Diario di Nicola Roncalli/1860
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1860
7 Gennaio. — Si assicura, dai cortigiani, che il S. Padre, dopo la lettura dei dispacci recati dal segretario della nunziatura di Parigi, si conturbò in modo insolito e pianse amaramente.
Alcuni dicono che i dispacci confermassero come ufficiali, per parte dell’imperatore dei Francesi, le espressioni contenute nel noto opuscolo contro la S. Sede intitolato «Il Papa e il Congresso».
Ad altri piacque di spargere voci allarmanti, in conseguenza di quanto sopra, che cioè sarebbe stato richiamato il nunzio, ritirate le truppe francesi, e partito il Papa per regioni lontane.
Intanto il generale francese, il primo dell’anno, secondo il costume, si recò a felicitare il Papa collo Stato Maggiore. Questi, nel suo complimento, rinnovando i sentimenti di devozione, aggiunse che aveva rinunziato di dividere la gloria e le sorti della guerra per tutelare la sacra di lui persona e l’ordine pubblico.
Il Papa rispose, in francese, con voce malferma, che era grato di ciò; ma che non poteva dissimulare il dolore provato per la diffusione in Francia di un opuscolo le cui espressioni erano ingiuriose alla S. Sede e contrarie ai principii di giustizia. Gli giovava crederle estranee ai sentimenti dell’imperatore perchè in aperta opposizione alle tante assicurazioni di devozione avute e contenute in fogli che conservava (accennando il suo scrittoio).
Quindi, in tale persuasione, benediceva l’imperatore, la famiglia imperiale, ecc.
Un uffiziale francese ritrasse, in stenografia, un tale discorso e tosto lo inviò a Parigi.
Non si dubitò poi di diffonderne copie per la città, che formano oggetto di discussioni e commenti.
Del resto, l’opuscolo fu condannato dal buon senso della generalità, come avverso alla religione, alla giustizia e al diritto delle genti.
14. — Il duca Salviati ed il marchese Patrizi compilarono e promossero le soscrizioni per un indirizzo al Papa, da loro compilato, tendente ad attestare i sentimenti d’inalterabile devozione alla S. Sede della nobiltà romana, calunniata da alcuni esteri, i quali declamarono non essere divota al S. Padre.
Alcuni si firmarono, altri si ricusarono, tra cui Doria, Massimo, Rospigliosi, Caetani, Piombino, Pallavicino, ecc.
18. — Nel giorno 14 corrente il Papa convocò i cardinali per comunicar loro, a quanto si dice, la lettera di Napoleone, riportata nei giornali, concernente gli affari della S. Sede.
Si aggiunge che si discutesse lungamente sulla urgenza di adottare o no riforme governative.
Nulla si conosce sull’esito; sembra però che si concertasse un riscontro all’imperatore, che fu inviato.
Intanto la sera dei 16 corrente, per varii caffè, fu affisso il seguente bollettino dell’Agenzia Stefani, in data di Firenze dello stesso giorno:
«Congresso annullato.
Romagne indipendenti.
Francia, Inghilterra e Russia alleate.
Austria non darà aiuto, nè farà guerra.
Roma e Napoli sollecite riforme.
L’Italia centrale a Vittorio Emanuele.
Nizza e Savoia alla Francia.
Sgombro di Roma».
Tale bollettino fu accolto, dal solito partito, con gioia, e non dubita di esternarla con canti e colle significanti parole musicali «Ah povero Gennaro, di te che mai sarà!»
In seguito al bollettino stesso e ad altro sunto dell’imperatore di Francia al Papa, fu convocata, circa la mezzanotte, altra congregazione cardinalizia.
Naturalmente, la realtà di sì gravi fatti, se non può garantirsi, esprime per altro lo spirito dominante, che è quello della sovversione.
26. — Al teatro Metastasio si agisce con musica buffa. Ultimamente si cantava quella del maestro Ricci, intitolata: «Chi dura vince».
In essa è un duetto tra Ser Giovanni e Ser Gennaro, che fanno testamento essendo per essi già suonata l’ora.
A tale duetto la platea si empiva, applaudiva strepitosamente ed accompagnava il canto degli attori.
La polizia proibì il duetto.
Circa l’Ave Maria dei 22 corrente, una turba di popolo si recò sotto l’abitazione dell’ambasciatore di Francia (palazzo Colonna) e proruppe in strepitosi applausi e grida di «Viva Napoleone, viva l’Italia, viva l’indipendenza».
Essendo giornata festiva (domenica), secondo la consuetudine, alle 7 pomeridiane, a piazza Colonna aveva luogo la ritirata francese con tamburi e concerto musicale. Al suddetto segnale, da ogni parte sboccò numeroso popolo, che ne occupò la vasta piazza. Quindi s’innalzarono grida di «Abbasso Antonelli, viva Napoleone, viva Vittorio Emanuele, viva Cavour, viva il ministero, viva l’Italia indipendente».
La turba, oltremodo crescente, associatasi al concerto musicale, passò per il Corso e lo seguì fino al quartiere di Sora, sempre schiamazzando, sventolando fazzoletti.
Passando sotto l’abitazione del generale francese, le acclamazioni divennero più vive e, giunti alla piazza di Borghese, si unì qualche grido di «Morte a Borghese» (in odio forse di aver sottoscritto lo indirizzo al Papa).
La moltitudine, diramatasi poscia per gli altri quartieri francesi, rinnovò le acclamazioni e gli applausi fragorosi. Dopo di che, si sciolse tranquillamente e senz’alcun inconveniente, a meno dell’apprensione dei pacifici cittadini che ignoravano i limiti della dimostrazione.
28. — I vescovi assistenti al soglio ed i capitoli delle Basiliche Lateranense, Vaticana e Liberiana compilarono anch’essi indirizzi di devozione al Papa.
Intanto, i consiglieri comunali sono disgustati perchè l’indirizzo del Senato fu fatto senza il loro voto.
Molti cittadini declamano che si sia parlato, nell’indirizzo stesso, a nome loro, senza che ne sapessero cosa alcuna.
La Curia romana aveva anche essa ideato di compilare un indirizzo. Però dopo la dimostrazione dei 22, ne depose il pensiero.
Girano per la città fogli stampati, contenenti una petizione dei cittadini delle provincie rimaste soggette alla dominazione pontificia, chiedente ai rappresentanti delle potenze europee, da riunirsi in Congresso a Parigi, «di voler vivere anch’essi la vita dei popoli liberi e civili, e sopra tutto la vita della Nazione, e che i loro diritti siano, in modo irrevocabile, garantiti» 1.
Si dice che in Velletri, Viterbo, ecc., tali fogli furono riempiti di migliaia di firme.
Nel giorno 24 corrente, presso la [[:w:Chiesa della Natività di Gesù|chiesa degli Agonizzanti]], fu trovato scritto: «Duomo del Governo pontificio».
Nel giorno 26 corrente, presso la statua di Pasquino, fu trovato un piccolo shako tricolore.
In seguito alla dimostrazione del 22, si eseguirono varii arresti.
Ai 26 si sparse, generalmente, la voce che nella sera doveva aver luogo altra clamorosa dimostrazione con bandiere tricolori, alla quale avrebbe preso parte un intiero battaglione francese.
Quindi, nelle ore pomeridiane, girarono forti pattuglie per prevenire qualsiasi disordine.
La ritirata ebbe luogo con straordinario aumento di forza armata; non ostante, una moltitudine di persone seguì il concerto musicale, ma sempre silenziosa, e nulla accadde.
Nella sera dei 27, ad evitare anche la suddetta dimostrazione silenziosa, appena mossa la ritirata i gendarmi pontifici tirarono un cordone alla imboccatura del Corso proibendone il passaggio a chicchessia.
Come si accennò precedentemente, all’epoca della guerra si aprirono soscrizioni di bajocchi 20 per offrire ai due Sovrani belligeranti2 due spade.
Le medesime furono commesse al valente artefice gioielliere Castellani ed ora, ultimate, trovansi già depositate nel Casino francese.
Le impugnature sono di oro massiccio con zaffiri e smeraldi. Le lame intarsiate di oro. Gli astucci di velluto cremisi con rabeschi alla rococò.
Sono del valore di cinquemila scudi l’una.
Una deputazione, che si dice composta del principe Gabrielli, Baroncino Gavotti e Silvestrelli, doveva presentarle.
Si aggiunge che il Governo pontificio facesse sentir loro che, al ritorno, non sarebbero stati riammessi negli Stati della S. Sede, e che così sospendessero la partenza3.
Il partito degli esaltati passò la parola d’ordine che nel prossimo carnevale non si debba prender parte ai divertimenti.
Nel teatro di Argentina si rappresentava una commedia dove il Pulcinella doveva uccidere due porci, il bianco, o il nero. La platea gridò: «il nero».
Difatti, su questo egli fece cadere la scelta ed allora vi furono applausi strepitosi.
La Polizia tenne agli arresti, per 24 ore, il Pulcinella Petito, napoletano.
