Plico del fotografo/Libro III/Parte I/Sezione II

Sezione II

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SEZIONE II.

Prove negative su collodio.

Il procedimento comunemente conosciuto col nome di fotografia su collodio è quello per cui si viene a produrre prove negative sopra lastre di vetro rivestite di uno strato di collodio convenientemente preparato.

Questo procedimento serve principalmente per fare i ritratti.

Il lettore già iniziato alle manipolazioni necessarie per ottenere le negative su albumina, troverà facilissimo il produrre ottimi risultati col collodio. Le operazioni sono pressochè identiche, cioè:

I. Preparare il collodio.
II. Coliodionare le lastre di vetro.
III. Preparare il bagno sensibilizzatore.
IV. Sensibilizzare.
V. Esporre nella camera oscura.
VI. Preparare i liquidi sviluppatori.
VII. Sviluppare la prova.
VIII. Preparare i liquidi fissatori.
IX. Fissare la prova e terminarla.

Presso l’albumina si può fare ogni operazione coll’ordine naturale, ma qui presso il collodio si debbono fare preliminarmente le preparazioni dei liquidi sensibilizzatori e dei liquidi sviluppatori, perchè sia dopo di avere collodionato, sia dopo di avere esposto alla luce, bisogna non por tempo in mezzo nel venire a sensibilizzare ed a sviluppare. Noi conserveremo tuttavia lo stesso ordine, bastandoci di prevenire a tempo l’operatore delle poche eccezioni a farsi in pratica.

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Operazione I.

Preparare il collodio.

Il collodio prende il suo nome dal greco Κολλαω, che significa materia incollante. Esso non è altro fuorchè una soluzione di cotone fulminante nell’etere solforico mescolato con alcool. È in forma di liquido, senza colore, leggero, con apparenza mucilagginosa. Venne utilizzato nell’arte medica, onde con esso preservare le ferite dal contatto dell’aria, in surrogazione del taffetà d’Inghilterra, per la proprietà che possiede di evaporarsi prontamente lasciando una pellicola solida impermeabile all’aria.

Il collodio si può comperare presso i farmacisti, ma il collodio farmaceutico, per essere troppo denso, non può venir steso uniformemente ed in strato sottile sul vetro come ha bisogno il fotografo. Perciò un tale collodio prima del suo impiego in fotografia deve venir dilungato con etere e con alcool per fargli acquistare la fluidità conveniente.

Il collodio farmaceutico del commercio è inoltre molto variabile nelle sue qualità. Perciò il fotografo che desideri di ottenere una grande costanza e certezza di risultati, nell’uso di questa materia deve comporre egli stesso il suo collodio preparandosi il cotone fulminante occorrente e sciogliendolo quindi in un miscuglio di etere e di alcool. Il collodio così ottenuto si prepara poi fotograficamente col fare sciogliere in esso un ioduro, p. e. il ioduro di potassio, il ioduro di cadmio. Laonde divideremo questa operazione di preparare il collodio in tre capitoli differenti. A. Cotone fulminante. B. Collodio semplice. C. Collodio fotografico.


A. cotone fulminante.

Preparazione.


100

grammi

di nitrato di potassa

150

»

acido solforico a 66°

5

»

cotone.


[p. 331 modifica]Si riduce in polvere il nitrato di potassa o salnitro del commercio, e si pone in un bicchiere della capacità di un mezzo litro. Dopo si versa sopra del sale l’acido solforico e si agita ben bene il miscuglio con un mestatoio di vetro; quando il miscuglio appare in forma di siroppo omogeneo si introduce in esso il cotone cardato, mondo, per quanto si può, da ogni materia estranea.

Il cotone si deve introdurre nel liquido a piccole dosi per volta col mezzo del bastoncino di vetro, che servi di mestatoio, con cui lo si comprime leggermente per scacciare l’aria che può rimanere in mezzo di esso, e così farlo impregnare uniformemente col liquido. Dopo IO minuti di immersione si toglie il cotone col mezzo del mestatoio (dopo d’aver versato in altro vaso il liquido onde evitare il pericolo degli spruzzi nel togliere il cotone dal bicchiere), si luffa in un vaso ripieno di acqua, e tosto si scuote coll’agitatore di vetro affinchè possa liberarsi prontamente dall’acido che contiene in eccesso. Questo vaso dovrà essere di terra, di vetro, o di legno, ma non di metallo. Si lava il cotone nell’acqua rinnovando l’acqua sino a che esso non contenga più alcuna traccia di acido. Per ottenere un lavamenlo perfetto si rièhieggono alcune ore di tempo. Finalmente si estrae, e si fa seccare il cotone a lento calore, lontano dai corpi accesi, perchè è diventato esplosivo, fulminante. Esso chiamasi ora cotone fulminante, fulmi-colone, oppure anche pirossilina. Se questa pirossilina si scioglie facilmente nell’etere alcoolizzato sarà preparala bene, avrà tutte le qualità desiderate.

Osservazioni.

I’ Altra maniera di preparare il cotone fulminante. — L’azione dell’acido solforico sul salnitro avendo per effetto di mettere in libertà l’acido nitrico contenuto nel sale, è chiaro, che mescolando direttamente acido nitrico con acido solforico si ha un miscuglio capace di produrre lo stesso effetto chimico, di produrre della pirossilina di egual bontà.

Prendi 4 eq. eh. di acido nitrico a 40° ossia grammi 490 » 8 eq. eh. di acido solforico a 66° ossia grammi 400

« fi di un eq. eh. di cotone cardato ossia grammi 40 [p. 332 modifica]mescola ben bene gli acidi che avrai versati insieme in un bicchiere della capacità di mezzo litro. Il miscuglio avrà il calore di -4- 55° ceni, circa, se il bicchiere si fece riscaldare leggermente prima di versarvi gli acidi. Aggiungi quindi il cotone poco per volta, tuffandolo nel liquido col mezzo di un bastoncino di vetro. Il cotone farà salire il calore del miscuglio a 60" cent. Lascia il cotone nel liquido per 1 0 minuti dopo estrailo, e fallo seccare al modo sopraddetto.

Osserva clic l’acido nitrico a 40" avendo una densità o peso specifico di 1,35, ossia a dire 400 centimetri cubi di questo acido pesando 435 grammi, li sarà più comodo il misurare questo acido che pesarlo. Lo stesso si dica dell’acido solforico del grado 66°, che ha il peso specifico = 4,84. Nel nostro caso basterà prendere 88 centimetri cubi di acido nitrico, e 216 centimetri cubi di acido solforico per aver approssimativamente le quantità di peso savrindicale.

Osserva che la composizione dell’acido nitrico a 40 u è 7110, NO 5, per cui il suo equivalente chimico è solo 417, e che la composizione dell’acido solforico è HO, SO 3 coll’equivalente 49, per cui 8 equivalenti di esso danno solò 392, e che perciò le proporzioni sopra sono date solo approssimativamente in numeri rotondi; è così che si può procedere nella pratica, in cui una certa latitudine è sempre tollerabile, perchè le sostanze non sono mai assolutamente pure.

Finalmente osserva che qui abbiamo prescritto grammi 10 di cotone cardato. Questo cotone prima della sua immersione nel miscuglio acido deve venir riscaldato sopra di una piccola rete di fili metallici posta un poco distante da un focone contenente dei carboni accesi, o altrimenti, e si deve scaldare sino al calore dell’ebollizione dell’acqua per cacciar l’acqua che il cotone contiene naturalmente alla temperatura ordinaria, la quale acqua è sempre del 10 per 100 almeno, di maniera che i 40 grammi di cotone freddo non diventano più che 9 grammi di cotone caldo.

Il far seccare straordinariamente il cotone non sarebbe conveniente quando si opera con acidi concentratissimi, e quando si opera col salnitro e coll’acido solforico del peso specifico di 4,84. In queste circostanze l’acqua igrometrica contenuta sia [p. 333 modifica]nel cotone, sia nel salnitro, è utile per moderare l’azione del’ l’acido nitro-solforico. Quando questo è troppo concentrato il cotone viene bensì reso fulminante in sommo grado, ma o perde intieramente la facoltà di sciogliersi nell’etere addizionato di alcool, o vi si scioglie con estrema difficoltà, producendo un collodio glutinoso, contrattile, che produce sul vetro una pellicola reticolata. Quandq all’opposto l’acido è troppo dilungato o le sostanze sono eccessivamente cariche di umidità, il cotone fulminante che si ottiene è non solo imperfettamente fulminante, ma rimane corto, agglutinato insieme, per cui si lascia lavare con difficoltà ed è poco solubile nel miscuglio di etere ed alcool, e la soluzione seccando sul vetro, lascia una pellicola polverosa poco trasparente, opaca o papiracea, e di niuna solidità.

Non solo non conviene far seccare il cotone per cacciare l’umidità quando gli acidi sqpo concentratissimi ma bisogna aggiungere direttamente a questi uno o più equivalenti di acqua per ogni equivalente di acido onde renderli al grado di concentrazione voluto, come diremo più sotto.

L’acido nitro-solforico, dopo che ha -servito una volta si deve rigettare perchè contenendo in soluzione della pirossilina, sarebbe poco utile nel preparare dei sali cogli ossidi metallici, e non gioverebbe farlo servire alle seguenti preparazioni di altra pirossilina, perchè la sua composizione essendo variabile ed indeterminala non la si può correggere con successo aggiungendogli altro acido solforico, ed acido nitrico.

2‘ Miglior modo di lavare il cotone fulminante. — Si propose di lavare il cotone reso fulminante mettendolo nel fondo di un imbuto di vetro, e facendovi quindi passar sopra dell’acqua. Questa, rinnovandosi incessantemente sul cotone, si ammise che dovesse lavare perfettamente il cotone, ed in breve tempo. Però un simile procedimento non credo sia stato veramente seguito con successo da qualcheduno, perchè il cotone nei cambiarsi in pirossilina, ossia nel diventare fulminante sotto l’azione della mistura di acido solforico e di acido nitrico, subisce sempre dal più al meno un restringimento, una specie di follatura, quasi come farebbe la lana in contatto degli alcali, di modo che esso risulta inegualmente penetrabile dall’acqua. Perciò l’acqua, quando filtra sul cotone fulminante posto nell’imbuto, mentre lava ad [p. 334 modifica]oltranza alcune parti, ne lascia delle altre quasi intatte. Questa maniera di lavare, usata con successo dai chimici per lavare i precipitali composti di una pasta omogenea, facilmente penetrabile dall’acqua, pare adunque affatto impropria per lavare il cotone fulminante, e se per facilitare l’azione dell’acqua si volesse meccanicamente aprire i fiocchi del cotone, onde distruggere l’effetto della sua contrazione, non si potrebbe arrivare ad ottenere un risultato perfetto che con mollo dispendio di tempo e di fatica.

Si propose di aggiungere alcune goccie di ammoniaca liquida alle ultime acque di lavamenio, per così neutralizzare l’ acido solforico che potesse ancor rimanere sul cotone. Questa precauzione è solo utile quando non si può prolungare sufficientemente il lavamento. Un eccesso di ammoniaca liquida non nuoce, perchè questa si evaporizza nell’essiccamento del cotone. Quando si ha fretta si può lavare presto e iene il cotone fulminante trattandolo con acqua bollente. Ma una troppo grande quantità di ammoniaca liquida, ed un prolungato lavamento all’acqua bollente finirebbero per alterare la pirossilina, renderla proclive a decomporsi quando si trovi poi sciolta in forma di collodio. Gli alcali tendono infatti a decomporre la pirossilina togliendole dell’acido nitroso con cui combinarsi. La lemp. di -+-<00° cent, spesso non pregiudica la pirossilina, ma alcune volte la può decomporre producendo uno svolgimento di vapori rossi di acido nitroso. L’ammoniaca liquida si potrebbe convenientemente rimpiazzare con una soluzione di carbonato di soda, perchè meno nociva alla pirossilina.

Il miglior modo di lavare il fulmi-cotone, e nel tempo stesso il più semplice, mi pare che sia quello che abbiamo indicato di sopra, e che consiste nel lasciarlo per molle ore di seguilo nell’acqua di quando in quando rinnovata, avendo cura di comprimere alcune volle colla mano la materia filamentosa per far cambiare l’acqua che rimane tra di essa. Dopo si comprime il cotone torcendolo forte dentro di un pezzo di tela, e si fa seccare. È difficile lo stabilire il tempo ad impiegarsi nel lavare la pirossilina. In media il tempo è di 24 ore, ma può variare mollo secondo la contrazione che ha subito nella sua preparazione. L’essiccamento del cotone fulminante si effettua in due o tre giorni se si lascia soltanto esposto all’aria alla temperatura ordinaria, e si effettua in tre o quattro ore se viene esposto ai raggi del sole. [p. 335 modifica]3’ Inconvenienti di una imperfetta lavatura del cotone fulminante. — L’operazione di ben lavare il fulmi-cotone è mollo essenziale per la buona riuscita del collodio, imperciocchè se nel cotone fulminante rimane dell’acido, questo decompone più tardi il ioduro che si aggiunge al collodio per renderlo fotografico, e così il collodio stesso viene cambiato in rosso, e reso poco sensibile alle radiazioni luminose; e se col lavamento non si scaccia dal cotone tutto il bisolfato di potassa derivante dalla reazione tra l’acido solforico ed il salnitro, ne segue che questo bisolfato, venendo a sciogliersi nel collodio, viene anch’esso a rendere il collodio meno stabile, ed a molestare la libera azione della luce sullo strato di collodio-ioduro d’argento nel vetro sensibilizzato, ed a pregiudicare la tenacità del collodio.

4 a Modo di conoscere se il cotone fulminante è lavato a sufficienza. — Quando la carta di girasole, oppure la carta di campeggio, posta per 1 0 minuti in contatto del cotone fulminante ancora umido, non cambia di colore, si può ritenere che il cotone sia abbastanza ben lavato, perchè l’acqua che lo inumidisce non conterrà più nemmeno (V. Appendice, pag. 280) del suo peso di acido solforico; ma per maggiore precauzione gioverà lasciarlo ancora per qualche tempo immerso nell’acqua. Per riconoscere se il cotone contiene ancora del bisolfato di potassa e dell’acido solforico, si introduce nell’ultimo bagno che ha servito a lavarlo alcune goccie di cloruro di bario. La formazione di un intorbidamento lattiginoso sarà certo indizio che il cotone non è ancor lavato a sufficienza, che contiene ancora l’una o l’altra di queste due sostanze.

b’ Reazione tra l’acido solforico ed il nitrato di potassa nella preparazione del fulmi-cotone. — Nel mescolare l’acido solforico col nitrato di potassa si forma un solfato di potassa, e si pone in libertà l’acido nitrico contenuto nel salnitro. L’acido solforico trovandosi in grande eccesso nel miscuglio relativamente al sainitro, il solfato di potassa che si forma è allo stato di bisolfato, e l’acido nitrico posto in libertà rimane mescolato con molto acido solforico idratato, formando un miscuglio acido, che per brevità chiamasi acido nitro-solforico. La reazione tra l’acido solforico ed il nitrato di potassa, espressa con segni chimici, è K.0,N0 5 -’-H0,S0 3 = KO,SO ! -’-HO,NO s [p. 336 modifica]quando essa si forma Ira un equivalente di acido ed un equivalente di sale.

6’ Reazione Ira il cotone e l’acido nitro-solforico. — Il cotone posto in questo miscuglio reagisce principalmente coll’acido nitrico, che cede dell’ossigeno all’idrogeno del cotone, e forma dell’acqua e cambiasi in acido nitroso NO", che combinasi col cotone sostituendo l’idrogeno che il cotone ha perduto, e il risultato di questa sostituzione è il cotone fulminante, o pirossilina.

L’acido solforico, che trovasi in eccesso nel miscuglio, non si combina col cotone, e non lo decompone in modo alcuno, ma la sua azione è assai grande ed utile, perchè esso rende l’acido nitrico concentratissimo, togliendogli l’acqua che trovasi nel miscuglio proveniente dall’imperfetta siccità del salnitro e del cotone, o dalla poca densità dell’acido nitrico quando questo si impiega direttamente invece del salnitro. L’acido solforico è poi anche utile, perchè fa acquistare una forma allotropica al cotone, per cui la sua libra diventa più tenace ed in certo modo pergamenizzata, qualità che il cotone conserva in parte anche dopo di essere stato sciolto nell’etere alcolizzato in forma di collodio.

7’ Varie qualità di pirossilina. — Il cotone fulminante non ha sempre la stessa apparenza. Ora è lungo, fibroso, e pare cotone pochissimo alteralo. Ora è poco lungo, poco fibroso, per cui facilmente si rompe. Ora è corto e non ha apparenza fibrosa e filamentosa, ma polverosa.

Queste tre forme di cotone fulminante sono dovute ad una composizione diversa, ed esse hanno proprietà chimiche e tisiche diverse assai.

La composizione del cotone è C 15 II 10 O 10; quella della pirossilina lunga e fibrosa è C’’ (H’ (NO’) 5 ) 0,<!. Questa pirossilina è molto esplosiva, è quasi insolubile nell’etere addizionato di alcool, ed è molto solubile nell’etere acetico; essa chiamar si potrebbe pirossilina trilonilrosa.

La composizione della pirossilina poco lunga e poco fibrosa è C M (U’(NO’)’) O 10. Questa pirossilina deutonitrosa è poco esplosiva, si scioglie bene in un miscuglio di etere e di alcool.

La composizione della pirossilina polverosa è presso a poco quella della xiloidina C‘’ (H’NO’) 0“\ Essa chiamar si potrebbe pi [p. 337 modifica]rossilina prolonitrosa; è combustibilissima, ma non esplosiva, ed è quasi insolubile nell’etere alcoolizzato.

11 cotone fulminante, che usa il fotografo, ha raramente una composizione così determinata, quindi nel cotone fulminante si trovano ordinariamente riunite le tre qualità sopraddette, e ciò fa si che la sua soluzione nell’etere ’alcoolizzato si effettui ora più, ora meno facilmente, secondo che predomina molto o poco la pirossilina deutonitrosa. Il collodio sarà contrattile, e seccando formerà una pellicola trasparente se la pirossilina predominante è tritonitrosa o della prima specie prenarrata. Il collodio sarà invece nulla contrattile, e seccando formerà una pellicola polverosa, opaca, papiracea, se la pirossilina protonitrosa abbonda mollo relativamente alle altre due specie.

Noi non esponiamo questa opinione circa la composizione della pirossilina, nei vari casi della sua maggiore o minore solubilità, senza fare le debite riserve, poichè questa sostanza venne ancor troppo poco studiata e potrebbe benissimo derivare la differenza della solubilità da uno stato isomerico differente acquistato dal cotone.

Il cotone, che impiegasi nella preparazione della pirossilina, può variare nelle sue proprietà colla sua provenienza, ma non in grado così grande da cambiare le proprietà della pirossilina che si produce con esso. Alcuni, osservando che il cotone si scioglie ora più ora meno nell’acido nitro-solforico, credettero poter inferire ciò dipendere dalla qualità del cotone, da qualche resina che potesse trovarsi in combinazione con esso in maggiore o minor dose, secondo la provenienza sua; una tale opinione sembra avvalorala da ciò che il cotone diventa meno solubile nell’acido nitro-solforico, facendolo previamente bollire con una lisciva di potassa. Ma è probabile che la diversa solubilità del cotone sia solo dovuta ad uno stato igrometrico diverso, poichè il cotone trattato con un alcali è reso meno igrometrico di quello, che non ha ricevuto un tale trattamento.

L’acido nitrico del commercio, quando venne preparato con nitrato di soda impuro, contiene del cloro. Un tale acido impiegato nel preparare la pirossilina ha per effetto di far sciogliere una grande quantità di cotone nel misto, e di rendere la pirossilina imperfetta decomponendola in parte.

Si Fotografia. [p. 338 modifica]I) cotone si può surrogare con altre materie vegetali, p. e. col lino, ma le sostanze che vennero principalmente raccomandate sono i cenci di lino e di cotone, e la carta senza colla. Queste surrogazioni non presentano alcun vantaggio reale, prova questa che non è alcuna impurità propria del cotone che possa molestare l’attitudine di questo nella preparazione della pirossilina, impedire che con esso si possa ottenere la pirossilina della qualità voluta.

8’ Peso della pirossilina ottenula — Quando la pirossilina ottenuta è della massima lunghezza e fibrosità, ed è esplosiva in sommo grado, essa offre un aumento di peso di almeno 73 parti per 4 00 parti di cotone impiegato nella sua preparazione. Questo così grande aumento di peso indica all’operatore che il miscuglio acido era troppo concentrato, che il cotone venne cambiato in pirossilina trilonitrosa.

L’aumento di peso, che il cotone ha da subire per produrre una pirossilina conveniente alla preparazione del collodio fotografico, è del 50 per 1 00 appena. Un aumento di peso del 25 per 4 00 soltanto può indicare, che l’operatore ha impiegato un acido nitro-solforico non abbastanza concentralo.

La ragione di queste deduzioni si è che l’equivalente del cotone è 462, l’equivalente della pirossilina prolonitrosa è 207, l’equivalente della pirossilina deulonilrosa è 252, l’equivalente della pirossilina tritonitrosa ò 297.

Queste deduzioni ricavate dagli aumenti di peso sono applicabili quando si opera a bassa temperatura e che si prolunga assai poco il tempo dell’immersione del cotone nell’acido nitro-solforico; quando la temperatura è piuttosto alta, e che si prolunga il tempo dell’immersione ( come si ha bisogno per la preparazione di una pirossilina destinata agli usi fotografici ), allora poco o nulla si può arguire dal peso della pirossilina ottenuta, perchè una gran parte di questa viene sciolta dal miscuglio. Il cotone fulminante preparato ad alta temperatura diventa corto, quasi polveroso, diverso in apparenza dalla pirossilina deulonilrosa più sopra descritta, ma deve essere identico con essa in composizione, ossia deve essere isomerico con essa, poichè ha la proprietà di sciogliersi egualmente bene nell’etere alcolizzato, e di produrre un collodio egualmente buono. Que [p. 339 modifica]sla proprietà del cotone fulminante fa si che nella sua preparazione si abbia una grande latitudine nella concentrazione dei liquidi, nel tempo dell’immersione, e nella temperatura.

9’ Temperatura nel preparare la pirossilina. — La temperatura più conveniente nella preparazione della pirossilina è di 65 gradi del termometro centigrado. Una temperatura più elevata tende a far decomporre la pirossilina, ossia a far svolgere da essa dei fumi rutilanti di acido nitroso. Per ottenere una tale temperatura di -+.65’ il miglior modo sarebbe di riscaldare dell’acqua sino a -’-70" circa ed in quest’acqua lasciare immerso il bicchiere o la capsula in cui si ha l’acido nitro-solforico sino a che la temperatura di questo abbia raggiunto la temperatura di -<-65’, il che succederà in 40 minuti circa. Ma questa precauzione è un po’ incomoda nella pratica, epperciò io trovo che l’operatore può esimersi da essa, operando semplicemente, al calore che si svolge nel fare il miscuglio dell’acido, del sale e del cotone. Alcuni raccomandano di verificare la temperatura del miscuglio con un termometro. La temperatura dell’acqua nel caso di sopra si può, e si deve verificare col termometro, immergendo questo nell’acqua ed aspettando circa 3 minuti, ossia finchè il calore del mercurio sia eguale a quello dell’acqua, ma il provare con un termometro la temperatura del miscuglio acido, quando si opera in piccolo, mi pare impossibile, perchè non polendosi immergere nel miscuglio che l’estremità del termometro, la temperatura del mercurio rimane sempre minore, epperciò esso non accusa tutta la temperatura che si ha nel miscuglio.

