L'ombra del passato/Parte II/Capitolo VII

Capitolo VII

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Parte II - Capitolo VI
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VII.

I bei giorni di settembre finivano, dolci e già un po’ tristi. Il paesaggio si colorava, come dorato da un artista melanconico: fra gli alberi, nello sfondo cerulo dell’orizzonte che sembrava vicinissimo, apparivano nuvolette rosee e gialle che viste dal fiume parevano i fiori dei cespugli e degli alti steli di saggine tremolanti sull’argine.

Le cornacchie e i gabbiani passavano, annunziando l’autunno; il venticello increspava l’acqua, e verso il tramonto il cielo e il fiume gareggiavano di colori meravigliosi. Qualche volta, però, il tramonto era limpido e freddo, e un giorno Adone, ritornando da Casale dopo aver questionato con la vecchia Suppèi che si accorgeva del cambiamento di lui, vide all’orizzonte, al di là del fiume tutto color di rosa, la linea cerula delle montagne, chiara come pochissime volte all’anno si vedeva.

Egli si sentiva annoiato e triste. Non aveva più riveduto Maddalena, ma pensava a lei con una passione che gli sembrava colpevole. I sospetti della vecchia Suppèi lo offendevano. Egli non [p. 352 modifica]pensava a tradir Caterina; anzi desiderava andarsene presto, lontano, al di là di quelle montagne, per dimenticare, come l’anno scorso. Maddalena finirebbe certo col maritarsi: non si vedrebbero più. Addio, sogni! Ed egli invecchierà; andrà a passeggio sull’argine, solo, trascinando le vecchie ciabatte come il vecchio maestro di cui egli deve ancora prendere il posto. Non avrebbe tigli; non sperava più di averne! I suoi scolari, diventati bravi negozianti di scope e di grano, non ricorderebbero una sillaba delle sue lezioni! A che era servita la sua esistenza? Il mondo camminerà senza di lui: e d’altronde non muterà mai. Ci saranno sempre bimbi perseguitati, e giovani che si contentano di veder le montagne da lontano! Il mondo non muterà è una nostra illusione credere il contrario. Noi, della generazione presente, ci attacchiamo a questo sogno perchè non ne abbiamo altri! Non pensiamo più alla guerra con gli Stati vicini, ma pensiamo alla rivoluzione sociale perchè è più comoda! Noi siamo anemici, deboli; non ci sentiamo di portare lo zaino e marciare di notte; ci basterà scendere in istrada, al momento opportuno, o buttare le sedie dalla finestra.

E poi tutto ritornerà come prima: forse non ci saranno più affamati, infermi senza cure; forse anche in Italia ci sarà il divorzio, ma le anime deboli non ne profitteranno; ed esisteranno sempre le vecchie ignoranti, le donne brontolone, le sere fredde e lucide, quando pare che il nostro [p. 353 modifica]carattere si profili chiaro comi» lo montagne all’orizzonte, rivelando tutte le sue gibbosità.

Ma bastò ch’egli svoltasse strada e vedesse Jusfin con una lettera in mano per cambiar d’umore e d’opinione. Dove andava Jusfin? Egli lo raggiunse, curioso, e non poteva credere ai suoi occhi quando il vecchio, solenne e silenzioso, accennò a dargli la lettera.

— A me? — egli disse, esitando a prenderla. - C’è risposta?

— Se c’è mandala! - rispose Jusfin, tornando indietro.

Adone prese la lettera: le dita e il mento gli tremavano visibilmente, nè egli pensava a dominarsi.

Idee folli gli turbavano la mente: egli credeva che la lettera fosse di Maddalena e contenesse frasi d’umore!

L’aprì, vide la firma; gli sembrò che quel nome, scritto a lettere alte e irregolari, fosse un nome arcano, il cui significato lo spaventava e lo riempiva di gioja. Sì, la lettera era di Maddalena.

Ma ella invitava semplicemente «l’egregio signor Adone» ad assistere, l’indomani sera, alla recita nel teatrino del palazzo.

— Andrò! egli disse fra sè; e non ricordava che per l’indomani sera egli aveva dato appuntamento a Caterina: non ricordava più nulla: non pensava neppure a Maddalena. Il suo turbamento era così forte che, come un acuto dolore fisico, non gli permetteva di pensare ad altri che a sè stesso. [p. 354 modifica]

Appena fu nella sua cameraccia volle rispondere a Maddalena; ma egli aveva della volgare carta ridata, e l’invito era su un cartoncino violetto con cifre d’oro. Si vergognò di adoprare, per la risposta, la sua brutta carta; e questo semplice incidente lo richiamò alla realtà.

Ricadde nella sua tristezza, ma non rinunziò all’idea d’assistere alla recita.

Passò una notte agitata: pensava con inquietudine come doveva vestirsi per andare al palazzo: vedeva, nella penombra, il suo strano attaccapanni rassomigliante ad un albero, e ognuno dei modesti abili appesi gli pareva rappresentasse un diverso Adone: uno era triste, l’altro allegro; un terzo era povero e umile; un quarto, infine, era il giovanotto elegante e scettico che doveva recarsi al palazzo Dargenti! Poi sognava il teatrino, i lumi, la recita: gli attori recitavano bene, ma non facevano ridere!

Ed ella era là, sul palcoscenico, e lo cercava con gli occhi, come lui l’aveva cercata dal modesto palcoscenico del teatrino popolare! Si guardavano, si parlavano con gli occhi: poi si addormentò, stanco ed esausto, e nel sonno i suoi sogni continuarono, più arditi e frementi, come liberatisi da un laccio che nella realtà li tenesse prigionieri.

L’indomani per tempo egli andò a Viadana per comprare carta e buste di lusso: al ritorno passò da Caterina e le disse che quella sera non poteva andare al convegno perchè era invitato alla recita. Ella non protestò, ma impallidì. Egli se ne accorse, [p. 355 modifica]e d’un tratto ricadde nella sua inquietudine: ma non disse nulla, e gli parve che fra loro sorgesse un’ombra, davanti alla quale essi cercavano di mettersi, per nascondersela vicendevolmente.

Ritornandosene a casa pensava che forse era meglio non scrivere, e forse meglio ancora rifiutare l’invito! 11 pallore di Caterina gli aveva rivelato il segreto della sua inquietudine; il ricordo dei sogni, però, lo eccitava e lo tormentava. Perchè non doveva accettare l’invito? Perchè non doveva permettersi uno svago? Era tempo di ribellarsi ai suoi ingenui scrupoli. Tutti gli uomini ammogliati vanno a divertirsi e non per questo si credono colpevoli.

Nella strada comunale egli incontrò la carrozza della marchesa, e dentro vi scorse un uomo grasso e colorito, coi lunghi batti castanei spioventi, e gli parve di riconoscere in lui un noto medico di Parma. Egli ebbe subito il dubbio che la marchesa fosse malata; ma come spiegare l’invito, allora?

Spinto dalla curiosità più che dalla passione, ritornò indietro, si fermò davanti al cancello. Non si vedeva nessuno: le finestre erano socchiuse.

Allora egli s’avvicinò alla porta della chiesa, e aspettò che la gente uscisse. Voleva vedere Jusfin, domandargli come stava la marchesa. Vide infatti il vecchio uscire, alto e solenne fra i paesani scarni e bonarii, col suo vestito di velluto nero, col suo cappello a cono; ma non osò fermarlo nè interrogarlo.

Più tardi andò in cerca del seminarista e gli domandò se era stato invitato. [p. 356 modifica]

— Io no! E neppure il referendario. Io credo che la recita non si farà! La marchesa è malata fin dal giorno che siamo stati al bosco: ha male alle reni e forse morrà presto.

Adone non parlò dell’invito ricevuto, ma mille ipotesi fantastiche gli turbarono di nuovo la mente. Era quasi certo che Maddalena gli aveva mandato il problematico invito perchè egli avesse una scusa a risponderle.

— E se io andassi, all’ora indicata? — si domandava. E ricadeva nei suoi sogni romantici: s’immaginava che Maddalena l’avrebbe ricevuto da sola, scusandosi con lui per la mancata recita! Era un modo come un altro per attirarlo al palazzo! Poi si accorgeva dell’ingenuità dei suoi sogni, e rideva di sè, e di nuovo gli pareva di sentire un cupo rancore contro Maddalena, la creatura del passato, capricciosa e sensuale, che faceva di tutto per turbare la sua pace di povero, destando in lui, che si credeva l’uomo dell’avvenire, l’uomo della giustizia, antichi istinti di tradimento e di sensualità.

Rientrando a casa trovò un altro biglietto di Maddalena: ella si pregiava avvertirlo che la recita era rimandata.

Egli si calmò; ancora una volta si vergognò delle sue fantasticherie: ma oramai la sua pace era profondamente scossa: egli provava un senso di vuoto, come se camminasse su una corda e di tanto in tanto fosse in procinto di perdere l’equilibrio. Quella sera non andò da Caterina: aveva paura di lei! [p. 357 modifica]

Ma sogni voluttuosi e strani tornarono ad eccitarlo. Gli pareva che Maddalena gli avesse mandato in regalo un uccello bizzarro, uno di quei misteriosi volatili che da bambino egli credeva esistessero nel parco. L’uccello non cantava: ma aveva due occhi dolci, lunghi, dorati, che si volgevano continuamente verso i suoi con uno sguardo umano pieno di voluttà. Egli aveva paura di quegli occhi, ma non resisteva al loro fascino, e mentre li guardava, smarrito, pensava a Maddalena con uno spasimo di desiderio. Egli non aveva mai sognato così, neppure nei suoi giorni di maggior passione per Caterina.

Svegliandosi, alla mattina, rabbrividì, si nascose sotto la coperta, e rimase a lungo così, nel tepore insidioso del letto, sognando come un adolescente.

Per parecchie mattine egli si lasciò vincere da questa mollezza ignota, da questo anormale risveglio di tutti i suoi sensi. Gli pareva di aver freddo e sognava un ambiente caldo, una stanza coperta di stoffe e di cuscini: gli pareva di sentire un profumo acuto, snervante, ben diverso dall’odore umido dei pomi di terra ammucchiati nella sua cameraccia: aveva l’impressione di sfiorare, con le piante dei piedi, una seta fina e tiepida; con le labbra attaccate al guanciale caldo credeva di baciare le labbra di Maddalena. E diceva a sè stesso che non faceva male a nessuno permettendosi questi sogni morbosi, lontani da una realtà ch’egli credeva di non desiderare. Ah, egli aveva sempre sofferto: [p. 358 modifica]tutti lo avevano tormentato e calpestato. Doveva per questo essere anch’egli crudele con sè stesso? Doveva privarsi anche dei sogni? Egli non faceva male a nessuno. E poi, fra pochi giorni, sarebbe partito, chiudendo per sempre entro il suo cuore, come la goccia di rugiada entro il fiore, questo sogno non più solido di una goccia d’acqua! Addio! La giovinezza passava: perchè non lasciarsi accarezzare da lei, quando ciò non reca male a nessuno? Ed egli si alzava, si vestiva accuratamente, e andava a gironzare intorno al palazzo Dargenti!