Frattanto, temendosi che la dimostrazione dei 22 si rinnovasse nella sera seguente dei 23, la ritirata si mosse da piazza Colonna col seguente apparecchio militare:
Gendarmi pontifici di cavalleria battevano la strada, quindi un plotone di cacciatori francesi avanti i tamburi e concerto ed altri due appresso.
Naturalmente, la dimostrazione non fu rinnovata. Soltanto, presso la via dell’Orso, alcuni audaci fecero qualche grido; ma tosto furono dispersi e fugati dalla forza.
4 Febbraio. — Nella sera dei 28 corrente andò in scena, nel teatro Apollo, un nuovo ballo intitolato «Zaira».
I liberali, in tale circostanza, volevano dar luogo ad una dimostrazione negativa se interveniva monsignor Direttore di Polizia.
Questi, però, non intervenne ed in ogni modo si erano adottate misure preventive.
Nella stessa notte, però, alcuni liberali si recarono in Trastevere e, sotto le finestre del popolano Gennaro Mattaccini, alias Gennaraccio, gridarono: «Viva Napoleone, viva Vittorio Emanuele».
Intanto, si sparse voce che nella sera dei 29 (domenica) avrebbe avuto effetto una solenne dimostrazione, al momento della ritirata francese.
Quindi, fin dal mattino, si misero in movimento numerose pattuglie di gendarmi, e per il Corso soltanto ve n’erano 60. Però nulla accadde.
Ai 29 di gennaio il Papa andò a celebrare la messa nella chiesa dell’Umiltà, quindi, entrato nel contiguo nuovo seminario americano, pronunziò un energico discorso.
L’estensore su di esso si riferisce al Giornale di Roma del 1° febbraio4.
Deve, però, avvertire che trovavasi presente un uffiziale di gendarmeria francese, abilissimo stenografo, il quale ritrasse il discorso stesso, e sembra che alcune espressioni siano state taciute dal giornale.
Si assicura, generalmente, che S. Santità adoprò talvolta la parola soverchierie.
11. — Nella Università romana, fin da qualche giorno, si andava vociferando che circolasse un indirizzo di devozione per umiliarsi al S. Padre, lo che produsse qualche malumore nei giovani studenti esaltati.
Nella mattina dei 6 corrente, circa 200 studenti incominciarono a tumultuare e schiamazzare che volevano vedere il foglio d’indirizzo e conoscerne le firme.
In tale stato di cose, il rettore, monsignor Campodonico, stimò prudente di arringarli nel senso che se taluni si credevano compromessi nel ricusare la firma, altri correvano maggior rischio nel doverle palesare, come ora si chiederebbe. Quindi propose di far esibire il foglio, lacerarlo e condannarlo alle fiamme.
Infatti, un Costantino Maldura, studente, andò a prendere l’indirizzo e fu solennemente lacerato e bruciato.
Intanto, la scolaresca, prevedendo il caso che nel giorno seguente potesse accedere all’Università il cardinale Altieri, preside degli studi, aveva stabilito l’accordo che se avesse proferito qualche parola di rimprovero per l’accaduto, si dovesse fischiarlo.
Nulla però avvenne.
18. — Per conservare la pubblica tranquillità durante il carnevale, il generale francese, dopo di aver pubblicato un severo Ordine del Giorno, spiegò molta forza per il Corso.
La truppa di linea, essendo ora pochissima in Roma, il Governo vi sopperì coi gendarmi tanto a piedi che a cavallo, il cui numero ascendeva a circa 800, essendo in esso corpo passati molti dragoni.
Sembra che la popolazione siasi indispettita di tanto apparecchio militare, e, generalmente, si astiene di andare al Corso.
Intanto i faziosi avevano comunicato, clandestinamente, il loro programma carnevalesco. Nei giorni in cui è vietato il carnevale passeggiate per il Corso, negli altri giorni passeggiate fuori di Porta Pia.
Infatti, nel secondo giorno di carnevale si calcolò che a porta Pia vi fossero circa 400 carrozze ed ottomila persone a passeggiare. Tutti, però, osservavano il più stretto silenzio. Nella prima domenica di carnevale numerosa passeggiata con due file di carrozze per il Corso. Altrettanto si verificò al venerdì.
Sabato, 18 corrente, di carnevale, a porta Pia vi era straordinario concorso di persone a piedi e varie centinaia di carrozze, tra le quali due di cardinali.
Nel più bello del passeggio, circa le 3 1|2 pomeridiane, si presentarono due carrozze a prendervi parte.
L’una con Mastro Titta, il boia e due aiutanti, e l’altra con birri.
Naturalmente, non tutti conoscevano gli aborriti personaggi; ma coloro che li ravvisarono fremettero di sdegno.
Fortunatamente, la popolazione si contenne e non avvenne alcuna catastrofe deplorabile.
Tale misura fu universalmente disapprovata.
Dichiarazione di Gio. Battista Bogatti, esecutore delle alte opere a Roma, dimorante a Borgo Sant’Angelo, N. 120:
Documento del boia:
«Sabato ultimo, 18 febbraio, alle ore 4 di sera due sbirri della Polizia pontificia, uno dei quali è personalmente conosciuto da me, si chiama Andreani, sono venuti a trovarmi dichiarandomi che essi operavano così in nomo del Papa e dell’assessore generale di Polizia.
» Sono stato condotto da essi fuori di porta Pia.
Arrivato là, mi fu rinnovato l’ingiunzione da essi, in nome del Sovrano, di scendere e passeggiare come gli altri.
» Roma, 21 febbraio 1860.
» Firmato: Gio. Battista Bogatti».
Ultimamente, venne in Roma un abate Stellardi, cappellano regio di S. M. il re Vittorio Emanuele5, incaricato dal suo Sovrano della consegna di una lettera al Papa, relativa agli indispensabili motivi che egli aveva per occupare le Marche e l’Umbria.
Il S. Padre si ricusò di riceverlo ed ebbe intimazione del Governo di ripartire immediatamente.
Si dice che il cardinale Wiseman si recò, non ha guari, dal Papa a tributargli un atto di devozione e d’ossequio, a nome dei cattolici inglesi.
In tale circostanza, supplicò S. Santità a voler cedere, in qualche modo, alla urgenza delle circostanze politiche, per il meglio della religione.
Si aggiunge che il S. Padre lo congedò bruscamente e lo dispensasse di far parte, d’ora in poi, delle ordinarie congregazioni.
20. — Come si disse, quattro giovani della Sapienza idearono un indirizzo di devozione al Papa e ne promossero le soscrizioni.
Dopo il tumulto verificatosi in quella università per tale oggetto, il S. Padre volle conoscere i giovani promotori che rimunerò d’una medaglia d’oro per ciascuno.
Il rettore della Sapienza, che adottò il mezzo termine, per sedare il tumulto, di lacerare e bruciare l’indirizzo, è stato espulso.
Un Possenti, spoletino, uno dei principali compromessi nel tumulto della Sapienza, e che eccedette anche con qualche pugno contro il Maldura, che era quegli che possedeva l’indirizzo, si è reso latitante.
Alcuni giovani furono espulsi dalle scuole, tra questi il figlio di Maggiorani, professore di medicina legale.
Il professore declamò fortemente per la misura adottata a carico di suo figlio, e ricusò di fare la scuola.
Intanto, la Polizia attivò un processo; molti della scolaresca furono esaminati, e sembra che già siasi proceduto a qualche arresto.
Quindi malcontento generale e timori di nuovi e più serii tumulti.
Circola un opuscoletto di Monsignor Segur, «Il Papa, questioni moderne», di cui si cerca la diffusione con poca prudenza.
Nella mattina degli 8 corrente gli studenti della Sapienza fischiarono (con poco strepito) un Pacelli, studente di legge, come uno fra coloro che promuovevano le firme dell’indirizzo al Papa.
Si medita, dai più esaltati, di fare una dimostrazione di qualche importanza per la libertà dei compagni che potessero essere colpiti da qualche misura di Polizia.
2 Marzo. — Nella mattina dei 24 febbraio, circa 300 studenti della Sapienza tumultuarono nuovamente perchè appresero che otto loro compagni erano stati espulsi dalle scuole, e precettati, in conseguenza di un processo che si faceva a carico dei compromessi nella precedente dimostrazione. Quindi, chiesero al vice-rettore la pronta riammissione dei suddetti.
Il vice-rettore rispose non esser ciò in sua facoltà e per la risposta riportarsi a lunedì prossimo, 27 corrente, stante che vi erano due feste, cioè sabato S. Matteo, e domenica.
Lunedì, 27, temendosi che si rinnovasse più seria dimostrazione, dove non fosse stato riammesso il destituito rettore monsignor Campodonico, non che gli espulsi studenti, la Polizia pontificia stabilì di adottare misure preventive, e, circa la mezzanotte della domenica, ne scrisse al generale francese per mera intelligenza.
Però, con sorpresa, mentre dalla Polizia pontificia, nel mattino di lunedì, si mandò la forza alla Sapienza, fin dalle 7 antimeridiane, venti gendarmi francesi, con carabine ed una compagnia di cacciatori, avevano preso posto e formato fasci d’arme nell’atrio della medesima, proibendone l’ingresso agli indigeni.