Quando la temperatura, presso cui si opera, è verso -<-75°C. il cotone fulminante viene in parte sciolto dal liquido acido, e perde in parte la sua struttura fibrosa, come se fosse stato preparato con acido nitro-solforico poco concentrato; un tal cotone fulminante produce un collodio clic lascia una pellicola porosa, uniforme, aderente sul vetro, poco contrattile. Quando la temperatura è solo -+-35 0 circa, la struttura fibrosa del cotone fulminante è troppo grande, la sua solubilità è piccola, ed il collodio che esso produce è troppo glutinoso, contrattile, lascia una pellicola pergamenosa, retiforme, poco aderente sul vetro. Il cotone fulminante preparato ad alta temperatura è conveniente [p. 340 modifica]pel collodio destinato alle negative, perchè esso dà dei neri intensi, ed il cotone preparato a bassa temperatura è conveniente per fare il collodio destinato per le positive, perchè dà maggior sensibilità, essendo con minor azione chimica sui sali di argento per causa del suo organismo meno alterato.

Per spiegare in qual modo agisca la temperatura, e produca così profondi cambiamenti nel cotone fulminante, si suppone, che essa accresca la tendenza, che hanno gli acidi presenti a convertire la fibra del cotone (che consiste di legnoso quasi puro ) in amido, gomma, zuccaro, acido saccarico, ed altre sostanze, le quali non sodo fibrose come il cotone, ed hanno una decisa azione chimica sui sali di argento quando sono sottoposti al processo di riduzione, e si comportano analogamente a ciò che fa l’albumina, epperciò ritardano la riduzione stessa. Una prova di questa trasformazione apportata al cotone si ha in ciò che con un’ alta temperatura questo si scioglie in gran parte ed anche compiutamente nello stesso acido nitro-solforico. Quando gli acidi sono dilungati, essi agiscono tanto più fortemente sul cotone, e più facilmente lo sciolgono, perchè allora il prodotto che si forma è più solubile.

Alcuni, per evitare di operare ad una temperatura mollo alla con pericolo di far sciogliere il cotone, e per ottenere lo stesso scopo di rendere la pirossilina con reazione organica sui sali di argento, usano servirsi di carta, o di vecchi cenci di cotone e. di lino, che hanno già subito un certo grado di alterazione, ma il guadagno che si ha in tal modo nella preparazione di una pirossilina conveniente per preparare il collodio per le prove negative è ben poco importante da far si, che convenga dipartirsi dal cotone cardato, le cui proprietà sono più costanti e meglio determinate che non quelle dei cenci e della carta.

1 0 1 Tempo per la preparazione della pirossilina. — Il tempo necessario a formare il cotone fulminante è minore di quello indicato di sopra; basterebbe la metà di esso, cioè 5 minuti. Ma in così breve tempo il cotone perde quasi nulla della sua particolare struttura filamentosa e fibrosa, e la pirossilina ottenuta produce un collodio un po’ troppo contrattile, che si stacca facilmente dal vetro, che è difficile a stendere sulle lastre, perchè si secca prontamente, che per la sua durezza respinge’ i liquidi [p. 341 modifica]sensibilizzatori e sviluppatori, e clic dà una pellicola poco unita, retiforme. Prolungando, come abbiamo prescritto, il tempo per 10 minuti, una parte del cotone si scioglie però nel miscuglio acido, e la perdita che si ha è piuttosto sensibile se da 10 minuti si prolunga il tempo dell’immersione sino a 30 minuti.

Il tempo a impiegarsi nel preparare il cotone fulminante non è dunque una quantità costante, ma variabile colla temperatura e, colla concentrazione dei liquido. Se la temperatura è grande il tempo deve esser minore, e se la concentrazione è grande il tempo dell’immersione del cotone deve essere maggiore, ed inversamente quando è bassa la temperatura e piccola la concentrazione.

Sembra che il tempo dovrebbe crescere col decrescere della concentrazione dell’acido nitro-solforico. Ciò non è, perchè la pirossilina sarebbe sciolta in quantità troppo grande.

1 1 ’ Concentrazione dell’acido nitro-solforico. — Il grado di concentrazione dell’acido nitro-solforico che più conviene nella preparazione della pirossilina viene indicato dalla forinola

2(H0,N0 5 -t-2lI0,S0 5 )-t-7H0.

Questa formolo a chi la sa leggere insegna la quantità di acqua, che aggiunger si deve al miscuglio quando l’acido solforico è del peso specifico di 1,84, ed il cotone ed il salnitro vennero perfettamente essiccati, esponendoli per qualche tempo ad un calore un po’ forte per cacciare tutta l’acqua che essi attrassero dall’aria atmosferica.

Quando si prepara la pirossilina mescolando acido nitrico con acido solforico, può avvenire che non si abbia un acido nitrico sufficientemente concentrato da potersi ottenere esattamente la forinola predetta. Allora si deve aumentare la proporzione dell’acido solforico, il quale ha per effetto di togliere dall’acido nitrico l’acqua eccedente, e renderla innocua, cosi:

Suppongasi che l’acido nitrico che si ba sia solo del grado 40“ all’areometro, ovvero sia della densità di 1,35, un tale acido ha la composizione 7H0.N0 5. Quantunque così dilungato, questo acido nitrico servirà egualmente a comporre un buon fulmicotone, purchè si accresca convenientemente l’acido solforico. L’acido solforico è concentratissimo quando è a 66°, perchè al [p. 342 modifica]lora la sua densilà è I, 84 e la sua composizione è DO, SO 5. Quando quest’acido si aggiunge all’acido nitrico nella quantità voluta viene a formare coll’acqua presente un bisolfato di acqua 2B0,S0 5. Ogni qual volta adunque esso trovasi in tanta quantità nel liquido, che l’acqua possa tutta venir tolta in tal forma di combinazione, esso è in quantità sufficiente. Nel nostro caso, supponendosi clic l’acido nitrico sia a 40’, si deve impiegare 7 equivalenti di acido solforico per I equivalente di acido nitrico dilungato con 7 equivalenti di acqua, per arrivare a convertire tutta l’acqua presente allo stato di bisolfato. Infatti

7B0,N0 5 +7B0,S0‘=7(2B0,S0, )-f-N0 1>.

Da questo esempio il lettore troverà facile il dedurre la quantità di acido solforico che si deve aggiungere all’acido nitrico quando è molto dilungato per renderlo alto alla preparazione del cotone fulminante. Si deve convertire tutta l’acqua allo stato di bisolfato.

Stabilità della pirossilina. — Poco si conosce circa questa proprietà della pirossilina, cioè circa alle circostanze, che favoriscono o impediscono la inalterabilità di questo prodotto. Egli pare, che le cause che promuovono la decomposizione della pirossilina sia il contatto della luce, dcU’aria, dell’umidità, ed il contatto dell’acido nitro-solforico proveniente da un lavamelo imperfetto. Per nostra propria esperienza, la pirossilina quando si involge nella carta o nella tela, e si pone in un silo riparato dall’umidità, si può conservare facilmente per lungo tempo senza che si decomponga, ma quando in vece di conservarla in tal modo la si pone sciolta a sè in un fiasco di vetro anche colorato in rosso, è più facile, che essa si decomponga riempiendo il fiasco di vapori rutilanti. Una tale pirossilina lavala nell’acqua cede a questa una grande quantità di acido, ed ha cessato di essere fulminante e di sciogliersi nell’elcre alcoolizzato.

Qualche volta la pirossilina si modifica nella sua apparenza esterna senza svolgimento di vapori, cioè diventa più debole e perde la sua fibrosità. Quando ciò succede il cotone contiene probabilmente dell’acido per un lavamenlo imperfetto, e questo acido è quello che produce la trasformazione sulla fibra vegetale. [p. 343 modifica]Se si pensa alla proronda alterazione che il cotone subisce in contatto della luce e dell’aria, è facile il supporre che questi agenti esercitino un’azione analoga sulla pirossilina, che è un prodotto così poco dal cotone differente nella sua costituzione chimica. Se la pirossilina si rinchiude in un fiasco in modo, che l’acido nitroso, che si svolge, non possa allontanarsi, è probabile che la sua presenza accresca la tendenza della pirossilina a decomporsi, l’acido nitroso in tale stato togliendo forse dell’ossigeno dal cotone per convertirsi in acido nitrico e combinarsi colla pirossilina decomposta.

Pare, che la pirossilina sia alterala dalla luce anche quando si trova sciolta in forma di collodio, egli è perciò che ordinariamente si prescrive di conservare all’oscuro il collodio. Il signor Uardwich (a) afferma, clic il deposito di piccoli cristalli aghiformi, trovati al fondo di un vaso contenerne del collodio iodurato ed esposto alla luce era composto di nitrato di potassa, e secondo lo stesso autore basta una esposizione di 1 5 giorni alla luce diffusa per alterare sensibilmente il collodio nelle sue proprietà fisiche e chimiche. La pirossilina può infine decomporsi anche quando essa trovasi in forma di pellicola proveniente dal collodio, perciò le prove su collodio dovrebbero venir coperte di una vernice, onde impedire che l’acido nitroso, che senza una tale precauzione potrebbe svolgersi dalla pirossilina, venga a guastare il disegno.

t3’ Precauzioni a prendersi nel preparare il coione fulminante. — Questo prodotto si deve preparare all’aria aperta, oppure sotto un camino del laboratorio con un buon tiro d’aria, onde non esporsi a respirare i vapori ma) sani, che emanano dal miscuglio durante l’operazione.

Siccome alla temperatura di -M70° C. il cotone fulminante s’infiamma, ed è capace di produrre esplosioni pericolose, così sarà prudenza il prepararne solo la quantità di 3 a IO grammi per volta, e nel farlo seccare non si deve riscaldare troppo forte, nè portare in vicinanza di corpi accesi. Il miglior modo di far seccare il cotone fulminante consiste neH’esporlo ben aperto al sole, oppure esporlo semplicemente all’aria in carta

(a) The Photographic Journal. London, t»5S. [p. 344 modifica]bibula, sino a che sia diventato secco. Io caso non si possa aspettare, che il cotone fulminante si essichi così lentamente, si riscalda dell’acqua sino all’ebollizione, si allontana dal fuoco il vaso che la contiene, e si copre con un piatto di terra colla su cui si stese il cotone fulminante. Il calore trasmesso produrrà in poco tempo, e senza alcun pericolo, l’essiccamento del cotone.

14’ Origine del cotone fulminante. — Questa sostanza venne scoperta solamente nel 4846 dal celebre SchOnbein di Basilea. Mentre questi gelosamente conservava il secreto della sua invenzione, il signor Bdttger di Francoforte arrivò ben presto a scoprire il modo di ottenere il cotone fulminante. Egli è sempre cosi. Appena che si annunzia un nuovo trovato, molli per curiosità o per interesse vi si occupano d’intorno con ardore, e finiscono per tutto scoprire e perfezionare; l’essenziale sta nel fare il primo passo, nell’aprire agli uomini nuove direzioni. La storia della fotografia non è che una continua conferma di questo fatto.

B COLLODIO SEMPLICE.

Preparazione.

Metti in un fiasco di vetro avente una stretta apertura:

grammi 200 etere a 63’. p. sp. 732, ossia C’ C bi 146,

» 100 alcool a 40’, p. sp. 830, ossia C’ C bl 83,

» 6 cotone fulminante;

agita il miscuglio per alcune volle sino a che il cotone si sia sciolto, dopo lascia in riposo onde il collodio si possa chiarificare, diventar limpido e trasparente. Affinchè il collodio possa chiarificarsi in gran parte occorre il tempo di 12 ore quando la pirossilina è molto solubile e ben preparata. Il collodio quando è glutinoso richiede un tempo maggiore per deporre le materie indisciolle che contiene in sospensione, spesso questo tempo non è minore di una settimana.

Nel fare il collodio è bene incominciare a mettere il cotone nel recipiente, e poscia versare sopra di esso l’etere e quindi [p. 345 modifica]l’alcool. In tal maniera il cotone si scioglie più presto senza produrre una specie di coagulo, che rimane aderente alle pareti del vaso.

Osservazioni.

4’ Collodio contrattile, e collodio non contrattile. — li collodio è capace di presentare due forme distinte. Ora esso è glutinoso contrattile, ora è fluido non contrattile.

Il collodio contrattile è quello che quando si stende sul vetro forma una pellicola che si contrae e tende a staccarsi dal vetro. Una tale pellicola è dura, pergamenosa, quasi trasparente, la sua tessitura non è unita, ma presenta una struttura fibrosa, reticolata; essa per la sua durezza è poco porosa, poco penetrabile dai liquidi che vi si versano sopra.

I caratteri fisici ora enumerati il collodio li deve alla qualità della pirossilina impiegata, alla proporzione piuttosto grande di etere, ed alla scarsità dell’alcool in esso contenuto. 11 collodio preparato di fresco presenta questi caratteri col massimo grado, ma dopo qualche tempo, sia che la pirossilina si decomponga, sia che solo si trasmuti, sia che gli spirili si alterino, il collodio perde della sua glutinosità e diventa sempre più fluido.

II collodio non contrattile è quello, che quando si stende sul vetro forma una pellicola, che è uniforme, soffice, porosa, aderente al vetro. Un tal collodio quando si stende sullo lastre di vetro è più difficile a seccare, e conserva un certo grado di umidità per un tempo piuttosto lungo, per cui esso è più disposto a ricevere l’umidità dei liquidi sensibilizzatori, sviluppatori. Il collodio non contrattile non deve oltrepassare certi limiti di fluidità, poichè allora la pellicola è troppo tenera, e senza coesione, e basta un piccol getto di acqua per guastarla, ed essa seccando non solo non si concreta, ma maggiormente si discreta, diventando cribriforme e veramente polverosa.

Quando si ha un collodio contrattile si può renderlo non contrattile agitandolo con un poco di carbonaio di potassa secco, o con un altro alcali, ma questo metodo non è in massima da raccomandarsi, perchè gli alcali hanno per effetto di rendere il collodio troppo instabile. [p. 346 modifica]’ Collodio con o senza azione chimica. — Nello stesso modo che il collodio può presentare due forme fìsiche distinte, così esso può trovarsi in due stati differenti circa alle sue proprietà chimiche, cioè esso può essere inerte, oppure attiro chimicamente.

11 collodio, che è inerte chimicamente, è quello che venne -preparato con pirossilina poco profondamente alterata dall’azione degli acidi che servirono a prepararla. Un tale collodio si riconosce da ciò, che esso è capace di comunicare alle lastre preparate con esso la massima sensibilità verso l’azione della luce, e da ciò che le immagini, che sopra di esso si producono, sono poco opache, poco dense, ma metalliche. Questo così fatto collodio conviene nella produzione delle positive.

I) collodio che si distingue per la sua azione chimica è quello, che ha tendenza a combinarsi coi sali d’argento a guisa dell’albumina e delle altre sostanze organiche. Un tal collodio ripete una tal proprietà dalla sua pirossilina preparata con acidi concentratissimi, e con una temperatura mollo elevala. Le prove, che si producono sopra di esso col mezzo della camera oscura sono dense, un po’ più tarde a prodursi, e convengono come prove negative.

Il collodio senza reazione chimica si può cambiare in collodio con reazione chimica, aggiungendogli delle materie organiche capaci di sciogliersi in esso, ma il loro uso non è da raccomandarsi, perchè, allora il collodio ha per effetto di disordinare il bagno sensibilizzatore, e metterlo fuori di uso per le macchie, che viene a produrre sulle prove.

3’ Quantità di pirossilina conveniente al collodio. — La quantità predetta (2 peri 00) è la quantità massima di pirossilina che si possa prescrivere nel preparare il collodio destinato ad essere iodurato, perchè una maggior quantità di pirossilina ha per effetto di rendere il collodio troppo denso e troppo lento a scorrere, per cui è improprio a venir steso in strato uniforme sopra le lastre di vetro.

Taluni nella preparazione del collodio raccomandano una quantità molto minore di pirossilina, vale a dire la metà soltanto di quella da noi impiegala. In questo caso si possono ottenere ancora buonissimi risultati, ma più difficilmente, e con un numero [p. 347 modifica]notevole di non successi, imperciocchè il collodio più denso producendo sul vetro uno stralodi uno spessore più forte, e che si mantiene umido per un tempo più lungo, non è esposto a ricevere delle macchie quand’anche le lastre non siano state ripulite con grande perfezione. Il maggior spessore dello strato fa si che una maggior quantità di sale di argento impressionabile rimanga sullo strato stesso, e così che l’immagine sopra di esso riesca più ben nudrila, più intensa.

4’ Collodio denso. — Sotto questa denominazione noi intendiamo il collodio preparato con tutta la quantità di pirossilina che l’etere alcolizzato è capace di sciogliere. La pirossilina essendo un prodotto incostante, di composizione e di proprietà variabili, non è sempre egualmente solubile nell’etere alcolizzalo. I limiti della sua solubilità, quando è discretamente ben preparato, è di 3 a 6 parli circa per 4 00 parli di etere mescolato con alcool.

Allorquando si ha bisogno di avere del collodio denso, ed il caso può occorrere quando si ha del collodio troppo liquido da rendere consistente, è bene avere una piccola provvista di questo collodio denso, di cui si conosca il contenuto, che sia p. e. preparato con

100 grammi di etere a 62’ ’.

50 » alcool a 40’ ’.

6 » cotone fulminante.

Questo collodio ha una densità doppia di quella del collodio semplice sopraddetto. Esso può servire a dare al collodio fotografico la consistenza che si desidera.

5’ Collodio semplice con mollo o con poco alcool. — Preparare il collodio con solo etere non sì può, perchè la pirossilina non è abbastanza solubile in esso. L’etere comune contiene sempre una notevole quantità di alcool, da cui è difficile liberarlo, epperciò esso scioglie spesso assai bene la pirossilina.

La forza dissolvente dell’etere sulla pirossilina viene accresciuta dall’alcool sino ad un certo punto, oltre il quale si ha una grande diminuzione in questa forza. E difficile lo stabilire in modo esatto la quantità di alcool che deve essere aggiunta all’etere affinchè il miscuglio abbia la maggior forza dissolvente [p. 348 modifica]possibile, dipendendo essa principalmente dalla purezza e dalla concentrazione di questi liquidi.

L’alcool, aggiunto in grande quantità sul collodio, agisce sopra di esso modificandone i caratteri fisici al modo che fanno gli alcali, cioè il collodio contrattile, glutinoso viene reso non contrattile, non glutinoso. Una tale proprietà dell’alcool è molto utile al fotografo, perchè gli offre il mezzo di correggere il collodio che produce una pellicola reticolata, impenetrabile, che si stacca facilmente dal retro, e convertirlo in un collodio capace di produrre una pellicola uniforme, adesiva al vetro, e facilmente penetrabile dai liquidi sensibilizzatori e sviluppatori, e capace di conservare per lungo tempo la sua umidità.

Quando al collodio si vuole aggiungere la massima quantità di alcool si deve osservare che questo sia della massima concentrazione, cioè che sia al 98 per 4 00, come è l’alcool assoluto del commercio, il cui peso specifico è 0,805. L’alcool poco concentrato, che contiene una notevole quantità di acqua, come è l’alcool a 40°, se viene aggiunto in forte dose al collodio, tende ad inspessirlo, e nel tempo stesso a disaggregarlo, per cui, quando lo si stende sul vetro, non lascia sopra di questo una pellicola coerente ed unita, ma una pellicola disaggregata che seccando è polverosa, cribriforme.

L’alcool essendo un corpo più stabile che non l’etere, ne nasce che il collodio con molto alcool è più permanente e meno esposto ad ozonizzarsi, che non quello che contiene una forte dose di etere.

6’ Collodio senta eteri [alcoleno). — Nel Photograpliic Journal, 45 maggio 4862, vi è il seguente preparato del sig. Sulton:

Acido nitrico, densità t,4 lemp. ■+■ 80° c., grammi 30 » solforico, » 4,83 » » 40

Cotone » 40

per 5 minuti. Questo cotone si lava, si fa seccare, e si scioglie nell’alcool assoluto. La soluzione si addiziona con un ioduro, e si adopera a preparare le lastre, come il collodio ordinario. [p. 349 modifica]C — COLLODIO FOTOGRAFICO.

Avendo tu già preparato il collodio semplice al modo che dissidio, non hai che ad aggiungere ad esso il 3 per 400 di ioduro di cadmio ed il ’/« per 400 di bromuro di cadmio.

Non avendo ancora preparato a parte il collodio semplice, potrai anche prepararlo nello stèsso mentre di iodurarlo, mettendo in vaso conveniente

200 grammi di etere a 62°

400 » alcool a 40’

6 » cotone fulminante

6 > ioduro di cadmio

4,5 » bromuro di cadmio;

agita il vaso contenente questo miscuglio, e quando la soluzione è fatta, lasciato in riposo per quattro o cinque giorni, ossia sino a che esso sia diventato limpido e trasparente.

La quantità di pirossilina e di ioduro e bromuro contenuta in questa formola potrà parere soverchia a taluno. Questa quan» tità si può infatti diminuire anche di una metà, dilungandola con un miscuglio di etere ed alcool, ma è preferibile che il collodio sia della massima densità possibile per la regolarità delle operazioni seguenti.

A quei fotografi che, usando comunemente il ioduro di potassio nel preparare il collodio fotografico, credano troppo esagerata la quantità dell’ioduro di cadmio impiegata al 2 per 400. mi permetterò di far osservare che quesl’ultimo ha un equivalente più grande, che non il primo ioduro, per coi ne occorre una quantità un po’ maggiore per produrre lo stesso effetto.

Alcuni sono di parere che un collodio in cui abbonda la pirossilina e scarseggia il ioduro sensibilizzatore sia più sensibile alla luce debole. Noi non abbiamo alcuna prova di ciò, ci abbondano invece i fatti che provano non influire sulla sensibilità la quantità più o meno grande dell’ioduro contenuto nel collodio relativamente alla pirossilina. [p. 350 modifica]PARTE PRIMA

Osservazioni

4’ Altra maniera di preparare il collodio. — Nella prima edizione di questo trattato abbiamo dato la seguente ricetta per preparare il collodio fotografico. Molli operatori avendo ottenuto buoni risultati con essa, stimiamo utile di qui riprodurla.

Si ponga in un fiasco a stretta apertura:

100 grammi di etere solforico 62’

2 » cotone fulminante;

Si ponga in un altro consimile recipiente:

50 grammi di alcool a 40°

4 5 » ioduro di potassio in polvere,

e, fatta la soluzione, si versi tutto il liquido nel fiasco conte nenie l’etere ed il cotone fulminante.

Questo collodio, essendo meno denso di quello che abbiamo nella formola più sopra, si chiarifica più prontamente; esso può servire benissimo per 4 5 giorni circa senza gran fatto alterarsi, ma dopo diventa rossigno, perde mollo della sua sensibilità, e finisce per diventare così fluido, che lascia sul vetro una pellicola troppo sottile, e questa pellicola è senza coesione, disaggregato, polverosa. Tutto questo disordine deriva dall’essersi impiegato dell’ioduro di potassio nel preparare il collodio. Se invece di ioduro di potassio l’operatore impiega dell’ioduro di cadmio, il collodio si conserverà inalterato per uno spazio di tempo indeterminato.

