerie al 5° ordine, e si sparsero anche dalla platea, centinaia di foglietti di carta bianca con contornino verde ed iscrizione rossa con «W. Savoia».
» Allora gli applausi si rinnovarono fragorosi e quasi frenetici e si gridò: «Viva Savoia».
» La Polizia, avendo presentito qualche disordine in senso politico, di già aveva fatto venire un rinforzo di gendarmi (circa 50), i quali, immediatamente, invasero la platea occupandone il canale di mezzo e le parti laterali21.
» Gli spettatori, indignati, si alzarono ed uscirono dalla platea, e poco dopo, per ordine del comando francese, si fece calare il sipario; così ebbe termine lo spettacolo.
» Sulla porta della platea, e prima che ne uscisse, fu arrestato un individuo designato dai gendarmi come promotore di un fischio, che non trovò eco, all’entrare che fecero i gendarmi stessi nella platea.
Altri quattro furono arrestati, similmente, come tra coloro che avevano sparso i foglietti.
» Altra dimostrazione politica ebbe luogo, contemporaneamente, di fuochi di bengala in piazza di Spagna, strada Condotti e S. Carlo al Corso22.
28 Dicembre. — Nella ricorrenza delle feste natalizie gli impiegati nei ministeri si recarono, secondo l’antica usanza, ad ossequiare il S. Padre.
Sua Santità parlò a tutti con dignità, ma col suo solito candore, delle angustie in cui si trova attualmente lo Stato. A quelli del ministero dell’interno disse, fra le altre cose: «Oramai potete andare alle case vostre, poichè nulla più avrete da fare. Ci vogliono fare morire di fame».
Ad altri disse che nel 1862 succederebbe la crisi decisiva.
Note
- ↑ Come ognuno sa, le pratiche iniziate allora dal Governo italiano colla Corte di Roma erano così bene avviate che il conte dì Cavour scrisse al padre Passaglia:
«Confido che prima della ventura Pasqua Ella mi spedirà nn ramo d’olivo, simbolo di eterna pace tra la Chiesa e lo Stato, tra il Papato e gl’Italiani. Se ciò accade, la gioia del mondo cattolico sarà maggiore dì quella che produsse, or sono quasi diciannove secoli, l’entrata del Signore in Gerusalemme».
Ma, in un momento, le pratiche, a cui aveva pur presa larga parte il dottor Diomede Pantaleoni, che, sin dal dicembre 1860, era stato incaricato dal conte di Cavour di trovar modo ad una pacificazione colla Corte di Roma, furono interrotte.
Il chiarissimo dottor Pantaleoni, ora Senatore del regno, fu cacciato dallo Stato pontificio, e Pio IX proclamò, in un’allocuzione, che non poteva ascoltare i consigli di chi voleva ch’ei si conciliasse col liberalismo e colla civiltà moderna, che è madre e propagatrice feconda d’infiniti errori, d’interminabili mali. - ↑ Riportiamo qui il proclama che il Comitato publicò dopo la dimostrazione:
- «Romani!
- «Romani!
» Il vostro Comitato Nazionale ve ne rende grazie, e rende pur grazie in nome vostro all’intera guarnigione e comando della gendarmeria francese, il cui contegno dignitoso e prudente si accordò coll’animo vostro e col vostro buon senso.- » Romani!
- » Romani!
» Oramai una sola dimostrazione vi resta a fare: e questa coll’aiuto di Dio, vindice degli oppressi e sostegno delle giuste cause, avverrà fra breve, quando dall’alto del Campidoglio la voce di tutto un popolo redento griderà al mondo:
VIVA VITTORIO EMANUELE RE D'ITALIA 1
» Roma, 15 febbraio 1861.
» Il Comitato Nazionale Romano».