Un giorno, verso il tramonto, egli vide il viale del palazzo coperto di sabbia fina, come una volta, a Padova, aveva veduto la strada intorno al villino d’un signore moribondo. Credette che la nonna di Maddalena fosse agonizzante, e fu riassalito da una inquietudine nervosa. L’idea della morte tornava a destargli paura: segno ch’egli amava di nuovo la vita!

In quei giorni anche la Tognina Tu ripresa dai suoi malanni, e si aggravò talmente che volle confessarsi. Adone andava dall’aja della sua casa al prato della chiesa, inquieto e turbato, come in cerca di qualcuno.

Tutto era pace, silenzio; il palazzo sembrava disabitato: la morte dei ricchi è diversa da quella [p. 359 modifica]dei poveri. Viene attesa con calma, con rispetto; e par che Essa giunga silenziosa e solenne come una regina che si degni visitare i suoi sudditi migliori.

Un giorno, mentre passeggiava davanti al cancello e guardava le finestre del primo piano con curiosità melanconica, Adone sentì come l’attrazione di un punto luminoso: sollevò gli occhi e dietro i cristalli d’una delle finestre più alte vide il volto pallido e scuro dì Maddalena. Egli arrossì e passò oltre; ma fatti pochi passi tornò indietro, vinto dalla curiosità.

— M’aspetterà? — si domandava, palpitando.

Ella era ancora lassù, pallida, immobile, velata dal cristallo come una stinta immagine! Si videro: si guardarono. Non avevano altro di meglio da fare! Ed egli passò e ripassò ancora, senza curarsi se qualcuno lo osservava.

— Ella mi ama! — pensava. E gli pareva di aver la febbre, di non essere più padrone dei suoi pensieri e dei suoi sogni. E sperava d’ingannarsi, e che il suo sogno rassomigliasse al giochetto che lo divertiva da bambino, quando egli correva dietro le ombre fuggenti immaginandosi d’esserne trascinato.

Intanto la notizia della malattia della vecchia signora era giunta fino a Casale. Si diceva che la marchesa era caduta, rompendosi il femore: ma che al palazzo tenevano la cosa segreta per non inquietare i parenti dell’inferma, che abborrivano la signora Maria. [p. 360 modifica]

È facile rimettere a posto il femore, — disse la Suppèi. — Basta un bagno d’orzo bollito, e un cataplasma di gaggie.

— Puoi dirglielo alla tua amica! — disse Caterina, beffarda. Egli finse di non sentirla. Poi entrambi si beffarono della nonna Suppèi e delle sue medicine: ma finirono col bisticciarsi, e la vecchia disse:

— Eccoli, i gatti! Prima giocano, poi si graffiano!

Caterina infatti, da qualche tempo in qua, aveva come delle mosse feline: si mostrava tenera con l’amante, poi ad un tratto lo guardava con occhi selvaggi, adombrandosi e offendendosi per ogni parola di lui. Ed egli si accorgeva benissimo ch’ella era gelosa e diffidente, ma non le domandava perchè.

Un giorno, verso la metà di ottobre, egli trovò Caterina che lo aspettava nel viottolo. Era insolitamente vestita bene, incipriata, con un nodo di velluto nero sui capelli: le sue scarpe nuove scricchiolavano ed ella di tanto in tanto batteva al suolo uno dei suoi grossi piedi stretti dalle incomode calzature. Egli le chiese dove andava.

— A fare una visita. Vieni.

— E la nonna? — egli disse meravigliato.

— Abbiamo litigato. E le ho detto che voglio fare quello che mi pare e piace. Non sono più una bambina. Andiamo.

— Non far sciocchezze, Caterina!

Ella batteva il piede al suolo, s’aggiustava il nastro sui capelli, e fissava Adone con ocelli corruscanti, pieni di rabbia e di dolore represso. [p. 361 modifica]

— Quante volte mi hai pregato di venire a spasso con te? E non ricordi più, ora? Andiamo, andiamo...

E si attaccò al braccio di lui, e continuò a fissarlo, reclinando un po’ il capo, destando in lui, con quello sguardo voluttuoso e truce, una impressione di tenerezza e di ripugnanza.

— Non voleva che uscissi, lei! Non voleva che mi cambiassi, — cominciò a dire, agitata. — Quasi pretende che io non esca più sola, che mi metta entro una nicchia! Proprio io! No, veh! E tanto un giorno o l’altro bisogna ch’ella sappia tutto. Dimmi un poco, tu, non è vero? Ora risponderai di no!

Egli guardava lontano, davanti a sè. Rispose di sì, convinto.

— Come lo dici! — ella gridò.

— Come vuoi che lo dica? Tu hai voglia di litigare anche con me! — egli rispose con voce monotona. — Bene, a chi dobbiamo far visita?

Ma ella non pensava più alla visita. Attraversò le strade più frequentate del paese, s’avvicinò a qualche porta salutando a voce alta le sue amiche, ridendo e parlando nervosamente con tutti. Adone fremeva, ma non osava provocarla, seguendola prudentemente. Al ritorno attraversarono un campo la cui larga cavdagna era coperta di fiori violacei. La sera cadeva, dolce e melanconica: attraverso gli alberi gialli l’occidente rosso e oro si copriva di nuvolette in colore dei fiori della cavdagna. Pareva che per un capriccio della natura malata il [p. 362 modifica]paesaggio e il cielo si tingessero di colori vivi, come una vecchia donna già bella che si trucca, ma non sa nascondere la sua tristezza.

Caterina taceva, ed ora precedeva, ora seguiva Adone senza guardarlo. La sua eccitazione pareva cessata. Ed egli guardava per terra, e pensava a Maddalena che lo attendeva dietro i cristalli della finestra. Tutto ciò che v’è di più dolce e di struggente nei pensieri colpevoli ardeva nel suo pensiero.

Caterina si fermò. Egli sollevò gli occhi e la vide rabbrividire. Le prese la mano e sentì che scottava.

— Di’, di’, ti senti male?

— No. Son tanti giorni che provo questi capogiri. Ho paura...

— Di che?...

Ella lo fissò negli occhi. Egli trasalì, quasi entro il suo corpo si fosse staccato un viscere.

— Che dirà la nonna? — disse come fra sè.

— E dica quel che vuole! Non doveva avvenire, questo? Meglio; così non farà più delle storie.

— Ma sei certa. Caterina?

— Eh, no, sicura no! Ma credo... forse...

— Se fosse vero! Come sarei contento!...

La prese sotto braccio, sollevò il viso: gli pareva che tutto, intorno a lui, fosse mutato. Aveva come l’impressione di svegliarsi da un sogno di morte, di ritornare alla vita, di rinascere assieme col figlio suo! [p. 363 modifica]



La nonna li aspettava nel viottolo, col cappello sugli occhi e il pomo del bastone entro il pugno un po’ contratto. Era inquieta, ma non voleva dimostrarlo. Appena li vide volse le spalle e li precedette, trottando col suo passo di vecchia cavalla dispettosa.

Il fuoco avvolgeva il pajuolino nero e pareva, nel buio della cucina, un gran fiore rosso con una bacca nera nel centro.

- Va e compra il burro! - comandò la nonna a Caterina, indicandole il cestino col bastone. E si levò il cappello, ma se lo rimise tosto, lasciandosi la fronte scoperta, minacciosa.

Adone non aveva mai veduto la nonna così freddamente adirata. Con sua grande sorpresa Caterina obbedì, ed egli rimase solo con la vecchia. Egli certo non aveva paura: si sentiva quasi allegro, anzi; ma ricordava che la Suppèi si vantava di conoscere le donne incinte anche se lo erano da pochi giorni, e si domandava come l’avrebbe convinta a ritardare il matrimonio...

— Me ne vado, nonna! Addio! - E tentò di andarsene.

— Siedi lì! Siedi lì! - ella disse, battendo il bastone sulla sedia. - Devo dirti poche parole. Ma siedi lì! [p. 364 modifica]

Egli sedette, rassegnato.

— Sì, viscere, poche parole. Caterina, devi saliere, è diversa dalle altre ragazze. Le altre possono fare quello che vogliono: lei no, viscere! Lei no! Hai capito? — gridò; poi riabbassò la voce: — Ha una pietra legata al piede, lei: e quella pietra sono io! — Proprio io! — concluse battendosi il pomo del bastone sul petto.

— E lasciatela tranquilla! — egli disse allora, cercando di sviare il discorso. — Che male ha fatto? Non vedete che sta poco bene, poi?

— Chi, lei? Sta meglio di te, lei! Non è stata mai così bene, viscere! — ella riprese, con ironia. — IL male ce l’ha qui, al fiele; e tu lo sai! Ah, tu vuoi che io la lasci tranquilla? E tu, viscere, tu la lasci tranquilla, di’?

Si chinò e lo guardò. Egli arrossì, poi diventò livido. Balzò in piedi, gridò:

— Ma che cosa avete voi tutte? Sono stanco! Cosa avete?

— Te lo dirò subito, viscere, poichè non è buona a dirtelo lei! Tu non conosci Caterina, le l’ho ripetuto più di una volta! Tu le hai detto ch’era una zingara: ma non la conosci bene. Tu l’hai conosciuta da bambina e credi ch’ella sia rimasta una zingara. Per sua disgrazia, no, vedi! Così fosse rimasta, caro! Avrebbe saputo difendere il suo bene e magari prendere quello degli altri, il che tante volte non guasta! Ma tu ed io l’abbiamo disfatta e rifatta, per così dire! Io le ho detto che bisognava farsi una coscienza e lei se l’ha fatta! E le [p. 365 modifica]tue chiacchiere, poi, l’hanno ridotta così stupida che ora lei, quando è calma, non sarebbe capace di ammazzare una pulce, rer così dire! Ma tante volte il sangue s’accende, viscere: il fuoco fa sciogliere e bollire anche il ghiaccio! E allora? Allora si vede rosso, si vede sangue! Sia pure il proprio sangue, ma si ha bisogno di veder sangue. Ella è capace di morire, sì, è capace di fare una pazzia, lei, ma ti lascerà tranquillo. Ah, sì, lei ti lascerà tranquillo, non dubitare. Ma c’è la vecchia, qui: tu hai anche da fare con la vecchia, caro!

Egli andò ad appoggiarsi al camino: tremava di rabbia e d’inquietudine.

— Continuate! — disse, provocante.

— Ho bell’e finito, invece! Ti dirò solo questo, viscere! Che i segreti volano, come i semi delle piante. E io andrò dalla vecchia, sai! Proprio, veh, andrò, con questi piedi! Non mi vergogno se ci ho le ciabatte o i zoccoli, io! Posso anche andare scalza, ed entrerò lo stesso! E dirò alla vecchia: «Siamo davanti all’uscio di Dio, entrambe. Tu ricca, io povera, ma peccatrici entrambe, eguali davanti a questa porta dietro la quale sta il Signore». Poi le dirò: «Vecchia, tua nipote ruba a mia nipote l’unico bene che essa ha sulla terra. Dille che smetta, se non vuole che succeda un guaio... Chi è la zingara, in questo caso? La paesana o la signora?...»