I giovani, prima di entrare, formarono piccoli assembramenti sulla piazza. Poscia, entrati, previe intelligenze prese coi capitano dei gendarmi Francesi, si recarono, senza tumulto, dal vice-rettore per richiederlo della risposta alla domanda di cui aveva fatto promessa il giorno 25.
Questi rispose loro in termini evasivi, ed allora gli presentarono, nel suo originale, una protesta che avevano preparata.
Il vice-rettore, sul primo, si ricusò di riceverla; ma, alla fine, vi fu costretto dalle reiterate insistenze.
Una copia conforme, e suggellata, consegnarono al capitano dei gendarmi francesi per il generale.
Altro esemplare simile affissero nell’atrio delle scuole, dal quale generalmente ne ritrassero copie.
Quindi, passatasi la parola d’ordine di non recarsi alle scuole pomeridiane, se ne partirono tranquillamente.
Intanto la dimostrazione militare era bastantemente imponente, imperciocché i Francesi, non avendo permesso ai 60 gendarmi pontifici ed agenti di Polizia di garantire l’ordine interno, si limitarono a formare appostamenti esterni nelle adiacenze, unitamente a molti agenti di Polizia.
Il vice-rettore passò al cardinale Altieri, prefetto degli studi, la protesta.
Questi fece rispondere agli studenti che non credeva di poter dare alcuna evasione ad uno scritto quasi anonimo; che si fossero firmati e che allora avrebbe dato un riscontro.
Naturalmente vi si ricusarono.
Il professore di medicina legale, Maggiorani, avendo avuto il suo figlio espulso, lasciò la cattedra e nella mattina dei 27 vi fu sostituito il professore Baccelli.
Gli scolari salutarono cortesemente il nuovo professore, encomiarono il suo merito; ma protestarono che non potevano ascoltare le sue lezioni perchè volevano il loro antico maestro. Quindi lasciarono deserta la scuola6.
Ai 28 corrente, alla Sapienza non si mandò forza pubblica.
Le scuole erano deserte. In quella degli ingegneri si contavano tre studenti.
Ai 2 di marzo il cardinale Prefetto degli studi, con notificazione, fece intendere agli scolari della Sapienza che il professore di medicina legale, Maggiorani, si era momentaneamente ritirato e che gli era subentrato il professore Baccelli sostituto per pubblico concorso.
Questi essere stato incaricato di fare un foglio di presenza ai discepoli che appartenevano alla sua scuola.
Quindi coloro che persistessero nel non frequentarla non sarebbero stati passati negli esami.
Protesta degli studenti della Sapienza, dei 27 febbraio 1860:
«Alcuni dei nostri compagni ci sono stati tolti. Uniti ad essi di studi, uniti di sentimenti, noi protestiamo contro una pena ingiusta e parziale.
» Quando l’adulazione e la servilità suggerì ad alcuni una menzogna che offendeva il pontefice, senza giovare al principe, noi sorgemmo uniti a smentire chi, nostro malgrado, si faceva interprete de’ nostri sentimenti.
» Non il capriccio di pochi; fu la maggioranza di noi che parlò la verità. La pena, se pena vi è per chi dice il vero, non deve ricadere su pochi.
» Noi lo confessiamo apertamente: una fu l’opera di tutti, una sia la misura delle nostre azioni: lo chiediamo all’Eminenza Vostra.
» Assolti essi, tornino fra noi; puniti, fate che siamo loro compagni nella pena come ci gloriamo di esserlo nell’amore della verità e del nostro paese.
- » 27 Febbraio 1860».
Nota degli studenti espulsi dall’Università romana:
Carretti Michelangelo. — Del Frate Filippo. — Ficola Giuseppe. — Maggiorani Gaspare. — Pesarini Carlo. — Possenti Michele. — Rossi Alberto. — Zeppa Domenico.
3. — Fin dal giorno 29 di febbraio, i faziosi divulgarono ed affissero per la Città alcuni scritti contenenti quanto appresso:
«Chi fuma |
4. — Nella mattina dei 3 marzo, tre gendarmi pontifici, in borghese, intimarono bruscamente ad alcuni giovani della Sapienza, che si trattenevano al di fuori di essa a fumare con pipe democratiche e tabacco francese, di entrare o partire.
L’ultimo fu riguardato come un insulto e, riunitisi circa un centinaio di essi, abbandonando il primo progetto di piombare sopra i provocatori, si portarono, invece, dal generale francese a farne le loro rimostranze.
Questi, all’istante, mandò i suoi gendarmi a discacciare i pontifici in borghese od agenti di polizia, e, contemporaneamente, si recò dal cardinale segretario di Stato per concertare gli analoghi provvedimenti.
Però, il generale francese rispose in iscritto alle proteste dei giovani della Sapienza ed ai 4 di marzo mandò copia di tale riscontro alla Polizia pontificia.
In sostanza, dice che gli studenti debbono interessarsi del profitto negli studi e non di altro; che la di lui missione è quella di tutelare l’ordine e che laddove si cercasse di turbare questo, egli si vedrebbe costretto ad usare la forza.
10. — Dai 2 del corrente marzo incominciò la dimostrazione del non fumare.
Domenica, 4, non si vide più alcuno col sigaro.
Tutti, invece, con piccole pipe democratiche, con tabacco francese.
Alcuni, che azzardarono di fumare il sigaro, furono insultati, schiaffeggiati, bastonati.
Si dice che ad uno, presso piazza di Venezia, fu data una coltellata; ad un conte Malatesta, per lo stesso oggetto, uno schiaffo.
I tabaccai ed i venditori ambulanti furono posti in uno stato di disperazione. I tabaccai al Corso vendettero in giornate intiere due o tre sigari.
Per contro dimostrazione, essendosi adottata la misura di far fumare i birri e i gendarmi, ne avvenne che alcuni pochi, che volevano proseguire l’uso del sigaro, vennero costretti ad abbandonarlo per non essere confusi tra la bassa Polizia.
16. — Nella notte dal 14 al 15 marzo, si trovarono, per la città, centinaia di targhette, stampate a caratteri cubitali:
«Unione
alla Monarchia Costituzionale
del Re Vittorio Emanuele».
Se ne rinvennero anche altre col motto;
«Adesione
al Governo Costituzionale
del Re Vittorio Emanuele».
Si assicura che, per Roma, ne siano stati sparsi circa 800 esemplari.
18. — Nel giorno 16 corrente, a Villa Borghese, vi fu rivista di truppe francesi con distribuzioni di decorazioni. Accorsero varii Romani e s’intese innalzare qualche grido di «Viva Napoleone».
Nella mattina dello stesso giorno (venerdì) si riunirono in S. Pietro circa quattromila persone, tra impiegati e nobiltà romana, ad oggetto di corteggiare il S. Padre, nel passaggio che faceva per la chiesa suddetta in occasione della predica.
La dimostrazione procedette tranquillamente.
Nella mattina dei 17, il S. Padre si recò alla Chiesa di S. Agata in Suburra, ed in tale circostanza visitò l’altra Chiesa degli Irlandesi, per la festa di S. Patrizio, Apostolo dell’Irlanda.
Colà si era affollata molta poveraglia, la quale gridò: «Santo Padre, ci morimo di fame, abbasso Antonelli».
La miseria certamente è grave.
20. — Nella mattina dei 19 (sacro a S. Giuseppe) si riunirono, secondo il solito, gli studenti della Sapienza nella congregazione per la messa.
Dopo di questa, intuonarono il Te Deum, per festeggiare l’annessione delle Romagne al Piemonte.
Avvenimenti del 19 marzo 1860:
«Nella mattina dei 19 corrente, (sacro a San Giuseppe) i faziosi avevano deciso di fare una passeggiata fuori di porta Pia per festeggiare l’onomastico di Garibaldi ed in pari tempo l’annessione delle Romagne al Piemonte.
» L’arresto, precedentemente fattosi al caffè in via Argentina, di alcuni individui trovati possessori dei biglietti d’invito, fece si che non avesse più luogo colà, ma bensì per il Corso, nelle ore pomeridiane.
Infatti, circa le 22, il Corso si riempi in modo straordinario di popolo e specialmente del medio e basso ceto, l’atteggiamento del quale non era il più tranquillo e prudente.
» Questi, non contenti della semplice passeggiata, si fecero ad insultare alcuni gendarmi pontifici che, in gran numero, perlustravano il Corso e tassativamente il tenente Brignole, e quindi il maggiore Sangiorgi, in abito borghese, associato a varii gendarmi. Allora questi, presso il palazzo Bonaccorsi, ordinò ai suoi dipendenti l’arresto di quattro tra i più audaci. Però, il popolo, ammutinatosi, circondò i gendarmi, ne ritolse due, e soltanto, tra gli urli e i fischi, poterono portare al carcere di polizia a Monte Citorio, i fratelli Barbieri, agiati macellai e notissimi liberali, i quali, alla testa della numerosa turba di popolani, avevano rinnovato insulti alla forza pubblica.