2’ Dell’ioduro più conveniente nel preparare il collodio fotografico. — I fotografi non sono molto d’accordo circa la miglior maniera di iodurare il collodio. Chi vuole l’uso di un ioduro, chi l’uso di un altro ioduro, chi vuole un miscuglio di varii ioduri.

I ioduri proposti per rendere fotografico il collodio sono il ioduro di potassio, il ioduro di ammonio, di sodio, di litio, di magnesio, di ferro e di cadmio, ecc.

II ioduro di potassio, dopo due o tre giorni che venne sciolto nel collodio, è nel momento più favorevole della sua azione, [p. 351 modifica]ma dopo alcune setlimane esso ordinariameule comunica una sensibilità troppo piccola al collodio, perchè esso promuove una parziale decomposizione della pirossilina, e si decompone egli stesso arrossando il collodio.

Gli altri ioduri vennero in poco uso per la stessa. proprietà che essi hanno di essere instabili quando trovatisi in contatto della pirossilina nel collodio. Ma dal loro numero si deve togliere il ioduro di cadmio.

Il ioduro di cadmio ha due proprietà particolari che lo rendono convenientissimo nel preparare fologratìcamenle il collodio: la sua grande stabilità e la sua grande solubilità nel collodio. Mentre che il ioduro di potassio richiede di essere ridotto in polvere sottile, e poi sciolto Dell’alcool prima della sua introduzione nel collodio, ove, se l’etere è in grande abbondanza e la temperatura viene ad abbassarsi fortemente, può ancora precipitarsi e rendere il collodio difettoso; il ioduro di cadmio si può portare direttamente nel collodio, ove si scioglie colla facilità la più grande.

11 ioduro di cadmio è senza azione sulla pirossilina, epperció il collodio fotografico preparato con esso si conserva indefinitamente, come facemmo osservare. Non bisogna però dire che nulla si possa rimproverare all’ioduro di cadmio, poichè esso ha la proprietà di rendere il collodio glutinoso, di maniera che, quando il collodio all’ioduro di cadmio contiene molta pirossilina, è mollo denso, può avvenire, principalmente dopo un certo lasso di tempo, che il collodio si rappigli, e rifiuti di sortire dal vaso in cui si pose. Questo inconveniente è però di niuna importanza, poichè se si aggiunge a questo collodio rappigliato dell’altro collodio più liquido, oppure una piccola quantità di etere e di alcool, la soluzione si ripristina in modo perfetto e con tutte le primitive sue proprietà.

La facoltà che ha il collodio preparato all’ioduro di cadmio di conservarsi indefinitamente è soprattutto utile e profittevole per quelli che fabbricano in grande il collodio, perchè possono prepararne delle grandi quantità anticipatamente alle domande del commercio, e spedirlo in lontani paesi senza ricevere alcuna successiva lagnanza. È utile al dilettante di fotografìa, che oon fa sua occupazione continua dell’arte, ma ad essa rivolge la [p. 352 modifica]sua attenzione e il suo tempo quando le circostanze glielo permettono, poichè il collodio preparato un giorno gli serve per molti mesi dopo, invece che coll’ioduro di potassio e cogli altri ioduri egli dovrebbe sempre essere da capo.

3’ Collodio con un miscuglio di ioduri diversi. — Alcuni usano iodurare il collodio con ioduri diversi nel tempo stesso ed in proporzioni diverse, ora aggiungendo più dell’un ioduro, ed ora aggiungendo di più dell’altro ioduro, senza alcuna regola determinala. Quando in questi miscugli entra il ioduro di cadmio, la stabilità del collodio è più grande che non senza di esso, e quando nel miscuglio predomina il ioduro di potassio, le proprietà del collodio partecipano di quelle che sappiamo derivare da esso quando viene impiegato da solo.

Noi non crediamo vi sia alcun reale vantaggio in questi empirici miscugli nè per riguardo alla sensibilità, nè per riguardo alla purezza ed alla densità dell’immagine negativa che il collodio può produrre, epperciò ci pare una inutile complicazione lo scartarsi dall’impiego di un sol ioduro. 11 mescolare i varii ioduri in un modo più ragionato, cioè nella proporzione dei rispettivi equivalenti chimici, non credo che vanlaggerebbe il collodio più di quello che faccia un miscuglio empirico. Però con un tal metodo si verrebbe a meglio precisare i rapporti che deve avere il miscuglio, e studiarne con maggior successo l’effetto, cosa che sin ora, partendo dalle ricette date dai varii autori, non è possibile fare.

4’ Collodio bromuralo. — L’azione dei bromuri sul collodio è quella che ha per effetto di diminuire la sua sensibilità se il sensibilizzatore del collodio contiene delie sostanze organiche, p. e. dell’acido acetico, e lo sviluppatore è di natura organica. Invece i bromuri hanno per effetto di accrescere la sensibilità del collodio se il sensibilizzatore è leggermente acidificato con acido nitrico, e lo sviluppatore è inorganico, è p. e., il solfato di ferro.

Questo vario modo di comportarsi dei bromuri nel collodio fa si che è pur varia l’opinione che hanno dei bromuri i fotografi, circa il loro effetto di dare o togliere la sensibilità al collodio. Ma vi è un’ altra causa che può indurre in errore sull’azione definitiva dei bromuri, ed è questa che le qualità del [p. 353 modifica]collodio bromurato non si manifestano subito in tutta la loro estensione, e sono più o meno decise, secondo che il collodio è vecchio od è preparato di fresco. Ordinariamente un collodio preparato di fresco non produce una sufficiente intensità di tinte nelle prove, ma dopo alcuni giorni produce dei neri piu intensi, e pare acquistare maggior sensibilità.

Se il collodio si prepara con ioduro di cadmio, senza raggiunta del bromuro che abbiamo nella ricetta di sopra, si trova che esso è decisamente più sensibile, e che ha una forte tendenza a solarizzarsi sensibilizzando in bagno d’argento neutro, e sviluppando con acido pirogallico addizionato con acido acetico, e che produce dei neri troppo intensi. Ma l’aggiunta del bromuro di cadmio rende l’immagine meno densa, più armonica, più lenta a formarsi. Dopo qualche tempo la densità è maggiore. e la sensibilità egualmente, ed è allora che esso produce i migliori risultali, ed in questo stato si conserva indefinitamente.

Per preparare il collodio si hanno varii bromuri, come si hanuo varii ioduri. Ordinariamente si preferisce il bromuro di cadmio per la stessa ragione che si preferisce il ioduro di cadmio, cioè per la stabilità che esso ha e per la stabilità che comunica al collodio. 1 bromuri e ioduri dovrebbero essere impiegati secondo le proporzioni atomiche: I equivalente o I atomo di bromuro sopra 3 equivalenti di ioduro è forse la proporzione migliore pei casi ordinari, ed essa è quella che noi abbiamo adottato impiegando 6 parti di ioduro di cadmio ed I ’/, parte di bromuro di cadmio. Infatti l’equivalente dell’ioduro di cadmio ò <82, e l’equivalente del bromuro di cadmio è <34, e <82X3: <34=6:<, 5.

Quando si hanno a fotografare oggetti colorati in giallo o rosso, la proporzione degli atomi si può portare da 3: 1 sino a 3: 2, e forse anche persino ad 1 atomo di bromuro per < atomo di ioduro. La impressibilità del collodio bromurato ai raggi luminosi colorati è però poco pronunciala in paragone di quella del collodio semplicemente iodurato. Il signor Clarkc, nei giornale di Londra The photograpliic news del <861, ha descritto delle sue esperienze comparative, che dimostrano essere la differenza di azione assai poco considerevole.

5’ Azione dell’alcool e dell’etere sul collodio fotografico. — Par 33 Fotografia. [p. 354 modifica]landò del collodio semplice abbiamo vedulo quale sia l’azione che esercitano questi due componenti del collodio. Ora ci rimane a considerare una tale azione relativamente alle operazioni fotografiche.

11 collodio che abbia un eccesso di alcool si distingue col nome di collodio alcoolico, mentre si chiama collodio etereo quello in cui l’etere predomina.

Il collodio alcoolico, paragonato col collodio etereo, è poco sensibile quando la temperatura è bassa ed umida, ed esso, evaporandosi poco facilmente quando lo si stende sul vetro, è di un impiego molto incomodo, ma questi inconvenienti diventano pregi importanti presso una temperatura molto elevata e secca, presso la quale esso, seccando adagio comparativamente al collodio etereo, non perde in breve tempo la sua sensibilità per un essiccamento troppo grande della pellicola che produce sulle lastre, e questa sensibilità non è in tal caso minore di quella che manifesta il collodio etereo in circostanze favorevoli.

Quando il collodio alcoolico contiene una quantità di alcool eccessivamente grande, ressiccameuto della pellicola che esso produce è, nelle circostanze ordinarie, troppo lento, e necessita spesso l’attendere un po’ di tempo prima di poter introdurre la lastra collodìonata nel bagno sensibilizzatore, ed allora succede facilmente che le lastre nella parte più elevata siano già troppo secche, e nella parte più bassa siano ancor troppo umide, per cui la sensibilità della lastra diventa ineguale. Questo inconveniente può farsi principalmente sentire quando la pirossilina impiegata nel preparare il collodio non era fibrosa, ma polverosa, oppure il collodio alcoolico fu iodurato con ioduri alcalini, che tendono sempre a diminuire nel collodio la sua proprietà di rappigliarsi solidamente sul vetro.

Una molto importante proprietà del collodio grandemente alcoolico è la sua stabilità, la quale si osserva anche quando il collodio è iodurato con ioduro di potassio. Ciò dipende dall’essere l’alcool un corpo più stabile, che non l’etere, per cui, quando esso abbonda nel collodio, questo è meno esposto ad ozonizzarsi, e quindi arrossarsi per la decomposizione della pirossilina e dell’ioduro in esso contenuto.

Nel collodio alcoolico la proporzione del peso dell’alcool a [p. 355 modifica]quello dell’etere solforico è alcune volle:: 3: 4, ed anche:: i: 4, mentre nel collodio etereo la proporzione del peso dell’alcool a quello dell’etere è appena:: 4: 3. L’alcool, quando viene impiegato in forte eccesso, deve essere concentratissimo, al 98 per 4 00, affinchè il collodio possa avere la fluidità conveniente e produrre una pellicola abbastanza coerente e solida.

11 collodio alcoolico non vuole essere iodurato con ioduro di cadmio, perchè questo rende il collodio troppo mucilagginoso, azione che viene già esercitata dall’alcool quando si sono oltrepassati certi limiti. 11 collodio alcoolico avendo una struttura uniforme, porosa, che in apparenza si avvicina a quella che presenta l’albumina, è anche, secondo alcuni, capace di conservarsi sensibile a secco, quasi come l’albumina, senza alcun preservativo. Per questo si sensibilizza il collodio alcoolico nell’aceto-nilrato di argento, si lava lo strato sensibile con molta acqua. Dopo esposto nella camera oscura, si inumidisce col bagno sensibilizzatore prima di sviluppare. Il collodio dev’essere preparato colla massima quantità di pirossilina per produrre uno strato di spessore sufficientemente grande; uno strato sottilissimo perde in breve tempo la sua sensibilità, e le lastre debbono in ogni caso venir conservate in sito riparato, per quanto è possibile, daH’utnidilà.

In questi ultimi tempi si fece un gran chiasso sul collodio alcoolico, quasi che esso dovesse far scomparire il collodio etereo. Quesi’utlimo ha infatti i suoi inconvenienti, si evapora troppo rapidamente, lo strato ba spesso una coesione troppo forte, per cui si lascia penetrare difficilmente dai liquidi sensibilizzatori e sviluppatori. Ma il collodio alcoolico è poco utile per fare i ritratti.

Dunque la via di mezzo è qui, come sempre, la più conveniente e la più sicura a seguire. Bisogna impiegare i due spiriti alcool ed etere in tanta dose ciascuno, che il collodio non sia nè veramente etereo, nè veramente alcoolico, secondo il significato di queste voci. Un tal collodio sarà più facile a maneggiare nelle varie circostanze, e con esso si potrà ottenere risultali costanti sia nel fare i ritratti, sia nel fare le vedute.

6’ Azione dell’alcool e dell’etere metilali lui collodio. — L’alcool metilato, che si trova nel commercio dei prodotti chimici, è for [p. 356 modifica]mato di un miscuglio di 4 0 parli di spirilo estratto dal legno, e di 90 parli di spirito di vino, del peso specifico di 0,830. Questo alcool melilato contiene degli olii volatili, da cui non si può liberare anche con distillarlo sulla calce e sulla potassa. Il collodio che venne preparato con tale alcool produrrà delle negative mollo intense, ma dopo qualche tempo il bagno sensibilizzatore viene da esso disordinato, per cui le prove vengono macchiate in modi diversi nello sviluppamelo dell’immagine. Il bagno sensibilizzatore, quando è entrato in questo stato per contenere le sostanze organiche contenute nel collodio metilato, dcponc dcll’argenlo metallico sulle pareti del recipiente, e per correggerlo lo si deve o esporre al sole affinchè la luce precipiti le materie organiche in combinazione coll’ossido di argento, oppure bisogna farlo evaporare e far fondere col calore in una capsula di porcellana. Il collodio invece, che venne preparato con spiriti privi di materie organiche, venendo nel sensibilizzatore, non ha per effetto di guastarlo, anzi lo rende sempre più proprio nel sensibilizzare per l’alcool che gli apporta, il quale alcool fa si che la lastra collodionala sia più presto impregnata dal sensibilizzatore, e possa più presto perdere il suo aspetto grasso venoso, che dapprima manifesta, e così più presto terminare di sensibilizzarsi.

L’etere melilato è quello che venne preparato con alcool medialo. Esso può produrre gli stessi inconvenienti.

In generale l’alcool e l’etere, quando contengono sostanze organiche estranee, non convengono per preparare un collodio che produca delle immagini colla massima purezza di tinte, e che abbia la massima sensibilità. Un tal collodio potrà servire a produrre delle negative mollo intense, ma per positive dirette, sarà di niun valore, darà risultali imperfetti, e veramente troppo negativi.

Per fortuna l’alcool e l’etere mediati si riconoscono dal loro odore nauseabondo, epperciò il fotografo potrà evitare facilmente di farne uso nel preparare il collodio. L’alcool mediato è conveniente per altri usi, per bruciare, per preparare vernici, ecc., perchè è meno costoso dell’alcool ricavato dal solo spirilo di vino.

7" Quantità di ioduro conveniente al collodio. — E cosa dif [p. 357 modifica]Scile, se non impossibile, lo stabilire la quantità (leH’iodurn necessario neU’iodurare il collodio, onde esso possa soddisfare a tutte le esigenze della pratica. Quasi ogni operatore perciò impiega una proporzione diversa di ioduro nel preparare il collodio. Inoltre, col variare della pirossilina impiegala nel fare il collodio, può variare la quantità dell’ioduro da aggiungersi al collodio. Se il collodio è contrattile può sopportare mollo ioduro, se non è contrattile, se ha poca coerenza, ne abbisogna una quantità minore.

Con il collodio per prove negative, che sia tenace senza essere troppo contrattile, conviene impiegare t parte di ioduro di cadmio per I parte di pirossilina sciolta nel collodio. L’equivalente dell’ioduro di cadmio è 182. L’equivalente dell’ioduro di potassio è 166. L’equivalente dell’ioduro di ammonio è 144, perciò questi ioduri impiegati nella proporzione di questi numeri produrranno precisamente lo stesso edotto.

In generale è sempre meglio impiegare nel collodio una piuttosto forte quantità di ioduro accompagnata dalla massima quantità possibile di pirossilina, onde ottenere un’immagine robusta e con belle gradazioni di tinte. Alcuni suppongono che il ioduro di cadmio, quando viene impiegato in quantità notevole neH’iodurare il collodio, possa nuocere al bagno sensibilizzatore, perchè il nitrato di cadmio, che viene ad introdursi in esso nel sensibilizzare, è un sale con reazione acida. Noi non abbiamo mai trovato un inconveniente in ciò per riguardo alla sensibilità, mentre le prove sortono con grande purezza e senza macchie.

8’ Azione dei tempo sul collodio fotografico. — Sulle preparazioni chimiche, in cui entrano sostanze organiche, l’azione del tempo è grande, e nel tempo stesso poco studiata. Il collodio ha bisogno di quest’azione del tempo per acquistare certe proprietà che non si può fargli avere in altra maniera. Il collodio ha in questo una proprietà analoga a quella che tutti conoscono nel vino, il quale solo col tempo acquista le qualità desiderate. Nel vino queste nuove qualità derivano da una fermentazione particolare, ossia da un nuovo ordinamento di molecole provocato da fermenti, che in tenuissima dose vi si trovano sciolti. Nel collodio succede il nuovo ordinamento delle [p. 358 modifica]molecole delle sostanze costituenti per altre cause che non si conoscono, ma che non sono meno vere ed efficaci.

Nel collodio all’ioduro di potassio è d’ordinario sufficiente il tempo di tre o quattro giorni affinchè il collodio produca i migliori risultati; questo conserva per qualche settimana le sue qualità, e le perde nuovamente, e si guasta con un tempo maggiore. Il collodio all’ioduro di ammonio si comporta in modo analogo, e si guasta anche più rapidamente.

Nel collodio all’ioduro di cadmio il tempo richiesto onde il collodio possa ricevere la sua perfezione per sensibilità ed intensità è di circa 15 giorni, e quello che è particolare a questo collodio si è che esso conserva per un tempo indefinito le sue buone qualità.

L’azione de! tempo è naturalmente connessa con altre forze (ammettendo che il tempo sia egli stesso una forza, come lo è nel nostro caso), così il tempo della trasformazione del collodio varierà colla temperatura, colla luce, a cui il collodio si espone, coll’afiinilà delle sostanze impiegate, ecc.

9’ Sensibilità del collodio e cause che la modificano. — La sensibilità del collodio verso dell’azione della luce non è costante, ma varia assai col variare della temperatura, della pressione dell’aria, ecc. Nell’inverno, quando la temperatura è bassa, la sensibilità del collodio è due o tre volte minore di quella che si ha nella primavera e nell’estate. Ciò pare essere veramente dovuto alla mancanza di calore, e non derivare dall’essere la luce più obliqua all’orizzonte quando il sole è verso il tropico del sud. Il fotografo è dunque esposto ad avere delle pose troppo corte nell’inverno, e ad accusare la poca sensibilità del collodio, il quale avrà anche tutti i difetti di macchiarsi nello sviluppamento, di produrre poca intensità, mentre nella primavera e nell’estate ogni collodio è facilmente capace di soddisfare l’operatore, in questa stagione il collodio essendo rapido, e solo una lunga posa polendo nuocere col produrre prove solarizzate.

La sensibilità del collodio non cresce sempre nella stessa proporzione con cui cresce il calore dell’atmosfera. Nell’estate non si ha maggior sensibilità che nella primavera; saremmo per dire che noll’estate la sensibilità è minore che nella primavera. Ciò [p. 359 modifica]dipende dai vapori acquei che si innalzano nelParia per l’azione del calore, i quali vapori hanno per effetto di alterare la luce, decomporla, renderla meno attiva chimicamente.

La sensibilità del collodio non può mai andare oltre certi limiti. Secondo il signor farmacista G. Masserano di Biella, si ottiene un collodio di grande sensibilità se a questo si aggiunge

£} del suo peso di nitrato di argento sciolto preventivamente in un

miscuglio di etere e di alcool. Il così detto collodio istantaneo non è che un collodio ben preparato, senza aver nulla di particolare fuorchè di non contenere sostanze organiche estranee. Un tal collodio produrrà prove istantanee se vengono usate le debile cure nel sensibilizzare e nello sviluppare, ma principalmente se esse vennero prodotte in una stagione propizia, con luce conveniente, e con lenti di molto grande apertura angolare.

Abbiamo detto che dopo un lungo tempo il collodio, quando è preparato con certi ioduri, può arrossarsi e perdere della sua sensibilità. L’arrossamento è dovuto all’iodio dell’ioduro che si pone in libertà nel collodio. La mancanza di sensibilità non è solo dovuta alla liberazione dell’iodio, ma principalmente alla profonda alterazione che riceve il collodio quando si arrossa spontaneamente. Infatti il iodio aggiunto direttamente al collodio fotografico non ha sempre perniciose conseguenze sulla sensibilità, mentre è spesso utile per la maggiore purezza che comunica alle negative. Si credette dapprima che per ristorare la sensibilità di un collodio arrossato, alterato dall’azione del tempo doveva bastare aggiungergli della potassa, o qualche altro alcali, del cadmio in foglie sottili, o qualche altro metallo, p. e. del zinco, de) ferro, ecc. Alcune volle questo ripiego è utile, ed il collodio riprende la sua sensibilità, ma altre volte non si ottiene il desiderato cambiamento, ed il collodio persiste nella sua mancanza di sensibilità.

Quando la sensibilità del collodio non si può rendere sufficientemente grande, e che nel tempo stesso la solidità della pellicola sulle lastre di vetro è troppo debole per essere disaggregata, polverosa, è indubitabile che il collodio si è guastato troppo profondamente, che la pirossilina si decompose in modo irrimediabile, e che perciò un tal collodio si deve rigettare, e che si potrà solo farlo servire nel lavare le lastre, impiegandolo [p. 360 modifica]invece di alcool. Un lai collodio non si potrebbe con successo distillare per ritirarne l’etere e l’alcool, con cui fabbricare altro collodio, perchè questi spiriti o ricevono una alterazione nel collodio, o con essi distillano altre sostanze volatili, che li rendono improprii alla preparazione di altro collodio.

t 0‘ Modo di conservare il collodio fotografico allo stesso grado di ioduramento. — Quando si corregge il collodio fotografico troppo fluido con collodio piu denso per inspessirlo, la relativa quantità dell’ioduro, che esso contiene, vien diminuita, e si incorre nel rischio che il collodio non sia più capace di dare una prova negativa perfetta. Perciò gioverà aggiungere al collodio una proporzionala quantità di ioduro. Per questo fine fa una soluzione composta di

4 00 grammi di alcool a 40°

8 » di ioduro di cadmio.

La soluzione conterrà quattro volle più di ioduro di cadmio di quello contenuto nel collodio fotografico, epperciò sopra 2 parti di collodio denso aggiunte al collodio (il collodio denso contiene, come si vide di sopra, 4 per 100 di pirossilina, ossia una quantità doppia di quella contenuta nel collodio fotografico), bisogna aggiungere I parte di questa soluzione, di questo alcoolato di ioduro di cadmio, per ristabilire il collodio nel relativo contenuto di ioduro che aveva prima. Per ottenere una esattezza assai grande si dovrebbe prendere parti di peso, ma sarà sufficiente il prendere parli di volume, il che è anche più comodo.

Non leniamo conto che della pirossilina nel fare l’aggiunta dell’ioduro, e non ci curiamo degli spirili che in maggiore o minor quantità si possono aggiungere al collodio per dilungarlo, perchè questi, evaporandosi poi sulla lastra, non possono entrare in questione nel nostro proposito, e pensatamente abbiamo omesso di aggiungere la proporzione rhiesta dal bromuro, perchè questo è meno importante, e perchè la sua azione richiede il concorso del tempo per rendersi profittevole.