— Che dite? Ma nonna, che dite! — egli gridò allora smarrito.

— Tu lo sai che cosa dico. E ho detto! [p. 366 modifica]

Egli si passò una mano sulla fronte, domandandosi se è possibile che il nostro pensiero, anche il nostro pensiero, ci tradisca! Ma poi si scosse, orgoglioso. Non aveva nulla da rimproverarsi. Gli parve che la vecchia e Caterina fossero ingiuste verso di lui, come lo erano stati gli altri, sempre. Caterina, poi, aveva mentito, dandogli, per paura, per calcolo, una speranza vana. Un destino crudele e volgare lo perseguitava. Egli non era neanche libero di sognare, di cercare un conforto nel mondo delle illusioni. Ah, ma non era più lo stupido bambino di un tempo! Sentì un impeto di ribellione, una sete di vendetta: vide rosso, come diceva la nonna; ricordò il giorno in cui Pirloccia l’aveva condotto a spintoni nella stalla..

Egli andò contro la vecchia, minaccioso, livido in viso; e afferrò il bastone di lei, con ambe le mani, quasi volendo sfogare la sua rabbia contro l’innocente legno.

Le nonna rinculò, turbata.

— E continuate! — egli disse, guardandola. Buttate fuori tutto! Vi ripeto che sono stanco di tutte le vostre commedie. E se non dite tutto, in questo momento, vi assicuro che me ne vado e non mi vedrete più! Io non ho nulla da rimproverarmi. Che cosa volete da me? Che cosa? Chi è la vecchia di cui parlate? Chi?

La nonna ebbe paura? O fu per affetto ch’ella parlò?

— Non arrabbiarti, — disse con voce mutata, scuotendo le mani. — Calma, calma! Parlerò, [p. 367 modifica]giacchè vuoi. Caterina sa lutto: sa che giri attorno alla signora Dargenti, come la farfallina intorno al lume. Attento a non bruciarti, viscere! E Caterina vuol morire. Sì, dice: perchè altrimenti commette una sciocchezza più grave ancora. A te non farà nulla: ma all’altra sì, oh, sì, sì! Tu non conosci la ragazza, le lo dico ancora, viscere! Tu la credi una contadina, ed essa è più signora delle signore. Può aver rubato qualche uovo, da bimba, ma la nonna l’ha educata, viscere; la sua coscienza è pulita, ora! Le signore sono più ladre di lei: loro rubano anche i fidanzati delle altre!

— Basta! Basta! — egli implorò.

— Ah, ora basta? Volevi sapere tutto! Ed ora ti dico un’altra cosa. Caterina non possiede altra cosa al mondo che il tuo affetto: non ha altri che te, viscere! E lei non ti ha mai tradito; neppure quando gli altri, più ricchi e più bei giovani di te, l’hanno tentata. Sì, ti dico; non arrabbiarti. Scipione l’Ebreo era più ricco di te, e voleva farsi cristiano. E la ragazza gli voleva bene.

Egli sollevò il capo.

— Sì, gli voleva bene. E sicuro! E che hai da dire? Ella non lo ha mai guardato negli occhi, però! Prima di fare un torto a te si sarebbe ammazzata. E tu ora, e tu ora diventi superbo. E sappiamo anche perchè!

Egli parve calmarsi. La notizia che Caterina aveva nutrito simpatia per l’Ebreo lo turbava tino a un certo punto. Non era più innamorato per esser geloso. Ma, pur sentendo, in fondo, che la nonna [p. 368 modifica]diceva la verità, egli si sforzava a credere che ella mentisse.

Tutto nel mondo oramai gli pareva falso. Caterina aveva amato un altro uomo? E aveva sacrificato il suo amore per lui? Perchè aveva fatto questo?

— Per interesse, poichè io rappresentavo per lei un partito migliore, — egli pensò.

Ma subito s’accorse dell’assurdità di questo pensiero. Ad ogni modo, Caterina aveva mentito con lui: anche lei! La verità non esisteva più.

Era caduta in fondo al pozzo!

Ed egli si sentiva irritato e ingiusto come non lo era stato mai. Decise di por fine alla scena disgustosa, prima che Caterina rientrasse e lo tormentasse oltre.

— E basta, dunque! — ripetè. — Voi credete alle chiacchiere degli sfaccendati. Peggio per voi. Ditemi dunque che cosa volete.

La nonna, che s’era apparentemente calmata anche lei, si mise a far la polenta, e disse:

— Sposatevi.

— Ci sposeremo; non dubitate. — egli rispose con ironia. — Non ci resta altro da fare!

E s’avviò per andarsene. Appena fu sulla porta vide Caterina. Gli parve ch’ella stesse ad origliare, e la sua ira aumentò.

— Vieni un momento con me, — le disse, afferrandola per il braccio. La trascinò in fondo al viottolo: voleva dirle molte cose, non ascoltato dalla nonna: voleva sfogare su lei tutta la sua rabbia; [p. 369 modifica]ma poi si accorse che ella tremava leggermente, decisa a non parlare, e anch’egli si dominò.

— Tu hai sentito cosa ha detto la nonna, — egli disse, dopo un momento di silenzio. — Non dire di no: non mentire oltre. Sono stufo delle vostre bugie! Sono stufo di tutto e di tutti! Sposiamoci pure: a me non importa più nulla! Ma non tormentatemi oltre, veh! Se no io... se no... io...

Un singhiozzo di rabbia non gli permise di continuare. Caterina ebbe pietà di lui: gli prese una mano e gliela baciò. Egli ritrasse la mano, la scosse, quasi volendo buttar via il bacio pietoso di lei, e s’avviò per andarsene.

Ella lo seguì: mentì ancora.

— Io non ho sentito nulla... Non so che cosa lei ti ha detto... Lasciala dire. È arrabbiata perchè ha chiacchierato con Dirce tua cognata... Sì! Dirce è venuta qui... Ha chiacchierato, sì... E la nonna crede che tu possa diventare presto ricco e superbo...

— Anche questo? — egli gridò. E si fermò di nuovo: ma subito scosse la testa e spinse Caterina. — Vattene, vattene! Lasciami in pace! Vattene!

E se ne andò. Ma la disperazione lo accompagnava, lungo la nota strada ancora vagamente illuminata dall’ultimo splendore del l’occidente. Egli sentiva un nodo alla gola. Gli pareva d’essere ritornato fanciullo, d’esser nuovamente perseguitato, nuovamente caduto in una rete di astuzie, di volgarità, di calcoli.

E, come per un ritorno ai suoi istinti infantili, sentiva ancora una volta una smania di fuggire, [p. 370 modifica]verso un luogo di riposo e d’oblìo. Ma oramai sapeva che questo luogo non esiste sulla terra, e il suo desiderio si mutava in rabbia, in odio verso tutti e verso ogni cosa. Gli pareva di odiare anche Maddalena: avrebbe voluto farla soffrire. Odiava sopratutto il Pirloccia e la zia, cagione di ogni suo male. Decise di tormentarli, di vendicarsi, a sua volta. Gli pareva di odiare anche la sua mamma, che gli aveva insegnato a rassegnarsi, a piegarsi, invece di aiutarlo e proteggerlo.

Cammina, cammina, lungo il nastro d’erba calpestata che orlava l’argine, gli parve che l’aria della sera e l’alito dell’acqua, dolce e lieve come carezza materna, lo calmassero alquanto. Il suo pensiero si elevò. Egli vide in sè come la personificazione di un popolo intero! Egli era stato allevato come questo popolo schiavo, sotto la frusta dei tiranni: ed era stato derubato e deriso, e la sua mamma, come la Santa Madre del popolo oppresso, pur sapendo di commettere un’ingiustizia abbominevole, gli aveva insegnato ad essere vile.

Ed egli s’era creduto buono! Egli si era piegato, con la speranza di un avvenire migliore; ed egli aveva chiuso gli occhi per sognare, e non s’era mai accorto che piegandosi, giorno per giorno, diventava piccolo e rachitico peggio del suo fratellino; e che i suoi occhi velati di sogno non s’adattavano più alla luce della realtà. Ora tutto si ribellava in lui. Egli si sentiva un altro; si rizzava come lo stelo piegato dal vento; apriva gli occhi stupiti. Voleva godere la vita, la sua parte di bene. [p. 371 modifica]Via ogni scrupolo, ogni stupida paura. Egli vuole sottrarsi all’ombra del passato che lo avvolge ancora come un tempo il mantellaccio rattoppato.

E per cominciare egli si propone di entrare in camera della zia, anche violentemente, e di strappare dal cuore appassito della misteriosa creatura, come l’oro dalle viscere secche della mummia, il segreto della sua fortuna legittima. Poi verranno altre fortune ancora, più grandi se non altrettanto legittime! E per cominciare, ancora prima di arrivare a casa sua, egli solleva gli occhi alla finestra dove Maddalena, di solito, lo aspetta. Ma la sorte, che egli sfida, comincia a sua volta ad irriderlo. Giusto questa sera la finestra è chiusa!

Egli rientrò a casa deciso di parlare subito con la zia. Ma nell’atrio, dove Carissima cuciva ancora, il Pirloccia finiva di scrivere una cartolina col suo inchiostro sbiadito e la sua penna arrugginita.

Adone passò oltre: ma quando egli fu sulla scaletta Carissima lasciò la macchina, lo raggiunse e gli disse con aria di mistero:

— Se rientravi poco fa trovavi Jusfin.

Egli non rispose, ma volse vivacemente la testa.

— Sì, poco fa! Mi ha pregato di andare al palazzo, per cucire dei tappeti!

— E che m’importa! — egli disse ruvidamente. [p. 372 modifica]

E salito nella sua eameraccia, cercò la carta elegante che una mattina aveva comprato per rispondere all’invito di Maddalena. Appena toccò i foglietti color di cera ebbe come un’impressione mnemonica. Rivide Caterina, pallida e muta, con gli occhi corruscanti di dolore selvaggio. Ma questo non gli impedì di scrivere. Aveva bisogno di fare qualche cosa d’insolito, di strano, pur sapendolo; come un pazzo nei primi momenti della sua follia, quando la coscienza non si è ancora completamente oscurata, ma la volontà è già spenta. E scrisse:

«Maddalena, mi permetta di chiamarla così, almeno una volta. Maddalena! Tutto il dolore d’uno che nella vita non ha conosciuto che il dolore, è nel mio grido. Lo ascolti pietosa. E mi dica che anche lei soffre. Questo solo, questo solo può confortarmi, e farmi sperare nel suo perdono. Solo chi soffre perdona!»

