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364 l'ombra del passato


Egli sedette, rassegnato.

— Sì, viscere, poche parole. Caterina, devi saliere, è diversa dalle altre ragazze. Le altre possono fare quello che vogliono: lei no, viscere! Lei no! Hai capito? — gridò; poi riabbassò la voce: — Ha una pietra legata al piede, lei: e quella pietra sono io! — Proprio io! — concluse battendosi il pomo del bastone sul petto.

— E lasciatela tranquilla! — egli disse allora, cercando di sviare il discorso. — Che male ha fatto? Non vedete che sta poco bene, poi?

— Chi, lei? Sta meglio di te, lei! Non è stata mai così bene, viscere! — ella riprese, con ironia. — IL male ce l’ha qui, al fiele; e tu lo sai! Ah, tu vuoi che io la lasci tranquilla? E tu, viscere, tu la lasci tranquilla, di’?

Si chinò e lo guardò. Egli arrossì, poi diventò livido. Balzò in piedi, gridò:

— Ma che cosa avete voi tutte? Sono stanco! Cosa avete?

— Te lo dirò subito, viscere, poichè non è buona a dirtelo lei! Tu non conosci Caterina, le l’ho ripetuto più di una volta! Tu le hai detto ch’era una zingara: ma non la conosci bene. Tu l’hai conosciuta da bambina e credi ch’ella sia rimasta una zingara. Per sua disgrazia, no, vedi! Così fosse rimasta, caro! Avrebbe saputo difendere il suo bene e magari prendere quello degli altri, il che tante volte non guasta! Ma tu ed io l’abbiamo disfatta e rifatta, per così dire! Io le ho detto che bisognava farsi una coscienza e lei se l’ha fatta! E le