Lo stesso Comitato ripublicò, poi, il seguente articolo del giornale La Nazione di Firenze:
«La dimostrazione nazionale avvenuta in Roma il giorno 18, della quale il telegrafo ci ha recato ieri sera la notizia confermata dalla nostra corrispondenza, è fatto di gravissima importanza. È una città intiera, che risponde alla sconfinata audacia di pochi tristi, i quali si affannano in ogni maniera a puntellare il trono che da ogni lato si sfascia e cade in rovina.
» Noi attendiamo con ansietà i particolari di questa splendida vittoria che il Partito Nazionale ha riportato contro le mene dei clericali. Ma ci allettiamo fra tanto nel vedere come que’ principii stessi, che la Nazione, il Parlamento, il Governo del Re assunsero come fondamento di programma politico rispetto alla questione romana, sono stati da quell’eroica Popolazione accolti e altamente banditi. La causa della Religione è divisa da quella del Principato. E i Romani, mentre acclamano al Re d’Italia, acclamano del pari al Pontefice, considerandolo unicamente come Capo Spirituale della Chiesa di Cristo.
» Questa manifestazione solenne dell’opinione pubblica in Roma è un nuovo e grandissimo passo verso lo scioglimento di una questione che ornai interessa la pace dell’Europa intiera. E noi siamo certi che il Governo del Re ne trarrà occasione per affrettare con ogni potere il compimento dei destini italiani.
» Ma quale fra tanto dev’essere il contegno del paese? Noi crediamo che debba essere quello che si addice alla gravità dei momenti in cui versiamo, all’importanza della questione che debbesi risolvere. Non vane e sterili agitazioni dunque, non inutili clamori, non grida di piazza, non petizioni puerili e ridicole , ma quella calma prudente e sapiente, nella quale si preparano, si compiono e si maturano i destini di un popolo.
» Lasciamo al senno e al patriottismo del Governo e de’ rappresentanti della Nazione la cura di trarre da’ fatti avvenuti iu Roma quelle conseguenze ch’ossi debbono avere e che non possono in veruna guisa mancare».
- ↑ Il Rudel, ch’era stato liberale nel 1848, divenne poi uno de’ più caldi sostenitori del Governo pontificio, del quale faceva continui elogi nella sua scuola, ove si recava sempre armato di due pistole che poneva sulla cattedra, a freno o a minaccia degli studenti.
- ↑ Dei Bersaglieri.
- ↑ Avuta la notizia della proclamazione del Regno d’Italia, il Comitato nazionale romano fece affiggere in Roma la seguente epigrafe:
«Eterno sia
Nei fasti della Patria Redenta
Il dì che per Divina Provvidenza
E volontà del Popolo
VITTORIO EMANUELE II
Fu costituito
RE D’ITALIA.
Roma
Immemore delle patite sventure
Fiduciosa esultante
Acclama al glorioso suo Re
Invitto sul campo
Leale sul trono
Vindice e Liberatore d’Italia». - ↑ Per questa dimostrazione l’Accademia fu chiusa, e quando venne riaperta, ai giovani che volevano esservi riammessi fu chiesta una dichiarazione favorevole al Governo pontificio, come mostra la seguente
PROTESTA:
«Riapertasi dopo illegale chiusura l’Accademia di belle arti detta di S. Luca, gli studenti che si presentarono al consueto studio, furomo avvertiti che non sarebbero ricevuti di nuovo, se prima non avessero presa una pagella che verrebbe loro rilasciata dal Ministero del Commercio Agricoltura e Belle Arti. Ma andati per ritirare la detta pagella, furono dal Sig. Cavalier Grifi, segretario del Ministero medesimo, costretti a firmare una specie d‘indirizzo di lode e sudditanza al governo pontificio, messi nella dura alternativa o di sottoscrivere l’atto suddetto, o di rinunziare ai loro studi e alla loro carriera. Gli studenti quindi dell’Accademia di S. Luca, protestano contro questo abuso di potere e questa coercizione immorale; e protestano insieme de’ loro sentimenti nazionali, e della loro fede al glorioso Vittorio Emanuele ii, Re d’Italia.- »Roma, li 10 aprile 1861».