Ritornò giù. Pirloccia scriveva ancora, con la sua penna arrugginita che strideva nel silenzio dell’atrio.

Adone uscì nell’aja, attraversò la strada; ritornò davanti al cancello. Il cuore gli batteva di paura e di angoscia. Per un attimo egli esitò: gli pareva che il foglietto, che pure non conteneva una parola d’amore, racchiudesse il segreto d’una colpa. Ma appunto per questo lo gettò nella buca delle lettere. E gli pareva di cominciare a esser forte solo perchè cominciava a credersi colpevole! [p. 373 modifica]

Rientrando vide che Pirloccia se n’andava, a sua volta, ad impostare lo sue cartoline. Allora egli salì dalla zia. Ma appena fu sul pianerottolo sentì, nella scaletta, il passo saltellante di Fiorina. Preso da una specie d’istinto selvaggio, egli aprì e chiuse l’uscio con violenza. La zia era già a letto, al buio, e trasalì al rumore improvviso.

Zia, sono io. Devo dirti una cosa.

Fiorina battè all’uscio, lo spinse, gridò:

— Zia, vi porto da mangiare! Perchè avete chiuso?

— Adone, apri! — disse la donnina con voce tremula. — Che cosa vuoi?

— Devo dirvi una parola! — egli gridò. — Possibile che non vi si possa mai parlare?

E siccome Fiorina batteva ancora all’uscio egli riaprì, ergendosi minaccioso davanti alla ragazza.

— Devo parlare con la zia. Vattene! Hai capito, si o no? Ora accendo il lume, e lascio aperto, qui. E se non te ne vai, o stai lì ad origliare, ti do tanti ceffoni che ti mando a rotolare per le scale. E che, non sono più padrone di dire due parole alla mia zia? Vattene!

Ella entrò, al buio, s’accostò al letto. Ed egli accese un fiammifero, ma non trovò il lume. Allora ridiscese nell’atrio, prese una candela, l’accese, [p. 374 modifica]la smorzò, la riaccese. Diventava incosciente, ebbro di collera. Si accorse che Carissima lo osservava, seguendolo con gli occhi lieti e luminosi. Egli si fermò accanto a lei; disse:

— Senti, ho bisogno assoluto di parlare in segreto con la zia. Se Fiorina non va via dalla camera, e se altri viene a disturbarmi, stesserà non rispondo di me! Falla venir giù, subito!

E ritornò su. Ma con sorpresa vide che Fiorina, senza dubbio consigliata dalla zia, usciva dalla camera. Egli depose la candela sul camino, e s’accostò al letto. Tognina lo guardava, silenziosa, immobile sotto le coperte: gli occhi di lei, fissi e vitrei, non erano più indifferenti nè supplichevoli; avevano un’altra espressione ancora: pareva che, invece di Adone, scorgessero un fantasma e lo guardassero con terrore ma anche con beffe.

Davanti a quel visetto bronzeo, sul quale il dolore aveva impresso quasi una maschera sarcastica, egli sentì svanire la sua rabbia. Quello sguardo gli diceva tutto ciò che la donna non sarebbe mai stata capace di dirgli. Ed egli capiva tutto. Lo sguardo gli diceva: — So cosa vuoi. Ma è inutile che tu mi tormenti: è come se bastonassi un cadavere. Tutto ciò che tu vuoi dirmi lo so. Ma tu non sai quello che potrei dirti io. Io ho sotferto più di te: io ho seminato il male, ho raccolto frutti velenosi. Sono stata più povera dei mendicanti, e non ho saputo neanche domandare l’elemosina come loro. Io sono morta: sono morta da lunghi anni. Da lunghi anni ho vissuto in [p. 375 modifica]compagnia dei morti: sono stata più morta di loro. Egli si è vendicato; egli mi è stato sempre vicino, tormentandomi sempre. La sua ombra mi ha avvolto come un sudario. Ed anche ora egli è lì, alle tue spalle, e bastai che io ti guardi perchè lo veda, in tutto il suo terribile aspetto.

— Zia? Ti senti male? Vorrei dirti poche parole... - mormorò Adone, curvandosi sul letto.

— Son qui, — ella disse, sempre fissandolo.

— Vorrei dirti... Ebbene, ecco; io ti ho sempre voluto bene; ti ho rispettato. Hai da lamentarti di me? No, vero? Perchè i tuoi parenti ti fanno la guardia come ad una prigioniera? Perchè io non posso mai ragionare con te? Questo solo vorrei sapere. Anche ora ho dovuto gridare per poter restare un momento solo con te. E son certo che quelle donne, ora, correranno ad avvisare gli uomini perchè vengano qui... Io vorrei sapere... — E senza aspettare risposta, prosegui, sottovoce, curvandosi sul guanciale di lei: — E so tutto!.. Non ti tormenterò, non aver paura. Se avessi voluto, ti avrei tormentato prima. Ma non voglio, capisci, non voglio. Non sono cattivo, io! Ricordati, una sera, qui: io caddi svenuto per il dolore di vederti soffrire. Non ricordi? Io sì! Tu m’hai dato la chiave. Ma poi non m’hai più voluto bene... Se tu mi avessi voluto bene saremmo stati contenti tutti e due. E così, invece... e così... siamo entrambi due disgraziati...

Ella chiuse gli occhi; il suo viso prese una espressione ancora più beffarda e macabra: la bocca [p. 376 modifica]s’apri, le lagrime stillarono dalle palpebre aride come l’acqua purissima dal granito nero.

Egli ebbe come l’orrida e pietosa impressione di aver veduto piangere un cadavere.

E provò uno struggimento simile a quello provato in una sera lontana. I suoi piedi scivolarono sul pavimento, la sua testa s’abbandonò sulla coltre tiepida.

Figli non svenne, come l’altra volta, ma sentì nuovamente un senso di buio, gli parve d’avere innanzi agli occhi un imbuto nero, nella cui profondilà brillava appena un punto biauco, lontano, una scintilla di speranza: la speranza della morte!

— Perdono, zia, — egli disse, come tra sè. — Non piangere, non piangere... Anch’io morrò. E tutto è vano; tutto è inutile. Io so, lo so! Tutto, tutto! Il bene e il male, tutto, tutto! Morremo; cadrà l’ombra su tutti, il mondo s’oscurerà... Tutto sarà finito... Tutto. Perchè tormentarci?

Tognina riaprì gli occhi e singhiozzò forte.

Egli allora si scosse, s’alzò, si domandò che cosa voleva, e ricordandoselo ebbe come vergogna della sua ingenuità, della sua ridicola ribellione alla potenza fatale del dolore.

La donnina non disse una parola: ma l’espressione del suo viso diventava sempre più sarcastica. E il suo sguardo ripeteva:

— Tutto è inutile: nè il male nè il bene conducono alla felicità.

Adone stette un altro momento curvo sul guanciale. Qualcuno battè all’uscio. Allora Tognina [p. 377 modifica]chiuse ancora gli occhi e in un attimo il suo viso si ricompose.

Egli allora comprese tutta la potenza di finzione della piccola donna. Ella frugò sotto il guanciale e gli diede una busta grigia ripiegata in due, accennandogli di nasconderla.

Egli aprì l’uscio, dietro il quale la zia Elena, con un piatto in mano, aspettava inquieta. Egli passò oltre senza guardarla, risalì ancora nella sua cameraccia e aprì la busta. Trovò una striscia di carta ingiallita, bucata nelle pieghe: era la metà, per lo lungo, del testamento dello zio.

Dietro, Tognina aveva scritto col lapis: «L’altra metà ce l’ha P.».

Adone esaminò a lungo, da una parte e dall’altra, lo strano documento che i due complici s’eran diviso, conservandone ciascuno la metà come un’arma di difesa: e si domandò cosa doveva farne. In mani sue quell’arma era spuntata: soltanto, egli si feriva stringendola. E la punta, anche la punta, egli la sentiva entro il suo cuore, avvelenata dalla ruggine dei lunghi anni passati.

Allora egli ricadde nella sua tristezza morbosa. Senza accorgersene imitava talvolta il contegno della zia nei suoi lunghi anni di muto accasciamento. Tutto gli sembrava inutile e vano o, peggio ancora, ridicolo. Smise ogni idea di vendetta e di ribellione; si pentì di aver scritto a Maddalena e si profuse di non più rivederla. Ma intanto aspettava la risposta al suo strano biglietto, e non ricevendola s’irritava, ritornava a credere che [p. 378 modifica]anche Maddalena avesse mentito, con lo sguardo, come gli altri mentivano con le labbra! Anche egli aveva mentito, oramai. Mentito con gli altri e con sè stesso. Egli oramai non poteva più credere neppure a sè stesso: come poteva credere agli altri?

Ritornò da Caterina e le domandò, in presenza della nonna, se voleva ch’egli prendesse subito il posto di Casalino e rinunziasse al secondo anno di Università, per potersi immediatamente sposare.

Caterina rispose fieramente di no. La nonna ricominciò a stizzirsi, ma, per evitare una nuova scenata, Caterina si vestì e uscì assieme con Adone. La vecchia non si oppose. E loro se ne andarono a spasso lungo la strada comunale, chiacchierando ed anche ridendo, come facevano un tempo, quando pareva che si burlassero della vita. E anche ora pareva se ne burlassero; ma se un tempo lo facevano per istinto, ora lo facevano per dispetto.

La zia stava sempre male. Adone entrava spesso da lei, si avvicinava, la guardava con occhi pietosi. Anch’ella sollevava le palpebre livide, e lo guardava. E nonostante la continua vigilanza dei Pirloccia, zia e nipote si confidavano così le loro pene.

— Lasciami morire in pace, — supplicavano gli occhi di lei. — Per amore di lui, te ne prego! Dopo farai quello che vorrai. [p. 379 modifica]

Ed egli rispondeva:

— Vi lascerò in pace. Lascerò in pace tutti. Non tormenterò che me stesso.

E si tormentava, infatti. Non passava più davanti al palazzo, ma nella lontananza la figura di Maddalena gli appariva nuovamente circonfusa di mistero, alta e lontana come una stella. Ed egli la amava non per la voluttà di amare, ma per la voluttà di soffrire.

Le sue notti erano torbide come tutte le notti di passione dolorosa. Nei momenti d’insonnia egli si esaltava: gli pareva di aver compiuto il suo dovere, domandando perdono a Maddalena. Ella non aveva risposto: ma aveva certamente capito ch’egli rinunziava a lei per mantenersi fedele, non a Caterina soltanto, ma a tutti i suoi compagni di dolore, e sopra tutto a sè stesso. E nella memoria di lei egli sarebbe rimasto come un eroe.