» Il popolo, proseguendo nell’agitazione, tenne dietro agli arrestati e chiedeva tumultuariamente la liberazione dei medesimi.
» La turba, ingrossatasi a dismisura a piazza Colonna, si dirigeva verso il casino francese per promuovere forse, sotto la protezione di esso, una dimostrazione sediziosa; ma un picchetto di linea, uscito dal quartiere sottoposto, disciolse militarmente l’assembramento.
»Poco dopo s’intesero altri clamori ed usciti di nuovo pochi gendarmi pontifici, che si erano riuniti nel cortile di Monte Citorio, furono costretti a ritirarsi dagli urli e fischi.
»Cosi irritati, benchè fossero di cavalleria otto soltanto ed a piedi circa 15, oltre varii agenti di Polizia (in tutto 32), senza attendere ordine di alcun superiore, mentre tutto il Corso si rimaneva compatto di spettatori ed in atteggiamento minaccioso, fecero una sortita precipitosa e, con squadrone o sciabola alla mano, piombando su di essi, davano colpi inconsiderati sopra chiunque, e ferirono, dispersero e fugarono tutti.
» Naturalmente, essendo circa mezz’ora di notte, molti pacifici cittadini tornavano dalle passeggiate colle loro famiglie, facendo la via del Corso per restituirsi alle loro case.
» Anche questi, oltre allo spavento provato, riportarono ferite, contusioni. Cosi proseguivano fino alla piazza del Popolo e, volgendo dalla via di Ripetta, rientrarono nel palazzo di Monte Citorio.
»Con tale mezzo violento, il Corso, in pochi istanti, rimase vuoto e, fortunatamente, senza una sanguinosa reazione, che pur troppo temevasi.
»La guarnigione francese, prima della catastrofe, si dispose in numerose pattuglie e fece uscire le carrozze dal Corso, lo che cagionò qualche scompiglio.
» Allorquando però i gendarmi pontifici passarono alle vie di fatto, si ritirarono, senza prendervi parte veruna. Anzi, varii uffiziali francesi e gendarmi cercarono di calmare la ferocia, piuttosto che dore dei pontifici, ed un uffiziale giunse perfino ad afferrare il morso del cavallo di un gendarme; ma neppur esso fu risparmiato dai colpi di squadrone; altri gridarono contro essi; ma tutto inutilmente.
» Ottenutosi così l’intento dell’intiero sgombramento del Corso, i gendarmi si ritirarono.
» Dopo pochi istanti, apparvero di nuovo turbe di persone per il Corso e certamente provvedute di armi per tentare una reazione.
» I gendarmi si stettero concentrati nel cortile di Monte Citorio ed una compagnia di Francesi si schierò sull’entrata per proteggerli; numerose pattuglie dei medesimi perlustrarono il Corso con tamburo, invitando le turbe a disciogliersi.
» Infatti, obbedirono senza ulteriori inconvenienti.
» Altri poi meditarono di appiccar fuoco alla caserma dei gendarmi, che è alla piazza del Popolo.
» Intanto si ebbero a deplorare molti feriti, alcuni de’ quali con pericolo.
» Si assicura che tra i feriti vi sieno due uffiziali francesi e due signore.
» Molti dei feriti tennero nascoste le denunzie, per timore di trovarsi compromessi colla Polizia7.
» Del resto i gendarmi menarono colpi senza compassione, inseguirono i fuggenti perfino dentro i portoni e caffè, non risparmiando nè vecchi, nè ragazzi, nè donne.
» Nella mattina stessa dei 19 furono piantonati nei proprii domicilii ed intimato loro l’esilio dallo Stato, nel termine di 24 ore, ai seguenti individui, notissimi per liberalismo:
- Tittoni,
- Mastricola,
- Silvestrelli,
- Ferri,
- Santangeli8.
» I medesimi, nella mattina dei 20, partirono alla volta di Toscana.
» Il cardinale Antonelli, informato del glorioso successo dei gendarmi contro i faziosi, fece tributar loro grandi elogi per mezzo di monsignor Direttore generale di Polizia, con istruzione di presentargli nota di tutti coloro che si distinsero, onde degnamente rimunerarli.
» Si stabilì di riconoscerli con medaglie-benemerenti e scudi 10 per caduno».
26. — La Polizia francese si è scissa in due parti. L’una approva il contegno dei gendarmi pontifici, l’altra, in maggioranza, cui si unisce la popolazione fremente, lo disapprova altamente. Quindi proteste al generale, al ministro della guerra a Parigi, alterchi tra loro.
Per tale effetto, molta uffizialità francese, in particolare del 40°, si recò in massa dal generale comandante in capo, protestando legalmente contro il contegno spiegato dai gendarmi pontifici verso la popolazione inerme e tranquilli cittadini.
Ai 23 corrente mori un illuminatore del teatro Tordinona, che era stato ferito nel trambusto dei 19, benché si trovasse dentro la fiaschetteria a San Carlo al Corso, al cantone di via della Croce.
Nella notte precedente ai 23, si fecero circa 15 arresti di titolo politico.
Vi sono tra essi varii studenti della Sapienza.
L’arresto di questi vien attribuito al Te Deum, cantato nella mattina dei 19.
Fin da sabato 23 del corrente, vigilia dell’Annunziata, si era sparsa la voce che nella domenica prossima si sarebbe rinnovato il tumulto, ed a conferma di ciò si videro affissi per il Corso alcuni avvisi ai capi di famiglia di dare il ritengo in casa ai vecchi, alle donne, ai fanciulli.
Benché pochi credessero ad un tale allarme, pur, tuttavia, la forza pubblica venne aumentata e molti si astennero dall’uscire di casa.
Il Papa, intanto, secondo il solito, andò alla cappella alla Minerva, e sulla piazza, tanto nello andare che nel ritornare, fu salutato da alcuni impiegati palatini; ma la pubblica tranquillità non fu menomamente turbata.
I faziosi fecero, nello stesso giorno, distribuire un avviso a stampa contenente la istruzione di star tranquilli e di attendere il momento opportuno.
27. — I capi del corpo dei gendarmi, nella mattina dei 20 corrente, si recarono dal generale francese a fare un atto di scusa per l’avvenimento dei giorno precedente.
Si dice che il generale, privatamente, disapprovasse quanto aveva pubblicamente approvato, per non compromettere più oltre la pubblica tranquillità.
31. — Ai 27 giunse in Roma il barone De Roussy, segretario di legazione di S. M. il re di Sardegna, latore di una lettera di Vittorio Emanuele al Santo Padre, contenente i motivi della sua accettazione alla dedizione dei popoli delle Legazioni9.
Mediante gli uffici della legazione francese, eseguì la sua commissione rimettendo il dispaccio nelle mani del cardinale Antonelli, segretario di Stato.
Nel giorno seguente tornò a prendere la risposta e quindi partì da Roma.
Intanto, appena conosciutosi il contenuto del dispaccio del re di Piemonte, si ordinò, in tutta fretta, di tirare alcuni esemplari della scomunica, ed uno di questi fu rimesso nel piego dell’incaricato sardo del re Vittorio Emanuele, per tutta risposta.
Nella mattina dei 29, alle 6 antimeridiane, il colonnello Nardoni, per ordine superiore, si recò da monsieur Mangin, prefetto di Polizia francese, a prevenirlo che alle 7 antimeridiane sarebbe stata affissa nei luoghi di pratica. Il suddetto prefetto, dopo partito il colonnello, si espresse cosi: «Benissimo, si sono preparate due uova al tegame».
Alla indicata ora furono affissi esemplari (alle porte del Laterano, della Curia Innocenziana, della Cancelleria) del Breve, contenente la dichiarazione che i ribelli delle Legazioni e loro fautori sono incorsi nella scomunica, lanciata dal Concilio di Trento contro gl’invasori dei beni ecclesiastici.
Temendosi deturpazioni all’atto, si posero dovunque gendarmi di piantone, che ne continuano la sorveglianza anche la notte.
Intanto la stampa essendosi fatta, come si accennò in tutta fretta, ne risultarono, nell’atto stesso, errori di ortografia e di grammatica, per il che se ne sospese la distribuzione fino ad altra ristampa.
Alcuni cortigiani assicurano che nella notte dei 30 giunse al Vaticano un corriere austriaco con dispaccio di somma urgenza.
Fu chiamato il cardinale Antonelli, il quale destò il Papa, e, dopo la lettura di esso e conferenza di circa due ore, il S. Padre intuonò le litanie.
Naturalmente, s’ignora il contenuto; ma, generalmente, si assicura che sianvi notizie contrarie alla santa causa e che le potenze del Nord abbiano riconosciuto l’annessione delle Legazioni al Piemonte10.
Nella mattina dei 30, fu arrestato, in casa dell’avvocato Mandolesi, un Silvagni, legale, censurato nel 1849 ed espulso, il quale, partito da Roma col conte della Minerva, Incaricato di Sardegna, vi fece ritorno clandestinamente11.