Il ioduro di cadmio, essendo mollo solubile nel collodio, lo si potrebbe far entrare nel collodio direttamente, senza previamente scioglierlo nell’alcool, ma è utile l’uso della sua solu [p. 361 modifica]zione, perchè con essa non si altera la limpidità del collodio, e perchè spesso conviene aggiungerne delle quantità molto piccole, che sarebbero malagevoli a pesare.

Si riconosce in ogni caso se la proporzione dell’ioduro contenuta nel collodio è buona daU’aspelto che prende la lastra collodionata nel bagno sensibilizzatore. Quando la lastra sensibile si manifesta di color biancastro leggermente opaco, non vi è a dubitare che la proporzione dell’ioduro è quella clic conviene. Invece, quando la lastra al sortire dal bagno sensibilizzatore è di un bianco di porcellana volgente al giallo, ed opaca, e per soprappiù la superficie dello strato non è ben unita, ma polverosa, si ha un certo indizio che il collodio contiene una troppo grande quantità di ioduro, per cui le prove resteranno con contrasti troppo pronunciati dai bianchi ai neri.

Quando infine la lastra prende un color verdognolo, e che è semi-trasparente dopo che venne sensibilizzata, è segno che il collodio ha una troppo piccola quantità di ioduro, per cui le prove che esso produce sono monotone, senza vigore di tinte.

t P Decantare e filtrare il collodio. — Il collodio si deve lasciar chiarificare col riposo, quindi semplicemente decantarlo, cioè versare in altro recipiente la parte chiara. E conveniente lo esimersi dal filtrare il collodio perchè esso si volatilizza troppo rapidamente, e perchè per la sua leggerezza le materie impure non rimangono per lungo tempo galleggianti alla superficie, o nuotanti pel liquido, ma si depongono al fondo del vaso, per cui riesce facile il travasare la maggior parte del liquido in uno stato di perfetta limpidità e trasparenza. Quando per un eccesso di precauzione, o per non poter aspettare sino a che si sia da sè chiarificato, si volesse filtrare il collodio, bisognerebbe coprire l’imbuto di vetro con un disco egualmente di vetro, ed un poco più largo deH’imbulo, onde porre così un ostacolo all’evaporazione degli spiriti del collodio, il signor llardwieh nel suo trattato (o) descrive un apparato per decantare il collodio col mezzo della pressione esercitala entro del fiasco, in cui è contenuto, soffiando leggermente colla bocca in un tubo di vetro che non tocchi il liquido. Questo salirà per un altro tubo piegato immerso

(a) A Manna! of Pholographic chemistnj London, 1859. [p. 362 modifica]nel liquido, dal quale tubo il liquido verrà condotto in altro più piccolo fiasco. 1 due tubi sono uniti al fiasco col mezzo di turacciolo di sovero perforalo.

Il collodio decantato si deve chiudere nel suo fiasco con buon turacciolo di sovero che chiuda benissimo. I turaccioli smerigliati rimangono così aderenti seccando il collodio intorno ad essi, che alle volle si è costretti di rompere il collo del fiasco col mezzo di una lima e di una forte pressione per eslrarne il liquido. I fiaschi in cui si pone il collodio per conservarlo debbono essere piccoli, della capacità di 30 grammi d’acqua circa, ossia di 30 C> C’ o poco più. Questi fiaschelii si riempiono quasi sino a toccar il turacciolo di sovero, e si tengono a parte all’oscuro, oppure anche ad una luce diffusa non troppo forte se il collodio è iodurato con ioduro di cadmio. La quantità di collodio che essi contengono è sufficiente per collodionare una lastra delta di piastra intiera, ed anche una lastra di grandezza maggiore. Il fiasco, quando ha servito per una lastra, si mette a parte per poi terminare di riempirlo alla sera, e quindi servirsene nuovamente nel giorno dopo. Ma non si deve se è possibile impiegare nel giorno stesso, perchè i precipitali che si sollevano dal fondo nel versare il collodio, e le impurità che questo incontra nelle I sire lo rendono più o meno torbido, proclive a lasciare le prove con puntini neri, ecc.

Operazione II.

Collodionare le Uulre di vetro.

Il collodio si stende più facilmente dell’albumina sul vetro in modo uniforme, per la proprietà, che esso possiede, di seccarsi prontamente, e di non temere le ripulsioni dalle sostanze grasse.

Le lastre di vetro a collodionare si lavano e si ripuliscono esattamente nel modo che abbiamo detto per quelle destinale ad essere albuminate, ed il ripulimento si protrae anche qui sino a che il fiato alitatovi sopra si condensi uniformemente e senza macchie sulla superficie del vetro. Il ripulimenlo delle lastre destinale ad essere ricoperte di collodio noD è però di una [p. 363 modifica]importanza così essenziale, come nel procedimento all’albamina, epperciò noi non ci arresteremo più oltre intorno a questa operazione; faremo solo osservare, che l’operazione del collodionnre si deve eseguire alla luce del giorno che si riceve dalla parte del laboratorio che si lascia aperta per tale oggetto, e che si chiude dopo terminato il collodionamenlo. L’eseguire questa operazione alla luce di una candela non conviene, perchè i vapori di etere, che si svolgono, possono infiammarsi, e ciò potrebbe principalmente succedere se la candela fosse posta in sito più basso che non la lastra che si coiiodiona, essendo i vapori dell’etere più pesanti dell’aria.

Prima di versare sulla lastra il collodio bisogna passare sopra di essa un pennello largo a pelo fino, e lungo, oppure anche solo un fazzoletto di seta ben proprio per scacciare la polvere ed altre materie attratte dal vetro.

Per collodionare si propose di sostenere la lastra col mezzo del così detto pistole!, del manubrio pneumatico di Caoulschouc, e col mezzo di altri islrumenti per evitare di toccare la lastra colla mano, il cui calore fa evaporare irregolarmente il collodio steso sopra di quella. Ma gli operatori trovano più utile il servirsi della mano nel tener le lastre; solamente alcuni hanno la precauzione di coprire la mano con un guanto, onde evitare che il calore delle dita venga a far evaporare il collodio, ma l’operare senza tanti preparativi è più comodo, e forse più conveniente, perchè la mano è più libera e sicura del fatto suo. Ecco il modo di procedere:

4° Colla mano sinistra si prende la lastra ripulita per un angolo, e la si sostiene orizzontalmente coi diti indice e medio allungati, ed aperti in modo da accompagnare nel rovescio della lastra i lati dell’angolo per cui si tiene, e la si arresta, in modo che non possa cadere, colla punta del dito pollice che si comprime leggermente nella estremità dell’angolo dalla parte ripulita;

3° Si prende colla mano destra il fiasco che contiene il collodio, e col dito mignolo della sinistra si stringe il turacciolo del fiasco stesso, mentre con una leggera torsione e trazione si apre il fiasco;

3’ Si osserva se l’orifizio del fiasco è ben pulito e non [p. 364 modifica]contiene delle bave staccale di collodio secco, quindi si versa nel mezzo della lastra una quantità tale di collodio, che inclinando convenientemente la lastra esso possa facilmente stendersi sopra tutta la superficie ripulita;

4° Appena che la lastra sarà tutta coperta di collodio, leggermente si abbassa sull’orifizio del basco l’angolo della lastra più vicino alla persona, opposto a quello per cui si tiene la lastra, e vi si lascia scolare il collodio eccedente, e quando il collodio incomincia a cadere a goccic si chiude il basco col turracciolo che si tiene col dito mignolo della inano sinistra, e nel tempo stesso si imprime alla lastra un lieve ondeggiamento in direzione perpendicolare a quella del corso del collodio sulla lastra, e ciò onde in parte distruggere le righe, che il collodio, quando è contrattile, forma sullo strato che lascia nella lastra.

Nel versare il collodio sulla lastra vai meglio che esso venga versato in troppo grande quantità, che in quantità troppo piccola. Nel primo caso si può perdere un po’ di collodio, e questo può facilmente venire a toccare la punta del dito pollice che serve a tenere la lastra, cose queste da evitare, ma la finale riescila dell’operazione non cessa di ottenersi, invece che un leggiero difetto di collodio non può a meno di far mancare l’operazione, poichè il collodio in questo caso non potrà stendersi in modo uniforme.

La lastra collodionata si deve tosto sensibilizzare prima che essa si essichi troppo fortemente.

Osservazione.

I’ Densità conveniente al collodio. — Solamente nell’operazione di applicare il collodio sul vetro si riconosce se la densità del collodio è quella che conviene. Dalla facilità maggiore, o minore, con cui il collodio si lascia stendere senza troppo presto evaporarsi, lasciando delle onde ammonticchiate di collodio, e dallo spessore dello strato che lascia sul vetro, si giudicherà se il collodio contiene la voluta quantità di cotone fulminante.

Quando si hanno retri di piccola dimensione a collodionare [p. 365 modifica]un collodio mollo denso può servire bene: ma per i vetri di grande dimensione è cosa indispensabile che il collodio sia meno denso, più liquido, e scorrevole, perchè allora è mollo più facile l’ollenere uno strato regolare sopra tutta la superficie riputila.

2‘ Collodio, che venne già versato sulle lastre. — Nelle circostanze in cui si hanno molle laslre a collodionare, versando a più riprese il liquido sulle lastre e da queste riponendolo nel suo vaso, il collodio finisce per intorbidarsi a motivo delle impurità che si sollevano dal fondo del vaso, o che vengono introdotte in esso durante l’operazione.

Per evitare un simile inconveniente noi abbiamo veduto di sopra che conviene mettere il collodio in piccoli fiaschelli, in modo che ciascuno abbia a servire per una sola operazione nello stesso giorno. Quando si ha una provvista di collodio sufficientemente grande, è veramente così che si deve fare per evitare i non successi, ma quando si ha poco collodio, e che l’òperatore deve far servire il collodio contenuto in un sol recipiente per collodionare alcune lastre, il miglior modo è di versare in un altro vaso il superfluo del collodio di ogni lastra. In tal maniera il primo vaso di collodio, se venne decantato con cura, per cui non abbia dei precipitati nel suo fondo, conserva la sua limpidezza, ed oltre a ciò non viene a ricoprirsi di bolle d’aria, le quali altrimenti venendo ad errare per le lastre che si preparano in appresso, occasionano delle slriscie diagonali nel versare dalle lastre il collodio eccedente. Il collodio ricevuto nel vaso a parte si addiziona con qualche grarama di etere, e si ripone quindi col collodio primitivo quando si sarà ben chiarificaio col riposo.

3“ Inconvenienti di una troppo grande lentezza nel collodionare. — Se dopo di aver versato il collodio sulla lastra si va troppo per le lunghe nel farlo scorrere sopra tutta la superficie del vetro, e se dopo di averlo steso sulla lastra e fatto partire l’eccedente non si procede tosto al suo sensibilizzamenlo, si manifestano due inconvenienti che possono far perdere la prova. 1) primo è quello, per cui lo strato prende un’apparenza di diseguaglianza; il secondo è che una gran parte della sensibilità del collodio viene distrutta. Però il tempo da impiegarsi nel [p. 366 modifica]l’operazione del collodionare è sino ad un certo punto relativo alla natura del collodio fotografico. Infatti se si applica sul vetro del collodio molto etereo, ed oltre di ciò piuttosto denso ( intendiamo qui per densità la poca fluidità del collodio) l’evaporazione del liquido essendo assai celere, e la densità facendosi assai grande, l’operatore dovrà affrettarsi affinchè il collodio non si evapori troppo profondamente; se invece si fa uso di una soluzione di cotone fulminante molto alcoolica e dilungata, si potrà operare più lentamente, perchè il collodio ha in questo caso maggiore difficoltà a rassodarsi sul vetro.

4 ’ Disposizioni preliminari alt operazione del collodionare. — Prima di passare al collodìonamenlo delle lastre si deve disporre le cose in modo, che nulla vi manchi per le operazioni del sensibilizzare, sviluppare e fissare l’immagine. 11 gabinetto a sensibilizzare e sviluppare deve potersi rendere di una oscurità perfetta. Si accenderà una candela, e la si porrà in vicinanza del bacino che contiene il bagno sensibilizzatore, ma in modo, che questo si trovi all’ombra di un parafuoco di color giallo translucido posto avanti al lume, o ciò che è ancor meglio, si farà in maniera, che il gabinetto sia munito di una piccola finestra con vetri gialli che invii la luce sul bacino sensibilizzatore. 11 bagno deve trovarsi pronto a servire, scremato, ossia liberato dalla pellicola metallica che si forma alla sua superficie dopo alcune ore di riposo. I quadri, in cui si imprigiona la lastra sensibilizzala per portarla nella camera oscura, si devono preventivamente preparare, spolverare, affinchè non si abbia a perder tempo nel cercarli, o ripulirli dopo di aver sensibilizzalo. Il modello da riprodurre si deve prima mettere esattamente al foco della lente nella camera oscura per potere, senza por tempo in mezzo, esporre la lastra dopo sensibilizzala. Si deve avere in pronto nel gabinetto oscuro il liquido per sviluppare, l’acqua per lavare, e fuori del gabinetto oscuro, nel laboratorio per positive, si deve aver bello e preparato il liquido fissatore, dell’acqua in abbondanza, e due o tre bacinelle ben proprie, onde l’operatore dopo il collodionamento possa continuare senza interruzione le operazioni occorrenti a terminare la prova negativa. [p. 367 modifica]Operazione IH,

Preparare il bagno sensibilizzatore.

Si faccia sciogliere

8 parti di nitrato d’argento in 100 » di acqna

ed il bagno sensibilizzatore sarà preparato.

La soluzione si deve fare alla temper. ordinaria ed in un vaso di vetro o di porcellana, ma non di metallo. Conviene adoperare acqua distillata, oppure acqua di pioggia. L’acqua potabile può pur anco servire in questa operazione, ma essa per i cloruri e carbonati calcari, che sempre contiene in piccol dose, forma, come già dissimo, un precipitato bianco lattiginoso che rimane per qualche tempo in sospensione nel liquido, per cui questo si deve lasciare in riposo, e poscia decantare, oppure si deve filtrare per carta bibula in un imbuto di vetro, prima di venir adoperato a sensibilizzare le lastre collodionale. L’acqua, che non è potabile per essere impura, e che ordinariamente contiene delle sostanze organiche in via di putrefazione, è affatto impropria nella preparazione del bagno sensibilizzatore, e non gioverebbe il filtrarla per renderla limpida, ma bisognerebbe distillarla per liberarla dalle sostanze nocive che contiene in soluzione.

Per questa operazione abbiamo nella prima edizione di questo trattato prescritto l’impiego del nitrato di argento fuso. Questo, quando è ben preparato, ha il vantaggio di essere perfettamente neutro, per cui la sensibilità che esso può comunicare al collodio è più grande di quella, che produce il nitrato di argento cristallizzato, che è spesso con reazione acida. Ma il nitrato di argento fuso non è sempre in buona condizione, perchè è difficilissimo il regolare la temperatura della fusione, la quale temperatura oltre certi limili promuove una parziale decomposizione del nitrato d’argento. Le analisi, che si fecero del nitrato d’argento fuso hanno infatti dimostrato che in esso può trovarsi del ni [p. 368 modifica]trito d’argenlo, e dell’ossido d’argento. Coll’uso del nitrato d’argento fuso queste sostanze polendo venir introdotte nel bagno sensibilizzatore, ed essendo nocive nell’operazione del sensibilizzare in quanto che comunicano alle lastre collodionalc una grande tendenza a macchiarsi nelle operazioni successive, ne deriva che è sempre cosa più sicura il lar uso di nitrato d’argento cristallizzato. Quando si trova che quest’ultimo è con reazione acida, lo si può far recristallizzare, oppure si neutralizza l’acido eccedente nel modo che diremo nelle operazioni seguenti.

1 cattivi elTelli del nitrato fuso si possono però facilmente correggere collaggiunla di qualche goccia di acido nitrico.

Osservazioni.

4’ Latitudine nella quantità del nitrato d’argenlo del bagno sensibiliizulore. — I fotograG sono di parere diverso circa al grado di concentrazione che più conviene al bagno sensibilizzatore del collodio. Chi impiega il nitrato solamente nella proporzione del 4 e del 5 per 4 00, chi invece nella proporzione del IO e del 15 per 400 di acqua. Queste differenze si spiegano però dalla diversa maniera di preparare il collodio. Se quest’ultimo contiene poco ioduro, il sensibilizzatore può senza inconvenienti contenere poco nitrato d’argento. così nella prima edizione di questo trattato abbiamo prescritto il sensibilizzatore del collodio al 6 per 400, mentre qui, avendo un collodio più ricco di ioduro, abbiamo dovuto portare a)l’8 per 4 00 il nitrato del sensibilizzatore. Però in circostanze eguali ò meglio che il bagno sia relativamente debole, perchè allora l’opera del sensibilizzare è più facile a riescire bene, quantunque essa sia un po’ più lenta ad effettuarsi. Quando il bagno contiene una dose un po’ troppo forte di nitrato d’argento, la produzione dell’ioduro d’argento sul collodio essendo subitanea, se non s’introduce di un sol getto la lastra nel liquido, e se non si agita il liquido stesso affinchè possa togliere dallo strato l’alcool è l’etere che respingono il bagno, ne succede una sensibilizzazione irregolare sul collodio steso sul vetro; inoltre la soluzione fortemente concentrala sciogliendo con facilitò il ioduro d’argento, [p. 369 modifica]che dapprima si forma sul collodio, ne nasce che se non si ha la precauzione di lasciare per il minore spazio di tempo possibile la lastra nel bagno sensibilizzatore, rimane su di essa una troppo tenue quantità di ioduro, l’immagine non riesce bene.

InGne non si deve dimenticare che vi esiste una relazione importante tra la forza del sensibilizzatore colla temperatura. Il sensibilizzatore è più energico nell’estate che neH’inverno. Perciò se nell’eslale si impiega la stessa proporzione di nitrato d’argento nel preparare il bagno, di quella che serve bene neH’inverno si corre rischio dì ottenere delle prove macchiate, sbagliale. Nel Photographic Netvs Almanac pel 1863 (a) si raccomanda di conservare il rapporto 3: 4 per la quantità di nitrato nell’estate e neH’inverno. Il signor Disdcri prescrive le proporzioni di 3:4:5 per l’estate, le mezze stagioni e l’inverno. Laonde la quantità che abbiamo dato di sopra di 8 per 100 di nitrato d’argento potrà essere portala al 6 ed anche al 5 per 400 quando la temperatura presso cui si opera è molto elevata.

2’ Rapporto tra il bagno sensibilizzatore, ed il collodio da sensibilizzare. — Quando il collodio fotografico è ben preparato, che non è acido nè alcalino, il sensibilizzatore che più gli conviene è ancor quello che non sia nè acido, nè alcalino. Quando nei collodio domina un alcali, ossia si manifesta con reazione alcalina sulle carte reagenti, allora conviene che il sensibilizzatore sia acido, e se questo fosse neutro, non produrrebbe prove abbastanza pure e nitide nei bianchi. Quando invece il collodio è rubicondo, predominano in esso le proprietà acide, si avrebbe troppa lentezza di azione fotogenica se si facesse uso di un sensibilizzatore acido. In tal caso bisognerebbe che questo fosse neutro. Un sensibilizzatore con proprietà alcaline sarebbe di cattivo uso, perchè non mancherebbe di macchiare le prove che venissero in esso sensibilizzate.

3’ Modificazione che il bagno sensibilizzatore subisce coll’uso. — Il collodio delie lastre apporta continuamente nel bagno sensibilizzatore dell’alcool e dell’etere. Queste sostanze organiche, principalmente se non si ha l’avvertenza di conservare ben al riparo della luce e dell’aria il bagno, si alterano e fanno acquila) Published by T. Piper. London.

14 Fotografia. [p. 370 modifica]slare al bagno proprietà acide. L’acidità che così assume il bagno non è mollo nociva, perchè l’acido che qui si forma è un acido debole, è l’acido acetico.

Quando l’etere e l’alcool che servirono a preparare il collodio erano impuri, contenevano, come quasi sempre succede in grado maggiore o minore, degli olii essenziali; allora il sensibilizzatore si altera facilmente coll’uso. Questi olii essenziali venendo a sciogliersi nel bagno, fanno si, che le prove con esso sensibilizzate si macchiano poi al momento di svilupparle, non ostante le manipolazioni più accurate.

Se le lastre collodionate, che si sensibilizzano col bagno di nitrato d’ argento, non vennero ripulite con molla attenzione per l’uno e per l’altro verso, apportano nel bagno stesso altre impurità principalmente di natura organica, che hanno pure per effetto di renderlo poco atto all’operazione del sensibilizzare.

Il sensibilizzatore quando viene a contenere delle sostanze organiche non si altera che gradatamente, in modo da diventare inservibile. Esso dapprincipio acquista la proprietà di comunicare ai neri una grande intensità, ed è a questa cagione che si deve ascrivere il fallo dai fotografi osservato, che un bagno vecchio, quando serve bene, produce sempre delle prove con contrasti più forti di quello, che faccia un bagno nuovo in circostanze eguali.

Nel sensibilizzatore viene pure ad introdursi a poco a poco una notevole quantità di ioduro e di bromuro di potassio o di cadmio, i quali sali prendono in esso, per effetto di una reazione chimica, la forma di nitrati, mentre il formatosi ioduro e bromuro d’argento rimane sciolto nel bagno. La presenza dell’ioduro di argento nel bagno è assai utile in quanto che per causa di essa viene tolto il pericolo che il bagno depauperi troppo fortemente lo strato sensibile della sua materia sensibilizzatrice, il che può avere luogo facilmente quando il collodio venne preparato con una quantità di ioduro un po’ troppo piccola.

L’acidificazione del bagno sensibilizzatore, di cui abbiamo par lato più sopra, può anche spesso derivare dall’uso di un collodio vecchio di color rosso; in questo caso non vi è altro inconveniente che nella maggior lentezza d’impressione fotogenica.

4a Modo di correggere il sensibilizzatore quando non produce più buoni risultati. — Possiamo fare varie ipotesi. O il bagno [p. 371 modifica]non è neutro, o il bagno contiene materie organiche in eccesso, o contiene una troppo grande quantità di ioduro d’ argento io soluzione.

Nella prima supposizione, ammettendo che il bagno sia troppo acido ( il che si può riconoscere colla carta di girasole che si trova presso i farmacisti ), per cui esso comunichi una sensibilità troppo piccola, lo si correggerà coll’aggiunta di una o due goccie di una soluzione di carbonato di soda; potrebbesi usare l’ammoniaca od il carbonaio di potassa, ma noi non vorremmo proporre queste sostanze, perchè esse sono sempre più impure che non il carbonato di soda, tanto più se questo è cristallizzato. Quando il bagno, o per un’aggiunta troppo forte di carbonaio o per altre cause, fosse diventato con reazione alcalina, ossia capace di far volgere al color bruno la carta di curcuma, oppure ristabilire nel suo color blu primitivo la carta di girasole arrossata da un acido, allora si correggerà il bagno coll’aggiunta di una goccia o due di acido nitrico, e se non basta si continua aggiungendo una goccia per volta, onde non oltrepassare di molto il limite della neutralità del bagno. Si potrebbe anche aggiungere al bagno dell’iodio, il quale ha per effetto di liberare una corrispondente quantità di acido nitrico dal nitrato di argento, o quest’acido nitrico nel suo stato nascente si dimostra più attivo nel distruggere le materie organiche, per cui trovasi che con questo mezzo la correzione del sensibilizzatore è più certa e sicura ebe non col diretto impiego dell’acido nitrico.