Ad occhi aperti sognava ciò che sarebbe la realtà della sua vita. Gli pareva di sedere davanti a un popolo di ragazzetti: tutti volgevano a lui le testine irrequiete: tutti rassomigliavano a lui, com’era dieci anni prima! Egli, con parole umili, diceva cose straordinarie. I ragazzetti lo fissavano, e nelle loro pupille si rifletteva il raggio di fede e di forza che animava le parole di lui. Tutta la luce dell’avvenire era in quel raggio. Egli diceva:

— Siate giusti, bambini. Sapete cosa vuol dire esser giusti? Non far soffrire gli altri. E non lo siate per la speranza di un premio nell’altro mondo. L’altro mondo non esiste: c’è solo questo. [p. 380 modifica]ma appunto perchè non c’è altra vita dobbiamo esser buoni in questa, perchè soltanto la bontà è verità, e solo la verità è gioja. Noi, io, voi, forse anche i miei figli, i vostri figli, soffriremo e soffriranno prima di abituarci alla verità, e parrà a noi ed a loro che questa sia dolore, e non gioja, come veramente è; ma dobbiamo appunto soffrire per abituarci alla verità. I nostri figli, e i figli loro, devono ereditare da noi, col nostro sangue, quest’abitudine. Per loro sarà altra cosa, allora: il loro istinto li imiterà verso il bene e questa sarà la loro felicità, come la nostra è appunto la certezza che un giorno il mondo sarà popolato di uomini giusti! E sopratutto, bambini, sopra tutto vi consiglio una cosa. Non abbandonate i vostri figli! Ah, non li abbandonate! Se voi li uccideste, il vostro delitto sarebbe minore di quello d’abbandonarli!

Ma poi si addormentava e il suo sogno mutava com pietà mente. Egli incontrava Maddalena; ella gli diceva: — Perchè mi fai soffrire? Con me sola tu vuoi essere ingiusto! — E lo guardava. Il bene, il male, la giustizia, la verità, tutto sembrava lontano e piccolo, sotto la luce ardente di questo sguardo.

Dall’alba egli era nell’aja, irrequieto come un bambino. Poi andava alla Posta. Nulla. Ritornava verso casa, camminava su e giù per la strada, e quando passava oltre il portone della zolfanellaja si voltava al minimo rumore, e gli pareva sempre di scorgere la figura di Jusfin con una lettera in mano! [p. 381 modifica]

I Pirloccia fingevano di non essersi accorti del suo breve colloquio segreto con la zia. Forse le donne avevano taciuto, per paura di una scena violenta fra lui e il Pirloccia: forse meditavano qualche tiro malvagio. Egli aveva conservato la striscia di carta consegnatagli dalla zia, ma non si curava d’altro. Però ogni volta che Carissima tornava dal palazzo e parlava della marchesa e di Maddalena egli aveva l’impressione che la sarta lo guardasse con malizia. Egli sapeva che ella raccontava cose fantastiche: tuttavia l’ascoltava con attenzione morbosa, domandandosi che scopo ella avesse.

La vecchia signora, diceva Carissima, era caduta realmente, rompendosi un femore.

— Sì, non può muoversi, — aggiungeva, con aria di mistero. — Ma si tiene la cosa segreta perchè la signora Maria ha paura che i parenti della marchesa diano a lei la colpa della disgrazia.

— Ma la nipote? — domandò la zia Elena. — Non può fare la spia, lei?

— Ma se lei è attaccata alla signora Maria più che la vecchia? Eh, io poi penso una cosa. La ragazza dev’essere innamorata pazza di qualcuno, di un qualche ragazzo povero. La signora Maria deve sapere questa storia e favorisce l’amore dei due ragazzi. [p. 382 modifica]

— Ah, ecco, ora capisco! — disse ingenuamente la zia Elena.

Anche Adone capiva, ma taceva, ascoltando avidamente.

— Sì, — ripeteva la sarta. — Se lo vecchia muore, la ragazza diventa padrona di tutto e sposa certamente il suo ragazzo. La Signora Maria ha interesse a favorirla: così po rimane sempre con lei.

— Ora capisco! Ma se la marchesa non muore? Può campare altri dieci anni, anche!

— Noè è campato novecento anni, e negli ultimi cento, almeno, doveva essere paralitico, ribattè la sarta con ironia. — Ma non capite che se lei non muore la ragazza continua ad aver relazione segreta col suo ragazzo: e forse si divertirà più così! Un giorno o l’altro poi lo sposerà, se Dio vuole.

— Ma... ma sarà poi vera questa storia?

Carissima, dimenticandosi che poco prima aveva soltanto supposto la cosa, aggiungeva esaltandosi:

— Oh, proprio vero, veh! La ragazza è cotta cotta cotta. Si vede! Non si regge in piedi. È pallida, bruciata. Quest’oggi è venuta giù, per indicarmi come dovevo orlare un tappeto, e io le dissi se le piaceva star qui, ora che comincia il freddo. Mi disse: oh, no! Fino a tutto novembre ci starò volentieri, sebbene mi senta poco bene.

Una sera poi ella disse d’aver veduto Maddalena andare in casa del prevosto. Poi aggiunse di averla veduta uscire a passeggio. [p. 383 modifica]

— Esce tutti i giorni verso le quattro. Spesso va dalla signora Marina, a quell’ora. Va e ritorna sola, senza cappello.

La signora Marina era la sorella del prevosto, una vecchia signora caritatevole, dalla quale anche Adone e la sua famiglia avevano ricevuto dei benefizi.

Egli andava qualche volta a trovarla, quando sapeva che il prevosto non era in casa. Quanto il vecchio prete era rozzo altrettanto la signora Marina era bonaria e prudente. Forse ella posava alquanto: le sue parole parevano studiate; grassa, pallida, vestita alla moda del cinquanta, ella aveva l’aspetto e i modi d’una vecchia duchessa. E raccontava sempre d’un suo viaggio a Vienna, al tempo dei tedeschi. Adone l’ascoltava volentieri, e aveva l’impressione di trovarsi davanti a una figura d’altri tempi. Ed ora s’immaginava che Maddalena, triste e annoiata nella sua vasta casa, andasse dalla signora Marina per distrarsi.

E capiva che Carissima gl’indicava un mezzo per incontrarsi con Maddalena: ma anche con sè stesso fingeva di non capire.

Finito di cucire i tappeti, la sarta disse che le davano altro lavoro.

Fece delle sottovesti di lana per la signora Maria; poi disse che aggiustava una vestaglia di Maddalena. E questa, al solito, s’era degnata di conversare con lei, lamentandosi di forti dolori di testa.

— È pallida, sciupata; dev’essere molto infelice, — diceva Carissima; e per poco non aggiungeva [p. 384 modifica]che Maddalena le aveva confidato le pene del suo cuoricino malato.

Adone non credeva, o si sforzava a non credere a queste chiacchiere. Maddalena era troppo elegante per farsi aggiustare le vestaglie dalla sarta del villaggio: e ad ogni modo era troppo fina per mettersi a conversare con Carissima! Ma poi egli ricordava la gita nel bosco, la semplicità, l’ingenuità di Maddalena. Se ella non fosse stata così carina e semplice, non si sarebbe degnata di guardarlo! Perchè lo aveva guardato? Egli si domandava ancora, meravigliato, perchè ella s’era innamorata di lui. E chi poteva spiegarlo? E lui non s’era innamorato di lei? La stessa distanza li separava. Egli era un uomo, ella una donna. E l’amore non domanda altri ingredienti per compiere i suoi inesplicabili malefizi!

E le frottole di Carissima lo intenerivano, suo malgrado.

Egli tuttavia credeva di intuire qualche cosa di losco nelle mene ingenuamente astute della sarta.

Ella doveva aver paura di lui, dopo il suo colloquio con la zia: e forse agiva per conto proprio, forse era consigliata dal Pirloccia stesso. Ma evidentemente il suo scopo era di eccitarlo e incoraggiarlo ad avvicinarsi a Maddalena. Il loro segreto oramai era conosciuto da molti. Senza dubbio anche dai Pirloccia. E se il colpo straordinario sognato da Carissima riusciva, Adone certo non si sarebbe più curato dell’eredità della zia. Poi egli [p. 385 modifica]dubitava anche della signora Maria, e pensava che nelle ciarle di Carissima ci fosse qualche cosa di vero. Gli pareva che non solo l’amore coi suoi incantesimi, ma anche gli uomini con le loro astuzie, cercassero di avvolger lui e Maddalena nella rete di un intrico pericoloso.

Alle volte però sussultava. Forse Carissi ma non mentiva. Maddalena soffriva davvero. Non soffriva anche lui? Egli che voleva esser pietoso con tutti, anche coi suoi nemici, tormentava colei che lo amava come nessuno, nessuno al mondo, neppure Caterina, lo aveva amato. E fu ripreso dal desiderio angoscioso di rivederla, di assicurarsi se anche lei soffriva davvero. Ah, ella non aveva risposto al suo grido, ma in silenzio, nel suo palazzo freddo come una torre, ella si consumava di passione e di tristezza, come una fanciulla di altri tempi, nella vana attesa dell’amato lontano!

Un giorno egli non potè resistere oltre: andò a visitare la sorella del prevosto e nel passare davanti al cancello guardò verso la finestra di Maddalena.

Ella non c’era. Egli ripassò. E come chiamata dal desiderio di lui, ella s’avvicinò ai cristalli. Era davvero pallida e magra: il suo profilo, cereo sullo sfondo della finestra illuminata, pareva un cammeo sull’oro trasparente d’un’agata. Ella si volse: egli si fermò. E si guardarono come non s’erano ancora guardati: con tutta la voluttà dell’amore che soffre.

Ed egli si riabbandonò al suo sogno, con passione disperata. [p. 386 modifica]

Doveva partire fra pochi giorni, e un’idea fissa lo tormentava.

— Quando ritornerò ella non ci sarà più. Non la rivedrò più.

Andò parecchie volte dalla signora Marina, ma non v'incontrò mai Maddalena: scrisse ancora, lunghe lettere disperate; ma quando stava per mandarle si pentiva d’averle scritte e le lacerava, buttandone via i pezzettini, che il vento pietoso disperdeva assieme con le foglie morte!

Un giorno finalmente egli incontrò Maddalena che usciva dalla parrocchia. Era sola, vestita di nero, con una sciarpa di velo nero intorno al capo. Sembrava più piccola e sottile del solito, e il suo viso olivastro, nella vaporosa cornice nera della sciarpa, aveva un’espressione quasi tragica. Egli ricordò la figurina luminosa, in riva al fiume, e gli parve che la colpa del lividore e della magrezza di Maddalena fosse tutta, tutta sua, e non in parte del vestito e del velo nero! La guardò, con un tremito d’amore e di rimorso per tutte le membra. Maddalena si accorse del turbamento di lui, e mentre gli passava rapida davanti gli sorrise. Il suo volto s’illuminò: e così pure l’anima di lui. Egli vagò sull’argine e pei campi fino a tarda notte. Gli pareva d’impazzire di gioia, di dolore, di desiderio. [p. 387 modifica]

L’indomani Carissima gli disse che sarebbe rimasta a lavorare nel palazzo fino alle nove di sera, e lo pregò di aspettarla davanti al cancello, se egli passava di là. Altre volte egli si sarebbe offeso: ora avrebbe ringraziato con gioia. Alle otto e tre quarti era già davanti al cancello.