- ↑ Questa dimostrazione, di cui il Roncalli cerca scemare la importanza, ma che fu, invece, tra le più splendide che vedesse Roma in quegli anni, aveva uno scopo politico altissimo: voleva provare al mondo che era falso come, a bello studio, andava spargendo il Governo pontificio, per spaventare l’Europa cattolica, che i liberali romani mirassero, oltreché alla distruzione del potere temporale del Papa, a quella dello spirituale.
Questo popolo diplomatico, come degnamente fu chiamato allora dall’Europa il popolo romano, praticava, fin da quel giorno, il principio della separazione dei due poteri. Nella visita alla chiesa di S. Giovanni Laterano, che è detta «Omnium orbis et urbis Eccle8iarum raater et caput», ed è la patriarcale del pontefice, onorava questo come primo vescovo, e in quella al Campidoglio voleva onorare Vittorio Emanuele quale re d’Italia. - ↑ Questi indirizzi, che noi abbiamo riportati altrove, firmati da uomini d’ogni classe, per la maggior parte padri di famiglia raccolsero, in due mesi, e durante la ferrea dominazione pontificia, circa 10,000 firme. Se ad esse aggiungiamo quelle degli emigrati e dei carcerati politici, ch’erano una continua protesta contro il Governo stesso, apparirà che i Romani, col rischio del carcere e dell’esilio, compirono, in quei giorni, un plebiscito non inferiore di numero a quello dell’Italia Centrale e di Napoli, quando già erano libere.
Il Governo pontificio, che comprese la somma importanza della dimostrazione, volendo impedirla col colpire alcuni firmatari, promise premio di 300 scudi a chi gli avesse recato una scheda con qualche firma. Ma, sebbene esse andassero per le mani di molti non si trovò in Roma, che non è seconda a nessuna delle città sorelle in onestà e patriotismo, chi, per amor di guadagno, tradisse la causa nazionale.
L’indirizzo a Parigi fu portato dal principe di Piombino, da Vincenzo Tittoni e dall’architetto Camporesi. - ↑ Il 19 di marzo gli studenti della Università publicarono, in onore di Garibaldi, la seguente epigrafe:
A TE O GIUSEPPE GARIBALDI
Che vendicati sui campi lombardi
Gli oltraggi del prepotente straniero
Scendesti guai folgore
Maravigliata attonita l’Europa
A spezzare disperdere il trono abborrito
Dei spergiuri Borboni
Gli studenti dell’Università Romana
Confidando nell’invitto tuo braccio
Per la redenzione completa della sagra tara
Che ci è patria carissima
Nel dì XIX del mese di marzo MDCCCLXI
Non immemori di averti a concittadino
Innalzano voti perché Iddio Onnipotente
Conservi per lunghi anni la tua vita
Alle speranze d’ITALIA
All’amore dei Romani
All’ammirazione del mondo . - ↑ Mancano i nomi degli altri arrestati.
- ↑ Simile, ma più solenne, dimostrazione liberale si fece, in quei giorni, all’Accademia Filarmonica, che oggi si vanta della presidenza onoraria di S. M. il Re, onde fu chiusa, poco dopo, per ordine diretto di Pio IX
- ↑ Ecco il programma di sottoscrizione pel
Monumento Nazionale
Al Conte Camillo Benso di Cavour.
«Questa commozione vivissima d’ogni parte d’Europa, questo tributo d’un compianto unanime al sommo Italiano che la morte ci ha rapito, dimostrano che per l’umanità la scomparsa di un grande uomo non è meno sentita e meno acerba della scomparsa di un gran popolo. Vi è qualche cosa di profondamente comune fra i destini di un paese e quelli dell’uman genere.» Oh non potremo piangere abbastanza sopra questa tomba che così di subito, così prematuramente, e nel meglio del bisogno, ha inghiottito tanta nostra gloria e tanta nostra speranza!