Monsignor De Merode, nel mese di marzo, fece un viaggio a Bruxelles, e, nel ritorno, condusse seco in Roma il generale francese Lamoricière, quegli stesso che, caduto in disgrazia dell’imperatore Napoleone per delitti di Stato, benchè amnistiato, non volle rientrare in Francia12.
Fu nominato comandante in capo le truppe pontificie.
Di già si presentò al ministero delle armi; fece alcune ispezioni e rimarcò inconvenienti e mancanze.
Infine, espose che, per mettere in assetto l’armata, occorreva la spesa di un milione di scudi.
Intanto, ordinò due mila cavalli, otto mila tende.
Gli fu, per ora, stabilito un onorario di 100 doppie al mese.
Prese alloggio alla locanda della Minerva e richiese le guardie d’onore, che gli furono date.
Molti zelanti gli recarono biglietti di visita.
Da tutto ciò si deduce che si organizzi un’armata per attaccare le Romagne coll’aiuto del re di Napoli13.
I gendarmi proseguono sempre, giorno e notte, a guardare il Breve di scomunica, nei luoghi dove fu affisso, per prevenirne qualsiasi deturpazione.
Nella notte dall’8 al 9, corrente, la vigilanza dei medesimi restò delusa, ed un incognito strappò quello che stava a Campo di Fiore, dove si era alquanto distaccato da un lato, dandosi a precipitosa fuga.
Dianzi era passato per colà un sacerdote e, dalla apparenza, prelato, che disse ai due gendarmi di piantone che non vi era bisogno che stessero tanto prossimi alla stampa, ma che si tenessero ad una distanza di 30 o 40 passi, poichè la cosa era troppo rimarcata. Essi obbedirono, e così l’incognito potò facilmente compire il progetto.
14 Aprile. — Si dice che si siano dati i passaporti ai seguenti individui, compromessi come promotori delle offerte delle due spade a Napoleone e Vittorio Emanuele, cioè:
- Principe Gabrielli,
- Baroncino Gavotti,
- Dei Principi-Ruspoli D. Emanuele14,
- Dei Principi-Ruspoli D. Augusto15.
Il giorno 12 del corrente era il decimo anniversario del ritorno di Pio IX da Gaeta ed il quinto della di lui incolumità nella catastrofe presso Santa Agnese, fuori le mura.
Il comitato direttore delle dimostrazioni pontificie scelse tale circostanza per farne una straordinaria, consistente nel concorso a S. Agnese, dove si recava il S. Padre ed illuminazione per la città.
Infatti, si corrispose generalmente all’invito.
Molte carrozze andarono a S. Agnese e vi si unì molta popolazione a piedi, che applaudì il pontefice gettando fiori al di lui passaggio.
Nella sera, l’illuminazione fu splendida, quasi universale e tranquillissima.
Si osservò che gli ambasciatori di Francia e di Austria non illuminarono i loro palazzi, lo che si rimarcò anche all’Accademia di Francia.
Si ornarono, gaiamente, varie imagini della Madonna con iscrizioni allegoriche alla salvezza ed incolumità di Pio IX, pontefice e re.
Alla imboccatura di Borgo si espose un gran quadro, rischiarato da torcie, in cui si rappresentava Pio IX genuflesso avanti una imagine della Concezione, sul cui inginocchiatoio era il triregno colle chiavi.
Da un lato scorgevasi un grosso drago dalle tre teste, in atto di stendere gli artigli sulle chiavi; ma l’Arcangelo S. Michele accorreva ricacciandolo nell’inferno.
Naturalmente, il basso popolo credette l’allegoria diretta a Napoleone, Vittorio Emanuele e Cavour.
Il Papa si fermò ad osservarlo.
21. — Si assicura che al generale De Lamoricière siano stati stabiliti 40 mila franchi al mese e la fornitura per otto cavalli; che siano state poste due carrozze a sua disposizione e un appartamento mobiliato Il medesimo fu dichiarato indipendente nell’esercizio della sua carica, e non conferisce che col Papa.
Nel giorno 17 passò in rivista, nel cortile del Quirinale, la truppa palatina, che era in numero di circa 300, nucleo di 700.
Il generale chiamò in attività i veterani.
I discorsi delle società sono tutti relativi al nuovo generale, comandante in capo le truppe pontificie ed alla nomina di monsignor De Merode a pro-ministro delle armi.
Ai 18 corrente partì il generale Lamoricière per Spoleto, e si assicura che abbia l’idea di adunare colà tutte le truppe pontificie per organizzarle ed istruirle.
Il medesimo chiese al Papa di portare le milizie palatine da 700 a 1200 e n’ebbe la promessa.
Ordinò, intanto, 240 cavalli per l’artiglieria.
Alcuni cardinali disapprovano, senza mistero, il nuovo impegno d’urgenti spese, che andrà ad assumere il Governo coll’impianto di un esercito che riconoscono come inutile nella condizione attuale di cose ed insufficiente sempre per l’offensiva o difensiva.
28. — Domenica, 22 del corrente, il Papa si recò a celebrare la messa nella chiesa di S. Carlo al Corso, dov’è il Crocifisso di Campo Vaccino. Ivi comunicò varie centinaia di devoti che, affollandosi tumultuariamente, produssero i soliti inconvenienti di confusione, apprensione, ecc.
Vi fu qualche persona svenuta, fra le quali monsignor Borromeo e una signora.
I soliti direttori delle dimostrazioni papaline promossero applausi al S. Padre, arazzi alle finestre.
A proposito del Crocifisso di Campo Vaccino, portato a S. Carlo al Corso, chiesa nazionale dei Milanesi, sotto la dominazione di Vittorio Emanuele, Pasquino disse che anche il Redentore supremo aveva aderito al Piemonte ed il Papa promosso e sanzionato l’atto di annessione solennemente.
Alla chiesa di S. Giuseppe dei falegnami, detta di Campo Vaccino, dove era il Crocifisso, fu trovato scritto: Est locanda, ossia da appigionarsi.
Ai 28 il nuovo ambasciatore d’Austria, barone De Bach, si recò dal Papa in forma pubblica, a presentare le sue credenziali. Il corteggio era splendidissimo, numeroso di carrozze e di famigliari a piedi, vestiti di ricche livree.
Per istrada però furono sorpresi da dirotta pioggia con grandine, che recò molto danno alle stoffe.
Naturalmente, al seguito vi era anche Pasquino, il quale, alludendo alla figura pingue dell’ambasciatore, riferì a Marforio di essere intervenuto al trionfo di Bacco.
Girano per Roma polizze stampate di soscrizione per l’offerta di fucili al generale Garibaldi.
II celebre P. Curci, gesuita, negli esercizi dati nella settimana santa a varie classi di studenti, sostenne la tesi che per essere buon cattolico bisognava essere ignoranti.
Quindi disse: «Abbasso l’istruzione». Però, poco dopo riprese che intendeva parlare di quella istruzione che corrompe i costumi ed agita le menti.
Molti, benché giovani, si scandalizzarono delle dottrine gesuitiche.
3 Maggio. — Il Papa, nella scorsa settimana, si recò a visitare il cardinale Ferretti, gravemente infermo.
Si dice che quell’eminentissimo, nella sua naturale franchezza e sincerità, consigliasse il Papa ad aderire alle esigenze dei popoli, per il meglio della religione e della S. Sede e a non affidarsi più oltre al generale Lamoricière.
12. — Il professore Passaglia, ex-gesuita, preparò un opuscolo da darsi alle stampe, che si dice porti per titolo: L’armonia della teologia con la filosofia e la politica.
Il Papa e il maestro de’ SS. Palazzi l’approvarono da varii giorni; ma un partito contrario e potente (tra cui alcuni cardinali e gesuiti) fece sì che la stampa fosse sospesa.
16. — Ai 9 corrente, nella trattoria del caffè Nuovo, vi fu un suntuoso pranzo di varii uffiziali esteri al servizio della S. Sede.
I commensali, alquanto riscaldati dai liquori, tra i brindisi in favore della S. Sede, aggiunsero clamorosi evviva ad Enrico V, con grida di morte all’usurpatore Napoleone III.
Alcuni aggiungono che si eccedesse in modo che, imbandito alla mensa un quadrupede o volatile, uno prese un coltello, e, tagliandone la testa, esclamò:
«Cosi un giorno sarà reciso il capo a Napoleone III».
L’abitazione del generale francese è sovrapposta alla trattoria, e le grida inconsiderate furono intese.
Alcuni gendarmi francesi fecero immediatamente disciogliere la riunione, e si assicura che il generale telegrafò, all’istante, all’imperatore.
Sembra che, intanto, si sia stata adottata la misura di accantonare tutte le truppe pontificie, alla distanza di 25 miglia da Roma.
L’uffizialità estera si fece immediatamente partire.
23 Giugno. — La Polizia era di già informata che nella notte dal 19 al 20 corrente dovevano affiggersi stampe clandestine.
Infatti, venne arrestato, in flagrante, tal Mariano Galli, di professione tappezziere, domiciliato in via Giulia, N. 118, 1° piano.
Le stampe portavano la seguente intestazione:
- «Indipendenza, unificazione.