La notte era alquanto nebbiosa, ma tiepida e dolce. Attraverso la nebbia le finestre illuminate del palazzo parevano le finestre d’un castello fantastico, fatto di nuvole.

Egli camminava sull’orlo del prato e sentiva la nebbia sfiorargli il viso, come una tela di ragno. Sogni inverosimili gli attraversavano la mente, più diafani e inconsistenti della nebbia. Se ella, avvertita discretamente da Carissima, scendesse al giardino e si avvicinasse al cancello? Che avrebbe egli fatto? Eh, si sarebbe avvicinato anche lui! Ella avrebbe mormorato:

— Adone!

A questo solo pensiero egli sentiva un brivido.

Scoccarono le nove. Nessuno. Egli continuò a camminare ed a sognare. Un uomo attraversò il prato, sparve nel viottolo. Laluna sorse fra la nebbia, rossa di un rosso opaco come di sangue coagulato; un’ombra si avvicinò al cancello, dall’interno del giardino. Una voce chiamò: [p. 388 modifica]

— Adone?

Quasi quasi si avverava il suo sogno!

Ma la voce era quella di Carissima.

— Adone, vattene. Ho molto da fare, ancora. Mi riaccompagnerà Jusfin. Glielo ha ordinato la signorina.

— Senti... — egli disse, quasi incosciente. L'hai veduta?

Carissima rispose di sì: e aggiunse con malizia:

— E tu, no? Le ho detto che mi aspettavi!

E ritornò di corsa verso il palazzo. Egli rimase, aggrappato al cancello, di cui gli pareva che il ferro tremasse. Era lui che tremava. Ella sapeva ch’egli era lì. Ella verrebbe; ne era certo! Ed egli ora l’aspettava, con tutta l’ansia d’una passione colpevole ma vittoriosa.

E non ricordava più nulla: nè chi era lui, nè chi era lei: nè che la sua amante l’aspettava alla finestra del viottolo. Gli pareva, soltanto, che nella sua vita egli non avesse fatto altro che aspettar Maddalena!

Ma ella non venne.

Allora egli fu colto da una specie di fissazione delirante. L’ombra del suo sogno gli sfuggiva davanti: egli si mise ad inseguirla con ebbrezza dolorosa, pur figurandosi di esserne fatalmente trascinato. [p. 389 modifica]

Ritardò di qualche giorno la sua partenza, e per altre due notti attesa Maddalena al cancello, esponendosi alla curiosità dei pochi passanti.

Gli pareva che Maddalena sarebbe venuta, anche senza esser chiamata, per sola forza suggestiva.

Una forza irresistibile li avvicinava. Essi sapevano di amarsi; si conoscevano da anni ed anni, da un’epoca remota: e si avvicinavano l’uno all’altro per un’attrazione fatale, come gli astri che si incontrano nello spazio. Egli pensava a questo incontro come ad un avvenimento inevitabile. E diceva a sè stesso che era suo dovere arrivare fino a Maddalena per domandarle perdono e dirle che non dovevano amarsi. Avrebbero pianto assieme; poi si sarebbero lasciati per sempre. Ma pensando così egli si accorgeva di mentire a sè stesso. Sentiva che la passione lo trascinava. Maddalena era per lui come il simbolo della fortuna, ma sopratutto era l’amore colpevole, con tutti i suoi attraenti misteri.

Quando egli vide ch’ella non veniva al fantastico appuntamento, pensò di arrivare direttamente fino a lei. Non era in obbligo d’andare a salutarla, prima di partire? Non era stata gentile con lui? Ma egli riconiò le chiacchiere di Carissima; ebbe paura d’essere spiato, di non essere ricevuto, e non andò.

E le scrisse ancora, deciso, questa volta, di non aflidare al vento pietoso le sue parole.

«Addio! Domani sarò lontano, e il deserto della vita ci dividerà per sempre. Ma ella non mi ha [p. 390 modifica]detto ancora la sua parola di perdono, senza la quale io partirò disperato per questo viaggio per noi senza ritorno».

Passò davanti al cancello, ma vide Jusfin e non mise la lettera nella buca. Gli parve che l’ex-cacciatore lo guardasse beffardo, e passò oltre. Fece il giro del prato, ed entrò nell’aja della parrocchia. La sorella del prevosto non c’era. Egli non voleva salutare il vecchio prete, che lo sgridava come un ragazzetto ogni volta che lo incontrava. Uscì di nuovo è si fermò sotto l’arco del portoncino. Di là vedeva il cancello, ma non poteva assicurarsi se Jusfin stava ancora nel giardino.

Ma all’improvviso trasalì, come se qualcuno gli avesse dato un colpo alle spalle.

Il cancello s’apriva. Maddalena, vestita di nero, col velo nero intorno al capo, usci e attraversò, col suo passo rapido e lieve, il prato solitario coperto di foglio secche. Ed ella si dirigeva al portoncino della parrocchia!

Egli s’appoggiò al muro, tremando. Gli pareva che quell’avvenimento semplicissimo, la visita di Maddalena alla parrocchia, fosse un fatto straordinario. Egli stringeva nel pugno la sua piccola lettera di addio, e si domandava smarrito se doveva consegnarla a colei che s’avvicinava.

Ella s’avvicinava: s’accorse ancora del turbamento di lui, ma questa volta non sorrise. Questa volta il suo viso esprimeva davvero qualche cosa di tragico e di sdegnoso in pari tempo. Egli ricordò i suoi sogni, il grido di lei «perchè mi fai [p. 391 modifica]soffrire?» e gli parve che ella si avanzasse spinta da una risoluzione disperata.

Quando fu davanti al portoncino ella invece domandò, turbata si ma non tragica:

— Non è in casa la signora Marina?

— Non so... credo... no, non c’è! — egli disse, smarrito. E spinse il portoncino. Si vide la casa deserta, il pergolato, una foglia gialla sui mattoni rosei del pavimento dell’aja.

Maddalena salì lo scalino, fu con lui, vicino a lui. Egli sentì il profumo di lei, rivide da vicino la sua carnagione vellutata, gli occhi pieni di dolcezza. Dimenticò ogni altra cosa. Le disse, incosciente:

— Devo... devo parlare! Bisogna...

— Non ora, non ora! — ella impose.

— Quando? Stasera?.. Sì... sì... Alle dieci sarò davanti al cancello.

Ella arrossì: non rispose, ma lo guardò; ed egli indovinò la tacita risposta.

Poi ella entrò nell’aja, ed egli se ne andò; e non seppe mai perchè, invece di ritornare a casa o di aspettare il ritorno della signora Marina, egli si diresse verso Casale.

Attraversò il viottolo, camminò sull’argine. Gli pareva di sognare, e guardava per terra, spaurito, come cercando qualche cosa che non riusciva a trovare!

— Ella verrà! — pensava: ma questa certezza, invece di colmarlo di gioia, gli dava quasi un senso di terrore, [p. 392 modifica]

Un fatto semplicissimo lo richiamò in sè. Al principio della fuga di Co’ de Brun, il sobborgo dei poveri, egli incontrò la signora Marina, che forse ritornava dall’aver fatto qualche visita pietosa. Con la sua gonna a volanti, di seta color tabacco, il corsetto a punta e il velo di merletto sui capelli troppo neri per una signora di settantanni, ella si avanzava a passi lenti, e da lontano salutò Adone facendogli un amichevole cenno col ventaglio. Sì, nonostante l’autunno inoltrato, ella portava un bel ventaglio nero e rosso regalatole da Maddalena.

— Sono stato da lei, — disse Adone, fermandosi. — Parto domani.

— Ritorna con me, — disse la vecchia.

Egli arrossì, pensando che forse Maddalena era ancora alla parrocchia. Ma vinse la tentazione, o meglio ebbe paura.

— Non posso, ora. La saluto qui. Ora vado da Caterina.

— Ah, tu vai da Caterina? Ecco, volevo appunto domandarti di lei. La pace è fatta?

— Che pace? — egli domandò, inquieto.

— Oh, niente, allora! Dicevano che il matrimonio era andato a monte! No? Mi rallegro, mi rallegro.

Egli pensò a Carissima e alle sue chiacchiere.

— No! No! Eh, no! — disse. — Chi può aver detto questo?

Poi ripensò a Maddalena che aspettava la signora Marina, e si sentì molto triste. [p. 393 modifica]

Ed egli andò da (Caterina. E conobbe l’angoscia del tradimento. Baciando l’amante pensava all’altra: e il dolore muto e selvaggio di Caterina gli parve mille volte più lieve del suo.

Anche la vecchia lo guardò con occhi mutati, supplichevoli. Quello sguardo, simile allo sguardo di una volpe ferita, gli penetrò fino al cuore, più che tutte le occhiate d’ira e i rimbrotti della vecchia.

Le due donne dovevano aver paura: senza dubbio sapevano tutto; le chiacchiere della sarta, la voce or ora riferita dalla signora Marina; e che egli, nonostante le sue promesse, continuava a girare intorno a Maddalena come l’allodola intorno allo specchietto.

Ma oramai Caterina lo conosceva, come egli non conosceva ancora lei. E sapeva che da lui si otteneva tutto col silenzio e nulla con le parole. Quando si lasciarono, ella piangeva, però, d’un pianto silenzioso e desolato.

Le dieci. Come al richiamo insistente dei dieci rintocchi, la luna s’affaccia sul tetto della chiesa, e illumina i pioppi sfrondati, le cui foglie gialle, sull’erba fredda del prato, sembrano fiori addormentati. La notte è tiepida, sebbene un vento leggero soffi a intervalli, spingendo sul cielo azzurro [p. 394 modifica]qualche nuvola scura. Adone cammina su e giù per il prato, calpestando le foglie morte e le ombre dei pioppi.

Egli va, egli va, a testa china, e gli pare di camminare ancora sull’argine in compagnia dei suoi pensieri inquieti. E gli pare che nella sua mente ondeggi un velo a momenti luminoso, a momenti scuro, come il cielo in quella notte incerta.

Verrà Maddalena? Non verrà? Egli sarà egualmente infelice. E gli pare di non aspettarla, ma di trovarsi lì come un tempo, bambino, distratto dal vano giochetto delle ombre. Ma basta un susurro, un calpestìo, per farlo tremare. I minuti passano. Ella non viene. Forse non verrà più.

Egli sente ancora una volta tutta l’ingenuità del suo sogno, gli pare d’essere ridicolo, e ricomincia ad irritarsi. E non si accorge che si irrita non per questo, ma perchè Maddalena non viene.