» Se il morire è proprio di tutto quello che nasce, è sovrumana cosa il risorgere. E coloro che con l’opera del senno o della spada si fanno aiutatori e braccio di un popolo risorgente, rimangono per noi quasi la personificazione immortale di quel divino spirito che sparge dappertutto la vita.
» Più d’altri fu serbata al Conte di Cavour questa personificazione sublime nella rediviva nostra patria. Massimamente per opera di lui echeggiò di nuovo alla vista del porto V antico saluto Italiani, Italiani: per lui alle vecchie ed umiliate bandiere della città, sempre sorelle e sempre divise, fu sostituito raggiante di fede e di amore, raggiante di un avvenire indefettibile, il trionfale vessillo della nazione, che la sua gagliarda mano era ornai per piantare sulla cima invocata del Campidoglio! Ahi che la gramaglia doveva circondare quel vessillo augurale! Tutto un popolo prima di ricongiungersi nell’antica Roma, si trova ricongiunto dallo stesso dolore intorno ad una bara: e quella corona che, assai più pura e solenne degli allori dei Cesari, Roma novella aveva apparecchiato per la fronte del maggiore cittadino d’Italia, ora è deposta sul capo di un estinto.
» Ma se Camillo di Cavour è scomparso, pensiamo che la nostra speranza, invece di spegnersi, vuol raddoppiarsi sul suo stesso sepolcro. Facciamo che sulla traccia imperitura del grande uomo si avanzi animoso il passo di un gran popolo. Ed allora la Provvidenza moltiplicherà sul cammino di questo popolo il numero degli nomini grandi.
» Al successore di Cavour ed al Parlamento si appartiene di recare al designato termine il colossale edificio della italica redenzione c della italica unificazione.
» Appartenga a noi di trarre dal sepolcro del grande defunto i nostri auspici immortali: e continuare per essi il culto di un uomo che le altre genti c’invidiarono, il culto di un nome che sarà ornai inseparabile da quello d’Italia, e che nel presente compianto d’Europa contiene già la riverenza di tutti i secoli avvenire.
» E noi che le lontane età chiameranno avventurosi perchè contemporanei a quel Grande, noi che aspirammo le nobili emanazioni della sua mente, e lo secondammo con le emanazioni del cuor nostro, noi dobbiamo con un ricordo perenne tramandare ai posteri il segno di quell’intimo legame che ebbe l’Italia col suo statista, tanto nella vita che nella morte di lui. Roma era il punto eccelso a cui mirarono i sublimi e finali intendimenti di quel massimo instauratore dell’Italia, ed è doveroso che Roma si faccia iniziatrice di una nazionale contribuzione per un monumento di riconoscenza al defunto incomparabile.
» Il Comitato Nazionale Romano si fa quindi a promuovere le contribuzioni per un monumento al Conte di Cavour da erigersi nel Campidoglio, od in qualunque altro luogo che sia per designarsi dal Parlamento Italiano.
» Esso Comitato s’incarica di raccogliere, per poi depositare nella Banca di Torino, le contribuzioni della città e paesi tuttora sottoposti al dominio pontificio, ed ha fiducia che le altre città divenute libere concorreranno unanimi alla impresa nel modo che stimeranno migliore.
» Sarà ricevuto, con la moneta del ricco e dell’agiato, anche l’obolo del povero. L’oblatore contradistinguerà la sua offerta con un motto o una cifra di convenzione, col quale motto o cifra verrà depositata nella già detta Banca e pubblicata nei giornali. Alla enunciata cifra o motto potrà l’oblatore sostituire il proprio nome a suo tempo.
» Le ulteriori norme per procedere alla raccolta delle oblazioni verranno pubblicate con altro avviso.
- » Roma, 9 giugno 1861.
» Il Comitato Nazionale Romano».
- ↑ Cesare Lucatelli venne arrestato la sera del 29 di giugno del 1801, in cui, come già fu narrato dal Roncalli, i carabinieri lacerarono il quadro trasparente posto dai liberali in Corso.