- » Società nazionale italiana.
- » Ai militi italiani al servizio del Borbone e del Papa».
Incominciava:
«Il forte regno italico è già costituito.
La data era di Torino, 3 aprile, 1860.
» Sottoscritto: Il Presidente
» G. La Farina 16».
30. — Ai 26 corrente fu divulgata per Roma la notizia che a Napoli era stata proclamata la Costituzione.
A proposito di Napoli, circola una satira relativa a quel re, ed è la seguente:
«Nascesti, e tua madre morì |
Comitato di pubblica salute.
«In Roma esiste un comitato di salute pubblica. Questo si componeva, in principio, del duca Salviati, del marchese Patrizi, e del conte Lubinski, e si raduna al palazzo Pamfili, in piazza Navona.
»Sua prima cura fu d’istituire dei comitati subalterni per ogni rione, i quali dovevano presentare una nota nominativa di tutti i cittadini componenti quel rione, divisi in tre categorie: liberali, sospetti, clericali.
»A coadiuvare tale opera, fu loro data facoltà d’interrogare parroci e presidenti dei rioni, e, sebbene monsignor Matteucci17 vi fosse contrario, il Papa approvò tale misura ed incoraggiò i promotori.
» A questo Comitato fu aggiunto altro superiore con monsignor De Merode, monsignor Bedini, monsignor Borromeo e monsignor Berardi, il quale si mise in relazione con i tre cardinali Wiseman, Villecourt e De Reisachs, che avevano l’alta ingerenza delle offerte dei cattolici, ma ciò apparentemente, poichè il loro vero incarico era, ed è, di fomentare la politica reazionaria e clericale all’estero e cosi minare il liberalismo dentro e fuori. Loro agenti principali sono un tale Annibaie Garofoli ed un tale Pio Folchi.
»Ma ritorniamo al Comitato superiore, il quale oggi è stato modificato con la presidenza di monsignor Lo Schiavo, colla vice-presidenza di monsignor Sibilia e col segretariato di Pasqualoni».
14 Luglio. — Nel giorno 8 corrente ebbe luogo la processione del trasporto della Santa Imagine della Madonna da S. Maria Maggiore alla Chiesa del Gesù.
Uscita alle 6, rientrò alle 9 pomeridiane.
L’estensore su ciò si riferisce al Giornale di Roma; soltanto aggiungerà che, giornalmente, vi è molto concorso al Gesù, e che, fra gli uditori, sono molti giovani che accorrono a sentire le declamazioni dei predicatori contro i liberali.
Nel mattino seguente, sotto gli Inviti Sacri del cardinale vicario, si trovò scritto «Atto V, scena ultima».
28. — In questi giorni, dai liberali, si fecero circolare stampe clandestine a nome di un comitato, non che un programma di Garibaldi col quale era annunziato che, dopo la caduta di Napoli, egli si sarebbe occupato dello Stato pontificio.
4 Agosto. — Girano per Roma, clandestinamente, piccoli ritratti legati in oro di Garibaldi e Vittorio Emanuele, ad uso spille da petto, per ornamento muliebre e monili da orologio in forma di piccoli stivali tricolori.
18. — I liberali romani avevano ideato di fare una clamorosa dimostrazione italiana nel giorno 15 corrente, in occasione di una rivista delle truppe francesi. Per tale effetto, si recarono dall’ambasciatore francese a dargliene partecipazione. Questi li dissuase; la rivista non ebbe luogo, e tutto procedette tranquillamente.
Allora i promotori, con un foglio a stampa, contramandarono l’invito fatto esortando ancora al silenzio e alla moderazione.
8 Settembre . — Il generale Lamoricière, ultimamente, chiese un fondo di altri cinquecento mila scudi.
Per ora se ne mandarono 300 mila.
Egli fece accampare la sua armata in aperta campagna, senza tende, nelle vicinanze di Ancona.
Esercita i soldati a manovre insolite e nocevoli alla salute.
Si dice che, ultimamente, dopo una lunga marcia, sudati com’erano, ordinò loro che passassero a guado un piccolo fiume.
Quindi malattie e mortalità numerosissime, declamazioni, diserzioni.
Pubblicò un Ordine del Giorno nel quale promette ai suoi soldati saccheggio in quelle città e paesi i quali proteggessero la rivoluzione.
Si veggono girare tutto giorno nuovi candidati zuavi.
Nel giorno 2 del corrente, due zuavi che erano in carrozza, passando per il Corso avanti ai gendarmi francesi, fecero loro le fiche. Retrocedendo, le rinnovarono. Allora i gendarmi fermarono il legno e li condussero prigioni.
Furono condannati a tre mesi di carcere.
15. — Nella mattina, e nelle ore pomeridiane dello stesso giorno, giunsero in Roma due reggimenti di Francesi, in aumento di quelli che vi sono.
Fra questi vi è il 62°, che combattè valorosamente a Solferino per la causa italiana. Quindi molti cittadini andarono ad incontrarlo e fraternizzarono aiutandoli a portare le mucciglie18.
Questi, caldi come sono di patriotismo, si abbandonarono, la sera, ad allegrie illimitate percorrendo la città, tra canti e suoni e spesso gridando «Viva l’Italia, viva Garibaldi».
19. — Nella mattina dei 17 corrente, alcuni zuavi pontifici, con alcuni militi di linea, condussero undici prigionieri piemontesi, due in uniforme e gli altri senza. Si crede che siano disertori.
Entrarono per porta del Popolo, alle 10 pomeridiane, e molta gente si affollò a vederli. Si dice che vi fu qualche movimento per liberarli e che uno dei prigionieri dicesse di stare tranquilli che tra pochi giorni sarebbe venuto in Roma il re d’Italia.
Furono accompagnati alla Pilotta.
22. — Lamoricière trovasi circondato, colla sua armata, dalle truppe piemontesi, presso Macerata, e gli riuscirono inutili gli sforzi per ripararsi nella fortezza di Ancona19.
Nel giorno 20 corrente, vi furono funerali, in S. Andrea della Valle, per i defunti militi pontifici negli ultimi fatti d’armi.
25. — Nel giorno 8 corrente, si seppe, per la città, che Garibaldi, nella sera precedente, era entrato tranquillamente in Napoli, alle ore 11, tra le acclamazioni entusiastiche della popolazione.
Egli prese alloggio nel palazzo del principe d’Angri, posto in via Toledo.
Intorno alla caduta di Napoli, nel giorno innanzi alla suddetta notizia, circolava una satira, in litografia, la cui sostanza è la seguente, e nella quale si ravvisa lo spirito satirico romanesco.
«Pulcinella (il re di Napoli) giace in terra moribondo.
»Un ministro del Santucci (il Papa), con il libro in mano, recita il Proficiscere anima cristiana, raccomandandogli l’anima.
» Appiè del letto si vede scritto: Hodie mihi, cras tibi».
Sotto il colonnato del Vaticano fu trovato scritto:
«Francia, o Francia, Roma aspetta la tua promessa, un rege al trono, un sacerdote all’ara».
Si dice essersi trovato scritto, sulla porta di qualche Chiesa parrocchiale, o presso la porteria dei Gesuiti:
«Abbiam pregato Gesù |
29. — Fra gli esteri ricevuti nell’armata pontificia era un colonnello Mortillet, savoiardo, cui fu affidato il comando delle provincie di assedio Frosinone e Velletri.
Il Corpo si componeva di circa 400 uomini tra indigeni, di gendarmeria a cavallo ed a piedi, di cacciatori ed esteri di ogni nazione e principalmente svizzeri, vandeisti ed irlandesi, convertiti in zuavi, e con esso percorreva, con marcie forzate, i varii paesi sottoposti alle provincie.
Il Mortillet, nell’erroneo scopo (poiché restano libere altre strade) d’impedire l’avanzamento dei volontari piemontesi verso la Capitale, impiegando due barili di polvere, incominciò dal far saltare in aria il ponte Mammolo ed il ponte Lucano, sulla strada di Tivoli.
Si accingeva a fare altrettanto di quello interno, detto Gregoriano; ma i Tiburtini si ammutinarono, si armarono e così dovette abbandonarne il pensiero e, sdegnato, allontanarsi da Tivoli.
Allora, ripiegando verso Frosinone, progettò ai suoi soldati di condurli a Gaeta. I pontifici si ricusarono, e protestarono di voler tornare verso la capitale, e cosi, costretto a retrocedere, nel giorno 26, andò ad occupare Frascati.
Quella popolazione aveva di già poca simpatia e niuna fiducia nei soldati esteri; ora era in piena diffidenza per essere affidati a tanto condottiero che, taglieggiando i comuni per denaro, razioni, foraggi, ecc., non dubitava di permettere alla truppa, lungo le marcie, di abbandonarsi alla licenza, specialmente d’invadere le vigne e manomettere le uve. Mostrò un contegno di apprensione ed insieme minaccevole.
Quindi, l’ambasciatore di Francia, che trovavasi colà a villeggiare, ne scrisse in proposito al generale De Goyon, il quale, senz’altro, spedì colà due compagnie di linea con due pezzi di cannone ed intimò a quell’avventuriere di partire.
