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454 | diario roncalli |
»Egli, all’intimo cursorile dinanzi la conforteria delle carceri nuove, si è espresso che ne ringraziava e che era per accettare la condanna con tutto coraggio.
stesso imputato Lucatelli. In conseguenza di che, il fisco, nel suo potere, e nella sua giustizia, trova insufficiente e di niun conto le riprove chieste dal giudicabile, mentre ogni estremo tentato dalla equità del Magistrato compilatore del processo fu infruttuoso e vano, quantunque si tenesse di mira volerlo trovare innocente, onde non addolorare l’animo nostro, in tanti tristi giorni di persecuzioni, nel doverlo condannare.
» Quindi null’altro ammettendo, il sacro tribunale vorrà, nella sua imparziale giustizia, giudicare nei modi legittimi ed espliciti voluti dalla legge» (Opuscolo cit., pag. 43).
E fu condannato a morte. Ma alcuni giorni prima che la sentenza fosse publicata un Giacomo Castrncci, emigrato romano, per salvare l’innocente, «spontaneo si presentò al regio Procuratore del tribunale di prima instanza di Firenze e dichiarò solennemente, che egli, introdottosi a Roma clandestinamente onde consolare per qualche ora la sua derelitta madre, nella sera del 29 giugno, vedendo che un gendarme del Papa sciabolava l’onorato stemma del Redentore d’Italia, si appiattò dietro la palizzata dello stabile in costruzione, sulla piazza di S. Carlo al Corso, e da quella fenditura, senza esser visto, uccise con due coltellate quel ribaldo, gittando poscia l’arme.
» Gli riesci fuggire dal di dentro dello stabile (perchè tutto era senza imposte), sulla via Carrozze, lato interno della casa: quindi diffilò per piazza di Spagna e da colà prese cammino per fuori porta del Popolo, da dove, non senza stenti, prese lo stradale interno e montuoso, che mena a Rieti, oggi terra italiana.
Il regio Procuratore accolse, per coscienza, tale deposizione, e, per esserne convinto, invitò il Castrucci a firmarlo, ciò che fece di buon grado; e quindi per soprappiù lo fece tradurre alle carceri delle Murate.
» Poscia, quel lodevolissimo signor Procuratore del Re, nulla trasandando dalle vie della giustizia, addivenuta oggi in Italia di onorevolissima amministrazione, credè suo debito di dovere