L’acido nitrico è un acido fortissimo, ed il lettore non si meravigli se prescriviamo quest’acido a preferenza dell’acido acetico. Noi abbiamo le varie volle osservato, che quando si corregge il bagno con acido acetico non si ottiene poi una grande purezza nei bianchi delle prove. L’acido nitrico, che si’ mette nel bagno in piccolissimo eccesso, basta spesso per neutralizzare l’azione delle sostanze organiche che tendono a far macchiare le prove, mentre una tale azione non può venir effettuata dall’acido acetico, se non quando se ne aggiunge una dose molto forte.

Se il bagno avesse acquistato la proprietà che più di tutte temono i fotografi di professione, ed i dilettanti di fotografia, quella, cioè, di macchiare le prove per le sostanze organiche, olii volatili, ecc., che contiene, e per l’alterazione, che queste [p. 372 modifica]sostanze apportano nel nitrato d’argento, per cui esso viene in parte convertito in nitrito d’argento, allora la correzione si deve esperimentarc in due modi.

Il primo modo conviene alloi quando le sostanze organiche non hanno ancora alterato profondamente il nitrato, ed esso con siste semplicemente nello esporlo per alcune ore ai raggi solari, esponendolo al sole nella bacinella che serve a sensibilizzare, coperta di una lastra di vetro per preservarlo dalla polvere dell’aria aperta, quindi filtrarlo per carta bibula Le materie organiche verranno separale in combinazione con ossido d’argento in forma di un precipitato nero.

Il secondo è più lungo e noioso, e richiede qualche precauzione ed esperienza nelle manipolazioni chimiche. Si aggiunge al bagno sensibilizzatore una dose piuttosto forte di acido nitrico ( p. e. jì; del suo peso), quindi lo si fa evaporare in capsula di porcellana sino a siccità e si spinge il calore sino a fusione completa del residuo, che prenderà una tinta nera, e che col raffreddamento si scioglie in massima parte, producendo un liquido privo di colore, che potrà ora servire a sensibilizzare, perchè venne così privato delle materie organiche, e dell’acido nitroso, che trovavasi unito coll’argento.

Se infine vi è a dubitare, che il bagno non produca più buoni risultati per un eccesso di ioduro d’ argento in soluzione, il che si riconosce da un certo precipitato, che si depone sulle prove nel sensibilizzarle, nulla sarà di più facile come il rimediare aU’inconvcniente, poichè basterà dilungare il bagno vecchio con un bagno nuovo, oppure aggiungervi una piccola quantità di nitrato d’argento cristallizzato.

In generale lutti questi rimedii possono evitarsi col metodo seguente, che permette l’uso di bagni sensibilizzatori fuori d’uso, ed in qualunque stato si trovino. Si sensibilizza la lastra collodionala nel bagno vecchio sino a che siano scomparse le macchie grassiformi della superficie dello strato, si estrae dal bagno, si lascia sgocciolare, si asciuga nel suo rovescio con carta bibula, poscia, stando avanti alla finestra a vetri gialli del gabi. netto oscuro, vi si versa sopra, e nel mezzo dello strato, una piccola quantità di bagno sensibilizzatore, che non abbia mai Servito, o che sia in buono stato. Questa quantità può essere [p. 373 modifica]di 25 o 30 grammi secondo la grandezza della lastra. Si osserverà che esso ha difficoltà ad inumidire regolarmente lo strato, perciò lo si fa scorrere per alcuni istanti per ogni parte dello strato, sino a che si vede che vi scorre sopra senza lasciare dietro di sè delle vene grasse. Quando ciò ha luogo si versa nel vaso ad hoc questo bagno di nitrato, che potrà essere al 3 od al 4 per 100 solamente, poichè il suo effetto non è quello di seusibilizzarc la lastra, ma di lavare, di rendere puro, di rendere incapace di macchiarsi lo strato sensibile nella seguente operazione dello sviluppare.

Operazione IV.

Sensibilizzare il collodio.

Il collodio venendo mollo facilmente impressionato dalla luce quando è sensibilizzato col nitrato d’argento, bisogna, come abbiamo dello di sopra, che il gabinetto oscuro entro cui si fa l’operazione del sensibilizzare sia reso il più oscuro che sia possibile, e che la luce esterna non possa penetrare in esso. La luce diffusa del giorno è bianca, e basta una piccolissima quantità di essa per impressionare lo strato sensibile. La luce, che viene prodotta da una lampada e da una candela accesa pregiudica mollo meno lo strato sensibile, perchè questa luce non ò bianca, ma giallognola. Ma questa luce, quando è un po’ forte, può alterare notevolmente la sensibilità dello strato ed impedire che le prove riescano purissime nelle parti, che devono rimanere trasparenti, ossia che non devono ricevere una impressione sensibile. Perciò il miglior modo di illuminare il gabinetto oscuro, che deve servire alla sensibilizzazione del collodio, è quello di far uso di vetri gialli tinti coll’ossido di argento nella fusione del vetro. I vetri gialli aranciati di tinta un po intensa possono venire esposti ai raggi del sole e trasmettere una abbondante luce gialla nel gabinetto oscuro, senza che questa luce sia capace di produrre una impressione notevole sulla lastra di collodio sensibile.

La lastra collodionata non si deve lasciare seccare prima di immergerla nel bagno sensibilizzatore, ma basta che il collodio [p. 374 modifica]si sia rappigliato abbastanza solidamente sul vetro in modo che esso non possa più staccarsi dal vetro nell’immergerlo nel bagno, e ciò succede in pochi istanti, principalmente quando il collodio è molto etereo.

La maniera più comoda nell’eseguire questa operazione è quella, che consiste nello avere il bagno sensibilizzatore in un bacino a sponde un po’ elevate, p. e. di 5 centimetri, ed un po’ più largo della lastra a sensibilizzare, nell’alzare da un Iato il bacino stesso per mettere a nudo una parte del fondo mentre il liquido si raccoglie nella parte opposta, nel porre il margine della lastra che si tiene inclinala verso il bagno nella parte del fondo lasciala a nudo, quindi abbandonare la lastra a se stessa ed abbassare nel medesimo tempo il bacino, affinchè il bagno la possa tutta coprire. Lo strato del collodio è naturalmente dalla parte del vetro, che non è a contatto col fondo del bacino. Si agita per breve tempo il bagno, alzando ed abbassando convenientemente il bacino in modo da lavare la superfìcie dello strato, quindi col mezzo di un uncino di corno o di argento si solleva per uno dei suoi lati la lastra senza levarla tutta dal bagno. Si osserverà che essa è ricoperta di vene grasse. Si tulfa nuovamente nel bagno, e si continua l’agitazione del bagno sino a che l’apparei.za grasso-venosa alla superfìcie dello strato sia perfettamente scomparsa. Ciò succede ora più, ora meno presto, p. e. in 2, 3 minuti, secondo lo stato del bagno e la natura del collodio impiegato. La lastra, che avrà perduto ogni apparenza grasso-venosa, che avrà un’apparenza di uniformità nella superfìcie dello strato, è sensibilizzala a dovere. Si estrae dal bacino, si lascia sgocciolare un momento, e si pone verticale, lenendola per un angolo, sopra alcuni fogli di carta bibula, quindi con un foglio della carta stessa si asciuga nel suo rovescio, e poscia si porta nel quadro destinato a portarla tosto nella camera oscura per ivi impressionarla col mezzo del fascio di raggi che viene trasmesso dalla lente. Ma si faccia attenzione, che la lastra, che è ancor umida, rimanga nel quadro nella direzione dello sgocciolamenlo del liquido, onde evitare che il bagno rimanente sopra di essa retroceda sul mezzo della superficie sensibile, la qual cosa potrebbe far macchiare la prova. Affinchè poi la lastra possa continuare a sbarazzarsi del poco [p. 375 modifica]liquido, che ancora contiene quando viene inserta nel quadro espositore, si fabbricano i quadri delle camere oscure in modo, che la lastra di vetro non sia posta che sui quattro suoi angoli, e rimanga un vuoto sufficiente lungo i margini di essa. Mettendo dietro della lastra un foglio di carta bibula, il liquido eccedente, che viene a deporsi nella incavatura inferiore del quadro, verrebbe assorbito, ed impedito ogni inconveniente che dalla sua presenza puh derivare, e così vengono evitate le macchie marginali che possono guastare l’immagine.

Osservazioni.

l’ Indicazioni delle lastre sensibilizzate. — Nella stessa guisa che quando il collodio viene steso sul vetro si riconosce se esso è della conveniente densità, così pure quando si sensibilizza si riconosce dalla intensità della tinta biancastra che la lastra riceve se la quantità di ioduro impiegato è ben proporzionata. Quando la lastra sensibile osservata per trasparenza è di un bianco volgente al verde leggero, poco opaco, è segno che il ioduro era in quantità troppo piccola. Se invece la lastra è molto opaca, senza però esserlo in grado così forte da impedire che si possa ancor vedere a traverso di essa gli oggetti molto illuminali, allora la quantità di ioduro e bromuro impiegata nel preparare il collodio è la più conveniente. Quando infine l’opacità, o per dire più esattamente la translucidità prodotta dallo strato sensibile è assai forte, allora è segno, o che il collodio era troppo denso, o che il ioduro impiegato nel preparare il collodio era troppo considerevole, era più grande del bisogno.

La lastra collodionata poi, la quale nel suo sensibilizzamenlo si manifesta troppo tardiva a prendere una tinta lattea nel bagno sensibilizzatore, non sarà stata abbastanza presto sensibilizzala, ossia il collodio steso sopra di essa si sarà troppo fortemente essiccalo. All’opposto è segno ordinario che la lastra venne troppo presto introdotta nel bagno se il collodio di essa verrà a staccarsi e mescolarsi col bagno sensibilizzatore.

i’ Apparenza oleosa della lastra, e necessità di farla sparire [p. 376 modifica]compiutamente. — Quest’apparenza oleosa, di cui abbiamo già prima d’ora fallo menzione, deriva dalla difficoltà, che hanno l’etere e l’alcool del collodio a mescolarsi col bagno sensibilizzatore. Lasciando la lastra collodionala nel bagno per un tempo sufficientemente lungo, l’etere e l’alcool si mescolano col bagno e come più leggeri vengono alla sua superfìcie; ed un tal fenomeno si può osservare dal movimento, che prende da se stesso il bagno alla sua superficie appena che in esso si introduce la lastra collodionata. Se non si facesse totalmente partire le vene, e l’aspetto grasso dallo strato sensibile, il ioduro d’argento si formerebbe sulla lastra in modo disuguale, e la prova si verrebbe a macchiare infallantemente. Queste macchie possono anche derivare da ciò che rimanendo sulla lastra dell’etere e dell’alcool, questi impediscono poi una regolare azione del liquido sviluppatore.

Il sintomo più certo che la mescolanza e compenetrazione dell’etere e dell’alcool della lastra collodionala sono perfette, si ha nella facilità con cui il liquido scorre sopra della lastra senza lasciare dei vacui, e che il bagno parte dalla lastra quando questa si inclina verso uno de’ suoi angoli in modo afTatto uniforme, senza essere in alcune parti più abbondante che in altre.

Quando per essersi sensibilizzate molte lastre il bagno viene a contenere molto alcool ed etere, allora le macchie possono pure nascere nello sviluppare l’immagine, quantunque le vene grasse si siano fatte partire con tutta la cura possibile. In questo caso sarà ancora possibile evitare le macchie. La lastra quando sarà sensibilizzata col sensibilizzatore, nel modo detto di sopra, e che sarà asciugata nel suo rovescio, non si dovrà portare nella camera oscura per impressionarla senza prima trattarla con una soluzione di nitrato d’argento al i oppure al 5 per 100, versando sopra dello strato sensibile questa soluzione, e facendola scorrere su di esso, sino a che ogni apparenza grassiforme sia scomparsa del tutto. così operando la prova sarà pura, senza macchie.

La massima parte dei non successi, che formano la disperazione dei principianti quando operano col collodio umido nella produzione delle prove negative, dipende dal non fare attenzione [p. 377 modifica]a ciò, che lo strato del collodio sensibilizzato sia di apparenza uniforme nella sua superficie; e dal non fare attenzione che il bagno sensibilizzatore fosse puro, e se noi fosse stato, che lo strato sensibilizzato fosse lavato con un poco di bagno d’argento di purezza perfetta. Quando lo strato sensibile viene reso della massima purezza e profondamente compenetrato dal sensibilizzatore, è quasi impossibile che si formino delle macchie sulle negative. Noi insistiamo sopra di questa circostanza, perchè tante cause si vanno e dagli operatori e dagli scrittori fantasticando come capaci di produrre le macchie, mentre in realtà queste derivano quasi sempre dalle impurità del bagno sensibilizzatore o da una insufficiente azione di esso sulla lastra collodionata.

3‘ Pellicola di argento sul bagno. — Il bagno sensibilizzatore quando è nel bacino e vi rimane in riposo, anche quando si tiene coperto con un cartone, p. e., si ricopre sempre, dopo qualche tempo, di una sottilissima pellicola o crema d’argento. Questa pellicola viene ad attaccarsi in modo solido sullo strato sensibile, se non si ha la precauzione di levarla col mezzo di una lista di carta che si passa leggermente a fior d’acqua sul bagno. L’operatore su collodio dovrà fare questo prima di incominciare l’operazione del collodionare, per poter subito sensibilizzare appena terminata la spalmatura del collodio sul vetro.

Operazione V.

Esporre nella camera oscura.

La posa dovendo immediatamente aver luogo dopo della sensibilizzazione della lastra, affinchè il collodio non perda una gran parte della ricevuta sensibilità, il fotografo deve già aver posto il suo modello al foco della camera oscura, ed ora non deve rimanergli altro a fare, che di dare un rapido sguardo sul vetro smerigliato, per verificare che il modello si trova ancor al foco, che tutto va bene, e quindi mettere nella camera oscura la lastra da impressionare.

Il tempo della durala della posa sarà variabile secondo la forza [p. 378 modifica]dell’oggellivo, l’intensità della luce, secondo la qualità del collodio, il grado della temperatura, la speditezza delle manipolazioni, ecc. Un po’ di pratica, come in tulle le cose, è necessaria per riuscir bene, — Utut arlium jxtler

Osservazioni.

I’ Modo di illuminare il modello, e colori che gli convengono. — Se si prende un ritratto, onde soddisfare alle regole dell’armonia si deve aggiustare il modello su di un fondo un po’ distante e diversamente colorato di quel che sia il modello stesso. così si ha un rilievo profondo, la persona si stacca bene con una convenevole prospettiva aerea. Per fondo conviene ordinariamente una tela tinta in color blu oscuro, oppure in color grigio chiaro, che si pone a distanza di un metro almeno dal modello, affinchè il suo tessuto non possa riprodursi nel quadro. Alle accademie nude è più vantaggioso un fondo nero.

Non bisogna neppure pensare ad operare alla luce diretta del sole quando si vuole prendere un ritratto, tranne il caso in cui si voglia un’ impressione istantanea; imperciocchè solamente quando si opera all’ombiu. il ritratto resterà naturale, senza opposizioni troppo forti di lumi e di ombre, con armonica successione di tinte.

Affinchè il ritratto po=sa fare il migliore effetto artistico, si deve fare attenzione che un lato del corpo sia sensibilmente più illuminato dell’altro; che la luce cada orizzontalmente sulla persona a riprodurre; imperocchè ove la luce venisse dall’alto, si otterrebbe un’ombra troppo sentita nell’occhio e nel collo; e finalmente che la luce non sia così intensa, che la parte più illuminata venga a proiettare un’ombra troppo pronunciala sulla parte opposta, nel qual caso sarebbe impossibile ottenere una prova passabilmente armonica.

Il colore degli abili della persona, di cui si prende il ritratto, non può non essere di seria preoccupazione al fotografo, che sìa in cerca di risultali perfetti. Noi sappiamo infatti, che i colorì i più luminosi, il giallo, il rosso, non hanno quasi alcuna azione fotogenica, mentre i colori meno luminosi, il blu, il vio [p. 379 modifica]lelto impressionano il collodio con somma facilità. Perciò è cosa evidente, che per ottenere una conveniente relazione nelle tinte del ritratto fotografico è necessario che i colori del modello producano un effetto armonico fotograficamente, anzichè otticamente.

2 a Modo di far posare. — La persona che si fa posare non deve adagiarsi di fronte, ma leggermente di profilo, le sue gambe staranno meglio oblique che non dirette, così la differenza dei piani essendo meno sensibile. £ desiderabile, che il corpo e la testa tendano un po’ verso la camera oscura, e che la testa non sia nella stessa direzione delle spalle, onde possa presentare maggior eleganza e grazia artistica. Nel mettere al foco si concentri l’attenzione sulla faccia del modello a spese del suo panneggiamento, per ottenerlo della massim > nitidezza possibile. In generale poi, si riproduca la persona secondo le esigenze delle sue forme, della sua Gsonomia, del suo carattere, ecc. Così, se p. c. è, d’ordinario, sempre meglio il prendere i ritratti un po’ di profilo, non è che non vi sia alcune volte delle eccezioni presso certe leste che stanno meglio vedute di fronte.

Un buon operatore deve anche cercare d’influire moralmente sul suo soggetto, per guadagnare nell’espressione e nella grazia. Il fotografo di buon umore, che ha dell’ascendente, darà una espressione di agiatezza, e di ben essere alle lisonomie che riproduce, mentre il fotografo inesperto, che non conosce questo modus operandi, non otterrà che dei risultali freddi, accidiosi, mancanti di quel suggello che sanno dare gli artisti alle opere loro.

La persona che viene a posare davanti al mirabile islrumenlo del fotografo, d’ordinario s’irrigidisce, e prende un non so che di stentato, assai nocivo al buon effetto del ritratto. Laonde, l’operatore non mancherà di avvertire il modello di stare immolo bensì, ma, per quanto può. a suo bell’agio, chiudendo nel frattempo le palpebre per subito aprirle nuovamente, anzichè troppo penare per tenerle aperte durante tutta la durata della posa; ed affinchè l’occhio del posante possa riposarsi, si farà guardare sopra un fondo oscuro, in cui si pose un distintivo da prendere di mira. così si evita anche il pericolo che il modello non venga a prendere l’aspetto di un guercilocchio nel ritratto. [p. 380 modifica]Dietro alla testa della persona die posa si deve porre un appoggio ben sodo. Senza una tale disposizione, è quasi impossibile, che l’operatore possa conservare una sufficiente immobilità, principalmente quando si opera, con un oggettivo di un foco un po’ lungo. Non si deve mai avvicinare soverchiamente la camera oscura al modello, perchè l’immagine diventerebbe tras figurata, ed il ritratto, quantunque molto grande, sarebbe poco somigliante al modello. Con un oggettivo ordinario di 27 centimetri di foco la distanza minima tra il modello e la camera oscura dovrebbe essere di circa tre metri. Questa distanza si può diminuire, ed accrescere presso un oggettivo, la cui distanza focaie sia minore o maggiore di 27 centimetri.

3’ Tempo della posa — Ma tutti questi precetti sarebbero insufficienti, se il fotografo non si sovviene che la buona venuta del ritratto dipende dal tempo della posa Quando la posa è troppo breve, i dettagli non possono sortir bene, le ombre non possono rimaner trasparenti, ma rimangono sproporzionate, urtanti verso i lumi.

Il fotografo deve dunque guardarsi dalla tentazione di far presto. G ciò gli sarà tanto più facile, in quanto che il collodio non è propenso a solarizzarsi per una esposizione relativamente lunga, e che e3so è abbastanza sensibile da non richiedere una posa così lunga che il modello non possa ancora facilmente sopportarla; infatti 1 5 — 20 secondi è Io spazio di tempo che conviene d’ordinario. Il modello sarà compensato dalla maggior fatica del posare, il suo ritratto sarà di una ammirabile precisione di dettagli, le ombre naturali, l’espressione esalta e fedele, l’insieme di un ottimo effetto.

Per arrivare a una posa conveniente, il principiante troverà una certa difficoltà nel raggiungere il giusto punto voluto, onde il risultato sia il migliore possibile.

Se si considera però che tulle le quantità si rendono a noi sensibili a gradi solamente, direi quasi a salti, sarà agevole al fotografo lo indovinare dopo pochi esperimenti il tempo preciso che è necessario ad una buona posa.

L’esperienza insegna (e l’autore ha trovato la cosa esalta anche in altre circostanze, che è qui inutile il ricordare) che la differenza della quantità di impressione luminosa è impercettibile [p. 381 modifica]all’occhio quando è minore di ~ di quella già effettuata, sia in più che in meno. Vale fa dire un’azione luminosa in circostanze eguali che abbia richiesto IO secondi di tempo si distinguerà coll’occhio da un’altra che abbia subito per H secondi l’azione della luce, oppure abbia subito solo un’azione di 9 secondi. La differenza sarà piccola, ma visibilissima.

Perciò l’operatore avrà questa regola sicura per determinare il tempo della posa.

Se con un dato numero di secondi ha una buona impressione, ma sensibilmente debole, otterrà un risultato perfetto con una posa di ^ più lunga. Se poi l’impressione è giudicala troppo debole di due gradi, ossia due volte di più della prima, si prolungherà di ■’-„ il tempo della posa, e così via via sino a che si sia raggiunta la voluta intensità, che sarà così trovala in due o tre esperimenti soltanto. Sia che si voglia crescere, sia che si voglia diminuire l’azione, si vede che con questo metodo sarà facile il precisare il tempo della posa.

4’ Modo di ottenere una immagine nitida di oggetti inegualmente distanti. — Quando si prendono delle vedute è facile ottenere una immagine uniformemente nitida, di un campo visuale mollo esteso. Basta operare con un oggettivo, che non abbia un foco troppo lungo, che sia munito di un diaframma molto piccolo, e che gli oggetti a riprodurre non siano troppo vicini alla lente Nel prendere i ritratti è mollo più difficile ottenere una immagine di forma nitida, perchè bisogna operare con oggettivi aventi una larga apertura angolare, e l’oggetto a ritrarre deve essere molto più ricino alla lente di quello che siano comunemente gli oggetti compresi in una veduta.

Abbiasi una camera oscura che sia muuila di un oggettivo semplice di 40 centimetri di foco, e di un diaframma di un centimetro di diametro. Se con questa camera si prende una veduta e si mette al foco oggetti lontani, trovasi che la sua capacità è da 20 metri all’infìnilo, cioè gli oggetti che saranno nitidi a 20 metri saranno egualmente nitidi ad una distanza infinita.

Ciò è vero per ogni lente, vale a dire quando il diaframma è di della lunghezza focale, la capacità della lente di produrre una immagine egualmente nitida si estende agli oggetti posti ad una distanza eguale a tanti metri quanti sono i centimetri conte ■ [p. 382 modifica]mi li nella melò della lunghezza focale della lente, ed agli oggetti che si trovano tra questa distanza e l’infinito. Questa proprietà delle lenti insegna che gli oggettivi di foco corto danno una immagine nitida di oggetti più vicini e di oggetti lontanissimi nel tempo stesso, ossia dimostra che gli oggettivi a foco corto danno un foco più profondo.