Accusato d’aver ucciso il gendarme Velluti, dieci gendarmi offesi nella mischia, furono i soli testimoni ammessi dal tribunale; e questi, nelle loro deposizioni si contradissero. L’uffiziale francese, che ricevette il Lucatelli, inseguito da essi, depose «aver rinvenuto in tasca dei calzoni dell’uomo arrestato, che si annunziò per Cesare Lucatelli, un semplice coltello chiuditore, pulito: lo che provava non essersene servito; nè lo poteva, volendolo, perchè era ubriaco». (Storia del miserando fine di Cesare Lucatelli, vittima del potere clericale, compilata da Antonio Fiore di Trani. Livorno, tipografia La Minerva, 1861).
L’accusato, chiamato innanzi al giudice processante, narrò prima come avesse trascorsa la giornata, e poi soggiunse:
«Questa è la pura verità, e siccome m’avete detto che dei testimoni hanno assicurato che io fui quello che uccisi il carabiniere, cosi, per provarvi che sono falsità, calunnie ed infamità io posso portarvi in confronto molti testimoni, che li smentiranno, e dichiareranno V innocenza mia. Non posso dirvi altro, per non sapere altro, e lo giuro innanzi a questo crocifisso che ne deve giudicare tutti e due.
» Al che il processante, con un’arte tutta ammaliatrice per la mente di un idiota, quale si era la sua vittima preconizzata con un sardonico sorriso d’inferno, lungi dal seguire il volere impostogli dalla legge, lungi dal rispondere adequatamentc a quanto in pieno diritto Lucatelli domandava, rispose: essere a tutto provveduto. «Non temete: il sacro tribunale è già pienamente convinto di quanto per pura coscienza deve deliberare: non temete, ripeto, e vi sarà fatta giustizia; anzi le vostre riprove potrebbero esserne d’impaccio, e la vostra sorte potrebbe cangiarsi di colore: perciò siate tranquillo, o presto ci rivedremo.
» Ma la causa si tenne a porte chiuse; al Lucatelli si fu dato a difensore il Fisco che «si offriva idoneo all’accusa appostagli», e non vennero ammessi i testimoni a difesa. Fu detto al Lucatelli «da qualche pratico detenuto, che egli, prima della seduta, aveva diritto a far esaminare i suoi testimoni, non solo, ma che poteva farsi difendere da un avvocato di sua scelta, e non già dal Fisco, che è un prete. Tutto questo il Lucatelli fece legalmente noto al tribunale, il quale per tutta risposta si servì del silenzio.... » (Opuscolo, cit., pagg. 32-38).
Il fisco, mutatosi, con molta coscienza, in difensore, conchiuse: «che l’accusato Cesare Lucatelli è reo convinto della uccisione del gendarme Velluti, vittima della ribellione provocata dallo stesso imputato Lucatelli. In conseguenza di che, il fisco, nel suo potere, e nella sua giustizia, trova insufficiente e di niun conto le riprove chieste dal giudicabile, mentre ogni estremo tentato dalla equità del Magistrato compilatore del processo fu infruttuoso e vano, quantunque si tenesse di mira volerlo trovare innocente, onde non addolorare l’animo nostro, in tanti tristi giorni di persecuzioni, nel doverlo condannare.
» Quindi null’altro ammettendo, il sacro tribunale vorrà, nella sua imparziale giustizia, giudicare nei modi legittimi ed espliciti voluti dalla legge» (Opuscolo cit., pag. 43).
E fu condannato a morte. Ma alcuni giorni prima che la sentenza fosse publicata un Giacomo Castrncci, emigrato romano, per salvare l’innocente, «spontaneo si presentò al regio Procuratore del tribunale di prima instanza di Firenze e dichiarò solennemente, che egli, introdottosi a Roma clandestinamente onde consolare per qualche ora la sua derelitta madre, nella sera del 29 giugno, vedendo che un gendarme del Papa sciabolava l’onorato stemma del Redentore d’Italia, si appiattò dietro la palizzata dello stabile in costruzione, sulla piazza di S. Carlo al Corso, e da quella fenditura, senza esser visto, uccise con due coltellate quel ribaldo, gittando poscia l’arme.