I minuti passavano. Si scorgeva una finestra del palazzo ancora illuminata, e un fanale acceso davanti alla scalea. Un’ombra passava e ripassava dietro i cristalli, in quel lembo di luce che pareva il segno di un mondo lontano. E la fiammella del fanale tremolava al vento, come un occhio inquieto. Pareva le desse fastidio l’andare e venire dell’uomo sotto i pioppi. Poi qualcuno spense il [p. 395 modifica]fanale; l’ombra non oscurò più i cristalli. Tutto fu silenzio. Il palazzo parve di nuovo disabitato.

La luna penetrò attraverso il cancello e illuminò il viale bianco: e le ombre dei cespugli tremolarono sulla sabbia, come agitate anch’esse. nel silenzio lunare, da qualche passione.

Egli s’irritava: e più s’irritava, più s’ostinava ad aspettare. Ma le ombre s’addensavano sopra il suo capo e dentro il suo cuore. Arrivò un momento in cui egli non vide più, sotto i suoi piedi, le ombre dei pioppi. Le nuvole coprivano la luna. Egli rivide, nella penombra, la figura di Caterina: ed ebbe un’impressione strana, gli parve ch’ella avesse gli occhietti azzurri supplichevoli della vecchia Suppèi.

La luna riapparve. Allora egli pensò agli occhi dolci e voluttuosi di Maddalena. E un brivido di piacere attraversò il suo dolore, come il vento del sud attraversava, quella notte, la pianura melanconica.

Ma fu un attimo. Egli ricadde nel suo sogno penoso. L’ombra di Caterina lo seguiva: e quando la luna spariva e sparivano le altre ombre fondendosi con le tenebre, egli si fermava perchè gli pareva che Caterina si piegasse e si stendesse ai suoi piedi. Egli non aveva il coraggio di calpestarla. Si sentiva piegare anche lui: aveva quasi desiderio di gettarsi per terra, di fondersi con le ombre della notte. E Caterina piangeva: e il suo gemito era provocante e accorato. Egli si curvava ad ascoltarlo, come altre volte s’era curvato ad [p. 396 modifica]ascoltare le voci misteriose dell’erba, dell’acqua, delle foglie. Gli pareva che l’ombra dicesse:

— Ricordati le mie parole, Adone. I morti ritornano e si vendicano. Io sono morta, per te: ma la mia ombra ti segue e non ti lascerà più. Mi troverai da per tutto, sempre, sotto i tuoi piedi; e t’impedirò d’andare avanti. Tu potrai baciare l'altra, ma fra le vostre labbra vi sarà come la lama di un coltello, che taglierà i vostri baci! E sarò io. E sai chi sono io? Tu credi ch’io sia Caterina? T’inganni: non sono l’ombra d’una donna. Sono l’ombra di tutto il tuo passato!

Le nuvole camminavano verso ponente; a un certo punto parvero precipitarsi tutte laggiù, come attirate da qualcosa di strano che accadesse al di là dell’orizzonte. La luna riapparve, e un chiarore di madreperla inondò il prato.

In quel momento di silenzio e di luce, egli sentì che Maddalena veniva. Ridiventò incosciente: si trovò davanti al cancello, gli parve che tutto intorno tremasse per il grande avvenimento.

Maddalena era venuta per lo stretto viale che circondava il parco, rasente al muro: era ancora vestita di nero, con la testa velata. Egli non guardò il piccolo viso lividognolo, rischiarato dalla luna, nè ella guardò lui. [p. 397 modifica]

Parevano due colpevoli. Ma quando fu accanto a lei, rasente al muro, lungo il viale umidiccio, egli provò un nuovo sgomento. Gli parve che Maddalena fosse un’altra!

Egli capiva che doveva parlare e non poteva. Ma dopo il primo impeto di stupore, ed anche di paura, si dominò. La certezza che ella lo amava, la fiducia e la confidenza ch’ella gli concedeva, lo fecero esultare di orgoglio. Ancora una volta egli scambiò questo sentimento con la gioja. Gli parve d’esser felice: e che non avesse più nulla a rimpiangere. Ella lo amava!

Maddalena camminava rapida davanti a lui, come per insegnargli la strada. IL suo vestito lungo portava via le foglie secche del viale.

Egli si guardò attorno: la suggestione del luogo e dei ricordi lo vinse. Il vento riempiva di soffi il parco. Si udivano come dei passi lievi, saltellanti: egli ricordava le sue fantasie infantili, e credeva che le fiere un tempo scorazzanti nel parco si destassero nei loro nascondigli secolari, e si rincorressero agili tra gli albri, come in una foresta. In alto gli alberi stendevano come una nuvola, al disotto della quale, sopra il muro, biancheggiava [p. 398 modifica]una fascia di chiarore argenteo che illuminava il viale. E a destra, altra verso i tronchi avvolti d’ombra, si scorgeva il terreno coperto di foglie gialle: in alto le foglie scintillavano alla luna. Tutto era fantastico, ma triste, freddo. Pareva un luogo abbandonato. Nel muro coperto d’edera s’aprivano, di tanto in tanto, larghe nicchie entro le quali v’erano statue corrose e sedili di pietra. Maddalena si fermò davanti ad una di queste nicchie, dietro una fontana il cui canaletto non gettava più acqua.

Adone le fu vicino. Sentì di nuovo il profumo di lei.

— La ringrazio... — disse: e tacque, spaventato dal suono della sua voce.

— Ma di che? — rispose subito Maddalena, con voce alta e quasi ironica. E s’appoggiò al muro, entro la nicchia, sporgendosi in avanti per spiare le profondità del viale.

Ed egli ridiventò sospettoso. Gli parve ch’ella, — anch’ella, — fingesse. Gli parve che ella non fosse abbastanza turbata, ma avesse anzi voglia di beffarsi di lui e della sua goffaggine. E di nuovo l’ombra lo avvolse.

Ricordò che era venuto per domandarle perdono: solo per questo: ma ebbe paura di sembrarle ridicolo e volle dirle tutto. Entrò anch’egli sotto l’arco della nicchia, s'appoggiò al muro e lasciò cadere il cappello sul sedile.

— La ringrazio d’esser venuta, — disse, stringendosi le mani, come desolato per la sua [p. 399 modifica]impotenza ad esprimersi bene. — Volevo venire... di giorno... Da tanto tempo volevo venire! Parto domani... Allora ho avuto paura di non rivederla più... Allora...

— Perchè? — ella domandò, con voce mutata. E sollevò il viso.

Ma invece di rispondere egli ripetè:

— Devo partire. Forse non la rivedrò più.

Ella replicò, più forte:

— Ma perchè? -E mise il volto quasi sotto il volto di lui.

Nonostante l’ombra fantastica e l’ombra vera che li avvolgeva, i loro sguardi s’incontrarono. Egli sentì che la creatura velata e profumata chiusa assieme con lui nella stessa nicchia, quasi entro quel muro contro il quale si erano spezzati molti suoi sogni, era veramente lei, la creatura dei suoi sogni. Le prese una mano: e vibrarono assieme a quel primo contatto. Ma egli ricordò subito un’altra mano, calda ed aspra, che parve mettersi fra la sua e la mano di Maddalena. Allora egli domandò:

— Sa chi sono io? Lo sa?...

— Sarei qui, se non lo sapessi?

— No, no, non lo sa! Lei è qui perchè... è buona... perchè una fatalità ci ha spinto l’uno verso l’altro... Io non so dirle..., — prosegui, disperandosi, — non so parlare... Sono venuto per domandarle perdono. Mi dica che mi perdona...

— Ma io non ho niente da perdonarle...

— Ma lei non soffre? [p. 400 modifica]

Maddalena non rispose subito. Parve cercare In risposta. Egli ricominciò a tremare, e il suo tremito si comunicò a lei. Ed ella mormorò:

— Sono contenta di soffrire...

— Perchè non ha risposto alla mia lettera? L’ha ricevuta?

— Sì! Sì! Che dovevo dirle? Che soffrivo? Ho avuto paura di farla soffrire di più...

— Lei... Lei ha fatto questo? Ed io invece... Io le ho fatto molto male! Mi perdonerà, lei? Potrà?...

— Lei mi ha fatto del bene... — mormorò Maddalena, avvicinando il viso al petto di lui, quasi volesse parlare al cuore che l’amava. — Mi ha insegnato ad amare!

— Ma lo sa chi sono io? Lo sa? Lo sa? — egli insistè, smarrito.

— Lo so! Sì, sì, sì... — ella rispose, animandosi. — La conosco da tanto tempo. So tutto; so che le hanno fatto del male. Quando ero bambina... ragazzetta... una volta, mi ricordo, qui, non so perchè... qui, davanti a questa fontana, mi buttai per terra e piansi rabbiosamente. C’era Jusfin, che mi disse:«Com’è cattiva! E io conosco tanti bambini che non piangono neppure quando li bastonano. Ne conosco uno, poi, tanto carino; non ha padre, la madre non lo vuole, nessuno gli vuol bene, eppure è sempre buono». Io rimasi tanto colpita da queste parole. Dicevo sempre a Jusfin: «Fammi vedere quel bambino». E me lo fece vedere, un giorno. Stava arrampicato al cancello: scappò nel vederci... Era lei. [p. 401 modifica]

Adone si portò le mani al viso: pareva volesse piangere.

Maddalena proseguì, semplice e commossa:

— E poi io pensavo sempre a lei, pensavo: ma come la madre non lo vuole? E sentivo una pietà quasi materna. Sì, sì, davvero... Ma avevo vergogna di dirlo. Poi, quando fui grande, una persona mi parlò sempre di lei, e mi fece leggere la sua novella, e le sue lettere...

— Davide! — disse Adone. E una commozione violenta lo assalì. — Perchè ha fatto questo? domandò, come parlando fra sè. — Perchè lo ha fatto? Ah, forse egli credeva di rimediare al male che mi ha fatto?

— Anche lui le ha fatto del male?

— Lui più di tutti... Ah, tutti mi hanno fatto del male, tutti... tutti...

— Io no, però? — ella disse, carezzevole.

— Lei no... lei sola!...

Egli disse così, ma subito pensò a Caterina. Anche a lei egli aveva detto le stesse parole! Quando aveva mentito? Allora? O mentiva adesso? L’ombra di Caterina tornò a riafferrarlo. Ma egli fu assalito da una rabbia sorda contro il fantasma importuno. Volle scacciarlo; prese quasi con violenza le mani di Maddalena, la strinse a sè, la baciò, le sfiorò con mano tremante le spalle tremanti. E gli parve di sfiorarle la pelle, tanto la stoffa del suo vestito era liscia. E il profumo di fieno ch’esalava da tutta la persona di lei era così dolce e caldo che egli ebbe l’impressione di trovarsi [p. 402 modifica]in mezzo ad un prato, in una sera di giugno. E un tremito di passione lo scosse, ma non in modo da fargli dimenticare la rabbia e l’angoscia che lo avevano spinto a baciar Maddalena.

La profezia si avverava: l’ombra era sempre davanti a lui, in mezzo a loro.