Che si abbia una tale nitidezza per oggetti inegualmente distanti, si comprende: 1° Se si considera che per causa del piccol diaframma i pennelli luminosi rifratti dalla lente sono così ridotti, che il foco fuori del suo vero punto è ancor abbastanza nitido da non lasciare scorgere alcuna differenza all’occhio disarmato; 2» Se si considera che la lente non è assolutamente corretta riguardo all’aberrazione sferica, e ciò per rendere il campo più piano, e che il foco non è realmente giammai un punto geometrico, perchè nell’acromatizzare la lente non si tien conto di lutti, ma solo di due raggi dello spettro, per cui il foco non è esattamente l’apice di un cono di raggi convergenti, ma una superficie di uno stretto cilindro che può essere intersecato entro certi limiti senza alcun divario sensibile nella relativa nitidezza risultante.

Nulla di tutto ciò ha luogo nel prendere i ritratti, presso i quali è necessario che l’apertura sia assai grande in proporzione della lunghezza focale per cui l’angolo del cono di raggi è molto ottuso, ed il foco che si forma nella sua sommità non è distinto che sopra un sol piano perpendicolare all’asse, per cui dopo una lunghezza assai ristretta si fa subito sentire un divario fortissimo nella nitidezza.

Queste considerazioni sono molto importanti per la pratica del prendere vedute e ritratti, ed insegnano che per le vedute la lunghezza del foco essendo poco variabile, il dilettante può far uso di una camera oscura piegabile, senza compartimenti scorrevoli, che complicano e rendono più pesante l’apparato, perchè è possibile mettere al foco col solo movimento a ingranaggio che ha l’oggellivo, e che quando si hanno solo oggetti lontani a ritrarre si può mettere al foco una volta per tutte, facendo un segno sul tubo dell’oggettivo che corrisponde al foco degli oggetti lontani.

Per ottenere una immagine della massima nitidezza il folo [p. 383 modifica]grafo dovrà diminuire il diaframma in modo, che esso sia minore di ~ della lunghezza focale lutte le volle che ciò sia praticabile per l’abbondanza della luce. Dorrà avere cura che nelle vedute, e soprattutto nei ritratti di gruppi, gli oggetti centrali siano, quando è possibile, posti più lontano dalla lente che gli oggetti laterali, poichè l’immagine che la lente produce essendo sferica, e non piana, e la parte del vetro sensibilizzato, che è sull’asse della lente, essendo più vicina che le parti del vetro distanti dall’asse, ne nasce, che l’immagine avrà più uniforme nitidezza quando gli oggetti centrali sono più distanti, perchè allora hanno un foco più vicino alla lente che non gli oggetti laterali.

5’ Foco chimico e foco visuale. — Le lenti di un oggettivo sono soggette ad avere un foco chimico diverso dal foco visuale, vale a dire: l’immagine luminosa che produce l’impressione fotografica può non coincidere coll’immagine luminosa che l’occhio vede, ed essere o più vicina o più lontana dall’oggettivo. Nella parte ottica abbiamo spiegato in qual modo ciò succeda per la diversa rifrangibilità dei raggi colorali della luce.

Il foco chimico in alcuni oggettivi coincide col foco visuale, epperciò con questi oggettivi basta ottenere sul vetro spulito della camera oscura una immagine nitida, e poi mettere nella posizione del vetro spulilo lo strato impressionabile per avere una impressione nitida. Il foco chimico è più vicino alla lente di quel che sia il foco visuale se gli oggetti più vicini di quelli veduti bene nell’immagine del vetro spulilo sono nitidi nell’impressione. ed il foco chimico è invece più lontano dalla lente che non il foco visuale se gli oggetti più lontani di quelli che hanno un buon foco visuale danno un buon foco chimico, ossia imprimono una nitida immagine sullo strato sensibile.

6’ Correggere il foco degli oggettivi da vedute. — Da ciò, che abbiamo premesso, si ricava, che basta una sola prova per riconoscere se in un oggettivo a foco non coincidente, il foco chimico è al di qua, oppure al di là del foco visuale, che basta, cioè, prendere una veduta. In questa veduta gli oggetti devono essere tutti molto distanti, e nel mettere al foco si fa in modo che l’immagine nitida sia della massima nitidezza nel centro, cioè si fa attenzione che la massima nitidezza non sia verso le [p. 384 modifica]estremità, nel qual caso le parli verso al centro sarebbero meno nitide, il che deriva dalla curvatura dell’immagine formala dalla lente, mentre il vetro spulilo è piano, per cui verso le estremità esso è più lontano dalla lente che verso il centro. Ora si lira la prova procurando che lo strato sensibile venga ad occupare esattamente il piano o la posizione occupata dal vetro smerigliato. La prova ottenuta se è nitida verso il centro indicherà che il foco chimico coincide col foco visuale, se invece è nitida verso gli orli, sarà indizio che il foco chimico è più lontano dalla lente, e se essa non è nitida verso il centro e lo è meno ancora verso le estremità, allora il foco chimico è più vicino alla lente, che non il foco visuale.

Sapendosi in qual direzione sta il foco chimico, è facile trovare la giusta posizione di esso, e così la differenza dal foco chimico al foco visuale, operando come segue.

Messa l’immagine al foco nel vetro spulilo si fa un segno colla punta di un temperino sul tubo più piccolo deil’oggellivo, nel punto in cui esso incontra la estremità del tubo più grande entro cui può scorrere ad attrito, e quindi il tubo si fa scorrere di un millimetro nella direzione del foco chimico, e poi si lira una seconda prova. Questa ordinariamente non sarà ancora sufficientemente nitida, perciò si fa un’ altra prova avanzando di un altro millimetro, e così di seguilo sino a che si trovi la massima nitidezza possibile nella prova che si ottiene, e per poter tener conto della differenza tra i due fochi si fa ora un altro segno nel tubo deil’oggellivo. La distanza tra un segno e l’altro rappresenta la distanza di due caustiche della dispersione, come direbbero gli ottici, ossia rappresenta la differenza dal foco chimico a) foco visuale.

Il fotografo ogni volta che prenderà una veduta dovrà tener conto di questa differenza, ossia dovrà correggere il foco facendo scorrere il tubo deil’oggellivo, o la culatta mobile della camera oscura di questa quantità, e così potrà raggiungere colla superfìcie sensibile la posizione del foco chimico.

Per le vedute, operandosi sempre con oggetti mollo lontani che inviano pennelli luminosi quasi paralleli, si può ammettere che la differenza focale deU’oggetlivo sia costante; epperciò, onde non avere a modificare il foco ogni volta che si prende una veduta, [p. 385 modifica]è più spiccio il dislanzarc il vetro spulilo nel telaio che serve a incamerarlo, in modo che lo strato sensibile non cada poi mai più sulla stessa posizione del vetro spulilo, ma sempre tanto lontano da esso quanto fa d’uopo, affinchè l’immagine nitida a vedere si formi egualmente nitida nella prova, che si produce.

7’ Correggere il foco degli aggettici da ritraili. — Negli oggettivi a ritratti bisogna tener conto della varia differenza dei due fochi, chimico e visuale, presso distanze diverse. Ciò proviene dalla vicinanza degli oggetti che si hanno a ritrarre, e da ciò che la capacità dell’oggettivo è diminuita dalla grande apertura angolare che esso deve avere, per cui il suo foco non è profondo, ma è limitato quasi ad un sol piano verticale, o ad una piccolissima estensione longitudinale.

Per questo avviene che la correzione dei due fochi negli oggettivi per ritratti deve essere fatta con molla precisione, e che oltre di ciò si deve fare presso varie distanze, cioè per quelle distanze che può occorrere di dover dare alle persone a ritrarre onde ottenere un ritratto più o meno grande.

La correzione per una data distanza si può ottenere in varie maniere, ma tutte analoghe alla seguente.

Si prende un cartone della grandezza di 0 m 80X0">60, si copre con carta bianca, poscia si tirano sopra di esso delle linee equidistanti, e si scrivono delle lettere maiuscole a misurali intervalli in modo simmetrico. Questo cartone si posa inclinato sopra di una tavola, così che sul davanti esso faccia colla tavola un angolo ottuso di circa 1 30 gradi. Dirimpetto al cartone si pone la camera oscura, e la sua distanza dal cartone sia quella che si usa per prendere i ritratti, p. e. di soli 3 metri; si metta al foco nel mezzo del vetro smerigliato il punto 0, centro del cartone, e si osservi che questo punto sia della maggior nitidezza possibile. Le due estremità alla e bassa dell’immagine del cartone saranno egualmente confuse. Ora si fa un segno colla punta di un temperino sul tubo più piccolo deU’oggellivo nel punto che è in contatto coll’orlo esterno del tubo più grande, e senza spostare nè la camera, nè il cartone, si lira una prova, e si osserva quali parti sono restale le più distinte.

Se i due fochi non sono coincidenti, la nitidezza sarà o sopra l’immagine delle lettere e linee più alle, più distanti dall’ogget 35 Fotografia. [p. 386 modifica]tivo, o sopra quelle più basse, più vicine all’oggellivo. La massima nitidezza nella prova ottenuta trovisi p. e. alla distanza di SO centimetri dal centro del cartone, e nella parie più alta, o più distante. Allora si farà una seconda prova, e per avere in questa il centro del cartone della massima nitidezza si mette al foco il punto che nel cartone è distante SO centimetri dal centro nella parte opposta, cioè più bassa e più vicina all’oggetlivo. La prova riescirà buona pel centro, e così sarà corretto l’oggeltivo per la distanza a cui si è operato, tenendo conto della distanza maggiore che si deve dare dal vetro spulito all’oggellivo, la quale maggior distanza, o differenza, si potrà sempre riconoscere sul tubo dell’oggeltivo, nel quale si fa un segno presso le due distanze del foco visuale e del foco chimico. Se la massima nitidezza nella prova fosse stata per gli oggetti più vicini di quelli focbizzati visualmente, si opererebbe in modo analogo, invertendo. Da ciò che ho detto si vede che il fotografo esperto può anche con una sola prova determinare la differenza di distanza dal foco chimico al foco visuale, poichè sapendo quale è il punto che venne focbizzato visualmente e quale è il punto che produce la più nitida impressione, è chiaro che se si cerca di quanto bisogna muovere l’oggetlivo, affinchè con questo si possa vedere nitidamente il punto che dà l’impressione più nitida, si troverà facilmente la differenza longitudinale dei due fochi della combinazione di lenti che costituisce l’oggeltivo. — Perciò quando nel prendere un ritratto si mette al foco gli occhi di una persona, bisogna tener conto di questa differenza facendo scorrere il tubo dell’oggeltivo di una tale quantità, e nella direzione conveniente, se si vuole, ottenere una immagine ben definita.

Questo metodo di determinare il foco chimico, quantunque non conduca ad una così rigorosa esattezza, come quello dei signori Zanledeschi e Borlinctlo di Padova (a), è sufficientemente buono per le circostanze ordinarie, ed ha il vantaggio di far conoscere nel tempo stesso la relativa bontà dell’oggettivo, poichè con questo metodo si viene a conoscere non solo la profondità

(a) Sitzungsberichte der mathematisch. - naturwissenschafUichen Masse der A". Akademie der ff’issenschaflen. B. 21. [p. 387 modifica]del foco, ma anche se il rampo è sufficientemente piano e sufficientemente privo di trastìgurazioni provenienti dall’aberrazione sferica, ossia si viene a conoscere se l’oggellivo è buono o cattivo.

La correzione dei due fochi per ogni distanza nel modo ora indicato è cosa tediosa, ma è necessaria quando si vuole avere una grande precisione nel foco. Il metodo seguente è più comodo, e conduce ad una esattezza di correzione ancora abbastanza grande pei casi ordinari.

L’esperienza, e la teoria dimostrando che la differenza dei due fochi chimico e visuale cresce in proporzione che cresce il foco della lente, ossia in proporzione che la lente viene avvicinala agli oggetti, e che questa differenza decresce sempre più quanto più il foco della lente si fa più corto per l’allontanarsi degli oggetti da ritrarre. E questi aumenti, e queste diminuzioni essendo regolari e costanti in modo che si possono scrivere sotto forme di progressioni aritmetiche, ne nasce, che si potrà sempre determinare la posizione del foco chimico e visuale presso due distanze estreme, l’una massima, e l’altra minima.

Perciò: 1° Si determini la differenza dei due fochi quando l’oggetto è p. e. distante 8 metri dalla lente, distanza massima per un oggettivo da ritratti di foco un po’ corto. Per fissare le idee supponiamo, che l’immagine sia ora a 22 centimetri lontana dalla lente, e che la differenza dal foco chimico al foco visuale sia di 1 millimetro. 2° Si determini la differenza dei due fochi quando l’oggelto è distante solo 2 metri dalla lente, distanza minima, e supponiamo che ora l’immagine si faccia a 28 centimetri lontano dalla lente, e che qui la differenza dei fochi sia di 4 millimetri.

La differenza delle lunghezze focali nei due casi è dunque di 28: 22 centimetri, e le differenze dei fochi chimico e visuale stanno loro come 4: t. Ora per conoscere le relative differenze intermedie basterà inserire fra queste differenze tanti medii differenziali quanti fa bisogno per avere la massima nitidezza. Se fosse sufficiente una approssimazione di - di millimetro, ed è sufficientissimo, basterà nel nostro caso inserire 7 medii differenziali tra le due lunghezze focali sopra [p. 388 modifica]dette, e tra le due differenze dei fochi chimico e visuale, per cui si avrà due progressioni che indicano le differenze dei fochi presso tulle le distanze che possono occorrere nel prendere un ritratto; così presso le disianze progressive da 2 a 8 metri:

Metri 2. 2,75. 3,30. 4,25. 5. 5,75. 6,50. 7,25. 8.

presso le quali si prenderà un ritratto, si avranno le seguenti due progressioni che indicano rispettivamente le lunghezze focali e le differenze dei fochi chimico e visuale per le distanze corrispondenti, le loro intermedie essendo trascurabili.

Cent. 22: 22,75: 23,50: 24,25:25:25,75:26,50: 27,25:28.

Millirn. I: 1,37: 1,75: 2,12: 2,50: 3,87: 3,25: 3,62: 4.

Si può dunque sempre formare una tabella che, data la distanza presso cui si fa l’immagine visualmente nitida, insegna di quanti millimetri bisogna muovere la lente dell’oggetlivo da un dato punto, che corrisponde alla distanza data, onde avere una immagine nitida chimicamente.

8’ Oggettivi a foco coincidente. — Quando si ha un oggettivo, il cui foco chimico coincide col foco visuale, l’operatore ha molto minor pena a darsi per avere immagini nitide, e per ottenere uniformemente buoni risultali. Tuttavia molli dei più celebri fotografi, tra cui posso citare il signor Clandet di Regent Street, preferiscono gli oggettivi a fochi separali, perchè trovano con essi maggior rapidità e maggior nitidezza.

Non bisogna poi neppur credere che cogli oggettivi che si dicono corretti si possa sempre ottenere una immagine nitida, imperciocchè, indipendentemente dai cambiamenti atmosferici, che coli’alterare la qualità della luce hanno per effetto di alterare la rifrangibililà dei raggi, e così variare la relativa distanza dei due fochi, e distruggere quando già esiste la coincidenza dei due fochi chimico e visuale, come venne dimostrato da Clandet e confermato da Zanledeschi e Boriinetto, si trova che il foco dei raggi visuali varia secondo la percettibilità dell’operatore, la quale non è la stessa per ogni osservatore, per cui l’immagine della camera oscura è generalmente fochizzala ad una distanza differente da persone differenti. [p. 389 modifica]‘ Modo di postare la camera oscura. — Quando si vuole ollenere un’immagine fotogralìca sopra velro, caria, o metallo, bisogna sempre disporre la camera oscura in modo che il vetro smerigliato ( nel luogo del quale il quadro impressionabile è destinato a venir collocalo) si trovi parallelo alla direzione delle linee che sono parallele nel modello da copiare e che debbono anche ricscire parallele nel disegno. così, per esempio, se si vuol copiare un monumento, gli spigoli verticali del medesimo non potranno riprodursi paralleli se il vetro non sarà loro parallelo, ossia verticale. [p. 390 modifica]Sia MNPQ il retro smerigliato supposto mollo inclinato;

0 il foco principale della lente;

AB, CD due rette parallele nell’oggetlo che si vuole riprodurre.

Supponiamo che il vetro smerigliato sia enormemente largo, infinito, che la retta AB incontri questo vetro in A e CD in C. Se si immagina calata da 0 la verticale Oo tagliante il vetro in o, egli è chiaro che l’immagine di AB si farà sulla retta Aob’.

Infatti, suppongasi un piano verticale che passi per AB e per 0, questo piano comprenderà la verticale Oo, e siccome questa taglia il vetro in o, ne segue che questo piano verticale passante per AB ed o taglierà il vetro secondo la retta Ao: ora io dico che l’immagine di AB si farà sul vetro più o meno nitida secondo Aob’.

Infatti, il vetro manovra i raggi luminosi che partono da un punto qualunque come B in modo che vadano a convergere tutti in un punto b posto ad una certa distanza da 0, ma sempre sulla retta che congiunge B con 0. L’immagine di AB non può dunque essere fuori del piano che passa per AB e per o, essa deve dunque essere sul vetro sopra la retta Aob’. Similmente l’immagine di CD deve essere sopra Cori’ che passa pel punto C in cui CD taglia il piano del vetro e per o, in cui la verticale calala da 0 taglia il vetro.

Altre rette parallele darebbero similmente delle immagini che tutte sono poste sopra rette passanti per o.

Laonde spigoli verticali danno immagini non parallele, ma convergenti verso il punto in cui la verticale calata dal centro ottico della lente taglierebbe il piano del vetro. Le immagini di questi spigoli saranno solo parallele tra loro se il vetro sarà verticale. E più in generale: le immagini di due o più parallele saranno anche parallele se il vetro sarà parallelo alla loro direzione.

Se noi supponiamo ora che la lastra di vetro smerigliato sia parallela alla retta AB, la retta Oo che è parallela ad AB sarà anche parallela alla lastra, epperciò il punto o sarà posto ad una distanza infinita. Il punto di incontro delle immagini di [p. 391 modifica]AB, CD e di tulle le loro parallele sarà dunque ad una disianza infinita.

Nel prendere la vista di un suggello archileltonico, conviene osservare che l’inlervallo esistente Ira la camera oscura e l’edifizio eguagli, se è possibile, almeno due otre volle l’allezza di esso, e che la camera oscura sia posta presso a poco al livello del centro della sua elevazione, perchè le parti più lontane dalla lente, diventando più piccole nell’immagine della camera oscura, convergerebbero verso il centro del quadro, mentre per le ragioni esposte si avrebbe anche una maggiore difficoltà nell’ottenere una sufficiente nitidezza sopra tutta la sua superficie.

Nel prendere una veduta oppure un ritratto di un gruppo di persone bisogna quando è fattibile procurare che gli oggetti siano disposti sopra di una curva, nel cui centro di curvatura si trovi la camera oscura.

È necessaria una ben grande esperienza per giudicare a prima vista della distanza a cui l’operatore deve collocare la sua camera oscura quando si tratta di copiare un monumento in modo da ottenerlo in proporzioni nè troppo piccole, nè troppo grandi. Quando l’operatore sì approssima di troppo all’oggello, p. e. se un tempio, una torre, ecc., può di rado avere lutto intiero il monumento nel suo quadro.

Lo spostamento della camera oscura in avanti ed indietro, per ottenere un disegno soddisfacente, è un affare assai noioso. Sotto un tale rapporto io mi servo con vantaggio di una piccola lente convergente di foco molto corto, cioè mi servo di un microscopio semplice, il cui foco sia di 4 oppure 5 centimetri. Porlo questa lente tra l’occhio e l’oggetto, ed osservo cosi nella mia lente il monumento rovesciato, come nel vetro smerigliato della camera oscura, e dallo spazio dal monumento occupato nella lente posso conchiudere abbastanza esattamente a quale distanza debbo mettermi per riprodurre il monumento stesso in proporzioni convenienti.

Chi non ha a sua disposizione una lente a foco molto corto può far uso di un tubo ebe in una estremità abbia una piccola apertura circolare ed all’altra estremità abbia una apertura rettangolare, i cui lati hanno tra loro lo stesso rapporto, che i lati del vetro appannato della camera oscura. Il tubo o [p. 392 modifica]è di lalla o è di cartone ed è composto di due parli, di cui l’una scorre nell’altra come un cannocchiale, esso si allunga o si restringe, e si può fare in modo che gli oggetti veduti per mezzo di esso abbiano lo stesso campo di quello che hanno nel retro appannato della camera oscura, epperciò sarò facile determinare esattamente la posizione della camera oscura, che deve essere approssimativamente quella dell’osservatore che tiene il tubo. Un tubo del diametro di 45 millim., con apertura rettangolare di 34x37 mm., della lunghezza di 32 mm. pel primo tubo, e di 40 mm. pel secondo tubo, può servire pei casi ordinari.

10’ Falsa luce sull’immagine della camera oscura. — Nel prendere una fotografia, sia una veduta, sia un ritratto, non si deve mai dimenticare di fare attenzione che non penetri nella camera oscura della luce estranea alla formazione dell’immagine, o della luce troppo forte, abbagliante, che sia contraria alla formazione di una immagine distinta. Se a ciò non si attende, l’immagine che si produce sullo strato sensibile avrò grande tendenza a velarsi al momento di svilupparla.

La falsa luce può avere accesso nello strato sensibile non solamente per causa di una cattiva costruzione, ma anche, e molto più frequentemente, per una cattiva posizione della camera oscura. Quest’ultimo caso si verifica se si trovano avanti all’oggellivo della camera oscura oggetti luminosi, od oggetti che riflettano una luce troppo viva nelle lenti dell’oggellivo.

Allorquando l’operatore si trova in circostanze tali, da non potere evitare la formazione di una falsa luce o di un bagliore sulla immagine, per causa di dover avere avanti alla camera oggetti estremamente illuminali, egli potrà renderla così piccola, che l’effetto ne sia quasi insensibile, col far uso di un diaframma più piccolo del consueto.

Se si prende una veduta bisogna fare in modo di avere la minor quantità di cielo che sia possibile, perchè il cielo, quando occupa una grande superficie sull’immagine, apporta necessariamente un bagliore sopra tutta la superfìcie, il qual bagliore sarà proporzionato alla quantità di cielo che si prende, ed alla intensità di luce che esso ha, e renderà l’immagine assai imperfetta.