» Gli riesci fuggire dal di dentro dello stabile (perchè tutto era senza imposte), sulla via Carrozze, lato interno della casa: quindi diffilò per piazza di Spagna e da colà prese cammino per fuori porta del Popolo, da dove, non senza stenti, prese lo stradale interno e montuoso, che mena a Rieti, oggi terra italiana.
Il regio Procuratore accolse, per coscienza, tale deposizione, e, per esserne convinto, invitò il Castrucci a firmarlo, ciò che fece di buon grado; e quindi per soprappiù lo fece tradurre alle carceri delle Murate.
» Poscia, quel lodevolissimo signor Procuratore del Re, nulla trasandando dalle vie della giustizia, addivenuta oggi in Italia di onorevolissima amministrazione, credè suo debito di dovere e di coscienza rimettere al governo di Roma, in questo caso rappresentato dal Porporato Antonelli, quella leale e spontanea confessione, allo scopo di mettersi in disamina, onde essi non avessero precipitato sulla sorte di un innocente.
» Senza che mi prolunghi, dirò, che l’equo Ministro di Stato, nel riceverla, ne rise; e, per tutta risposta e considerazione coscienziosa, comandò, che il 21 dell’allora corrente mese di settembre, fosse eseguita la sentenza di morte del reo Lucatelli» (Opuscolo cit., pagg. 48-40). - ↑ Il fratello, Annibale, non trovavasi nelle carceri nuove, ma nella rocca di Pagliano, ov’era stato rinchiuso tre anni anche il condannato Cesare per una cospirazione della quale abbiamo parlato altrove.
- ↑ Giuseppe Cugnoni, professore nella R. Università di Roma, presidente della Società romana di storia patria, scrittore assai stimato dai cultori dei buoni studi, era molto amico del Passaglia.
- ↑ L’opuscolo era intitolato «Che cosa è il così detto Partito cattolico?» e in esso legge vasi una specie di Apologia del Passaglia.
- ↑ Il pacco fu portato, in isbaglio, al Fausti, il quale, supposto che contenesse un opuscolo del Passaglia, non solo si recò ad avvisarne il direttore generale di Polizia; ma fece seguire il vetturale, quando andò a riprenderlo, per riferire poi alla Polizia stessa ch’era finito in casa del Cugnoni.
E un uomo, che si mostrò, con molti fatti di simili genere, fedelissimo al Governo pontificio, fu poi, specialmente perchò famigliare dell’Antonelli, colpito dal De Merode, nemico acerrimo del segretario di Stato.
Si voleva con ciò, dalla potente fazione del prelato belga, scalzare il potere del cardinale italiano. - ↑ La perquisizione in casa del Passaglia, non l’arresto di questo.
- ↑ Mi assicurò il professor Cagnoni che nulla vi fu sequestrato.
- ↑ Il professore Domenico Gnoli, in un brillantissimo scritto publicato nella Nuova Antologia, (1809, vol. 12, pag. 92) col titolo Scene del vivere romano e col pseudonimo di Cesare Rosini, riporta a questa guisa i versi dedicati al cardinale Borromeo:
O divo Borromeo
Nella città de’ Papi
Deh fa che il re Babbeo
Non metta l'empio piè.
Ma fa che tu lo scacci
Dall'usurpate terre,
E resti cogli stracci
Che non vendè Cavour.
- ↑ I gendarmi, prima d’invadere il teatro, ne chiusero le porte; ma, fortunatamente, gli uffiziali francesi le fecero riaprire.
- ↑ Era la continuazione della stessa. dimostrazione, nelle vicinanze del teatro.