Infatti, suo malgrado, dovette obbedire. Giunto sulla strada retta, fece fermare le truppe e le arringò offrendo loro un ingaggio di scudi 20 a chi volesse seguirlo a Gaeta, dove aveva di già presi preventivi concerti col re di Napoli.
I pontifici si ricusarono di abbandonare la loro bandiera e proseguirono il cammino verso la capitale, senza il loro condottiero, dove giunsero nella sera dei 27 corrente, ed il colonnello Mortillet, con circa 60 seguaci, tra vandeisti, irlandesi e zuavi, si allontanò per opposta via.
2 Ottobre. — Nella mattina dei 2 corrente, alle 8 antimeridiane, si trovava ancora esposto al pubblico un bollettino clandestino, a stampa, attaccato alla colonna di piazza Colonna, in cui si leggeva:
Avviso.
- «Cittadini!
«Ancona è libera. La sua guarnigione e il suo generale hanno dovuto piegare la fronte innanzi al nostro vessillo e sono prigionieri.
» Sono lieto di annunziarvi questa nuova gloria dell’armata italiana.
» Essa vinse perchè fu unita, concorde e disciplinata.
» Viva Vittorio Emanuele.
Il Commissario generale |
6. — Il generale Giorgio marchese Pimodan, prima di partire da Roma, visitando la Chiesa di S. Luigi de’ Francesi, disse a sua moglie, che se il destino avesse disposto della sua vita, nella guerra che andava a combattere in favore della S. Sede, avrebbe gradito di essere sepolto in quel tempio.
Morto nella battaglia di Castelfidardo, la consorte, volendo rispettare il desiderio espresso dal suo amato marito, ricevuto in dono dal generale Cialdini il di lui cadavere con una corona di alloro, dispose che la salma fosse trasportata a Roma, dove giunse accompagnata da due aiutanti di campo, principe di Linange e visconte di Reinville, a cui il generale Cialdini fu cortese di darne il permesso.
Sulla cassa si leggeva: «Oltre il rogo non vive ira nemica. Il generale Cialdini alla marchesa di Pimodan».
Nella mattina dei 3 corrente, nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, si fecero solenni funerali con intervento dell’anticamera pontificia, Stato Maggiore e Guardia Palatina.
Nella sera fu trasportato il cadavere alla Chiesa di S. Luigi de’ Francesi, per esservi tumulato.
Il trasporto fu veramente dignitoso, commovente e straordinario.
Si dice che sopra una parete della Chiesa di Santa Maria in Trastevere, dove si fecero i funerali, si trovò scritto: «Iddio punisce i traditori della patria».
Si rinvenne anche la seguente iscrizione:
«Qui giace il generale Pimodan
Che morì in difesa
Dei storti diritti di Santa Chiesa».
20. — Corre voce che monsignor De Merode, pro-ministro delle armi, sia per passare alla direzione di Polizia, che il generale Lamoricière passerebbe alle armi e che monsignor Matteucci sarebbe promosso alla S. Porpora, a Natale.
Ai 15 del corrente, tornò in Roma tutta la truppa che era stata concentrata a Velletri, per resistere agli invasori, coi cinque pezzi di cannone. Si stanziarono a S. Francesca Romana, presso Campo Vaccino.
A mezz’ora di notte dei 17 corrente, fu aggredito, per le scale di sua casa, da due individui armati, il conte Lorenzo Soderini, cui tolsero l’orologio con catena d’oro e pochi paoli che aveva in tasca.
Alcuni dicono che, nella consegna del denaro pubblico, fatta al generale piemontese, dopo la resa di Ancona, abbia salvato al Governo pontificio 170 mila franchi.
Nella mattina dei 18, alle colonne del palazzo del cardinale Vicario, dove si affiggono gli Inviti Sacri, fu trovato incollato un grandioso manifesto a stampa, sottoscritto da Vittorio Emanuele e Farini, diretto ai popoli dell’Italia meridionale, relativo alla loro votazione per l’annessione.
27. — Nel teatro Apollo vi è un ballo intitolato Giorgio il negro. In un punto in cui i negri si ammutinano, e vengono ribadite le loro catene, la cui azione veniva espressa dal coro musicale della Norma «Guerra, Guerra», la platea prorompeva in grida frenetiche ed applausi strepitosi.
La Polizia, chiaro vedendo essere una dimostrazione politica, proibì il concetto più esprimente del protagonista e de’ suoi, ed ora, in tale punto, la platea fischia. Ma, allorché la libertà dei negri viene solennizzata da una magnifica contro-danza, prorompe in applausi fragorosi e ne chiede la replica, che dalla Polizia viene tollerata.
Anche ai giuochi equestri della compagnia Guillaume, se avviene che qualche bandiera, nell’azione mimica equestre, venga inalberata o sventolata, il pubblico prende occasione per farne una dimostrazione politica.
Fra i prigionieri pontifici rilasciati da Alessandria, sono varii uffiziali di gendarmeria. Venuti a Roma, chiesero il soldo del mese che rimasero prigionieri; ma fu loro negato.
Quindi declamazioni dei medesimi poiché, per restare fedeli alla S. Sede, dopo di avere esposto gravemente ed inutilmente le loro vite, sofferto disagi e privazioni, essendo per la maggior parte gravati di famiglia, mentre speravano avanzamenti e premi, non ebbero che sterili lodi e danno d’interesse.
14 Novembre. — Il giorno 15 si sospettò che i liberali volessero innalzare la bandiera italiana sulla torre del Campidoglio e volessero, in pari tempo, fare una dimostrazione di adesione a Vittorio Emanuele.
Si adottò qualche precauzione; ma nulla si verificò
22 Dicembre. — Alcuni giovani possidenti, da vario tempo, tenevano nel caffè Nuovo un casino con intelligenza della Polizia, composto di due camere annesse alla trattoria. Ultimamente, se ne fece chiudere una.
Nel giorno 14 poi furono trovate dalla Polizia 180 coccarde tricolori con due bandierette, nascoste in un foro di muro, nella camera del bigliardo.
Il conduttore di quel caffè, Luigi Santori, fu arrestato e tradotto al carcere di S. Michele, unitamente a due bigliardieri, ed il caffè fu fatto chiudere.
Quindi 45 persone, che erano occupate nel caffè, nella trattoria, nei bigliardi si trovarono private di sussistenza.
Nella notte dai 17 ai 18 corrente, per varie contrade di Roma, fu affissa una quantità di stemmi di Vittorio Emanuele, circondati da bandiere tricolori e col motto nel mezzo «Annessione». Erano della grandezza di mezzo foglio di carta ed attaccati con colla.
31. — Da alcuni giorni si vociferava che i direttori delle dimostrazioni papaline organizassero una clamorosa dimostrazione a Pio IX per l’ultimo giorno dell’anno, in occasione che si sarebbe recato alla Chiesa del Gesù per il consueto Te Deum.
Si propose, fra le altre cose, di staccare i cavalli della sua carrozza. Altri poi aggiunsero che si volesse approfittare della circostanza per far iscoppiare una reazione ed a tale effetto si fossero distribuite armi.
Naturalmente, ciò inquietava i pacifici cittadini, i quali desideravano che siffatte lotte di partiti fossero dalle autorità competenti circoscritte, ad effetto di non trovarsi, nella migliore ipotesi, compresi in esse.
Però, due fogli di stampa, che vennero diffusi per la città a nome del Comitato italiano romano, fecero forse raggiungere quello scopo che desideratasi. Imperciocché in uno si esortava il popolo alla moderazione ed alla tranquillità, qualunque potesse essere la provocazione del partito reazionario, nell’altro si rammentava al generale francese la proibizione da esso data di dimostrazioni, di qualsiasi colore, come meglio si rileva dai seguenti documenti.
Del resto, tutto procedette tranquillamente, al cospetto di un intiero reggimento che il generale francese fece schierare sulla piazza del Gesù, di varii battaglioni nelle adiacenze e di numerosissime pattuglie; esclusi i gendarmi pontifici.
Vi furono applausi, con grida di «Viva il Papa», frammiste a quelle di «Viva Vittorio Emanuele»20».
Il Comitato nazionale italiano, ai 29 di dicembre, inviò a S. E. il generale conte de Goyon, comandante le truppe francesi in Roma, la seguente
Protesta:
«Quando le armi francesi e italiane vincevano in Lombardia, voi severamente c’impediste di mostrare la nostra gioia e i nostri sensi di riconoscenza verso l’augusto vostro Imperatore, e ciò, come dicevate, per non turbar l’ordine.
»Ora l’ordine fu più volte turbato da dimostrazioni indecenti fatte al Papa-re da una squadra di legittimisti stranieri, uniti ai dipendenti della polizia papale; nè voi l’avete mai impedito, anzi l’opinione pubblica ve ne chiama quasi complice.
» L’esiguità di queste dimostrazioni era tale che i promotori han dovuto cercare altri aiuti; e voi, tutore dell’ordine in Roma, avete pur tollerato che questa città si empisse di tutta la feccia e del rifiuto di Napoli, non ripugnante, per istinto e per educazione borbonica, a quasivoglia delitto.