Ordinariamente l’oggettivo della camera oscura è in una almo [p. 393 modifica]sfera grandemente illuminata, e può frequentemente succedere, quando si fa le vedute, che esso sia persino rasentato dai raggi stessi del sole. Ciò fa sì, che le lenti di esso trovinsi sempre esposte ad una luce diffusa assai forte, e spesso con avanti una atmosfera di corpicciuoli natanti per l’aria, illuminali dal sole,’ che diventano l’origine di altrettanti punti luminosi, i quali inviano la loro luce dentro dell’oggettivo, e concorrono a produrre una confusione nell’immagine. 11 fotografo può vincere in parte i cattivi effetti che risultano da questa circostanza, riparando il davanti dcll’oggeltivo con un cono tronco di cartone annerito internamente, il quale si stende da 20 a 30 centimetri al di là deU’oggellivo stesso, e mettendo nell’interno della camera oscura uno o più diaframmi, onde arrestare quella parte del cono di raggi, che non è necessaria alla formazione della immagine sul vetro spulilo. In questo modo si viene ad eliminare una grande quantità di falsa luce, sia diffusa, sia riflessa nelle lenti dagli oggetti laterali, per cui l’immagine che si ottiene è mollo più pura e perfetta, che non quando si opera senza alcun riguardo alla falsa luce, che sempre cerca penetrare nella camera oscura, e far peccare l’immagine iu un modo o nell’altro.

Per evitare la luce che potrebbe penetrare nella camera oscura, a traverso le giunture di essa, alcuni usano coprire intieramente la camera oscura con una tela di cotone nera prima della esposizione dello strato sensibile, alzando poi lo sportello che lo copre con far passare la mano sotto la tela nera. Questa precauzione non è certamente soverchia quando uno desidera eliminare con tutta certezza ogni causa di non successo.

Per poter evitare la falsa luce si seguano le seguenti norme: 1° Osservar bene l’immagine nel vetro spulito della camera oscura per vedere se essa è di una luce uniforme, oppure se in alcune parti cade una luce irregolare, o vi si trova l’immagine di oggetti troppo illuminali, e dei quali sia possibile far senza; 2’ Togliere il vetro spulito, e, coprendosi bene la testa e le spalle, inspczionarc l’interno della camera per vedere se alcuna delle pareli di essa manifesta una illuminazione proiettatavi daU’oggeltivo che possa riflettersi sull’immagine; 3° Osservare le lenti deU’oggellivo venendo avanti alla camera per [p. 394 modifica]vedere se esse riflettono troppa luce in alcune parti, o proveniente dal cielo, o da qualche altra parte troppo illuminata. Talli questi casi possono verilìcarsi, e se non si prende ripiego hanno per citello di rendere confusa l’immagine per causa delle maggiori aberrazioni, e degli eiTelli di diffrazione che si producono, e che hanno per risultato di rendere l’immagine prodotta sullo slrato sensibile grandemente proclive a rimanere indistinta, a velarsi nello sviluppare, e così possono essere causa di non successo e di scoraggiamento all’inesperto, il quale è disposto ad incolpare le sue preparazioni chimiche anche quando queste si trovano in perfetto ordine.

1 1 ’ Ritrarre oggetti diversamente colorali. — Quando si pone la camera oscura avanti ad oggetti colorali il fotografo deve sovvenirsi che i vari colori sono diversamente atti a venir riprodotti, perchè la luce diversamente colorata non ha la stessa azione chimica, ma variabile col colore di essa.

Gli oggetti colorali che si hanno a ritrarre sono però sempre di tal natura, che, venendo essi incontrali da una luce intensa, non possono decomporre ed assorbire tutta la luce bianca, ma una gran parte ne rimandano inalterata, quantunque al nostro occhio sembrino non riflettere che luce colorala, e ciò fa si che gli oggetti colorali con colori anlifologenici, quando si lenta di copiarli, danno sempre ancora una notevole impressione sopra lo strato sensibile.

Ciò rende possibile l’applicazione che si fa della fotografia nel copiare i quadri dipinti all’acquerello ed i quadri dipinti ad olio, ecc. Quest’applicazione della fotografia è mollo importante, e merita di essere bene studiata, perchè per essa si possono copiare e tirare in gran numero copie di quadri di celebri artisti.

La proprietà che hanno gli oggetti colorali con colori anlifologenici di lasciarsi riprodurre per causa della luce che riflettono inalterata, deve distinguersi dalla proprietà che hanno gli stessi oggetti di riflettere metallicamente la luce. Proprietà che in grado maggiore o minore lutti i corpi possiedono, e che è nociva alla formazione della immagine di essi nella camera oscura, se non viene evitata.

Per evitare la luce riflessa metallicamente dalla superficie liscia [p. 395 modifica]dell’oggetto, come p. e. succede in allo grado nelle pitture ad olio, bisogna osservare che l’oggetto sia illuminato obliquamente, e che la luce riflessa metallicamente non venga a cadere sulla camera oscura, e neppure vicino ad essa. Gli oggetti a ritrarre vogliono sempre essere illuminati fortemente quando è possibile, e le pitture a ritrarre è conveniente siano illuminale colla luce diretta del sole, perchè allora la impressione che si ottiene dallo parli colorale è più uniforme, e, se l’operatore avrà saputo porsi in modo da evitare la luce riflessa metallicamente, la immagine ottenuta sarà perfetta.

Le dagberrolipie si possono agevolmente copiare illuminandole obliquamente col mezzo del sole, e ponendole di fronte alla camera oscura. Per l’angolo di incidenza, che fa la luce eguale all’angolo di riflessione, si potrà sempre fare in modo che la luce riflessa metallicamente non penetri DeH’oggellivo, e che l’immagine sia nitida.

Luce artificiale per la fotografia notturna. — E qualche volta desiderabile poter lavorare con luce artificiale nel prendere ritratti. Il Governo americano ha la seguente composizione che serve pei segnali di luce, e che potrebbe servire nel nostro caso:

Salnitro 1 i Solfo 2 Orpimento 4.

Questa polvere si deve accendere sotto di un camino, affinchè il fumo arsenioso che si produce non riesca nocivo alla salute.

La luce elettrica potrebbe pure servire al fotografo, ma questa sarebbe troppo costosa per un tal servizio. Alcuni si servono della artificiale che abbiamo indicato a pagina 144.

Operazione VI.

Preparare i liquidi sviluppa ’ori.

Gli agenti riduttori, che in presenza del nitrato d’ argento accusano l’immagine latente presso l’albumina, sono pure capaci [p. 396 modifica]di svelarla presso il collodio, ma, come presso l’albumina si dà la preferenza all’acido gallico sopra il protosolfato di ferro e sopra l’acido pirogallico, ecc., così qui queste due ultime sostanze sono quelle che più conviene adoperare.

Soluzione di acido pirogallico.
100 grammi di acqua
6 » acido acetico cristallizzabile
0,2 » acido pirogallico.

Si incomincia per far sciogliere l’acido pirogallico nell’acqua, poscia si aggiunge l’acido acetico. Si adopera la soluzione senza aver bisogno di filtrare, ma bisogna che la soluzione dell’acido pirogallico sia perfetta, perciò essa si deve preparare almeno una mezz’ora prima di farne uso a sviluppare. Questa soluzione si deve preparare al libero contatto della luce, ed una tale proprietà è comune a tulle le soluzioni che si impiegano in fotografìa; ma essa si deve conservare nel gabinetto oscuro, e siccome una piccola quantità di essa può mettere in disordine il bagno d’argento, si deve aver cura di mettere il vaso che la contiene in un sito del gabinetto che sia ben segregato dal nitrato d’argento, e quando la si impiega a sviluppare, bisogna fare attenzione che il bagno sensibilizzatore non le sia vicino, ma il più lontano che si può.

Questa soluzione non si conserva bene per lungo tempo, ma presto spontaneamente si decompone, specialmente nell’estate; epperciò non bisogna prepararla in maggiore quantità di quella che si richiede pei bisogni della giornata.

L’acido acetico ha per effetto di temperare l’azione riduttrice dell’acido pirogallico. Quest’ultimo, senza l’aggiunta del primo, macchierebbe le prove guastando i bianchi.

Una soluzione sviluppatrice debole, cioè contenente poco acido pirogallico, richiede maggior quantità di acido acetico, perchè, altrimenti, la sua azione essendo più lenta, può decomporsi e macchiare l’immagine producendo un annebbiamento sopra di essa.

Quando si opera a bassa temperatura, la quantità dell’acido pirogallico si deve pure accrescere comparativamente a quella [p. 397 modifica]dell’acido acetico, ed inversamente quando si opera a temperatura molto elevala.

Alcuni operatori, invece di far uso di acido acetico nella preparazione dello sviluppatore, adoperano l’acido citrico, ed anche l’acido formico. Il signor De Latrcille, nel suo egregio trattato di fotografia, propone quest’ultimo acido in quantità presso a poco eguale a quella che abbiamo prescritto per l’acido acetico (a). L’acido citrico non ci pare sia conveniente fuorchè allorquando si vogliono produrre delle prove positive destinale ad essere osservale per trasparenza, perchè esso produce dei neri perfetti, mentre coll’acido acetico non si ottengono che neri poco intensi, e volgenti o al bruno o al rosso.

Quando si usa l’acido citrico, il liquido sviluppatore potrà essere composto come segue:

100 grammi acqua 0,2 » acido pirogallico

0,1 » » citrico

1 0 » alcool.

L’alcool si potrà aggiungere od omettere, secondo la natura

del collodio e del bagno sensibilizzatore. In generale, quando il sensibilizzatore è nuovo, esso non è necessario. Esso può aggiungersi anche quando si impiega l’acido acetico, come nella forinola di sopra; il suo effetto è quello di aumentare la facoltà che ha il bagno di stendersi sullo strato di collodio, la quale facoltà è però più grande quando si usa l’acido acetico, che non quando si usa l’acido citrico.

La soluzione di acido pirogallico impiegasi ora più, ora meno concentrala. La soluzione poco concentrala produce maggiori contrasti di chiari e di scuri. Invece la soluzione mollo concentrala produce gradazioni di tinte più dolci, più armoniche. Se la soluzione sviluppalricc è debole, la sua azione si manifesta dapprima soltanto nei lumi, e l’azione si continua in essi in modo da renderli esagerali senza che le ombre possano svilupparsi sufficientemente. Con una soluzione sviluppalrice più forte

(a) Rèperloire Gènèral de Photographie, par-M. E. de Latreille. Paris, 1858. [p. 398 modifica]la ridazione è rapida e proporzionala alla impressione luminosa prodotta sullo strato, e così i dettagli nelle ombre sono rapidamente prodotti nel massimo grado.

L’acido pirogallico è alcune volte incapace di comunicare al disegno la voluta intensità, e ciò succede quando la posa fu troppo breve. Per rinforzare il disegno si prenda una soluzione di nitrato d’argento composto di

4 grammi di nitrato d’argento 4 00 » acqua.

Si mescoli a parti eguali colla predetta soluzione di acido pirogallico, e si sparga sopra dell’immagine da inlensare. Il miscuglio di queste due soluzioni non si deve fare che al momento di adoperarlo, perchè si decompone mollo presto.

Osservazione.

Soluzione di protosolfato di ferro. — Molti operatori nello sviluppare trovano più vantaggioso dell’acido pirogallico il protosoifato di ferro, in quanto che questo possiede il pregio di dare una più grande morbidezza di lumi e di ombre. Ecco in qual modo si potrebbe preparare a tal uopo una soluzione di questo sale:

100 grammi di acqua

2 » prolosolfato di ferro

• 5 » acido acetico cristallizzabile

5 » alcool.

Si fa sciogliere nell’acqua il prolosolfato di ferro o vetriolo verde, dopo si aggiunge l’acido acetico e l’alcool, si mescola la soluzione, e si filtra.

Questo bagno è, come gli altri agenti riduttori, insufficiente a sviluppare l’immagine se la prova sensibilizzala si lava nell’acqua prima di sviluppare, in modo da togliere lutto il nitrato d’argento dallo strato impressionato dai raggi luminosi, ma nel caso opposto l’immagine istantaneamente si sviluppa sotto l’azione di questo liquido. [p. 399 modifica]Succede quasi sempre che l’immagine non riceve una sufficiente intensità col mezzo di questo bagno, epperciò conviene rinforzare le tinte con lavare dapprima la prova con acqua, quindi ricoprirla colla soluzione di nitrato d’argento al 4 per 400 sopraddetta, che si rimpiazza in ultimo con una nuova quantità di bagno di ferro.

È però d’ordinario cosa più vantaggiosa, perchè si ottiene più facilmente una grande intensità nelle tinte, il rinforzare la prova con un miscuglio composto di

Grammi 400 acqua

> 0,5 acido pirogallico

» 0,2 » citrico;

col quale miscuglio l’immagine non mancherà di guadagnare una grande intensità, conservando tuttavia una grande purezza nelle parti chiare.

Avvertirò il lettore che la soluzione di nitrato d’argento al 4 per <00, che sopra venne indicata, non dovrebbe comporsi dilungando semplicemente il bagno sensibilizzatore, come uno sarebbe tentato di fare in certe circostanze; e ciò perchè questo bagno, anche quando è in buono stato, non può dirsi che sia una soluzione di nitrato d’argento nel rigoroso senso della parola, ma è un miscuglio molto complesso, il quale, quando viene impiegato a rinforzare la prova negativa, può facilmente macchiarla e guastarla intieramente.

Il solfato di ferro circa il suo uso nello sviluppare incontrò dapprima molle difficoltà derivanti in parte da ciò che la sua soluzione si impiegava ad un grado di concentrazione troppo forte. Ora molti fotografi lo hanno adottato con pieno successo, o solo o alternativamente, coll’acido pirogallico al modo or ora indicalo. Nel Giornale di fotografia del Colonnello O. Baratti, che dai pochi numeri venuti in luce apparisce tanto interessante pel dotto, come utile pel pratico (a), noi troviamo proposto, per sviluppare, l’uso del solfato di ferro in forma di sale doppio ammoniacale. Il sale doppio di solfato di ferro ed amia) La Camera oscura, Rivista universale dei progressi della fotografia. Milano, piazza S. Ambrogio, N. 8. [p. 400 modifica]moniaca è stabile, non si ossida in contatto dell’aria, ed il suo impiego non pub a meno di rìescirc vantaggioso, impiegandolo in dose più forte che non il solfato semplice, ossia in ragione del suo equivalente chimico. — 11 signor Meynier inventore di questo procedimento opera nel modo seguente. Scioglie in 100 grammi di acqua 5 grammi di solfato doppio di ferro ed ammoniaca, aggiunge alla soluzione 20 grammi di acido acetico a 8°, 8 grammi di alcool a 36, ed impiega la soluzione al modo ordinario. Il così detto allume di ferro, che è un sale analogo al sale doppio qui indicato, in cui l’ammoniaca ò sostituita dalla potassa, dovrebbe essere egualmente vantaggioso.

Il solfato di ferro, quando viene adoperato a sviluppare una prova sensibilizzala con nitrato d’ argento fortemente acidulato con acido nitrico, produce una immagine negativa, in cui il deposito di argento ha un’apparenza cristallina.

Operazione VII.

Sviluppare la prova.

La lastra collodionata sensibile, appena che sia stata impressionala nella camera oscura, si deve riportare immediatamente nel gabinetto illuminato con luce gialla per aggredirla col bagno sviluppatore.

Per eseguire questa operazione l’operatore si pone avanti alla finestra gialla, o avanti al lume circondato di vetro di color giallo, e tolta la lastra dal quadro che servi a portarla nella camera oscura, la colloca ben a livello su di un treppiede a viti calanti, oppure la. sostiene col così detto pistolet, oppure anche, ciò che è più comunemente praticato, la sostiene per un angolo con due dita ddla mano sinistra. Si esamina per un momento l’aspetto che presenta la lastra impressionata, quindi vi si versa sopra la soluzione sviluppatrice in tanta quantità, che essa possa coprire tutto lo strato senza lasciarne alcuna parte allo scoperto. Dopo alcuni istanti di riposo si dà un legger molo alla lastra, inclinandola e rialzandola, onde imprimere un lieve flusso e riflusso al liquido.

[p. 401 modifica]Quando la posa è piuttosto lunga, e che lo svolgimento può effettuarsi celeremcnte, è meglio non agitare la lastra per lasciare il liquido in riposo sopra di essa sino a che l’immagine si sia terminala. In questo caso non bisogna versare il liquido sul mezzo della lastra, ma per un angolo di essa, da cui si fa scorrere con una conveniente inclinazione in modo che possa ricoprire tutta la superficie impressionata. così l’immagine riesce ben pura e solo contornata nei suoi margini di un filo nero prodotto dall’accumulazione in essi di un eccesso di nitrato di argento portatovi dallo sviluppatore col suo passaggio sullo strato.

Se nello sviluppare la prova si fa uso della soluzione di acido pirogallico, si troverà che dopo qualche tempo ( il qual tempo è generalmente tanto più lungo, quanto più io buon stato era il sensibilizzatore, o quanto più pura e meno concentrata era la soluzione di nitrato che dopo dell’operazione del sensibilizzare servi a lavare lo strato sensibilizzato; il liquido incomincia ad alterarsi ed assumere un aspetto bruno sopra della lastra. Finchè il liquido stesso si conserva trasparente non è nocivo quantunque sia colorato in bruno, ma se si intorbida allora depone immancabilmente dei precipitati sull’immagine in modo così irregolare che essa ne diventa tutta macchiata. Il fotografo che si avvede di ciò non deve accontentarsi di agitare il liquido inclinando la lastra, o versandolo dalla lastra in un bicchiere a becco, od in uno sviluppatore di vetro (recipiente assai utile), e da questo nella lastra successivamente tante volte che basti sino a terminare lo svolgimento. Perchè in tal modo vi è sempre ancor pericolo di avere dei precipitati stabili sull’immagine. Sarà più sicuro il rigettare la soluzione che si intorbida e versare sulla lastra una nuova quantità di acido pirogallico, che quantunque più lentamente, per la diminuzione del nitrato sullo strato, svilupperà tuttavia l’immagine, e quando questa si erede sia convenientemente sviluppata si versa ne) vaso ad hoc la soluzione sviluppalrice, e lenendo colla mano sinistra la lastra inclinata sul vaso si avvicina la lastra stessa al lume della lampada circondata da vetro, o carta oliata, di color giallo o rosso, oppure si osserva avanti alla finestra gialla se il laboratorio è con essa illuminato, e si esamina bene il disegno in tulle le sue parti. Se la prova si

26 Fotografia. [p. 402 modifica]giudica infatti abbastanza ben venula, e vigorosa la si lava nell’acqua per fermare ogni ulteriore azione del liquido sviluppatore.

Se la prova, quantunque venula con tutti i suoi dettagli non presenta una sufficiente intensità, l’operatore farà il miscuglio sopraddetto di acido pirogallico in soluzione e di nitrato d’argento al 4 per 4 00, e lo verserà sulla immagine che in breve tempo acquisterà la voluta intensità. Questo miscuglio decomponendosi prontamente ed intorbidandosi, non si dovrà lasciare tranquillo sulla lastra, ma agitarlo e trarlo in continuo molo.

Faremo però osservare, che quando l’operazione è condotta come si deve, cioè che il sensibilizzatore, e lo sriluppatore sono in buon ordine per lavorare, e che la posa non fu troppo breve, non deve succedere tanto tormentarsi dell’operatore quando esso, sviluppa le sue prove coll’acido pirogallico; sarà dunque una eccezione se si dovrà inlensarc la prova, o rigettare il rivelatore versato sulla lastra per insufficienza, o per timore delle macchie, la regola essendo che il disegno, od immagine fotografica, sia perfetta ai primo tocco dello sviluppatore, perchè quando ciò non è, raramente si potrà avere una prova passabile non ostante tutte le cure che uno possa prendersi, e non ostante tutti i precetti che si possano dare. Quando si sviluppa colla soluzione ferrica la cosa è in altri termini come diremo.

Generalmente parlando, nello sviluppare non si deve temere di lasciar venir troppo robusta la prova negativa su collodio, perchè è più facile il cadere nel difetto opposto. così nei ritratti si lascierà venir nera la camicia e relativamente oscuri il fronte, il pomello della gola più illuminata, le mani, ecc.; gli abiti dovranno venire coi maggiori dettagli possibili, ritenendo sempre che nello estricamenln dell’Immagine si deve interrogare specialmente la buona venuta della faccia, fosse anche a detrimento del resto.

La prova ottenuta si lava con acqua. La miglior maniera di ciò eseguire consiste nel versare sulla lastra, che si tiene per un angolo, dell’acqua che si fa cadere da una bottiglia con sotti! getto. Per lavare una prova di piastra intiera, cent. 1 ’ 18X84, occorre circa un mezzo litro di acqua. Con una minor quantità di acqua la lastra può non perdere il suo aspetto grasso, e così non [p. 403 modifica]essere abbastanza lavata, e liberala dai liquidi sviluppatori, i quali possono far macchiare la prova nel fissarla. La prova ben lavala si può portare alla luce diffusa del giorno per Qssarla con iposolfito di soda come diremo.

Prima di chiudere questo capitolo noi dobbiamo ancora arrestarci un istante sul modo di sviluppare col mezzo del prolosolfato di ferro.

La soluzione di protosolfato di ferro, mentre svolge l’immagine fotografica con tutti i suoi dettagli, ordinariamente non comunica ai neri una grande intensità, quantunque essa produca in breve tempo lo svolgimento della immagine. Questo rapido svolgimento si arresta subito, e sarebbe inutile il prolungare l’azione della soluzione sulla lastra. Perciò l’operatore laverà con acqua la prova sviluppata col ferro e quindi la ricoprirà colla soluzione più sopra indicala di nitrato d’argento al 4 per 100, che dopo breve riposo sulla lastra si versa in un bicchiere ad hoc, e quindi si ricoprirà la prova con soluzione di acido pirogallico al; per 100 e contenente 0,2 per 100 di acido citrico, e quest’ultimo liquido si lascierà sull’immagine sino a che questa abbia acquistato la voluta intensità.

Alcuni mescolano la soluzione del nitrato colla soluzione di acido pirogallico, e la versano così, subito dopo avere fatto il miscuglio, sull’Immagine che riceverà egualmente la cercata intensità, ma con minor perfezione.

Il solfato di ferro quando gli si aggiunge un poco di acido formico acquista un forza ridutlrice mollo più energica, per cui può sviluppare l’immagine quando la posa fu solo istantanea secondo alcuni autori. Per le prove istantanee ciò che è più importante è l’oggettivo. In questo la lente deve avere una apertura del diametro almeno eguale al decimo della lunghezza dei suo foco equivalente. Operando con un diametro di apertura eguale al sesto del foco equivalente si potrebbe ancora ottenere una immagine discreta in un tempo molto più breve.

Osservazioni.

t’ Indicazioni della lastra durante lo svolgimento. — Osservando una immagine mentre che si svolge sotto l’azione dei [p. 404 modifica]liquidi rivelatori, il principiante imparerà a conoscere la sensibilità del collodio impiegato, e regolarsi sul tempo di esposizione nella camera oscura per arrivare ad ottenere risultati perfetti.

Se lo svolgimento si fa molto lento e le ombre non accusano i minori dettagli, mentre le parti illuminale dell’oggetto diventano intense, e se il disegno stesso, fissandolo coll’iposolfito o cianuro, diventa positivo per riflessione, mentre per luce trasmessa appare assai incompleto, sarà indubitatamente stato troppo breve il tempo impiegato nella posa.

Una posa eccessivamente lunga si riconosce da ciò che l’immagine si sviluppa istantaneamente, e si ricopre di una nebbia che impedisce di vedere il disegno per luce riflessa, e che fa veder le ombre imbrunite, semi-velate, invece di conservare la necessaria trasparenza, onde il disegno possa avere un sufficiente contrasto di chiari e di oscuri.