Egli però si ostinava. Baciò Maddalena con maggior impeto, cercando sulle labbra di lei ciò che nulla, nulla al mondo poteva offrirgli: l’oblio; ma pronunziò parole insensate che tradirono la sua disperazione.

— Tu sola... Tu sola! Tu sola mi hai fatto del bene. Io però ti faccio del male... Sono colpevole, ma ti amo... Ma tu mi perdonerai; non è vero che mi perdonerai? Dimmelo... Dimmelo... — E lagrime di dolore caddero dagli occhi suoi, sul viso di lei, come goccie di veleno.

Ella si staccò da lui, come respinta dal soffio di passione angosciosa che lo agitava.

— Ma perchè piange? — gli domandò, stringendo a sua volta le mani con atto disperato. E non gli diede del tu. Neppure un bacio d’amore poteva unirli.

Egli le riprese una mano e se la portò agli occhi.

Ma la piccola mano era diventata fredda, morta. [p. 403 modifica]

— Le dirò tutto... — egli disse. — Bisogna: sono venuto per questo...

— Dica... dica! — ella impose, quasi irritata. Ma egli non potè subito parlare. Chiusi entro quel muro che pareva li dividesse dal resto del mondo, vicini, entro la nicchia, come le figure d’uno stesso gruppo, essi tacquero per alcuni istanti, come ascoltando le voci del vento. Adone sentiva che Maddalena non gli avrebbe perdonato mai l’offesa di averla baciata pensando all’altra. E sentiva che quella era la prima e l’ultima ora che essi passavano assieme. Tutto era finito davvero; ora che tutto invece avrebbe dovuto incominciare! L’arco stretto della nicchia racchiudeva tutto ciò che v’è di più tenace in due razze diverse: l’orgoglio; e il muro non li divideva dal mondo, poichè il mondo era dentro il loro cuore!

— Che penserà di me? - egli disse, finalmente con la voce vaga di un malato sotto l’azione di un eccitante. — Sono uno sciocco, sì! Sono uno stupido, sì! Ha ragione, ha ragione! Ma lei perchè non mi ha risposto? Se ella mi scriveva una sola parola di perdono io sarei partito... Così non potevo! E ora invece... ora invece sono qui, a tormentarla ancora! Perchè non mi ha risposto, perchè?

— Sapevo che lei sarebbe venuto, — ella disse, con lieve ironia.

Egli riprese, eccitatissimo, parlando sempre come un infermo a cui sia stata iniettata una sostanza stimolante: [p. 404 modifica]

— E sono venuto! Ma perchè son venuto? Non lo so neppure io! So che dovrei essere felice... e invece piango! Sono uno stupido; mi perdoni! Maddalena, mi lasci parlare; se non le dico tutto ora, non riesco a dirglielo più. Mi pare di morire... e forse morrò, appena l’avrò lasciata. Mi lasci parlare... Senta, senta: io ho mentito, poco fa, quando le dissi che da tanto tempo volevo venire. Non è vero! Io non volevo venire; io sapevo che non dovevo venire. Questo è il castigo. Ma perchè? Perchè? — continuò, disperato, rivolgendo la domanda a sè stesso. — Perchè tutto questo? Sono stato sempre buono, io: da bambino mi hanno maltrattato, mi hanno tradito, mi hanno percosso mentre dormivo. Hanno ucciso la mia forza e la mia volontà. E chi doveva proteggermi m’ha insegnato a piegarmi, a sottomettermi: e così la mia piccola anima s’è deformata, così! Così, così! Me lo lasci dire! E’ rimasta piccola, timida, vile! Io ora non sogno più nulla per me; più nulla, più nulla; non sono capace di prendere il mio bene per non far male agli altri! Ecco che cosa hanno fatto di me! Maddalena, lo capisce ora, lei, lo capisce chi sono io?

— Non parli così! Dio, mi fa male sentirlo parlare così! — disse Maddalena; ma egli prosegui, sempre più eccitato:

— Così! Così! È proprio così! Ora vedo chiaro, davanti a me, al di là di questa cupa ombra mi avvolge! Poco fa mentre l’aspettavo, poi mentre la baciavo e credevo di dover morire per la [p. 405 modifica]gioia, ho sentito come un colpo alla testa. Ho veduto un fantasma. Ho creduto fosse il fantasma di una donna alla quale io sono unito per sempre, e invece era un altro fantasma. Era il mio stesso fantasma. Una volta mi hanno percosso mentre dormivo: io urlai, domandando giustizia. Nessuno rispose al mio grido. E questo rimase come dentro di me, e lo sento echeggiare ogni volta che credo di commettere un tradimento. E l’ho sentito anche poco fa, quel grido! Come era lungo e triste! Dio! Dio! Ricordo un’altra volta... un altro urlo... una notte come questa... Ma lei non può capire... Lei è stata sempre felice... lo no... io no; capisce?

Sì, ella capiva, finalmente! Egli lo aveva detto: egli era unito ad un’altra donna, per sempre. E mentre egli parlava Maddalena lo guardava fisso, fiera e spaventata. E forse vedeva negli occhi oscuri di lui un’ombra più densa e pericolosa delle ombre del viale. Che voleva, da lei, quell’uomo lamentoso? Questo ella non riusciva a capirlo. La sua pietà cadeva, davanti a quell’uomo che non poteva e non voleva essere più suo. Ella non domandò altro: non poteva umiliarsi, come si era umiliato lui. LO aveva ricevuto come un suo eguale, poichè voleva innalzarlo fino a lei. Egli invece voleva rimanere al suo posto, al fianco d’una creatura misera, della quale Maddalena Dargenti ostentava d’ignorare persino l’esistenza.

— Basta! — ella disse, morsicandosi le labbra — Io non sapevo. Ha ragione. [p. 406 modifica]

E si scostò, per indicargli che era tempo d’andarsene.

La calma di lei lo spaventò. Le balzò vicino, come un pazzo; le afferrò un braccio.

— Non se ne vada! Mi ascolti.

Ella si svincolò, tremando.

— Mi lasci! Che ha da dirmi ancora?

E s’avviò. IL viale era scuro: le nuvole coprivano anche la striscia di cielo, sopra il muro.

Adone seguiva Maddalena, ripetendo:

— Mi perdoni... Mi perdoni...

Ella si mise a correre, come infastidita dalla supplica insistente di lui. Poi si fermò, lo aspettò e lo accompagnò fino al cancello. Ma egli non parlò più, avvilito. Uscì, e mentre lei chiudeva si volse e stette a guardarla. Ella non riusciva a chiudere bene il cancello. Egli pensò che forse ella aspettava da lui qualche parola ancora. Una parola ancora e forse tutto non era finito. Ma egli non volle dire questa parola. E lei se ne andò, silenziosa e lieve, com’era venuta.

Egli rimase nel prato. Gli pareva di aver sognato: un sogno terribile e stupido nello stesso tempo. Sulle prime fu vinto da un’umiliazione ardente. Disse a sè stesso che Maddalena doveva beffarsi di lui; che Maddalena lo aveva scacciato; [p. 407 modifica]che Maddalena era cattiva e crudele. Ella non si era commossa mai, nè alle sue parole d’amore, nè al suo grido di angoscia. Ma poi ricordò ch’ella tremava nel dirgli «mi lasci!»

Egli l’aveva lasciata. S’egli le avesse detto «son tuo ancora» ella non lo avrebbe mandato via. E a poco a poco egli fu ripreso da una convulsione di rancore e di angoscia.

Senti che con Maddalena gli sfuggiva, non solo il sogno, ma anche la realtà della gioia e della fortuna.

E sentì la disperazione del bene perduto; il desiderio di ciò che non avrebbe posseduto mai più.

Vide ancora in sè stesso la personificazione di tutta una razza, accecata, come certi insetti viventi in luoghi oscuri, dall’ombra di un passato tenebroso. Egli era vissuto all’ombra di una mostruosa ingiustizia. Tutti l’aveano tradito, sua madre, i suoi parenti, colui che egli aveva quasi eletto a suo maestro. Ma la più grande ingiustizia che gli uomini avessero potuto fargli era questa, di renderlo ingiusto verso sè stesso.

E ancora una volta propose di ribellarsi, come appunto la razza della quale egli si credeva il rappresentante! Ma subito si accorse della sua contraddizione. Egli era infelice appunto perchè era un ribelle. Egli aveva sognato un avvenire di amore, e questo sogno aveva come paralizzato in lui la capacità di amare. Amare fino all’oblìo di ogni altro sentimento; amare fino al male. [p. 408 modifica]così, — egli pensò, — l’amore è gioia: tutto il resto è menzogna.

Ma dopo un-momento gli parve che anche quest’amore non esistesse. Nulla esisteva, nella vita, nulla di aniente e di vero.

Egli aveva creduto che la vita, come il parco Dargenti, racchiudesse misteri dolci e profondi; ed invece era piena d’ombre melanconiche, di fontane inaridite, di foglie morte. E il fantasma del sogno, simile a Maddalena, scacciava il sognatore dopo averlo attirato nei suoi recessi.

Perchè tutto questo? Egli sollevò il viso, come interrogando gli alberi, le nuvole, tutte le cose che un tempo gli rispondevano fraternamente.

Ma tutto era ombra. Le nuvole s’allargavano, coprivano tutto il cielo; e su quello sfondo cupo gli alberi mormoravano, con un rombo lontano, e parevano più alti del solito, alti fino al cielo, agitati come le nuvole.

Egli provò una nuova impressione: gli parve che anche gli alberi, quella notte, soffrissero: e invece di rispondere al suo grido gli domandassero, a loro volta, il perchè del loro dolore. Perchè il vento li agitava e l’ombra li avvolgeva?

Ma egli non seppe rispondere. E se ne andò, portando con sè l’ombra di un passato ben lontano, al di là di ogni nostro ricordo, al di là di ogni causa umana: ombra sorella delle nuvole e della notte, figlia anch’essa, come loro, della natura inesplicabile: il Dolore. [p. 409 modifica]

Ma quando fu nella sua cameraccia, fra le umili cose compagne al suo antico soffrire, egli ritrovò un altro fantasma che si coricò al suo fianco e gli propose di aiutarlo a combattere le ombre che lo tormentavano. Egli dapprima lo respinse. Tutto gli sembrava inutile. Ma l’altro era insistente, paziente, anche furbo. Era lo spirito folletto che la vecchia Suppèi dava per compagno a tutti gli uomini: la propria coscienza!

Come una vecchia fantesca che per calmare il bimbo malato ricorda, canticchiando, vicende passate, il piccolo fantasma rievocava alla memoria di Adone i dolori, i sogni, i propositi che egli aveva fatto sin da bambino. Fra le altre cose gli ricordava la lettera scritta a Davide, in un momento disperato. E gli diceva, lusingandolo:

— La lettera non ha ottenuto risposta. Ma ora tu puoi procedere egualmente verso l’avvenire, perchè puoi fidarti, se non in tutti, almeno in uno dei tuoi fratelli: il più intimo, il più sincero: in te stesso.

Fine.