» Con queste schiere, e coi tre mila birri e poliziotti di Roma, si prepara una dimostrazione al Papa per l’ultimo giorno dell’anno, e si vuol cogliere questa occasione per suscitare tumulti a sfogo di miserabili vendette, non risparmiando insulti e provocazioni al partito Nazionale, onde impegnarlo in una lotta che finirebbe col tirare su di esso la forza delle armi francesi.
» Poiché il Papa, obliando il suo ministero di pace, non aborre dal prestarsi a scene che potrebbero riuscire sanguinose, nè voi pensate di prevenirle, il Comitato Nazionale di Roma, dopo aver fatto dal canto suo quanto poteva per inculcare la moderazione e la calma nel popolo, giustamente irritato, sente il dovere di protestare pubblicamente e chiamarvi solo responsabile innanzi all’Imperatore e alla Nazione Francese dell’insulto che si fa alle convinzioni di Roma e d’ogni disordine e sciagura che potrebbe, in ogni caso, funestare questa Città, affidata alla tutela delle armi francesi da voi comandata.
»Roma, 29 dicembre 1860.
» Il Comitato Nazionale Italiano».
Lo stesso Comitato pubblicò il seguente proclama:
- «Romani!
«Molti fra voi si sono lasciati sdegnare da una calunniosa corrispondenza dell 'Armonia: hanno avuto torto. Quando questo giornale chiama armi straniere le armi di Vittorio Emanuele, parla da suo pari: non è un giornale austriaco l’Armonia?
» Quando esso mentisce, fa il suo dovere: non è pagato per questo dagli austro-clericali?
» Perchè dunque sdegnarsi invece di ridere alle sue farse del caffè Nuovo, ai sognati suoi cartelli azzurri e alle lettere di oro, all’attribuire ch’esso fa ai Romani il progetto di una dimostrazione papale che la Polizia Pontificia organizza da lungo tempo coi pochi notissimi sanfedisti, coi suoi tremila gendarmi armati di pugnale e coi poliziotti di Francesco II, sfuggiti alla punizione delle rapine, degli incendii, dei massacri da loro commessi negli Abruzzi, e qua raccolti, onorati, pagati?
» I Romani dell’Armonia non sono che questi. Ma questa è una provocazione, si dice, bisogna reagire. Poiché il Papa si presta a queste commedie, poiché il generale De Goyon le favorisce, bisogna salvare il decoro di Roma, reagire violentemente. Questi propositi son figli di cuor generoso.
» Ma vera reazione violenta sapete voi dove vi conduce? A ciò propriamente che la Polizia Clericale desidera e ordisce; ad una collisione colla truppa francese. Ciò non deve accadere. Voi sinora evitaste con senno questo fatto, dal quale verrebbe gran danno a Roma e forse a tutta la Nazione, e voi la eviterete ancora. Voi non complicherete maggiormente la già falsa posizione di questi generosi figli della Francia esponendoli a scegliere tra i sentimenti del loro cuore e i doveri della disciplina militare. Pur troppo è un nuovo sagrifizio questo che vi si chiede, ma se voi godete oggi le simpatie di tutti i vostri fratelli italiani, lo dovete appunto all’avere regolato la vostra azione, non già secondo il vostro generoso istinto, ma secondo l’utile della causa della Nazione. Ora questo utile stesso v’impone di subire, anzi che di far violenza. Perchè pochi fanatici d’ogni lingua e gli sgherri papali e borbonici gridino il Papa-re, non per questo gli daranno essi il regno, e la dignità di Roma sarà compromessa.
» Credete forse ciechi l’Italia e l’Europa? Siate dunque tranquilli. Il tempo utile da agire fortemente non è lontano per voi. Quando la bandiera italiana sventolerà in Gaeta, allora l’Italia vi dirà che voglia da voi, perchè Roma si mostri degna d’essere la capitale di una grande Nazione, e voi lo sarete.
» 30 dicembre 1860.
» Il Comitato Nazionale Romano».
Note
- ↑ Di questo plebiscito del popolo romano, desiderato dal conte Cavour, e fatto sotto 1 vigili occhi della polizia pontificia, abbiamo parlato altrove.
- ↑ Napoleone e Vittorio Emanuele.
- ↑ La spada per Napoleone III fu consegnata, in Roma, allo ambasciatore di Francia dal principe Gabrielli, dal marchese Gavotti e dal don Ippolito dei principi Ruspoli, quella per Vittorio Emanuele a lui stesso da Annibale Santangeli, Luigi Silvestrelli e Luigi Mastricola, che già erano in esilio. Nessuna minaccia fu fatta ai tre primi e nulla essi ebbero a soffrire per la presentazione della sciabola stessa.
- ↑ In questo discorso Pio IX dichiara che «non è la perdita del temporale dominio che gli produce nel cuore la massima delle afflizioni.... che molto più lo affligge e spaventa il pervertimento delle idee; quest’orrendo male di tutto falsare». Ma era per lui pervertimento delle idee il credere al diritto dell’Italia su Roma e a quello dei Romani d’essere annessi al nuovo Regno.
- ↑ L’abate Vittorio Emanuele Stellardi aveva portato al pontefice, nel settembre del 1859, una lettera che il re s’era deciso a mandargli per aderire alle reiterate istanze dell’imperatore Napoleone, e quindi un’altra, nel febbraio del 1860, che lo Stellardi stesso consegnò nelle mani di Pio IX.
- ↑ Il Rettore dell’Università publicò, il 2 di marzo, il seguente
AVVISO:
«Annuendo alla istanza avanzata dal signor professore Carlo Maggiorani perchè gli fosse permesso di farsi supplire per alcuni giorni, a preferenza di altri sostituti, dal signor Dott. Guido Baccelli nella cattedra di medicina-politico-legale, questi fu autorizzato a farne temporariamente le veci.» Quegli studenti pertanto che persistessero a non volerne ascoltare le lezioni, oltrechè commetterebbero una gravissima mancanza, arrecherebbero eziandio non lieve dispiacenza ed ingiuria al benemerito loro professore titolare, mostrando di non far conto del sostituto da lui stesso proposto e designato, come meritevole della sua stima e fiducia.»
- Dalla nostra Residenza, 2 marzo 1860.
L. Card. Altieri, Arcicancelliere.
Il professore Baccelli rinunziò a quella cattedra poichè vide che il Governo pontificio voleva allontanarne del tutto il professore Maggiorani. - ↑ A tutto il 21 corrente pervennero al tribunale criminale 16 relazioni di feriti, la maggior parte dei quali feriti con puntate di stili. — Roncalli.
- ↑ Come abbiamo detto altrove, il Santangeli, il Silvestrelli e il Mastricola erano già in esilio.
- ↑ La lettera di cui parla il Roncalli è forse quella del 20 di marzo del 1860, pubblicata dal Massari, a pag. 87 del 2° volume della sua opera intitolata: La vita ed il regno di Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d’Italia, (Milano, Treves, 1878).
- ↑ In quel tempo, Napoleone aveva fatto proposte al Governo pontificio, alle quali non si era mostrata contraria l’Austria; ma il papa le rifiutò perchè non vi era la promessa della restituzione delle Romagne. (Vedasi Bianchi, op. cit., VIII, 405-406). Forse il dispaccio dell’Austria si riferiva a quella proposta.
- ↑ Questi non è Davide Silvagni, partito col conte della Minerva, ma l’avvocato Augusto, che fu capo popolo nelle dimostrazioni del 1848 e vessillifero del battaglione universitario nel 1849. Tratto in arresto perchè corrispondente di giornali stranieri, venne mandato in esilio. Morì in Roma, consigliere della Corte d’Appello di Aquila.
- ↑ Il De Merode, nominato ministro delle armi, aiutato dalla Corte di Vienna, dal duca di Modena e dalla duchessa dì Parma, preparavasi a combattere la rivoluzione, la quale, al dire del Lamoricière, «come per l’addietro l’islamismo, così allora minacciava l’Europa». (Proclama del Lamoricière ai soldati, del giorno 8 di aprile del 1860).
- ↑ Ognuno sa che, fin dal 1859, erano corse parecchie pratiche tra l’Antonelli e l’ambasciatore borbonico in Roma acciocchè le milizie napoletane e pontificie si unissero per guerreggiare il Piemonte.
- ↑ D. Ippolito.
- ↑ D. Augusto Ruspoli non era, allora, in Roma, ma in Ungheria.
- ↑ Non mi fu possibile aver copia di questo proclama della benemerita Società Nazionale Italiana fondata da Daniele Manin e Giorgio Pallavicino. Le molte pubblicazioni di essa souo ormai introvabili.
- ↑ Governatore di Roma.
- ↑ Parola romanesca che vale «sacelli militari».
- ↑ Come a tutti è noto, potè entrarvi dopo la battaglia di Castelfidardo.
- ↑ Nella piazza di S. Andrea della Valle, mezz’ora prima che passasse Pio IX, fu gettato un petardo.