Quando si opera con oggettivi di foco corto e con molta luce, come quando p. e. si fanno i ritraili all’aperto, può succedere che dopo una posa ordinaria di pochi secondi lo svolgimento dell’immagine si produca così rapidamente, che appena versato lo sviluppatore lutto lo strato si trovi annerito uniformemente. In tale circostanza il rimedio è facile, cioè basta mettere un diaframma all’oggeltivo, o diminuire la durala del tempo della posa.

Quando invece la posa venne convenientemente effettuala, l’immagine è rapida nello svilupparsi, cosicchè in due o tre minuti sarà sviluppata. Essa veduta per trasmissione apparirà distinta con un ben proporzionato contrasto di chiari e di oscuri; essa quando è fissata sarà un po’ meno intensa, ma tuttavia distinta se si vede per trasmissione, e se si vede per luce riflessa sarà poco distinta, perchè essa è troppo robusta per poter conservare una perfetta trasparenza nelle ombre come è necessario alle positive dirette.

2’ Annebbiamento dell’immagine. — I fotografi sanno che lo strato impressionato nella camera oscura va qualche volta soggetto a ricevere un imbrunimenlo sopra tutta la sua superficie quando viene toccato con liquidi rivelatori. Questo imbrunimenlo è ora più, ora meno forte, secondo i vari casi, ed esso ha l’apparenza di un velo, o a dir meglio di una nebbia più o meno fitta, che copre l’immagine. [p. 405 modifica]Questo difetto si manifesta quando lo strato sensibile non venne conservato bene al riparo dalla luce prima e dopo della sua esposizione e quando nella camera oscura può introdursi molta luce diffusa, come quando essa non è ben chiusa nelle sue giunture, o vengono usati oggettivi con troppo grande apertura angolare. Lo stesso effetto può ancora e piò frequentemente succedere per causa dell’impurità del collodio quando questo venne preparato con spirili impuri, melilati, od ha proprietà alcaline; per causa di qualche alterazione del bagno sensibilizzatore, principalmente quando questo viene a contenere dell’ossido d’argento libero, del nitrito d’argento, degli acetati, e delle sostanze organiche estranee.

Il rimedio a questo difetto sarà diverso secondo le cause, da cui esso procede. Se dal collodio, gli si aggiungerà dell’iodio, o qualche goccia di acido muriatico. Se dal bagno sensibilizzatore, con l’aggiunta di un po’ di iodio, o di alcune goccie di acido nitrico, oppure, come già avvertimmo, esponendolo per alcune ore alla luce diretta del sole che farà precipitare in forma di nero deposito le materie organiche estranee in combinazione con ossido d’argento.

L’annebbiamento della prova negativa potrebbe anche essere dovuto ad una imperfezione dello sviluppatore, o da una troppo grande concentrazione di esso. In questo caso rendendo un po’ più acido lo sviluppatore stesso, oppure dilungandolo se fa d’uopo, si troverà il rimedio efficace per ottenere senz’altro buoni risultali.

In generale l’annebbiamento deriva da una troppo facile riduzione del sale d’argento steso sullo strato. Tutto ciò, che si oppone a questa tendenza, servirà a togliere l’inconveniente. Perciò gli acidi per la loro proprietà anli-ridullrice sono quelli, che bisogna principalmente adoperare per rimediare al difetto dello annebbiamento delle prove negative.

3’ Macchie di ferro, e dargenlo. — 11 solfato di ferro ed il nitrato d’argento quando sono in soluzione macchiano fortemente gli oggetti che toccano, deponendo sopra di essi l’ossido metallico che è bruno presso il ferro, ed è nero presso l’argento.

Le macchie che il solfato di ferro produce sulla tela sono egualmente solide di quelle del nitrato d’argento all’azione degli alcali e del sapone, ma se si aggrediscono con una so [p. 406 modifica]luzione calda e concentrala ili biossalato di potassa ( sale di acetosella) non tardano a scomparire senza lasciar la più piccola traccia. La tela non soffre minimamente in questo trattamento, purchè si lavi ben bene nell’acqua prima di lasciarla seccare.

Le macchie lasciate sulla tela dal nitrato d’argento sono più difficili a far partire senza nuocere alla solidità, della tela stessa. Quando sono fresche le macchie sono facilmente eliminale dal cianuro di potassio, ma quando sono vecchie, e molto intense si faranno partire toccandole con ioduro di potassio in soluzione concentrata, cui si aggiunge una piccola quantità di iodio. Questo si combina collargenlo e forma un sale doppio solubile coll’ioduro di potassio, per cui la macchia scompare, e se si lava ora la tela con acqua più non ricompare. Vi sono altri mezzi anche più potenti per levare le macchie d’argento. Toccandole con acqua di cloro o con cloruro di calce, addizionato del decimo del suo peso di acido solforico, scompariranno, ma affinchè più non ritornino, e la tela non sia danneggiata, bisogna lavare tosto la tela con acqua; quindi con una soluzione alcalina di iposolfito di soda che scioglie il cloruro d’ argento formatosi ed infine si termina lavando con acqua e facendo seccare.

Per far partire le macchie di nitrato d’argento dalle mani, le quali macchie sono inevitabili presso chi lavora intorno alle manipolazioni fotografiche, non si ha che a toccare le macchie stesse con una soluzione concentratissima di ioduro di potassio. Dapprima pare che le macchie non perdano che poco della loro intensità, ma per causa deU’assorbimento che succede del sale tra i pori della cute, ne avviene che queste macchie in poco tempo da se stesse si distruggono, e rimangono fra i pori della pelle in istato di sale doppio privo di colore sino a che con altri lavamenli delle mani possano venir del tutto eliminale.

Operazione Vili.

Preparare i liquidi fissatori.

Gli agenti che vengono impiegali a fissare la prova su collodio sono l’iposolfito di soda ed il cianuro di potassio. L’iposolfito [p. 407 modifica]è quello che si preferisce per fissare le prove negative, ed i| cianuro di potassio è da anteporsi all’iposoltito di soda per fissare le così dette prove alabastrine, ossia le positive su vetro.

La soluzione di iposolfito bisogna che sia mollo concentrata per sciogliere in breve tempo tutto il sale d’argento non alterato, non annerito dalla luce e dai liquidi sviluppatori; ordinariamente esso si prepara nella proporzione seguente:

Sopra 4 00 parti di acqua

40 » iposolfito di soda;

si filtra la soluzione se riesce torbida, per liberarla dalle materie in sospensione che potrebbero inquinare lo strato della prova, che deve rimanere della massima purezza.

Il cianuro di potassio, avendo un’azione più energica sui sali d’argento, produce lo stesso effetto in dose molto più piccola. Perciò la soluzione del cianuro di potassio deve essere poco concentrala, essere p. e. composta di

4 parti di cianuro di potassio 1 00 » acqua.

Alcuni impiegano una quantità di cianuro anche più piccola. Il signor Monckhoven la propone nella proporzione del 2 ’/, per 100 (a). Ma questo prodotto del commercio essendo di bontà variabile, avviene spesso che lo si debba impiegare in dose più forte.

Quando il fotografo potrà esimersi dall’uso del cianuro di potassio, farà bene rinunciare ad esso, e ricorrere all’iposolfito, che non ha le proprietà velenose del cianuro.

1 liquidi fissatori si devono preparare e conservare fuori del gabinetto oscuro, sia perchè altrimenti vi sarebbe pericolo che nell’adoperarli venissero a guastare i bagni sensibilizzatori e sviluppatori, sia perchè l’uso dei liquidi fissatori può senza inconvenienti aver luogo al libero contatto della luce.

(o) Pèpertoire gènèral de Photographie, 3“’ èditioo. Paris, 1859. [p. 408 modifica]PARTE PRIMA

Osservazione.

Soluzione di gomma arabica, — Il collodio essendo molto meno tenace dell’albumina, richiede spesso un mezzo di fissazione di altra natura, che ha per iscopo di renderlo più resistente, onde la prova non venga a rigarsi e screpolarsi nella riproduzione delle prove positive. Questo mezzo sta nel ricoprire la prova con una vernice essiccativa, o più semplicemente con una soluzione di gomma arabica composta di

100 parli di acqua 10 » gomma arabica.

La soluzione si fa passare per tela fitta, affine di depurarla dalle materie più grossolane. e si lascia riposare per qualche tempo prima di adoperarla. Frequentemente la si adopera meno concentrata, p. c. solo al cinque per 100.

Questo secondo fissamcnlo diviene necessario quando si vogliono tirare molte positive da un solo tipo; ma è spesso inutile quando non si vuole produrre che poche prove, principalmente se il collodio non è contrattile, ed è abbastanza tenace ed adesivo al vetro.

La vernice, qualunque essa siasi, mentre rende più solido lo strato di collodio, toglie a queslo una parte della sua limpidezza, della sua trasparenza, per cui, quando si può, è meglio farne senza.

Operazione IX.

Fissare la prova e terminarla.

La prova che è bene sviluppala e che è ben lavala con acqua potendosi portare in contatto della luce diffusa del giorno senza che si alteri sensibilmente, ne nasce che l’operazione del fissare la prova si può eseguire fuori del gabinetto oscuro. Ciò è molto utile ed aggradevole al fotografo. [p. 409 modifica]Quando si ha una provo a (issare, bisogna dunque fare attenzione che nella camera attigua al gabinetto oscuro, in cui si vuole eseguire questa operazione, siano all’ordine i liquidi fissatori, e che vi sia dell’acqua in abbondanza; che l’aria non sia agitala, perchè allora essa trasporla della polvere che, venendo a cadere sulla prova, la guasta, e ciò facilmente succede quando si forma un tiro d’aria tra due aperture opposte.

La prova sviluppata e lavala con acqua si deve subito fissare appena sortita dal gabinetto oscuro, e per ciò eseguire la si ricopre tutta colla soluzione fissalrìce, e questa si lascia sullo strato sino a che esso abbia perduto il suo aspetto biancastro, opaco, e sia diventato perfettamente trasparente nei bianchi.

Cn tale effetto, quando il collodio non era troppo denso e contrattile, e non era preparato con una quantità di ioduro e bromuro troppo grande, succede molto presto, p. e. in due o tre minuti di tempo, specialmente quando l’iposolfito di soda iO per 100, o la soluzione di cianuro di potassio sono da poco tempo in uso.

Appena che l’operatore vede essere perfetta la trasparenza, verserà nel vaso ad hoc la soluzione fissalrice, e quindi laverà la prova facendo cadere sopra di essa un soltil getto di acqua, la quale acqua è bene che sia stata per alcun tempo in riposo, oppure sia stala filtrala per tela fitta o per carta bibula, perchè le impurità che l’acqua corrente contiene in sospensione sono capaci di attaccarsi allo strato e diminuire la sua purità. La quantità di acqua che può occorrere per lavare una prova di placca (a) intiera, quando la si fa cadere in forma di sottile getto, è circa di un litro, e ciò servirà di norma ai principianti che ora lavano troppo poco, ora lavano troppo lungamente la prova, con pericolo di lacerarla

Una precauzione che l’operatore deve prendere nel fissare, e da cui dipende in gran parte la perfetta riuscita, è questa che si deve evitare per quanto è possibile che il liquido fissatore

(a) Questo gallicismo viene spesso usato dai fotografi italiani. Esso non lo trovo nel dizionario del Trainater, Napoli 1830. Si dovrebbe dire lastra oppure anche piastra. [p. 410 modifica]venga a scorrere sotto la pellicola, tra essa ed il vetro, perchè quando ciò succede è difficile eseguire un lavamenlo perfetto dello strato. Quando si vede che il collodio si solleva e si stacca dal vetro per uno dei suoi angoli, si deve aver cura di versar via il liquido fissatore per un tale angolo, e non per l’angolo opposto, e si deve lavare con acqua lo strato lenendo la lastra inclinala allo stesso modo, perchè altrimenti il liquido, tornando indietro, penetrerebbe nel centro della prova tra il vetro e la pellicola, da cui è difficile farlo partire.

La prova che è lavata si pone a seccare inclinata contro ad un muro in modo clic l’angolo più basso sia ancora quello da cui si fece partire il liquido fissatore e l’acqua lavatrice, e quest’angolo non deve mettersi sopra di una superficie impropria, polverosa, ma sopra un pezzo di carta bibula, perchè si producono delle correnti derivanti da un’azione capillare, per cui la polvere verrebbe a sollevarsi su per il vetro, ed attaccarsi nella pellicola, e sporcarla irrcmcdiabilmente. Lo strato che porta l’immagine è meglio sia rivolto verso il muro nel seccare, perchè cosi è meno esposto agli accidenti che possono guastarlo. La prova si potrebbe pure far seccare sopra il calore di una lampada accesa, ma qui bisognerà che l’operatore sappia che un calore un po’ forte non è permesso, perchè la pellicola su cui si ha l’immagine è estremamente combustibile; essa è cotone fulminante colle sue proprietà primitive.

Questa operazione del fissare la prova è facilissima a bene eseguire; la sola precauzione importante a prendersi è di non far cader l’acqua sullo strato da una altezza troppo grande, nè in troppo grande quantità, onde non lacerarlo, e prolungare il lavamento sino a che tutto l’iposolfito sia allontanato, perchè altrimenti la prova non sarebbe solida.

Osservazioni.

l’ Rinvigorire una prova debole. — Quando le tinte dell’immagine fissata coll’iposolfito di soda non sono della intensità che si desidera, vi è modo di renderle più intense, più vigorose. Ecco come si opera: La prova che si vuole inlensare si lava ben bene [p. 411 modifica]ili

nell’acqua, poi si traila con mirato d’argento al i per 100, si toglie la più gran parte del nitrato, lasciando per un momento sgocciolare la lastra, e poi si copre lo strato con la soluzione più sopra descritta di acido pirogallico, la quale produrrà subito il desiderato intensamenlo. Ma per riuscire in questa operazione cosi che i bianchi dell’iinmagine non vengano essi pure annerili nè tanto, nè poco, conviene che la prova sia stata lavata con una cura e con un’abbondanza maggiore del consueto. Infatti, se nello strato che porla l’immagine si trova ancora una anche tenuissima quantità di iposolfito di soda, non solo si renderà la prova più perfetta volendola inlensare, ma la si guasterà afTatlo, e si renderà inservibile.

Quando il nitrato d’argento si trova in contatto dell’acido pirogallico in soluzione nell’acqua ed addizionato di acido acetico o di acido citrico, non larda a decomporsi come sappiamo. Se il miscuglio appena fatto si versa sopra di una prova, i neri di questa hanno la proprietà di attirare a se stessi i precipitati neri, che si vanno formando nel miscuglio, e così diventano più intensi. Qui le parli nere dell’immagine agiscono in modo analogo a ciò che vediamo succedere in una concentrata soluzione salina, in cui i cristalli presenti attirano a se stessi le parli solide del bagno a misura che si vanno liberando per evaporazione o raffreddamento. Quando l’inlensamento ha raggiunto il grado desiderato, si ferma l’azione del miscuglio lavando con moll’acqua, e poscia trattando con iposolfito di soda, e lavando in ultimo con acqua al modo che si usa quando si fìssa la prova.

Vi sono altre vie per inlensare le prove, ma esse essendo meno convenienti di quella che abbiamo or ora accennata, perchè o sono più complicale e lunghe, od hanno per effetto di togliere la tenacità ed adesività dello strato sul vetro, sarà meglio passar oltre, che parlar di esse.

2’ 1 issare il collodio con una vernice. — Quando il collodio è dotato di una tenacità ed adesività sufficiente, e che lo strato non venne indebolito da una troppo prolungata azione dei liquidi rivelatori, la prova negativa otteuula può senz’altro servire a produrre delle positive. Diversamente bisogna coprire la prova colla soluzione di gomma arabica, composta, come dissimo nel [p. 412 modifica]capo precedente, o di altra vernice atta a proteggere la sua

fragilità.

La soluzione di gomma arabica si deve versare sullo strato dì collodio mentre questo è ancor umido, e si distribuisce sopra tutta la superfìcie della prova inclinando leggermente il vetro, come si fece per coilodionare. Versando invece la soluzione gommosa sullo strato di collodio secco, nella persuasione di potere poi stenderla col mezzo di un bioccolo di cotone, operando come abbiamo veduto presso l’albumina, si trova che spesso lo strato di collodio si lacera sin dai primi istanti in modo irreparabile, per causa della sola forza di dilatazione esercitatavi dal liquido inegualmente distribuito. Si vede a foriiori che se si volesse far uso del cotone, non si mancherebbe di guastare l’immagine.

Alcuni operatori, invece della gomma, fanno uso dell’albumina dilungala con acqua, che stendono sulla prova e poi fanno seccare; altri poi ricorrono a vernici resinose, p. e.;

Vernice copal del commercio t parte Benzina 2 parli

oppure anche:

Alcool a 36° 1 00 parti Benzoino. 4 0 »

Il signor L G Kleffel nel suo Ilandbuch der Plwtographie (Braunschweig 4861) prescrive, come preservativo, una vernice

composta di 100 resina dammara 480 Benzina.

Queste vernici resinose mi sembrano più convenienti che non la vernice alla gomma ed all’albumina, perchè sono più efficaci nel riparare la prova principalmente dalla umidità che potesse avere la carta positiva.

3 a Positive dirette. — Come abbiamo dello prima d’ ora, il collodio per la sua natura permeabile cedendo facilmente tutto il ioduro d’argento inalterato alla soluzione concentrala di iposolfito di soda, viene da questo reso di una trasparenza perfetta nei siti che non vennero impressionali dalla luce. Da ciò ne nasce che se la prova fissata coll’iposolfito di soda 40 per [p. 413 modifica]si pone sopra di un fondo nero, si ha sott’occhio una prova positiva, la quale sarà tanlo più perfetta, quanto più l’esposizione non sarà slata troppo prolungala. Infatti con una posa molto lunga le parti oscure del modello, avendo tempo di decomporre, di ridurre parzialmente il sale d’argento sensibile alla luce, producono una impressione corrispondente che diminuisce o toglie la trasparenza necessaria nelle ombre.

In questa prima parte dei procedimenti fotografici essendoci noi prefissi di trattare specialmente delle prove negative, sembra fuori di luogo questa osservazione che tratta delle prove positivo dirette. Tuttavia ci siamo decisi a mettere in questo luogo la descrizione del procedimento che conduce ad ottenere direttamente delle positive invece di prove negative, per la grandissima analogia che le manipolazioni di questo procedimento hanno colle manipolazioni or ora descritte, per cui basterà accennarle per farci tosto comprendere dal lettore, che abbia imparato a conoscere il modo di produrre le prove negative, mentre se dovessimo aspettare a trattare di questo procedimento nella parte in cui si descrive il modo di produrre su carta le positive, dovremmo forse ripetere la descrizione delle manipolazioni sopraddette.

Il procedimento delle positive dirette viene praticato in grande da alcuni fotografi di professione, non tanto per la bellezza artistica de’ suoi prodotti, quanto per la facilità dell’esecuzione, il piccol costo e la economia di tempo che esso offre. Questo procedimento venne in Inghilterra chiamato col nome di procedimento alabastrino, perchè col suo mezzo si ottengono prove che presentano nei bianchi l’aspetto dell’alabastro.

La prova debole fissata col solo iposolfito presenta una immagine positiva, quando la si osserva per luce riflessa sopra un fondo nero, che è leggermente bruna, ed essa non è quella che si intende sotto il nome di alabastrina. Una prova alabastrina della massima purezza si ottiene:

f° Quando il bagno sensibilizzatore venne reso acido con acido nitrico, p. e. con 1 per 100 di acido nitrico.

2° Quando lo sviluppatore è composto con solfato di ferro invece di essere composto con acido pirogallico, p. e.: [p. 414 modifica]2 parti solfato di ferro 2 » nitrato di potassa

4 » acido acetico

6 » alcool

100 » acqua.

3» Quando la prova sviluppata venne fissata con cianuro di potassio.

4° Quando la prova fissala venne lavata ben bene con acqua fredda, e poi ancora con acqua calda.

5° Finalmente quando la prova così ottenuta si tratta mentre che è ancor umida con una soluzione composta di

100 parli di acqua 5 » di bicloruro di mercurio

1 » di acido cloroidrico,

oppure- anche con

<00 parti acqua distillata

2 » bicloruro di mercurio

4 » acido cloroidrico

4 » protosolfato di ferro

1 n nitrato di potassa

4 » alcool.

Sotto l’azione di una di queste due ultime soluzioni il disegno scompare dapprima, ma dopo riprende una grande bellezza. Aumentando la dose dell’acido cloroidrico, la purezza dell’immagine pare accrescersi maggiormente. Per fissare la prova ottenuta in questo modo, si lava con acqua, e si fa seccare. Bisogna evitare il contatto dei sali solforosi che hanno per effetto di imbrunire l’immagine, perciò l’acqua che si fa servire a lavare la prova e preparare la soluzione deve essere della più grande purezza possibile. Si potrebbe ottenere la prova alabastrina senza ricorrere al cloruro di mercurio, ed a tale effetto la prova fissala col cianuro si bagna con alcool, e quindi con una dilungata soluzione alcoolica di iodio e di ioduro di potassio, e si termina lavando con acqua.

Le prove positive dirette dovendosi osservare sopra fondo nero, [p. 415 modifica]MS

ne nasce che il loro rovescio usasi coprire con vernice nera o nero bruna, composta p e. di i asfalto ed 8 benzina. Se si producono queste prove su vetro nero bruno, l’immagine lissala non ha più bisogno di vernice. Ma in ambi i casi gli oggetti appariscono rovesciati, cioè le parti a destra sono portale a sinistra, come nelle daghcrrotipie, perciò si propose di ricoprire direttamente lo strato colla sopraddetta vernice nera, o semplicemente con velluto nero, o tela incerata, onde l’immagine osservata dalla parte del vetro possa presentare gli oggetti nella loro naturale posizione.

Le positive dirette si producono ordinariamente sopra vetro comune, ma quando queste positive si vogliono portare su tela incerata, come alcuni fanno, allora bisogna produrle sulle lastre di cristallo, e non sulle lastre di vetro comune.

Per trasportare il collodio su tela incerata, ecco come opera il signor Loecherer {a).

Si leva i margini dello strato lavato ed ancor umido per la larghezza di un mezzo centimetro circa. Si versa su di esso un miscuglio di 2 1 goccie di acido solforico e di circa un mezzo litro d’acqua, dopo 5 minuti si getta via, si lava nuovamente con acqua. Quando la lastra è così sgocciolala, che da essa non cade più altra acqua, si porta sullo strato la tela incerala nera tagliata più piccola del vetro. La si fa ben combaciare col collodio mettendovi sopra un piccol cartolare di carta da filtro, e comprimendola leggermente con la mano. Il combaciamento è perfetto quando non si ravvisa più esistere alcuna bolla d’aria tra il vetro e la tela. Dopo si riscalda leggermente il vetro, e si trova che alzando la tela incerata per un angolo, il collodio si alza con essa.

Il signor Barlassina di Novara ottiene in questa direzione degli assai buoni risultati, ma il suo procedimento è diverso in ciò che esso ricopre lo strato secco con alcool, quindi vi pone la tela incerata, e la lascia seccare prima di staccare lo strato dal vetro.

(nj Praclische Photographie. Mttnchen, 1858.